EVOLUZIONE DELLA GIURISPRUDENZA IN ORDINE ALLA RESPONSABILITA’ CIVILE CONTRATTUALE DELLA STRUTTURA SANITARIA NEI CONFRONTI DEL PAZIENTE
Come noto, nel sistema a doppio binario, introdotto dalla legge 8 marzo 2017, n. 24, la responsabilità della struttura sanitaria rimane di natura contrattuale, mentre quella dell’operatore sanitario viene disciplinata come responsabilità extracontrattuale.
Con riferimento alla responsabilità contrattuale della struttura sanitaria, la Cassazione ha avuto modo di pronunciarsi più volte in ordine all’onere della prova concernente la sussistenza del rapporto di causalità tra l’evento dannoso e la condotta posta in essere.
In particolare, discostandosi da un indirizzo che sembrava essersi consolidato prima dell’entrata in vigore della legge 24/2017, avente come base la pronuncia della Cassazione, Sezioni Unite civili 11 gennaio 2008, n. 577, la Terza Sezione civile della Cassazione, a partire dalla sentenza del 26 luglio 2017, n. 18392, ha stabilito che ove sia dedotta una responsabilità contrattuale della struttura sanitaria per l’inesatto adempimento della prestazione sanitaria, è onere del danneggiato provare il nesso di causalità fra l’aggravamento della situazione patologica (o l’insorgenza di nuove patologie per l’effetto dell’intervento) e l’azione o l’omissione dei sanitari, mentre è onere della parte debitrice provare che una causa imprevedibile ed inevitabile ha reso impossibile l’esatta esecuzione della prestazione. Ma l’onere per la struttura sanitaria di provare l’impossibilità sopravvenuta della prestazione per causa non imputabile sorge solo ove il danneggiato abbia provato il nesso di causalità fra la patologia e la condotta dei sanitari.
A parere dei giudici di legittimità, nella sentenza dianzi citata, “solo una volta che il danneggiato abbia dimostrato che l’aggravamento della situazione patologica (o l’insorgenza di nuove patologie per l’effetto dell’intervento) è causalmente riconducibile alla condotta dei sanitari sorge per la struttura sanitaria l’onere di provare che l’inadempimento, fonte del pregiudizio lamentato dall’attore, è stato determinato da causa non imputabile”.
La considerazione di fondo che sostiene le argomentazioni della III Sez. della Cassazione risiede nel fatto che “non solo il danno ma anche la sua eziologia è parte del fatto costitutivo che incombe all’attore di provare. Ed invero se si ascrive un danno ad una condotta non può non essere provata da colui che allega tale iscrizione la riconducibilità in via causale del danno a quella condotta” [1].
I giudici della III sezione ben si rendono conto di come nella giurisprudenza della Cassazione (a partire dalla sentenza delle Sezioni Unite 577/2008 ed enumerando le successive) sia stato enunciato il principio di diritto in base al quale, nel giudizio di risarcimento del danno conseguente all’ attività medico-chirurgica, l’attore danneggiato abbia esclusivamente l’onere di provare l’esistenza del contratto e l’insorgenza o l’aggravamento della patologia e di allegare l’inadempimento qualificato del debitore, astrattamente idoneo a provocare il danno (restando, invece, a carico della struttura sanitaria e/o del medico la dimostrazione che tale inadempimento non si sia verificato ovvero che esso non sia stato causa del danno). Tuttavia ritengono che il contrasto tra i due indirizzi sia solo “apparente”.
Questo perché, come è chiarito nella sentenza in argomento, la causa che è venuta in rilievo nelle precedenti pronunce “non è quella costitutiva della responsabilità risarcitoria o dedotta dal danneggiato, ma quella della fattispecie estintiva dell’obbligazione opposta dal danneggiante”.
Le successive pronunce della Cassazione hanno, per così dire, consolidato tale assunto. Infatti, con sentenza del 7 dicembre 2017, n. 29315, la III Sez. ha chiarito che “nei giudizi di risarcimento del danno derivante da inadempimento contrattuale, così come in quelli di risarcimento del danno da fatto illecito, la condotta colposa del responsabile e il nesso di causa tra questa e il danno costituiscono l’oggetto di due accertamenti concettualmente distinti, cosicché la sussistenza della prima non comporta, di per sé, la dimostrazione del secondo e viceversa”.
