Sulla natura giurisdizionale delle deliberazioni di controllo delle sezioni regionali di controllo della Corte dei conti: presupposti, conseguenze, prospettive normative
di Andrea Luberti
Note a margine della pronuncia di accertamento n. 74/2020/PRSP della Sezione regionale di controllo per la Campania (clicca qui)
1. La pronuncia in commento (Sezione regionale di controllo per la Campania, 25 maggio 2020, n. 74) non può che essere apprezzata da parte dei sostenitori del carattere sinergico dell’attività delle sezioni, giurisdizionali e di controllo, della Corte dei conti.
Essa è stata resa all’esito di una complessa vicenda giuscontabile che, per esigenze di sintesi, si tralascia di descrivere nei dettagli e che è icasticamente ricostruita nella parte narrativa del provvedimento, cui si rinvia.
Essenzialmente, la deliberazione ha accertato l’inadempimento dell’ente locale (prima sottoposto a piano di riequilibrio finanziario e soggetto a procedura di dissesto, deliberata dal Consiglio comunale) alla presentazione del rendiconto per l’esercizio 2018, peraltro già oggetto di diffida prefettizia. La stessa procedura e le norme in concreto applicabili erano state, poi, all’origine della storica pronuncia della Corte costituzionale, 14 febbraio 2019, n. 18, che aveva ammesso per la prima volta la legittimazione della Corte dei conti, in sede di esercizio del controllo successivo sui rendiconti degli enti locali, a sollevare questione di legittimità costituzionale.
Importanti appaiono le premesse logico-giuridiche e le conclusioni cui la deliberazione addiviene, nonché le prospettive applicative.
2. Quanto alle prime, come accennato viene ribadito il carattere pienamente giurisdizionale degli atti di sindacato della Corte dei conti sui rendiconti degli enti locali, non solo dal punto di vista soggettivo (“presenza di un giudice”) ma anche da quello oggettivo (“presenza di un giudice nel corso di un giudizio”).
Se il primo è insito nella qualificazione della Corte dei conti come “giudice speciale” (articolo 103, comma 2, della Costituzione) il secondo è desunto dal concreto atteggiarsi di tale funzione di controllo. Essa, per ricorrere alle tradizionali categorie dogmatiche, non rappresenta (come appare meridiano) la posizione di norme generali e astratte (caratteristica del potere legislativo) né cura concreta di interessi pubblici (propria della funzione amministrativa indirizzata dal potere esecutivo). Nemmeno la stessa è inquadrabile nell’ambito dei tradizionali controlli, “ausiliari” rispetto all’attività amministrativa, per il difetto del carattere meramente collaborativo, potendo sfociare in effetti altamente interdittivi della capacità di agire dell’ente locale in caso di renitenza (articolo 148 – bis, comma 3, del decreto legislativo 18 agosto 2000, n. 267, come novellato dall’art. 3, comma 1, lettera e), del decreto-legge 10 ottobre 2012, n. 174).
Oltre che desunta dal sopra riferito processo di eliminazione mentale, i caratteri strutturali dell’attività giurisdizionale paiono pienamente individuabili. Essi hanno la loro epifania nell’applicazione “neutrale” (cioè indipendente dalla cura di un interesse concreto, propria come detto dell’attività amministrativa) di regole di diritto obiettivo, nonché del diritto-onere, per i soggetti lesi dagli effetti dalle deliberazioni, di farne valere i vizi tramite rimedi di carattere giurisdizionale (restando esclusa la possibilità di caducazione in autotutela, in quanto espressiva di quella cura concreta di un interesse pubblico che è propria appunto dell’attività amministrativa).
Ulteriore elemento (o per meglio dire corollario) della natura giurisdizionale degli atti è allora il rispetto dei principi indicati dall’articolo 111 della Costituzione, nei limiti ovviamente della compatibilità con le caratteristiche proprie del giudizio in commento.
Nel caso di specie, la parziale deroga ai principi processuali tradizionali è data dall’iniziativa dell’azione, che non è attribuita a una “parte”, sia pure “imparziale” come il pubblico ministero (con conseguente devoluzione al giudice del solo potere decisorio) ma allo stesso organo decidente.
La ragione di tale forma di instaurazione del giudizio è però pienamente giustificata dal carattere degli interessi tutelati dalla giurisdizione contabile. Essi sono, infatti, sussumibili nella preservazione della contabilità pubblica, sotto il profilo formale e sostanziale, interesse “adespota” secondo quanto più volte tratteggiato dalla deliberazione in commento. A differenza di quanto accade nella maggior parte dell’attività amministrativa, infatti, per gli atti di carattere finanziario non sono di norma ravvisabili soggetti interessati alla loro caducazione.
