Ritardi nei pagamenti e danni alla concorrenza tra le imprese nell’Unione europea

Corte di giustizia dell’Unione Europea, Sentenza del 28 gennaio 2020 nella causa C-122/18 Commissione / Italia: il bilancio pubblico deve garantire il level playing field

Link alla sentenza:  clicca qui

I. Premessa. La Commissione o un altro Stato membro possono proporre e attivare una procedura d’infrazione per fare accertare l’inadempimento di obblighi derivanti dal diritto dell’Unione europea, sia primario che derivato (artt. 258 e 259 TFUE).

La procedura si articola in due fasi: una “precontenziosa” e una “contenziosa” (ricorso per inadempimento).

La fase precontenziosa è di competenza della Commissione che si attiva d’ufficio, anche sulla base di denunce parlamentari o di privati cittadini, o per iniziativa di uno o più Stati membri.

In questa fase, la Commissione, ove contesti la violazione di una norma di diritto dell’Unione europea, invia una lettera di messa in mora (o lettera di contestazione) e concede allo Stato membro un termine di due mesi per presentare le proprie osservazioni circa gli addebiti mossi.

Laddove lo Stato interessato non risponda entro i termini, ovvero non fornisca chiarimenti soddisfacenti, la Commissione emette un parere motivato con cui opera una formale diffida ad adempiere nei confronti dello Stato sottoposto alla procedura.

Se, nel termine fissato dalla Commissione, lo Stato non si conforma al parere, può essere avviata la fase contenziosa davanti alla Corte di giustizia europea.

Legittimati al ricorso sono la stessa Commissione o lo Stato membro che ha avviato la procedura.

Il ricorso per inadempimento è dunque il procedimento a carattere giurisdizionale eventuale (fase contenziosa), che mira ad accertare con valore di giudicato la sussistenza dell’inadempimento. In tal caso, qualora la Corte di giustizia accerti l’inadempimento, lo Stato membro interessato deve conformarsi alla sentenza senza indugio.

Tale giudicato può costituire il titolo per l’irrogazione di eventuali e successive sanzioni in un ulteriore sviluppo contenzioso della procedura.

Infatti, la Commissione può proporre un altro ricorso chiedendo sanzioni pecuniarie.

Le sanzioni possono scaturire anche dopo la prima sentenza, laddove la Commissione contesti addirittura la mancata comunicazione delle misure di attuazione di una direttiva: su domanda di quest’ultima, la Corte di giustizia può infliggere sanzioni pecuniarie, già al momento del primo accertamento.

II. Il Contenuto della sentenza. La Commissione – alla quale operatori economici e associazioni di operatori economici italiani avevano rivolto varie denunce aventi ad oggetto i tempi eccessivamente lunghi in cui sistematicamente le pubbliche amministrazioni italiane saldano le proprie fatture relative a transazioni commerciali con operatori privati – ha proposto contro l’Italia un ricorso per inadempimento dinanzi alla Corte, con riguardo agli obblighi comunitari di cui alla direttiva 2011/7/UE del 16 febbraio 2011. La direttiva; infatti, è quella relativa alla lotta contro i ritardi di pagamento nelle transazioni commerciali (GU 2011, L 48, pag. 1).

La lettera di contestazione, poi la diffida ad adempiere ed infine il parere motivato hanno riscontrato la violazione della Direttiva 2011/7/UE . Tale inadempimento, in particolare, veniva riscontrato alla scadenza del termine stabilito nel parere motivato della Commissione (16 aprile 2017).

Di conseguenza, la contestazione riguardava ritardi nei pagamenti delle pubbliche amministrazioni relativi alle fatture emesse fino all’anno 2016.

Nel corso del giudizio, l’Italia ha sostenuto, a propria difesa, che la direttiva 2011/7 impone unicamente agli Stati membri di garantire il diritto agli interessi moratori, e che solo indirettamente, la direttiva persegua l’obiettivo (e imponga l’obbligo) di ridurre i tempi di pagamento.

L’Italia ha osservato che nella normativa di recepimento di tale direttiva (D.lgs. n. 231/2002 e s.m.i.) e nei contratti relativi a transazioni commerciali in cui il debitore è una delle loro pubbliche amministrazioni, i termini massimi di pagamento sono conformi all’articolo 4, paragrafi 3 e 4, della direttiva.

Inoltre è garantito il diritto dei creditori a interessi di mora e al risarcimento dei costi di recupero, in caso di mancato rispetto di tali termini. In definitiva, secondo tale Stato membro, dette disposizioni non impongono, invece, agli Stati membri di garantire l’effettiva osservanza, in qualsiasi circostanza, dei suddetti termini da parte delle loro pubbliche amministrazioni.

Infine, ha osservato l’Italia, l’inadempimento non scaturisce dall’esercizio di pubblici poteri, ma dall’esercizio di poteri iure privatorum per le quali non rileva la responsabilità dello Stato membro come garante dell’adempimento degli obblighi comunitari.

Nella sentenza Commissione/Italia (C-122/18) pronunciata il 28 gennaio 2020, la Corte, riunita in Grande Sezione, ha constatato la violazione da parte dell’Italia della direttiva 2011/7/UE, relativa alla lotta contro i ritardi di pagamento nelle transazioni commerciali, in quanto tale Stato membro non ha assicurato che le sue pubbliche amministrazioni, quando sono debitrici nel contesto di simili transazioni, rispettino effettivamente termini di pagamento non superiori a 30 o 60 giorni di calendario, quali stabiliti all’articolo 4, paragrafi 3 e 4, di tale direttiva.