Con ordinanza del 29 gennaio 2018, n. 2061, la III Sezione ha riproposto le argomentazioni riportate formulate con le sentenze 18392/2017 e 29315/2017, chiarendo che in ordine alle modalità di accertamento del nesso di causalità occorre fare riferimento al “principio della preponderanza dell’evidenza (detto anche del più probabile che non) secondo cui è possibile pervenire alla conclusione della riferibilità causale dell’evento all’ipotetico responsabile, solo se esso sia più probabilmente (che non) conseguenza della condotta di costui”.
La medesima sez. III, con sent. 15 febbraio 2018, n. 3704, ha evidenziato che, quanto alla distribuzione degli oneri probatori, “la previsione dell’art. 1218 cod. civ. solleva il creditore dell’obbligazione che si afferma non adempiuta (o non esattamente adempiuta) dall’onere di provare la colpa del debitore, ma non dall’onere di provare il nesso di causa tra la condotta del debitore e il danno di cui domanda il risarcimento”.
Vero è che l’art. 1218 cod. civ. pone in capo al debitore l’onere della prova in ordine alla circostanza che “l’inadempimento o il ritardo è stato determinato da impossibilità della prestazione derivante da causa a lui non imputabile”. Tuttavia, secondo la Cassazione, tale previsione trova giustificazione nella opportunità di far gravare sulla parte che si assume inadempiente o che non esattamente adempie l’onere di fornire la prova in argomento, in base al principio secondo il quale la prova va posta a carico della parte che può agevolmente formularla [2]. Ma secondo la III Sez. “tale maggiore vicinanza del debitore non sussiste – evidentemente – in relazione al nesso causale fra la condotta dell’obbligato e il danno lamentato dal creditore, rispetto al quale non ha dunque ragion d’essere l’inversione dell’onere previsto dall’art. 1218 cod. civ. e non può che valere-quindi- il principio generale sancito dall’art. 2697 cod. civ., che onera l’attore (sia il danneggiato in sede extracontrattuale che il creditore in sede contrattuale) della prova degli elementi costitutivi della propria pretesa”.
Sia il nesso causale materiale che quello giuridico sono elementi, osserva la Cassazione, “egualmente distaccati da entrambe le parti”. Né potrebbe valere in senso contrario il riferimento fatto dall’art. 1218 cod. civ. alla causa (non imputabile al debitore) giacché, si afferma nella sentenza de qua, la causa in questione attiene alla “non imputabilità dell’impossibilità di adempiere, che si colloca nell’ambito delle cause estintive dell’obbligazione (costituenti tema di prova della parte debitrice) e concerne un ciclo causale che è del tutto distinto da quello relativo all’evento danno conseguente all’adempimento mancato o inesatto”.
In dottrina l’orientamento della Cassazione testé illustrato non è andato esente da critiche, incentrate sulla considerazione che esso contrasterebbe con i principi enunciati dalle Sezioni Unite della Cassazione con la sentenza 577/2008, la quale richiederebbe al creditore solo la prova dell’esistenza dell’obbligazione e del danno, limitandosi ad allegare l’inadempimento [3].
La preoccupazione che sembra emergere da tali valutazioni critiche è che verrebbe nella sostanza ad essere ridimensionata la posizione del paziente-attore a fronte di una maggiore possibilità di esonero dal risarcimento per le strutture sanitarie e per le compagnie assicuratrici di queste ultime[4].
La Cassazione ha ulteriormente motivato le proprie argomentazioni e con la sentenza 3704/2018, dopo aver sottolineato ancora una volta che non c’è contraddizione con la pronuncia delle Sezioni Unite, ha ribadito la sussistenza in capo all’attore dell’onere di provare il nesso di causalità, sostenendo che “è onere dell’attore, paziente danneggiato, dimostrare l’esistenza del nesso causale tra la condotta del medico e il danno di cui chiede il risarcimento; tale onere va assolto, dimostrando, con qualsiasi mezzo di prova, che la condotta del sanitario è stata, secondo il criterio del “più probabile che non”, la causa del danno; se al termine dell’istruttoria non risulti provato il nesso tra condotta ed evento, per essere la causa del danno lamentato dal paziente rimasta assolutamente incerta, la domanda deve essere rigettata” [5].
