Per l’applicazione delle sanzioni agli amministratori in caso di dissesto dell’ente locale la Sezione giurisdizionale valuta l’apporto causale al dissesto e l’elemento soggettivo dei convenuti.
Non rileva in questa sede la presunta illegittimità della dichiarazione di dissesto
La seconda Sezione giurisdizionale d’appello, con la sentenza n. 28/2023, ha accolto integralmente l’appello proposto dalla Procura Regionale per l’Abruzzo avverso la sentenza n. 97/2019 della Sezione giurisdizionale per la Regione Abruzzo, rigettando, al tempo stesso, l’appello incidentale proposto, nei confronti della medesima pronuncia, da alcuni convenuti in una controversia relativa all’accertamento della responsabilità di Amministratori comunali e Revisori dei conti nella causazione del dissesto dell’Ente, con irrogazione delle sanzioni comminate dall’articolo 248 del T.U.E.L..
- L’oggetto della controversia e la fase monocratica
La Procura regionale aveva introdotto il giudizio finalizzato all’accertamento della responsabilità di Amministratori e di due Revisori dei conti pro tempore di un Comune del territorio nella causazione del dissesto finanziario, chiedendo la condanna di alcuni di essi al pagamento, in favore dell’Ente, della sanzione pecuniaria, nei termini stabiliti dall’art. 248, comma 5, del T.U.E.L..
Il giudice monocratico, con il decreto n. 3/2019, aveva dichiarato l’improcedibilità del giudizio, motivando che l’art. 248, comma 5, d.lgs. n. 267/2000 “presuppone espressamente e anzitutto un concreto e preventivo accertamento di responsabilità” e che“analoga considerazione vale per il successivo comma 5 bis”. Dunque, secondo il giudice monocratico, “l’attuale versione del comma 5 dell’art. 248 del TUEL richiede un necessario collegamento causale (rectius, concausale) tra le azioni od omissioni accertate come dannose ed il dissesto dell’ente (Corte dei conti, Sezione giurisdizionale per la Regione Sicilia, n. 295 del 2017). Si postula, in altri termini, la necessaria sussistenza di una pronuncia di responsabilità finanziaria dalla quale, solo postea, possano eventualmente sortire quegli ulteriori effetti, anche di status, previsti dall’ordinamento (Corte dei conti, Sezione giurisdizionale per la Regione Veneto, nn. 69 del 6 8 del 2016 e 176 del 2015)”.
- Il ricorso in opposizione e la decisione collegiale
La Procura ha proposto ricorso in opposizione al Collegio, il quale, con la sentenza n. 97/2019, ritenendo corretta la procedura avviata ex art. 133 c.g.c. (in quanto autonoma rispetto al rito ordinario di accertamento della responsabilità risarcitoria), ha rigettato il ricorso – salva l’inammissibilità nei confronti d’un convenuto Revisore – assumendo non provata la riconducibilità causale ai convenuti del dissesto dichiarato dal Comune e insussistenti i presupposti per l’assunzione della deliberazione consiliare dichiarativa.
- L’appello e la sentenza definitiva
La Procura regionale ha, dunque, proposto appello avverso tale sentenza, chiedendone la riforma, replicando la domanda originaria. Contro la sentenza, inoltre, hanno proposto appello incidentale alcuni convenuti.
3.1 I motivi di reiezione dell’appello incidentale
La seconda Sezione giurisdizionale d’appello della Corte dei conti, riuniti gli appelli, ha respinta l’eccezione degli appellanti incidentali concernente l’asserita violazione, da parte della Procura, del divieto di nova in appello, ex artt. 193 e 194 c.g.c..
Ciò in quanto debbono considerarsi “nuove” le domande che determinano un sostanziale mutamento dell’originaria pretesa, avendosi dunque “domanda nuova – inammissibile in appello – per modificazione della ‘causa petendi’ quando i nuovi elementi, dedotti dinanzi al giudice di secondo grado, comportino il mutamento dei fatti costitutivi del diritto azionato, modificando l’oggetto sostanziale dell’azione ed i termini della controversia, in modo da porre in essere una pretesa diversa, per la sua intrinseca essenza, da quella fatta valere in primo grado e sulla quale non si è svolto in quella sede il contraddittorio”. Ha reputata, perciò, legittima, “la mera articolazione, sulla base di una più accurata e precisa argomentazione, della stessa domanda proposta in primo grado”. Nel caso di specie, infatti, l’appello proposto dalla Procura non aveva introdotte argomentazioni “nuove”, modificative dei termini sostanziali della pretesa originaria, “chiaramente incentrati sulla contestata partecipazione degli odierni appellanti alla causazione del dissesto del Comune”, tramite una cattiva gestione dell’Ente, idonea ad aggravarne le già precarie condizioni finanziarie. Le argomentazioni relative risultavano ben delineate tanto nel ricorso introduttivo, quanto nell’appello. Inoltre, contrariamente a quanto sostenuto dagli appellanti incidentali, la carenza di liquidità non costituirebbe un’argomentazione “nuova”, in quanto chiaramente svolta anche nel ricorso in opposizione, inequivocabilmente a mezzo del riferimento all’“inesistenza di disponibilità di cassa al termine di ciascun esercizio, con il ricorso sistematico e patologico alle anticipazioni di tesoreria”. Infine, il riferimento al bilancio come “bene pubblico” del quale garantire adeguata tutela, contenuto nell’atto di appello, non ha determinato una modificazione sostanziale dei termini dell’originaria pretesa, ma l’ulteriore esplicitazione delle finalità sottese alla disposizione sanzionatoria sulla quale è stata fondata, sin dall’origine, la pretesa della Procura.
