Nota redazionale su Sentenza SSRR in sede giurisdizionale in speciale composizione n. 20/2021/DELC
di Giacomo Menegus
Assegnista di ricerca in Diritto costituzionale
Dottore di ricerca in Diritto dell’Unione Europea e ordinamenti nazionali
Con la sentenza n. 20 del 17 dicembre 2021, le Sezioni riunite in sede giurisdizionale in speciale composizione della Corte dei Conti si sono pronunciate sul ricorso promosso dal Procuratore generale presso la Sezione giurisdizionale d’appello avverso la decisione con la quale le Sezioni riunite siciliane avevano deliberato la parificazione, con diverse eccezioni, del rendiconto generale della Regione Sicilia per l’esercizio 2019 (n. 6/2021/SS.RR./PARI).
Nel merito, le Sezioni riunite hanno innanzitutto accolto il primo motivo di ricorso in relazione al Fondo Crediti di Dubbia Esigibilità (FCDE), quantificato dalla Regione tenendo erroneamente conto della riscossione e dei residui iniziali del quinquennio 2014-2018 e non del quinquennio antecedente al 31 dicembre 2019, ivi inclusi i residui iniziali dell’esercizio di competenza (Diritto, p.ti 8 ss.). La Corte osserva in proposito che – al netto di «una non felice formulazione del principio contabile applicato n. 4/2 del d.lgs. n. 118/2011, che sovrappone due fattispecie e due tipi di FCDE» – ragioni di ordine logico-sistematico, confortate tra l’altro da una giurisprudenza contabile conforme, inducono a ritenere che il cd. FCDE “a consuntivo”, qual è quello in esame, debba tenere in considerazione anche i residui e le riscossioni dell’esercizio di competenza (2019), dal momento che risponde alla finalità, nel più ampio contesto del rendiconto, di determinare una specifica componente dell’avanzo o del disavanzo (e non di perseguire l’effettiva copertura delle spese programmate, come invece avviene per il FCDE “a previsione”). La mancata considerazione dei residui e delle riscossioni dell’esercizio 2019 nel computo del FCDE – che pure era stata avvalorata dalle Sezioni riunite regionali – comporta quindi la non parificazione del saldo espresso dal risultato di amministrazione, che dev’essere aumentato di conseguenza.
Venendo al secondo motivo di ricorso, attinente alla definizione del “perimetro sanitario” – la quale sarebbe stata compiuta in violazione degli artt. 20 del d.lgs. n. 118/2001 e dell’art. 8, co. 1, lett. b) della l. n. 42/2009 – le Sezioni riunite hanno invece sollevato, con separata ordinanza, questione di legittimità costituzionale dell’art. 6 della legge regionale n. 3 del 2016.
Secondo la prospettazione del Procuratore generale, fatta propria dalla Corte, in virtù di tale norma la Regione avrebbe potuto illegittimamente distogliere risorse dal Fondo sanitario (gestione vincolata destinata a prestazioni costituzionalmente necessarie di cui all’art. 117, co. 2, lett. m) Cost.) per indirizzarle all’ammortamento di un mutuo contratto con lo Stato. Su questo punto le Sezioni riunite hanno quindi sospeso il giudizio in attesa della pronuncia della Corte costituzionale sulla questione (la cui rilevanza è resa evidente dal fatto che l’eventuale accoglimento comporterebbe una modificazione del risultato di amministrazione, con aumento dei fondi vincolati pari alle risorse sottratte al Fondo sanitario e corrispondente peggioramento del saldo ordinario, con ulteriori e inevitabili riflessi sulla decisione di parificazione, che non potrebbe che essere negativa).
Al di là del merito, la pronuncia rappresenta uno snodo importante nell’ambito dell’attuale dibattito dottrinale sul giudizio di parificazione dei rendiconti regionali, dal momento che tocca alcune questioni cruciali per la ricostruzione di tale giudizio, anche alla luce dell’evoluzione della giurisprudenza costituzionale elaborata sulla base del nuovo quadro di legalità costituzionale finanziaria prodotto dalla riforma del 2012. Si segnalano, in particolare, i temi della legittimazione della Corte dei conti in sede di parifica a sollevare questione di costituzionalità; dell’individuazione delle regole e delle garanzie processuali; sino ad arrivare, in una prospettiva più in generale, alla natura, all’oggetto e alla funzione del giudizio e al ruolo della Corte dei Conti nella forma di governo.