Ancora più esplicita è stata la III Sez. nella sentenza 2 marzo 2018, n. 4928, allorquando ha chiarito che “la prova liberatoria compete ai convenuti per responsabilità professionale medica soltanto se il danneggiato abbia assolto alla prova: 1- della esistenza del rapporto contrattuale (o da contatto sociale); 2- dell’evento dannoso (persistenza o aggravamento della patologia preesistente; insorgenza di una nuova patologia prima assente) ; 3- della relazione eziologica tra la condotta (commissiva od omissiva) tenuta dai sanitari nella esecuzione della prestazione e l’evento dannoso” [6].
Argomentazioni analoghe a quelle sopra riportate sono state svolte dalla III Sez. civ. con le ordinanze del 13 luglio 2018, n. 18540, del 19 luglio 2018, n. 19240; del 22 agosto 2018, n. 20905.
Infine, con sentenza del 30 ottobre 2018, n. 27446, la III Sez. è ritornata sull’asserito contrasto con la sentenza delle Sezioni Unite 577/2008, chiarendo che il principio affermato dalle Sezioni Unite vale di fronte a situazioni in cui l’inadempimento qualificato, allegato dall’attore, sia tale “da comportare di per sé, in assenza di fattori alternativi più probabili la presunzione della derivazione del danno dalla condotta”.
A queste conclusioni la III Sez. civ. della Cassazione è pervenuta nonostante la legge Gelli non faccia alcun cenno alla problematica concernente l’onere di provare il nesso causale in tema di risarcimento del danno a fronte della responsabilità civile contrattuale.
L’indirizzo giurisprudenziale appare tuttavia coerente con la finalità che il legislatore si è proposto di conseguire, intesa a ridimensionare l’elevato contenzioso che, come noto, costituisce la prima causa del fenomeno della c.d. medicina difensiva, senz’altro indotto da un contenzioso diffuso[7].
Infatti, le pretese attrici, da un lato sono diventate più difficoltose da far valere nei confronti dei medici, atteso che questi ultimi sono responsabili in via contrattuale, con la conseguenza che è l’attore a dover provare il dolo o la colpa del convenuto; dall’altra, per quanto riguarda la responsabilità, di natura contrattuale, delle strutture sanitarie, l’onere della prova del nesso causale è chiaramente addossata all’attore, il che conduce alla conseguenza di escludere la risarcibilità dei danni, da parte delle strutture sanitarie, in cui la causa dell’evento sia ignota o incerta[8].
Effettivamente le pronunce della III Sez. civ. Cass. si discostano, quanto agli effetti pratici, da quanto statuito nella sentenza delle Sez. Un. Cass. n. 577/2008, laddove quest’ultima testualmente asseriva che “ai fini della ripartizione dell’onere probatorio, l’attore, paziente danneggiato, deve limitarsi a provare l’esistenza del contratto… e l’insorgenza o l’aggravamento della patologia ed allegare l’inadempimento del debitore, astrattamente idoneo a produrre il danno lamentato, rimanendo a carico del debitore o che tale inadempimento non vie è stato ovvero che, pur esistendo, esso non è stato eziologicamente rilevante”.
Tuttavia, e questo appare il punto dirimente di un contrasto riconducibile, meno enfaticamente, a un diversificato posizionamento prospettico, l’affermazione del principio affermato dalle Sezioni Unite non può che essere riferito alle situazioni in cui l’inadempimento allegato dall’attore comporti di per sé, ed in assenza di fattori alternativi più probabili, la presunzione della derivazione del danno dalla condotta, sì che la prova della prestazione sanitaria contiene in sé quella del nesso causale.
In effetti l’espressione “allegare l’inadempimento” non sembra possa equivalere a limitarsi a riferire semplicemente (ancorché documentandoli) l’esistenza del contratto di spedalità e dell’evento dannoso, a meno che non si propenda per una presunzione di inadempimento o di parziale inadempimento per ogni evento negativo che si verifichi in ambito sanitario, e per il solo fatto che esso si verifichi.
Con riferimento alla responsabilità contrattuale la regola generale, in tema di inadempimento, totale o parziale, è che, ai sensi dell’art.1218 cod. civ., grava sul debitore una presunzione di colpa e quindi l’onere di provare la non imputabilità dell’inadempimento si giustifica con il fatto che “la prestazione ricade nella sfera di controllo del debitore” [9].
Questo spiega come il creditore (al contrario di quanto avviene in relazione alla responsabilità extra-contrattuale) non sia gravato dell’onere di provare la colpevolezza del debitore, essendo quest’ultimo a dover provare l’avvenuto verificarsi dell’adempimento o di cause a lui non imputabili che non l’abbiano reso possibile.