Si tratta, infatti, di provvedimenti che in genere non si risolvono in un gioco a somma zero in quanto, a fronte di una corresponsione immediata di un’utilità a uno o più soggetti, le posizioni incise appartengono principalmente alle coorti di viventi futuri.
Del resto, la conferma di tale impostazione è data in primo luogo dalle stesse norme processuali contabili, in materia di giudizio di conto (articolo 137 e seguenti del codice di giustizia contabile) e prima ancora di parificazione (articolo 40 e seguenti regio decreto 12 luglio 1934, n. 1214) nonché di controllo preventivo di legittimità (art. 3 della l. 14 gennaio 1994, n. 20), del cui carattere sostanzialmente giurisdizionale nessuno ha mai dubitato.
Persino nella giurisdizione amministrativa, improntata alla tutela di posizioni giuridiche soggettive, la mancanza in rerum natura di destinatari diretti degli atti nella cura degli interessi adespoti e la conseguente insufficienza degli strumenti processuali ha portato all’elaborazione di forme di legittimazione extravagantes (il riferimento è, essenzialmente, all’interesse al bene ambiente, anch’esso “adespota” in quanto preservato a beneficio delle future generazioni, o a quello alla concorrenza, incidente in modo frammentario su una miriade di consumatori).
3. Interessanti e feconde le conseguenze dei presupposti logici della deliberazione, traslati dall’astratto al concreto, che si spingono sino a indirizzare l’applicazione di specifiche norme processuali. La sezione regionale di controllo ha infatti ammesso la legittimazione alla partecipazione al giudizio di controllo di due soggetti privati (una ex amministratrice e un ex consulente del Comune di Pagani), a seguito della trasmissione di una loro “relazione testimoniale”. Tali soggetti sono stati ritenuti titolari di un interesse personale, concreto e attuale alla partecipazione al giudizio di controllo, tra l’altro foriero di potenziali pregiudizi nei loro confronti sotto il profilo sanzionatorio (articolo 248, comma 5, del decreto legislativo 267/00) e risarcitorio (potendo la deliberazione della sezione regionale di controllo rappresentare una notitia criminis ai sensi dell’articolo 51 del codice di giustizia contabile).
Con riferimento a istituti processuali di diversa natura, invece, non pare sussistere dubbio alcuno sulla loro possibilità di vis expansiva, in quanto applicativi di principi generali (si vedano gli articoli 4 e 7 del decreto legislativo 26 agosto 2016, n. 174 – codice di giustizia contabile).
4. In sintesi, il “giudizio” di controllo costituisce l’espressione di una giurisdizione configurabile ratione materiae, ma non delimitabile a priori quanto ai soggetti legittimati.
Il punto essenziale della deliberazione è, allora, rappresentato dalla base di partenza per l’individuazione del proprium delle funzioni intestate alla Corte dei conti (in sede giurisdizionale come di controllo) in base a una costituzione materiale comprensiva della Carta ma anche dei principi ivi transitati dall’epoca immediatamente postunitaria.
Esso è ravvisabile nella tutela, preventiva e successiva, dell’equilibrio finanziario pubblico sotto il profilo sostanziale (risarcimento dei danni, nella tradizionale formula della domanda di parte) e formale (veridicità e correttezza degli atti finanziari). Tali ultime caratteristiche sono già pienamente ravvisabili nelle citate funzioni (di controllo) di parificazione dei rendiconti (statali e regionali), di controllo preventivo e di controllo sui bilanci e sui rendiconti degli enti locali, nonché nel giudizio di conto. Ancora, non pare dubbio che analogo valore assumano i “controlli” sui gruppi consiliari regionali (articolo 1, comma 12, del decreto-legge 10 ottobre 2012, n. 174, convertito dalla legge 7 dicembre 2012, n. 213) in quanto l’esito negativo del “controllo” (anche in questo caso, in realtà, un “giudizio”) determina conseguenze decadenziali e restitutorie indubbiamente lesive. Lo assume, solo in parte, l’attività consultiva, in quanto per la stessa difetta l’incidenza immediata sulle posizioni soggettive dell’ente destinatario dell’avviso. Peraltro, la cointestazione di funzioni giurisdizionali e consultive è riscontrabile anche in capo al Consiglio di Stato, e non suscita quindi particolari perplessità (se non quanto alla limitazione, per la Corte dei conti, alle sezioni regionali di controllo).
Anche alla luce delle persistenti irregolarità descritte nella deliberazione, dubbi suscita invece la compatibilità con il contesto ordinamentale patrio di forme di controllo meno incisive, in quanto recessive rispetto alla discrezionalità nella ricezione dei rilievi sulle irregolarità riscontrate.