Nell’economia di questa breve annotazione, preme rilevare come il giudice contabile si soffermi, in particolare, sull’oggetto e sulla funzione del giudizio di parificazione «in un ordinamento a Costituzione rigida», sollecitato in questo senso dalla difesa regionale che – allegando l’intervenuta approvazione del rendiconto generale per l’esercizio 2019 (l.r. n. 26/2021) – chiedeva l’inammissibilità (ovvero improcedibilità) del ricorso per sopravvenuta carenza d’interesse, ovvero la cessazione della materia del contendere.
In proposito, le Sezioni riunite evidenziano – richiamandosi tanto ad una ormai nota e consolidata giurisprudenza costituzionale, quanto ai propri precedenti – come oggetto del giudizio in esame sia «la richiesta di “validazione” del risultato di amministrazione (…) con l’effetto di dichiarare gli effetti che per legge conseguono alla definizione del saldo» (Diritto, p.to 5.10.). Si tratta «non di un controllo su atti o attività, ma su un ciclo» di bilancio e pertanto le Sezioni riunite emanano «provvedimenti che hanno natura dichiarativa e di accertamento dello “stato” di una informazione» (p.to 7.8.): «oggetto del giudizio è il saldo e la sua correttezza nel ciclo di bilancio; di conseguenza, l’interesse permane indipendentemente dagli esiti del procedimento legislativo. Tale giudizio è stabilito in funzione e ausilio di tutti gli interessi che si radicano attorno al saldo di bilancio. Lo stesso giudizio ed il suo esito, peraltro, non riguardano la validità delle leggi medio tempore approvate, su cui sussiste la giurisdizione esclusiva del giudice delle leggi» (p.to 7.15).
Proprio la circostanza che oggetto del giudizio della Corte dei Conti sia il saldo e la sua correttezza nel ciclo di bilancio – e non la legge di approvazione del rendiconto – vale a garantire il rispetto dell’autonomia regionale e, in particolare, dell’esercizio della relativa funzione legislativa costituzionalmente garantita: «l’esito del giudizio di parificazione non determina la necessità della modificazione della legge di rendiconto eventualmente medio tempore approvata, ma ridonda sugli obblighi di assestamento (C. cost., sent. n. 250/2013) e sulla legittimità delle coperture e degli equilibri dell’esercizio in corso, nel rispetto del principio di continuità del bilancio» (p.to 7.10.). E ancora: «gli effetti del giudizio di parificazione, infatti, non si producono sull’atto, ma sull’equilibrio giuridico e concreto del ciclo bilancio, ossia, su una situazione giuridica e di fatto obiettiva che prosegue e si realizza nella continuità del ciclo, con le leggi di assestamento, di previsione e la successiva rendicontazione. Detto in altri termini, le variazioni risultanti della legge di rendiconto andranno effettuate con le scritture correttive sugli altri atti del ciclo di bilancio, ferma restando l’intangibilità del rendiconto approvato» (p.to 7.11.).
Da queste osservazioni sull’oggetto, la Corte muove quindi per ricostruire la funzione del giudizio di parificazione, argomentando – anche qui con sicuro aggancio alla giurisprudenza costituzionale – come tale giudizio non risponda più a quella primigenia funzione ausiliaria del solo potere legislativo, attribuitale prima dalla legge n. 800 del 1862 e poi dal regio decreto n. 1214 del 1934, ma sia ora servente rispetto a «tutti gli interessi che si radicano attorno al saldo di bilancio» (p.to 7.15), «con una ausiliarietà che non è (più) verso un organo dello Stato- persona (in continuità col suo interesse), ma verso lo Stato- ordinamento (C. cost., sentt. n. 267/2006, n. 179/2007 e n. 198/2012)» (p.to 7.13).