L’accertamento giudiziale della responsabilità, una volta dimostrato l’inadempimento (le cui componenti sono la fonte negoziale, l’evento dannoso, il nesso causale intercorso tra la condotta del debitore e l’evento dannoso), ruota, e non potrebbe essere diversamente, intorno all’elemento soggettivo della colpevolezza, la cui sussistenza è presunta in tema di responsabilità contrattuale, mentre invece deve essere provata dal creditore in tema di responsabilità extra-contrattuale.
Ma una presunzione, in tema di responsabilità contrattuale, che dovesse estendersi alla sussistenza del nesso causale rischierebbe di costituire un’aberrazione, portando ad accollare al debitore tutti i danni di cui le cause sono incerte o ignote. Una conclusione, questa, che striderebbe con il principio del favor debitoris e, soprattutto, con il principio generale espresso dall’art.2697 cod.civ., in virtù del quale chi vuol far valere un diritto in giudizio deve provare i fatti che ne costituiscono il fondamento (e l’inadempimento del debitore, nel suo profilo oggettivo, costituisce il fondamento della pretesa risarcitoria).
D’altra parte, che il significato da attribuire all’espressione “allegare l’inadempimento” non fosse così apodittico e rigido, lo aveva evidenziato la stessa giurisprudenza della Cassazione antecedente all’entrata in vigore della l. 24/2017, laddove veniva precisato che l’onere di allegazione dell’inadempimento non potesse spingersi sino alla illustrazione dettagliata degli aspetti tecnici concernenti le modalità della prestazione sanitaria, non potendo “esigersi dall’attore delineare con estrema precisione quale sarebbe il profilo dell’inadeguatezza dell’operato dei sanitari”,[10] dando per scontato che l’allegazione di cui trattasi dovesse essere supportata da elementi probatori.
Quindi, si può concludere rilevando come l’indirizzo giurisprudenziale in via di consolidamento in questi quasi due anni dalla emanazione della legge Gelli, non sia in aperta contraddizione con il precedente orientamento ma ne abbia, per così dire, precisato i contorni.
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- C’è da aggiungere che l’anzidetta pronuncia è imperniata sulla causa ignota dell’evento dannoso. Nella fattispecie il giudice di merito aveva affermato che era rimasta oscura la ragione dell’arresto cardiaco che aveva portato alla morte il paziente, escludendo con ciò l’esistenza, o meglio sarebbe dire, l’evidenza del nesso, nel caso di specie, fra l’emorragia e l’arresto cardiaco, dimodoché, secondo il giudizio della Cassazione, un problema di onere probatorio per la struttura sanitaria non poteva sorgere. ↑
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- Cfr. Cass. Sez. Un. 30/10/2001, n. 13533. ↑
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- In particolare, I.RICCETTI insiste sul fatto di come ci si sia discostati dal principio di vicinanza della prova, in quanto “chiedere all’attore di delimitare il fondamento della propria domanda, non limitandosi ad allegare il danno subito, ma allegando altresì un inadempimento qualificato, risulti essere conforme ai principi informatori della materia; ma non altrettanto può dirsi per l’onere imposto al paziente di arrivare ad individuare quel preciso inadempimento che si ponga incontrovertibilmente in nesso di causa con il danno patito” (I.RICCETTI, Responsabilità sanitaria: non è più sufficiente la (già difficile) allegazione dell’inadempimento qualificato per soddisfare l’onere probatorio del danneggiato?, in Rivista di Medicina Legale, 2/2018, p.719). ↑
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- Proprio sul punto delle conseguenze favorevoli per le compagnie assicuratrici insistono alcuni Autori. Al riguardo, cfr. R. CUOMO, La responsabilità sanitaria: su chi grava l’onere della prova nel caso in cui vi sia una causa ingiusta del decesso?, in www.iusinitinere.it, 20/11/2018.In generale, poi, gli Autori che sulle pronunce in argomento hanno palesato le loro perplessità ritenendo compressi il diritto di azione dei pazienti, forse non tengono nella dovuta considerazione la circostanza che è soprattutto la sanità pubblica a patire maggiormente il contenzioso promosso nei confronti delle strutture pubbliche, con il conseguente rischio di veder diminuire la disponibilità di risorse per la tutela del diritto fondamentale alla salute. Come sottolinea D. ZORZIT, “a fronte di finanziamenti limitati, ogni risorsa sottratta al sistema – per il tramite di risarcimenti facili o automatici (pur in assenza di nessi concreti) – si traduce, alla fine nella riduzione dei servizi erogati. E quindi in un vulnus per tutti i cittadini- pazienti che chiedono di essere assistiti e curati”(Commento alla sentenza della III sec civ. della Cassazione,18392/2017, in Danno e Responsabilità, 6/2017, p.708). ↑
