Un caso interessante relativo alla Regione Piemonte
Una decisione della Corte costituzionale su un ricorso in via principale proposto dallo Stato nei confronti della Regione Piemonte potrebbe presto estendere gli effetti degli accordi preordinati all’attuazione dei Piani di rientro dal disavanzo sanitario anche al momento in cui una Regione non vi sia più formalmente sottoposta.
Il caso, a oggi ancora pendente, si sviluppa a partire dall’approvazione della legge regionale 24 aprile 2023, n. 6 (Bilancio di previsione finanziario 2023-2025), con la quale la Regione Piemonte, all’art. 8, ha stabilito una allocazione dei trasferimenti di cassa alla gestione sanitaria diversa da quella originariamente prevista dall’art. 14, co. 2 della l.r. 15 dicembre 2016, n. 14. Tale originaria statuizione legislativa affondava le proprie radici nell’accordo intercorso tra la Regione e i Ministeri delle Finanze e della Salute nell’ambito del Piano di rientro dal disavanzo sanitario, cui il Piemonte è rimasto soggetto per quasi sette anni fino al 21 marzo 2017. Su tali basi, entro il 2026 la Regione Piemonte avrebbe dovuto restituire alle aziende sanitarie e ospedaliere le risorse (loro precedentemente sottratte) onde ridurre i residui passivi verso di esse. Con l’intervento normativo menzionato, il legislatore regionale piemontese, pur confermando formalmente l’impegno a trasferire un certo stock complessivo di risorse alle aziende (1.505 mln €), ha, però, scelto di spalmarlo su un orizzonte temporale più ampio, destinato a chiudersi soltanto nel 2032. Nel diluire lo sforzo finanziario nel tempo, la Regione si è così ritagliata un significativo margine di manovra finanziaria per il periodo che va dal 2023 al 2026 (essa non dovrà infatti più versare risorse pari rispettivamente a 200, 220, 240 e 263 mln €, ma soltanto pari a 93, 93, 93 e 92 mln €), rectius una maggiore disponibilità di cassa per sostenere spese extra-sanitarie ritenute improrogabili.
Nel proprio ricorso, lo Stato ha lamentato, da un lato, la violazione del principio di leale collaborazione, dal momento che la novella sarebbe intervenuta unilateralmente senza il previo coinvolgimento dei Ministeri delle Finanze e della Salute e, dall’altro, la lesione del titolo competenziale del coordinamento della finanza pubblica, dal momento che il vincolo contenuto nel Piano di rientro – o più precisamente negli accordi intercorsi con il Tavolo tecnico per la verifica degli adempimenti regionali e con il Comitato permanente per la verifica dei livelli essenziali di assistenza, così come rappresentati dai rispettivi Ministeri il 24 novembre 2016 – costituisce notoria espressione di un principio di coordinamento finanziario ai sensi dell’art. 117, co. 3 Cost.
Dopo un primo tentativo di conciliazione tra le parti, la Regione Piemonte ha scelto di resistere al ricorso, difendendosi nel merito, ma senza eccepire la non vincolatività del Piano, bensì anzi riaffermandola esplicitamente come circostanza del tutto pacifica. Eppure, non solo il Piano di rientro deve ritenersi concluso da ben sei anni, ma, allo stato, non risulta siano state poste in essere misure di monitoraggio a esso equiparabili, come, invece, avvenuto per altre Regioni precedentemente interessate da Piani di rientro (ad es. la Puglia, cfr. sentt. nn. 190 e 161/2022). I tavoli tecnici di monitoraggio a cui si riferisce lo Stato nel proprio ricorso sono, infatti, i tavoli che hanno operato nella vigenza del Piano, atteso che non sono note altre attività di affiancamento. Nel proprio atto introduttivo del giudizio davanti alla Corte costituzionale, lo Stato affermava, tuttavia, che la soluzione cristallizzata nella legge regionale del 2016 fosse stata qualificata dai Tavoli come “un fondamentale elemento di valutazione al fine della conclusione positiva del Piano” e, come tale, sarebbe stata insuscettibile di modificazione in pejus da parte del legislatore regionale piemontese. Premesso che l’espressione ricorre effettivamente nelle conclusioni del verbale dei Tavoli del 21 marzo 2017, da essa non è comunque possibile trarre un carattere di precettività tale da porre per ciò solo nel nulla la potestà legislativa regionale, specie a distanza di ormai molto tempo dalla conclusione formale del Piano. E questo perché l’osservazione non è formulata nei termini di una precisa condizione che, qualora disattesa, sia idonea a “riprecipitare” automaticamente la Regione in una soggezione all’indirizzo e al controllo dello Stato. E ciò è tanto più vero se si considera che, al Piano, non hanno fatto seguito concrete iniziative di monitoraggio volte ad assicurare che le indicazioni ivi contenute fossero puntualmente rispettate anche una volta che esso fosse stato dichiarato concluso. Del tutto diverso è, del resto, il ruolo dei Tavoli di Monitoraggio per la verifica dell’equilibrio economico dei singoli SSR, i cui lavori interessano tutte le Regioni a prescindere dal loro assoggettamento a Piano di rientro e i cui verbali contengono pareri e non presuppongono accordi idonei a trasformarsi in parametro interposto di cui all’art. 117, co. 3 Cost.