In definitiva, dunque, l’appello incidentale è stato respinto:
- per insussistenza dell’obbligo di preventivo accertamento della responsabilità per danno erariale;
- per insussistenza, tanto nella prima fase dinanzi al Giudice monocratico, quanto nella seconda dell’opposizione, della lamentata“esclusione della pienezza anche del doppio grado di giudizio di cognizione di merito” (conformemente a SS.RR. n. 4/2022/QM, per la quale, ai fini dell’applicazione della sanzione prevista dall’art. 248 del d.lgs. 267/2000, non è necessario l’accertamento preventivo della responsabilità, da svolgersi, ricorrendone i presupposti, in un distinto giudizio ordinario; mentre, secondo il consolidato orientamento giurisprudenziale “il riconoscimento della responsabilità per aver contribuito al dissesto e l’applicazione delle sanzioni coincidono e sono accomunati in un unico momento accertativo, non essendo ipotizzabile che un accertamento di responsabilità possa avvenire in altra sede o con un rito diverso solo per attivare il susseguente rito sanzionatorio”; quindi, “anche le sanzioni interdittive (o “di status”) conseguono di diritto all’unico accertamento della responsabilità alla contribuzione del dissesto, nell’ambito del medesimo rito sanzionatorio, in quanto il positivo accertamento della responsabilità da contribuzione al dissesto si pone come condizione necessaria per la sussistenza dei presupposti per l’applicazione delle citate sanzioni di status: da tale accertamento discende, infatti, il duplice effetto della condanna alla sanzione pecuniaria e quello dichiarativo, automatico e consequenziale, in ordine alla sussistenza dei presupposti per l’applicazione delle sanzioni interdittive di cui innanzi”. “Il giudice contabile, pertanto,” hanno aggiunto le Sezioni Riunite, “ha cognizione piena su entrambi gli effetti che derivano dall’unico accertamento in ordine alla responsabilità degli amministratori e dei revisori che abbiano contribuito, con dolo o colpa grave e con condotte omissive o commissive, al verificarsi del dissesto”. In definitiva il rito sanzionatorio congegnato dal Codice di Giustizia Contabile non limita né il diritto di difesa, né il contraddittorio tra le parti, potendo le medesime partecipare alla fase monocratica, opporsi al decreto del giudice monocratico e proporre appello avverso la sentenza del Collegio.
3.2 I motivi d’accoglimento dell’appello principale
La Sezione II Centrale ha accolto l’appello principale della Procura regionale condividendo la prospettazione contenuta già nell’atto introduttivo del giudizio circa le criticità e le anomalie contabili, nonché il ruolo svolto dai convenuti nella causazione del dissesto, risultando tali evenienze in maniera chiara ed incontestabile dagli atti di causa.
Erano risultati provati, infatti:
– la tardiva approvazione del rendiconto 2010;
– un ricorso strutturale all’anticipazione di tesoreria in violazione dell’art. 119 della Costituzione;
– la mancata rappresentazione delle ragioni della cancellazione dei residui attivi;
– l’importo dei residui passivi del titolo II superiore a quello dei residui attivi dei titoli IV e V, quale situazione “sintomatica dell’utilizzo per spese correnti di entrate di cassa vincolate non ricostituite a fine esercizio, in quanto l’indicato importo, non essendo affluito nella cassa, che presenta a fine esercizio un saldo pari a zero, non può che essere stato destinato a finanziare spese correnti”;
– “l’esistenza incontrovertibile di un ingente indebitamento, al di fuori della contabilità dell’Ente, a carico del bilancio regolarmente accertato ai sensi dell’art. 194 del TUEL”;
– l’emersione di debiti fuori bilancio da riconoscere;
– il ricorso, per il pagamento dei debiti certi, liquidi ed esigibili al 31 dicembre 2012, al fondo straordinario di liquidità della Cassa Depositi e Prestiti;
– l’utilizzo di somme vincolate per il pagamento di spese correnti;
– l’emersione della necessità di riscrivere nel bilancio 2014 fondi vincolati necessari al completamento di opere pubbliche, precedentemente distratti per finanziare altre spese e mai ricostituiti;
– l’emersione di “accertamenti eccessivi delle entrate comunali, tali da consentire una maggiore spesa, altrimenti non sostenibile, oltre a garantire equilibri finanziari dei bilanci di previsione”, nonché l’effettuazione di spese al fuori delle regole contabili.
La seconda Sezione giurisdizionale d’appello ha dunque ritenuto che tale documentazione fornisse un quadro chiaro, adeguato e sufficiente delle ragioni del dissesto. Secondo il Collegio, inoltre, non poteva condividersi, in quella sede, la censura relativa al carattere generico – affermato dalla Sezione territoriale – della documentazione fondante la dichiarazione di dissesto nonché quella rivolta all’insussistenza dei presupposti di legge per la declaratoria di dissesto, dovendo considerarsi che l’art. 248, comma 5, T.U.E.L. “collega le sanzioni ivi previste al contributo causale al verificarsi del dissesto in quanto tale, come ‘fatto storico’”.
In tali casi non spetta al Giudice della responsabilità sanzionatoria accertare la legittimità della deliberazione dichiarativa del dissesto, ma soltanto il contributo causale e l’elemento soggettivo dei convenuti in relazione al suo verificarsi e, in fattispecie, risultava provato che il dissesto fosse effettivamente riconducibile alla gestione contabile realizzata nel periodo 2011-prima metà 2014 e fosse stato causato proprio dalla condotta gravemente colposa degli Amministratori e del Revisore convenuti.
Leggi la sentenza qui