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- Nella fattispecie, il danno del quale si chiedeva il risarcimento era relativo al danno alla salute asseritamente provocato al neonato a seguito di un parto cesareo che si era reso per il distacco della placenta causato dalla somministrazione di un farmaco. ↑
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- Nella circostanza veniva lamentato il fatto che il giudice del rinvio non si sarebbe uniformato al principio di diritto asseritamente enunciato in precedenza dalla Suprema Corte, in merito al criterio di riparto dell’onere probatorio, avendo egli escluso la responsabilità della struttura sanitaria e dei medici senza aver individuato l’evento imprevisto ed imprevedibile che aveva cagionato la sindrome da cui era risultato affetto un minore. ↑
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- Nel senso di ritenere, sia pur con accenti critici, che la giurisprudenza tenda a sopperire in tal modo alle difficoltà poste in evidenza dalla legislazione, cfr. R. PARDOLESI e R. SIMONE, Nesso di causa e responsabilità della struttura sanitaria: indietro tutta!, in Danno e Responsabilità,1/2018, pp.5, ss. ↑
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- Come osserva G. D’AMICO, “spesso la questione della responsabilità non si gioca tanto sul terreno della (prova della) colpa (che magari risulta più o meno evidente), quanto piuttosto proprio sul terreno di causalità (che è invece molto spesso incerto). Sicché le regole che riguardano tale nesso…finiscono nella gran parte dei casi per rivelarsi come quelle veramente decisive ai fini dell’affermazione o della negazione della responsabilità (G.D’AMICO, il rischio della causa ignota nella responsabilità contrattuale in materia sanitaria-commento a sent. Cass. civ. III 26 luglio 2017 n.18392, in Danno e Responsabilità, 3/2018, p. 355).Certamente ciò è vero, ma non sembra condivisibile propendere per una soluzione di stampo ideologico, basata sul favor da riconoscere all’attore-paziente. Né pare condivisibile l’idea propugnata dall’A. di distribuire l’onere della prova a seconda del contenuto dell’obbligazione, cioè se essa abbia per contenuto una prestazione di mezzi ovvero una prestazione di risultato, “tutelando il paziente – quando l’incertezza sul nesso causale è ragionevole che ricada sul medico e/o alla struttura – ma evitando al contempo di addossare al medico e/o alla struttura il rischio di quella incertezza, nei casi in cui è ragionevole invece che esso ricada sul creditore”.
Tale impostazione rischierebbe infatti di creare le premesse per una giurisprudenza ondivaga giacché non basata su un criterio univoco di valutazione. ↑
- Come osserva G. D’AMICO, “spesso la questione della responsabilità non si gioca tanto sul terreno della (prova della) colpa (che magari risulta più o meno evidente), quanto piuttosto proprio sul terreno di causalità (che è invece molto spesso incerto). Sicché le regole che riguardano tale nesso…finiscono nella gran parte dei casi per rivelarsi come quelle veramente decisive ai fini dell’affermazione o della negazione della responsabilità (G.D’AMICO, il rischio della causa ignota nella responsabilità contrattuale in materia sanitaria-commento a sent. Cass. civ. III 26 luglio 2017 n.18392, in Danno e Responsabilità, 3/2018, p. 355).Certamente ciò è vero, ma non sembra condivisibile propendere per una soluzione di stampo ideologico, basata sul favor da riconoscere all’attore-paziente. Né pare condivisibile l’idea propugnata dall’A. di distribuire l’onere della prova a seconda del contenuto dell’obbligazione, cioè se essa abbia per contenuto una prestazione di mezzi ovvero una prestazione di risultato, “tutelando il paziente – quando l’incertezza sul nesso causale è ragionevole che ricada sul medico e/o alla struttura – ma evitando al contempo di addossare al medico e/o alla struttura il rischio di quella incertezza, nei casi in cui è ragionevole invece che esso ricada sul creditore”.
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- Cass. civ. Sez. I , 05/04/2005, n.7081. ↑
- Cass. civ. Sez. III, 19/02/2013, n. 4030. ↑