Il che fa conclusivamente pensare che l’invocazione del titolo competenziale dell’art. 117, co. 3 Cost. da parte dello Stato sia stata, in realtà, derivata “dalla natura delle cose” (kraft Natur der Sache), per via della circostanza puramente intuitiva, ma non positivamente normata, in base alla quale, se un vincolo alla restituzione di certe somme è stato concordemente previsto fino al 2026, lo Stato non potrà che mantenere il compito di monitorarne l’attuazione fino a quella data.
In realtà, nella misura in cui la Regione recuperi la propria autonomia di bilancio costituzionalmente garantita, su di essa non dovrebbe gravare che un mero onere di giustificazione in ordine al discostarsi da quanto preventivamente deliberato. Onere che, in effetti, la Regione non pare aver adeguatamente assolto, considerato che la relazione tecnico-finanziaria allegata al disegno di legge di bilancio di previsione non chiarisce affatto le ragioni sottese al differimento nel tempo della restituzione delle risorse. Tale chiarimento è offerto, però, nell’atto di costituzione del Piemonte davanti alla Corte costituzionale, ove si mette in luce come il mutato scenario economico post-pandemico abbia aggravato la disponibilità di cassa della Regione così da richiedere di rimodulare lo sforzo e liberare risorse aggiuntive per il pagamento di spese inerenti ai servizi essenziali (non meglio specificati) del comparto extra-sanitario. Tale esigenza si giustificherebbe anche tenuto conto della ormai intervenuta riduzione dei tempi dei pagamenti ai fornitori da parte delle ASL e AO piemontesi, motivo per cui non sarebbe più necessaria una allocazione sì ingente di risorse da destinare al SSR in un orizzonte di tempo relativamente contenuto. Ciò premesso, la Regione confida nel rigetto del ricorso, sulla base della circostanza che l’importo che sarà restituito alle aziende resta pur sempre quello originariamente pattuito con lo Stato.
Al riguardo, occorre osservare come la novella legislativa avrebbe probabilmente meritato di essere impugnata del tutto a prescindere dai contenuti del programma operativo di cui al Piano di rientro. Non è cioè necessario argomentare in favore dell’ultrattività dei vincoli derivanti dal Piano per censurare l’art. 8 della legge in parola e, anzi, forse sarebbe proprio bene non farlo, considerato che assoggettare in maniera duratura la potestà legislativa regionale all’indirizzo e al coordinamento statale non produce necessariamente effetti responsabilizzanti della Regione. Lo Stato avrebbe, invece, potuto invocare altri parametri, idonei a orientare la politica di bilancio nel senso della sana gestione finanziaria. In particolare, nella misura in cui la novella legislativa libera risorse aggiuntive per alcuni anni finanziari rischia di distrarre risorse vincolate alla spesa sanitaria e attrarle ad altri fini, un’operazione che pare vietata dall’art. 20 d.lgs. n. 118/2011, che costituisce parametro interposto dell’art. 117, co. 2 lett. e) Cost. in materia di armonizzazione dei sistemi contabili. In secondo luogo, nella misura in cui il legislatore si ritaglia uno spazio finanziario ulteriore, la Regione finisce per prevedere spese senza copertura lungo l’orizzonte finanziario considerato, ponendo molte delle aziende sanitarie e ospedaliere nella difficile condizione di non poter onorare nei tempi prestabiliti i propri pagamenti verso i fornitori e, stante gli elevati interessi da corrispondere, aggravando la loro situazione debitoria e quella di tutto Piemonte (cfr. artt. 81, co. 6 e 119, co. 1 Cost.). A questo proposito, nell’ultimo giudizio di parifica del rendiconto 2022, la Sezione regionale di controllo della Corte dei conti ha evidenziato che il mancato pagamento dei residui passivi verso le aziende sanitarie genera la permanenza di crediti nei bilanci delle aziende(Sintesi della relazione annessa alla deliberazione di parifica del rendiconto 2022), un problema cui la maggioranza al governo della Regione non sembra aver posto rimedio in maniera duratura e sostenibile, considerato che la differenza tra residui attivi e residui passivi del settore sanitario resta stabilmente negativa, ossia le risorse ancora da ricevere non sono sufficienti a dare copertura a quelle ancora da pagare.
La relazione per intero qui