La Corte ha infatti respinto l’argomentazione dell’obbligo solo indiretto di riduzione dei tempi di pagamento, dichiarando che l’articolo 4, paragrafi 3 e 4, della direttiva 2011/7 impone agli Stati membri di assicurare il rispetto effettivo, da parte delle loro pubbliche amministrazioni, dei termini di pagamento da esso previsti.

Essa ha segnatamente rilevato che, in considerazione dell’elevato volume di transazioni commerciali in cui le pubbliche amministrazioni sono debitrici di imprese, nonché dei costi e delle difficoltà generate per queste ultime da ritardi di pagamento da parte di tali amministrazioni, il legislatore dell’Unione ha inteso imporre agli Stati membri obblighi rafforzati per quanto riguarda le transazioni tra imprese e pubbliche amministrazioni.

La Corte ha infine respinto l’argomento dell’Italia secondo cui le pubbliche amministrazioni non possono far sorgere la responsabilità dello Stato membro cui appartengono quando agiscono nell’ambito di una transazione commerciale (jure privatorum), al di fuori delle loro prerogative dei pubblici poteri. Una simile interpretazione, infatti, finirebbe con il privare di effetto utile la direttiva 2011/7, in particolare il suo articolo 4, paragrafi 3 e 4, che fa gravare proprio sugli Stati membri l’obbligo di garantire la tempestività dei pagamenti.

III. Conclusioni. Si apre ora una nuova fase di interlocuzione con la Commissione europea dove potranno essere dimostrati i miglioramenti nei tempi di pagamento dei debiti commerciali conseguiti negli ultimi anni, che non risultano essere stati presi in esame nel giudizio della Corte.

Tuttavia, nel caso in cui la Commissione rilevi il constante inadempimento, vi è un rischio di sanzioni per l’Italia con un secondo giudizio dinanzi alla Corte di giustizia.

Infatti, poca presa potranno avere argomenti soggettivi per una doppia motivazione: 1) l’inadempimento che si accerta, ricorda la sentenza, ha “carattere oggettivo” e deve essere rilevato in base alla situazione di fatto sussistente al momento della scadenza del termine del parere motivato che precede la fase contenziosa; 2) l’obbligo violato è direttamente strumentale ad uno dei beni fondamentali tutelati dal diritto dell’Unione europea, ossia il level playing field che non può e non deve essere turbato da effetti distorsivi dei bilanci pubblici e che va tutelato “oggettivamente” per garantire l’effettività del diritto comunitario

Rispetto al primo profilo (carattere oggettivo dell’inadempimento rilevante), la Corte di Giustizia osserva: « dalla giurisprudenza della Corte emerge che il ricorso per inadempimento ha carattere oggettivo e che, di conseguenza, occorre considerare sussistente l’inadempimento degli obblighi incombenti agli Stati membri in forza del diritto dell’Unione indipendentemente dalla portata o dalla frequenza delle situazioni censurate (v., in tal senso, sentenza del 30 gennaio 2003, Commissione/Danimarca, C‑226/01, EU:C:2003:60, punto 32 e giurisprudenza ivi citata).

Di conseguenza, la circostanza, quand’anche accertata, che la situazione relativa ai ritardi di pagamento delle pubbliche amministrazioni […] sia in via di miglioramento non può ostare a che la Corte dichiari che la Repubblica italiana è venuta meno agli obblighi ad essa incombenti in forza del diritto dell’Unione [v., per analogia, sentenza del 24 ottobre 2019, Commissione/Francia (Superamento dei valori limite per il biossido di azoto), C‑636/18, 3EU:C:2019:900, punto 49].»

Rispetto al secondo motivo (interferenza del bilancio pubblico sulla competitività del sistema delle imprese, ossia del mercato) : «A tal riguardo, da una lettura congiunta dei considerando 3, 9 e 23 della direttiva 2011/7 risulta che le pubbliche amministrazioni, alle quali fa capo un volume considerevole di pagamenti alle imprese, godono di flussi di entrate più certi, prevedibili e continui rispetto alle imprese, possono ottenere finanziamenti a condizioni più interessanti rispetto a queste ultime e, per raggiungere i loro obiettivi, dipendono meno delle imprese dall’instaurazione di relazioni commerciali stabili. Orbene, per quanto riguarda dette imprese, i ritardi di pagamento da parte di tali amministrazioni determinano costi ingiustificati per queste ultime, aggravando i loro problemi di liquidità e rendendo più complessa la loro gestione finanziaria. Tali ritardi di pagamento compromettono anche la loro competitività e redditività quando tali imprese debbano ricorrere ad un finanziamento esterno a causa di detti ritardi nei pagamenti.» (enfasi aggiunta)

Né si può immaginare che il rimedio a tali ritardi possa essere il ricorso intensivo ad anticipazioni straordinarie di liquidità, atteso quanto statuito dalla sentenza n. 4/2020 della Corte costituzionale italiana, su cui si rinvia, su questo sito al commento a questo link.

Iscriviti alla nostra newsletter per restare aggiornato.

Diritto e Conti è un'associazione senza fini di lucro. Sostienici.

Torna in alto