Massimazione del decreto Corte dei conti, Sezione giurisdizionale per la Regione siciliana, decreto 15 settembre 2020, n. 16 (est. Salvatore Grasso). Leggi il testo del decreto qui
Decreto di condanna a sanzioni pecuniarie ed a sanzioni interdittive; artt. 133 e ss. del d.lgs 26 agosto 2016, n. 174 (Codice di giustizia contabile); art. 248, commi 5 e 5-bis del d.lgs. 18 agosto 2000, n. 267 (Testo unico delle leggi sull’ordinamento degli enti locali).
– Le fattispecie di cui all’art. 248, commi 5 e 5-bis del d.lgs. n. 267/2000 come ipotesi di responsabilità sanzionatoria.
Gli interessi tutelati dai predetti commi non si sostanziano nella sola tutela dell’Erario; il verificarsi dei presupposti del dissesto di un Ente costituisce, oltre che una lesione degli interessi dei cittadini della comunità di riferimento, un fatto dannoso in quanto rappresenta il precipitato di una violazione del principio costituzionale dell’equilibrio di bilancio, e si sostanzia in una lesione del bilancio inteso come bene pubblico primario dello Stato-comunità che, tuttavia, non può essere quantificato precisamente nel suo ammontare.
– Autonomia del rito speciale ex artt. 133 e ss. del d.lgs n. 174/2016 rispetto al rito ordinario.
La responsabilità sanzionatoria è distinta ed ulteriore rispetto alla responsabilità risarcitoria per danno erariale, in quanto la prima non richiede anche l’accertamento di una deminutio patrimonii; il rito ordinario è necessario, pertanto, soltanto quando unitamente alle ipotesi di responsabilità sanzionatoria venga contestata anche la presenza di un danno patrimoniale individuabile e quantificato nel suo ammontare.
– Non necessità, ai sensi dell’art. 248, comma 5 del d.lgs. n. 267/2000, di previa sentenza di accertamento di responsabilità erariale ai fini dell’irrogazione delle sanzioni pecuniarie.
Il riferimento compiuto dalla disposizione normativa a pronunce “di primo grado” non può essere interpretato nel senso della necessità di una preventiva pronuncia di accertamento della responsabilità in sede ordinaria; tale inciso è stato costantemente presente all’interno del comma 5, anche prima dell’introduzione del rito speciale, quando l’accertamento della responsabilità sanzionatoria avveniva in sede ordinaria; il richiamo alla pronuncia di primo grado, dunque, doveva e deve essere interpretato nel senso di una immediata applicabilità delle sanzioni, all’esito del giudizio condotto secondo il rito speciale, anche in assenza di pregresse sentenze definitive passate in giudicato di accertamento della responsabilità risarcitoria per danno erariale.
– Rito speciale sanzionatorio ex artt. 133 e ss. del d.lgs n. 174/2016, giusto procedimento e diritto di difesa; manifesta infondatezza della relativa questione di legittimità costituzionale.
La sommarietà e celerità della fase innanzi al giudice monocratico non equivale a minori difese per i convenuti; la possibilità per il collegio, in ipotesi di opposizione, di effettuare la normale attività istruttoria e la ricorribilità in appello avverso le pronunce del collegio consentono di ritenere che la fase di giudizio innanzi al giudice designato equivalga alla fase preprocessuale del rito ordinario; la natura sommaria di un rito non determina necessariamente, pertanto, una lesione del diritto di difesa di cui all’art. 24 Cost.
– Assenza di nesso di pregiudizialità tra procedimento penale per falso ideologico e irrogazione delle sanzioni ex art. 248, commi 5 e 5-bis del d.lgs. n. 267/ 2000; sospensione del processo ai sensi dell’art. 106 del d.lgs n. 174/2016.
La sospensione del processo deve essere limitata ai soli casi di pregiudizialità in senso stretto, ovvero ai soli casi in cui la previa definizione di altra controversia civile, penale o amministrativa costituisca il necessario antecedente logico-giuridico dal quale dipenda la decisione della causa pregiudicata; l’accertamento della sussistenza del reato di falso ideologico non costituisce un antecedente logico-giuridico rispetto alla condotta rilevante ai sensi dell’art. 248, commi 5 e 5-bis del d.lgs. n. 267/ 2000, specie in considerazione del diverso elemento soggettivo richiesto per la configurazione delle due fattispecie, amministrativa e penale.