Pertanto, se il giudizio di parificazione non è rivolto (soltanto) a fornire al potere legislativo gli elementi per verificare le scelte finanziarie dell’esecutivo, ma risponde a più ampi interessi di rilievo costituzionale (non ultima la possibilità da parte degli amministrati di esercitare un efficace e consapevole controllo democratico rispetto alle scelte finanziarie dei propri rappresentanti), allora l’approvazione del rendiconto che intervenga prima della conclusione del giudizio di parificazione – come nel caso siciliano – non fa venir meno l’interesse ad agire proprio perché permangono tutti gli altri e ulteriori interessi costituzionalmente rilevanti connessi alla decisione di bilancio.
Opinando diversamente, osserva la Corte, «si dovrebbe quindi concludere che nell’ordinamento vigente è legalmente possibile prescindere dalle necessità delle verifiche previste dall’art. 5 lett. a) della l. cost. n. 1/2012 che, per effetto dei previgenti artt. 100 e 103 Cost., spettano alla Corte dei conti» (p.to 7.14).
Ciononostante, la Regione siciliana ha ritenuto di sollevare conflitto di attribuzioni tra Stato e Regioni dinanzi alla Corte costituzionale, lamentando la lesione delle proprie attribuzioni legislative. In estrema sintesi, il ricorso mira ad accreditare una ricostruzione “antica” del giudizio di parificazione, inteso come funzionale esclusivamente all’esercizio del potere legislativo, al fine di dimostrare come il giudice contabile insistendo nel decidere nel merito il giudizio di parificazione abbia così travalicato i limiti della propria funzione ausiliaria per andare ad interferire con l’esercizio dei poteri dell’Assemblea regionale. È giusto il caso di osservare come in questo modo, tuttavia, la difesa regionale giunga sostanzialmente a svalutare la portata innovativa della più recente giurisprudenza costituzionale, alla quale pure hanno fatto riferimento le Sezioni riunite per la ricostruzione del giudizio di parificazione nei termini descritti.
Resta da osservare – sempre nell’economia di queste brevi notazioni – come tra soluzione del conflitto sollevato dalla Regione e soluzione della questione di legittimità sollevata dalla Corte dei conti venga a crearsi un rapporto di pregiudizialità quantomeno logica. L’eventuale accoglimento del ricorso sul conflitto di attribuzioni andrebbe infatti a censurare l’esercizio del potere giurisdizionale che ha condotto alla rimessione della questione di legittimità, la cui risoluzione diverrebbe quindi inutile per la decisione di un giudizio a quo che – sempre nell’ipotesi che il ricorso siciliano sia accolto – la Corte dei conti non avrebbe dovuto proseguire. A dire il vero, anche in caso di accoglimento del conflitto c’è da dubitare sul venir meno della rilevanza: non solo infatti il controllo della Corte costituzionale sulla sussistenza della rilevanza dovrebbe limitarsi ad appurare la “non manifesta arbitrarietà” o “plausibilità” delle prospettazioni del giudice remittente; ma va pure tenuto a mente che l’accertamento del requisito in questione è per così dire istantaneo, va cioè valutato al momento della remissione, senza tener conto di elementi fattuali sopravvenuti (art. 18 n.i.), quale sarebbe l’accoglimento del ricorso sul conflitto.
In conclusione, pare comunque opportuno evidenziare come potenziali incongruenze tra gli esiti dei due giudizi potrebbero essere scongiurate dal giudice costituzionale giudicando prima il conflitto e successivamente la questione di costituzionalità, e risolvendo il giudizio di legittimità coerentemente con quanto stabilito nel conflitto.
La sentenza si può leggere qui.
Il ricorso per conflitto di attribuzioni tra Stato e Regioni si può leggere qui.
AGGIORNAMENTO DEL 17 GENNAIO 2022:
La separata ordinanza che solleva questione di legittimità costituzionale in merito alla alterazione del «perimetro sanitario» è scaricabile qui (ordinanza n. 1/2022/DELC).