AMA spa: il mancato rispetto delle procedure concorsuali e le assunzioni illegittime non integrano danno erariale

Con la sentenza n. 9/2019  la Sezione Prima Giurisdizionale Centrale d’Appello della Corte dei Conti ha assolto l’ex amministratore delegato di Ama S.p.A. , ribaltando la pronuncia di primo grado che lo aveva condannato ad un risarcimento erariale pari a euro 1.757.915,00.

Il giudice di prime cure (sent. n. 399/2017) difatti, aveva identificato tre fattispecie dannose a carico del convenuto:

– l’illegittimo affidamento della selezione di candidati per la qualifica di autisti, operatori ecologici e interratori al CONSEL-Consorzio ELIS, soggetto non iscritto all’albo delle agenzie per il lavoro (art. 4 d.lgs. 276/2003) e non selezionato attraverso la procedura ex art. 27 d.lgs. 163/2006;

– l’assunzione di 23 autisti di mezzi pesanti in sostanziale violazione dell’art. 35 d.lgs 165/2001;

– l’illegittima assunzione di 41 dipendenti per “chiamata diretta”, in violazione dell’art. 18 d.l. 112/2008 conv. in L. 133/2008.

Le menzionate condotte, quindi, venivano riconosciute foriere di un danno erariale, nella misura in cui Ama S.p.A., società in house in mano pubblica e concessionaria di pubblico servizio, sarebbe stata tenuta allo svolgimento di procedure concorsuali sia per il reclutamento dei dipendenti che per l’eventuale affidamento a terzi della selezione dei candidati. Infatti, il mancato rispetto delle procedure di evidenza pubblica per la scelta del contraente e del concorso pubblico per il reclutamento dei dipendenti della p.a. non integra sic et simpliciter una condotta antigiuridica, e quindi contraria al principio di legalità dell’azione amministrativa, ma, discostandosi dai principi di buon andamento, economicità ed imparzialità della p.a. (art. 97 Cost.), produce un danno identificabile nella perdita di efficienza dell’amministrazione e nel mancato rispetto del diritto di tutti i cittadini di accedere ai pubblici uffici in condizioni di eguaglianza (art. 51 c.1 Cost.). In altri termini, le suddette condotte determinano un nocumento sia per Ama S.p.A. – valutabile dal punto di vista delle ricadute economiche, organizzative ed istituzionali dell’adozione di meccanismi inefficienti per il reclutamento del personale -, sia per la collettività – stante il mancato rispetto della funzione sociale del pubblico concorso.

In seconda istanza, la Corte dei Conti, in parziale accoglimento dei motivi della parte ricorrente, elide il carattere di dannosità del contegno tenuto dal Panzironi, assolvendolo da ogni addebito, sulla base di tre principali direttrici: la mancanza di sufficiente motivazione della sentenza impugnata, l’irrilevanza dal punto di vista erariale dell’affidamento diretto delle procedure selettive ad un operatore non avente titolo, l’insussistenza per le società in house al momento dei fatti (20 ottobre 2008) dell’obbligo concorsuale per l’assunzione dei dipendenti, stante la natura tendenzialmente privatistica di tali enti e la mancanza di prescrizioni legislative espresse.

Per quanto concerne il primo punto, viene affermato che, nonostante le condanne in sede penale per reati contro la fede pubblica (artt. 476 c.1 e 479 c.p.) e contro la pubblica amministrazione (art. 323 c.p.) confermati da ultimo con Cass. Pen. 30411/2018, vi è necessità di ulteriore e autonoma motivazione in sede giuscontabile per l’accertamento del danno erariale, nonostante l’operatività dell’art 651 c.p.p. anche nei giudizi promossi presso la Corte dei Conti.