– Utilizzabilità nel rito sommario, come prova di parte liberamente apprezzabile dal Giudice, della perizia resa al Pubblico Ministero penale in sede di indagini preliminari.
La consulenza del Pubblico Ministero penale prodotta dalla Procura contabile costituisce una consulenza di parte elaborata in assenza di contraddittorio; essa non può, pertanto, assumere il valore chiarificatore e probatorio della perizia esperita in dibattimento penale, né lo stesso valore probatorio che nel processo civile assume una C.T.U., ma nulla esclude che possa essere liberamente valutata nel giudizio contabile, secondo prudente apprezzamento ai sensi dell’art. 95 del d.lgs n. 174/2016, quale allegazione probatoria di parte da cui trarre elementi di giudizio.
– Sulla decorrenza del termine quinquennale di prescrizione; applicabilità dell’art. 2 della l. n. 20/1994 anche alle ipotesi di responsabilità sanzionatoria.
Il termine di prescrizione decorre, anche per le azioni di condanna all’irrogazione delle sanzioni di cui all’art. 248, commi 5 e 5-bis del d.lgs. n. 267/ 2000, dal realizzarsi del fatto dannoso, inteso come binomio condotta/danno; detto binomio si concretizza soltanto con la deliberazione dello stato di dissesto.
– Responsabilità degli amministratori comunali di cui all’art. 248, comma 5 del d.lgs. n. 267/2000 per aver contribuito (quantomeno, in maniera gravemente colposa) al verificarsi dello stato di dissesto.
Il sistema definito dal legislatore, quale trova fondamento nel disegno complessivo del vigente ordinamento degli enti locali e nei principi relativi alla distribuzione di competenze tra Giunta comunale, Consiglio comunale e dirigenti (artt. 50 e 107 del d.lgs. n. 267/2000, art. 4 del d.lgs. n. 165/2001) è volto ad assicurare la valutabilità della gestione effettuata dagli organi di governo da parte della collettività, ed attribuisce loro una funzione generale di indirizzo e di controllo politico-amministrativo, riservando ai dirigenti la sola gestione amministrativa concreta; l’attività di controllo politico-amministrativo all’interno dell’ente locale non è, dunque, rimessa soltanto al consiglio comunale, ma coinvolge tutti gli organi di governo, responsabili politicamente proprio in ragione della previsione in capo agli stessi di un rapporto diretto con la propria comunità di riferimento; il principio di separazione tra politica e amministrazione, attribuendo la gestione ai dirigenti, consente di sganciare la fase di indirizzo e programmazione da quella di attuazione delle politiche, ma non priva l’organo politico del potere/dovere di correzione dei fattori che complessivamente possano assumere connotazioni patologiche.
– (segue) Autonomia e distinzione della procedura di riequilibrio finanziario pluriennale rispetto alla dichiarazione dello stato di dissesto.
Il ricorso alla procedura di riequilibrio finanziario pluriennale non esime dall’obbligo della dichiarazione di dissesto ove ne sussistano i presupposti; pertanto, all’amministrazione dell’ente locale spetta il compito di attuare, mediante concrete attività gestionali amministrative, gli obiettivi di riequilibrio finanziario pluriennale fissati nel piano, salvo rimanendo l’obbligo di segnalare il ricorrere delle condizioni di dissesto finanziario, con piena assunzione di responsabilità per i danni che possano derivare alle finanze pubbliche dall’elusione dei relativi obblighi normativi.
– (segue) Disfunzioni contabili e oneri di controllo/correzione da parte degli amministratori comunali:
In presenza di evidenti disfunzioni contabili di carattere pluriennale gli amministratori, sebbene i singoli provvedimenti siano di competenza dei dirigenti, hanno l’obbligo di esercitare poteri di controllo politico-amministrativo e di adottare provvedimenti di correzione, specie in presenza di sovrastima delle entrate protrattasi nel tempo, a fronte di una perdurante ed accertata incapacità di riscossione; tanto vale anche in caso di costante, mancato riconoscimento di debiti fuori bilancio, per i quali gli amministratori hanno il dovere di attivarsi per evitare l’aggravarsi della situazione patologica in cui versa l’ente.
– Gravi responsabilità del collegio dei revisori ai sensi degli artt. 248, comma 5-bis e 240 del d.lgs. n. 267/2000, per violazione del dovere di diligenza.
Con l’espressione “gravi responsabilità” il legislatore, a mente degli artt. 239 e 240 del d.lgs. n. 267/2000, intende sanzionare le condotte che non rispondono alla diligenza del mandatario e quindi, ai sensi dell’art. 1710 c.c., alla diligenza del buon padre di famiglia; in particolare, la mera riproposizione negli anni di rilievi sostanzialmente identici nel contenuto, a fronte del rilascio di pareri positivi, non risponde alla citata diligenza del buon padre di famiglia e confligge con il dettato del comma 1-bis del predetto art. 239, poiché alla formulazione dei rilievi sarebbe dovuta seguire l’adozione di adeguate misure correttive, o perlomeno di adeguate motivazioni in senso contrario.
– Nesso di causalità tra le condotte contestate e lo stato di dissesto; necessità di invertire la tendenza verso un percorso di risanamento.
L’attuale formulazione dell’art. 248, comma 5 del d.lgs. n. 267/2000 richiede che vi sia stato un contributo al verificarsi del dissesto e non più la determinazione dello stesso, come precedentemente previsto; è necessario, pertanto, accertare la presenza di un significativo contributo, anche omissivo, al verificarsi del dissesto effettivamente dichiarato e parametrato complessivamente alle relative grandezze finanziarie, contributo che deve ritenersi sussistente in presenza di comportamenti volti ad assicurare un rispetto meramente ragionieristico dei saldi del piano senza, tuttavia, invertire la tendenza verso un percorso di risanamento; in particolare, il mancato tempestivo avvio della procedura di dissesto ed il rispetto solo formale dei saldi del piano di riequilibrio finanziario pluriennale, unitamente alla mancata correzione delle diverse criticità riscontrate, è suscettibile di aggravare le dimensioni del dissesto tardivamente dichiarato.
– Sussistenza dell’elemento soggettivo (colpa grave) in presenza di reiterate approvazioni e di pareri favorevoli, a fronte di conclamate criticità di bilancio.
Va riscontrato l’elemento soggettivo della colpa grave nella condotta di tutti coloro i quali abbiano, nel corso di almeno due esercizi di bilancio, continuato ad approvare o ad apporre pareri favorevoli, nonostante il permanere di criticità quali: una persistente difficoltà nel riscuotere le entrate proprie; il cronico ricorso ad anticipazioni di tesoreria; il mantenimento in bilancio di una quota elevata di residui attivi con oltre cinque anni di anzianità e di dubbia esigibilità; la mancanza di una fedele rappresentazione contabile dei rapporti con le società partecipate; l’inclusione nei servizi per conto di terzi di voci che non rientrano nelle partite di giro; la presenza di debiti fuori bilancio di rilevante ammontare e di passività ancora da riconoscere; un consistente indebitamento.
– Manifesta infondatezza della questione di legittimità costituzionale dell’art. 248, comma 5 del d.lgs. n. 267/2000, in relazione alla previsione di sanzioni interdittive c.d. di status in misura fissa.
Il termine di dieci anni va ritenuto commisurato a più parametri presenti nell’ordinamento degli enti locali, quale la normale durata della larga parte dei mandati politici, fissata in cinque anni, o la durata della procedura di dissesto, anch’essa quinquennale; la fissazione di una sanzione nella misura del doppio del danno causato (la durata del dissesto) non assume dunque caratteri di sproporzionalità tali da rivelarsi irragionevole; in tal senso depone anche la differenza tra i diritti eventualmente oggetto di limitazione ai commi 5 e 5-bis: nel primo caso, il legislatore limita i diritti di elettorato passivo nell’interesse delle collettività amministrate e della sana gestione finanziaria, mentre nelle ipotesi di cui al comma 5-bis la limitazione, seppur anch’essa disposta nell’interesse delle collettività amministrate e della sana gestione finanziaria, incide sul diritto al lavoro.
– Manifesta infondatezza della questione di legittimità costituzionale dell’art. 248, commi 5 e 5-bis del d.lgs. n. 267/2000, in relazione alla previsione della retribuzione lorda quale parametro della sanzione pecuniaria.
È ragionevole che il legislatore tenga in considerazione l’esborso effettivamente sostenuto dall’ente e che, in considerazione della natura sanzionatoria della stessa previsione, si debba tener conto anche degli oneri fiscali e previdenziali di cui abbia tratto vantaggio il soggetto sanzionato.
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