Riguardo l’affidamento della selezione del personale a CONSEL-Consorzio ELIS, l’apprezzamento del giudice di seconda istanza individua l’assenza di un pregiudizio per l’erario sottolineando il dato che a posteriori, i candidati reclutati, rimanendo in servizio presso Ama S.p.A. si siano dimostrati idonei a ricoprire il posto di lavoro per il quale sono stati reclutati. Sul punto, inoltre, a nulla parrebbe rilevare né l’ingiustizia del profitto realizzato da CONSEL-Consorzio ELIS, a causa della mancanza dell’autorizzazione e dell’iscrizione all’albo prescritte per legge, né il fatto che le prestazioni siano state erogate ad un prezzo ritenuto fuori mercato; tali circostanze, difatti, accertate in sede penale ed espressamente recepite dal giudice di prime cure, non risultano considerate dalla pronuncia di secondo grado.

Da ultimo, la sentenza in esame, si sofferma sulla natura delle società in house e sulla normativa a queste applicabile all’epoca dei fatti, desumendone il carattere formalmente e sostanzialmente privatistico, a meno di eccezioni espressamente disposte dal legislatore, e non rinvenendo alcuna prescrizione legislativa in merito all’obbligo di reclutamento del personale mediante concorso pubblico. Più nello specifico, malgrado si riconosca l’applicabilità dell’art. 35 comma 3 d.lgs.165/2001 ad Ama S.p.A., stante l’espressa prescrizione dell’art. 18 comma 1 L.133/2008, questo viene interpretato in maniera restrittiva: pur prescrivendo il rispetto dei principi di trasparenza, imparzialità, oggettività, economicità e pari opportunità nel reclutamento del personale, non ne viene dedotto l’obbligo di svolgere procedure concorsuali e si considera l’assunzione mediante “chiamata diretta” compatibile e rispettosa dei suddetti principi.

Inoltre, più in generale, la sentenza n.9/2019, aderendo all’impostazione secondo cui le società in house sarebbero da ritenersi persone giuridiche sostanzialmente di diritto privato, si discosta dall’orientamento, maggioritario nella giurisprudenza[1] e nella dottrina[2] che le qualifica come un’articolazione della p.a. e pertanto obbligate ad assumere mediante concorso. La riconduzione al modello privatistico, sarebbe difatti meramente formale ed esteriore, tanto che e a livello comunitario è prevista un’eccezione alle regole della concorrenza per gli operatori in house (CGE, 18 novembre 1999 causa C-107/98, la c.d. “sentenza Teckal”).

Infine, dal confronto tra la sent. 9/2019 in sede contabile e Cass. Pen. 30411/2018 in sede penale possono sottolinearsi alcune aporie che coinvolgono la qualificazione dei dirigenti delle società in house che gestiscono servizi pubblici locali. In particolare, nel quadro prospettato dalla Corte dei Conti, secondo il quale i concessionari di in house providing sarebbero soggetti anche sostanzialmente di diritto privato, non potrebbe trovare giustificazione la pronuncia intervenuta in sede penale che condanna i vertici di Ama S.p.A. per reati qualificabili come propri (artt. 323, 476 c.1 e 479 c.p.). Il presupposto per la commissione di tali reati è difatti il possesso del requisito soggettivo ex art. 357 c.p., ovvero lo status di pubblico ufficiale, difficilmente conciliabile con la negazione del sostrato pubblicistico delle società in house. Invero, l’applicabilità degli artt. 357 e 358 c.p ai funzionari apicali delle predette società, presupposta da Cass. Pen. 30411/2018, è stata poi confermata dalla ancor più recente Cass. Pen. 41421/2018 che, inoltre, ribadisce la configurazione delle società in house quali strutture formalmente privatistiche ma sostanzialmente pubblicistiche.

  1. Cass., SS.UU., 25 novembre 2013, n. 26283; Cass., Sez. lav., 15 dicembre 2016, n. 25926; Cass. Pen., Sez. VI, 14 novembre 2014, n. 48036; in senso difforme: Cass., SS.UU., 27 marzo 2017 n. 7759.
  2. R. DE NICTOLIS, Le società pubbliche in house e miste, Milano, 2008, 323-324; G.GUZZO, Società miste e affidamenti in house. Nella più recente evoluzione legislativa e giurisprudenziale, Milano, 2009, 156; R. ANGIONI, M. PANI, C. SANNA, Società in house. Criticità e prospettive, CeSDA, 2014, 55.

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