Professore universitario e attività di consulenza

La Corte dei Conti sez. Lombardia individua le differenze tra consulenza e attività libero professionale

CORTE DEI CONTI, SEZ. GIUR. REGIONE LOMBARDIA – sentenza 3 febbraio 2020 n.11 – Pres. A.Caruso, Est. V.Tenore –  P.M. B.Pezzilli.

In caso di espletamento di attività extra-lavorative remunerate e non autorizzate dal datore da parte di un pubblico dipendente, qualora costui rifiuti di riversare alla propria amministrazione, in base all’art. 53, co.7 e 7-bis, d.lgs. 30 marzo 2001 n. 165, gli importi percepiti, la giurisdizione spetta sempre alla Corte dei Conti anche per gli introiti anteriori alla introduzione del comma 7-bis nell’art.53 cit. ad opera della legge n. 190 del 2012, essendo norma ricognitiva del pregresso indirizzo giurisprudenziale favorevole alla giurisdizione contabile.

I professori universitari a tempo pieno, in base all’art.6, co.10 l. n.240 del 2010, più largheggiante rispetto al previgente art.11, co.5, d.P.R. n.382 del 1980, è consentito l’espletamento di attività consulenziale, ma non di attività libero-professionale, che non è dunque neppure autorizzabile dal Rettore, non potendo un atto amministrativo derogare ad un divieto legislativo assoluto.

Per i professori universitari a tempo pieno, il distinguo logico-concettuale tra attività consulenziali consentite e attività libero-professionali vietate, va individuato facendo riferimento ad un criterio della reiterazione e continuità temporale delle formali consulenze, e a due indici sintomatici, di per sé non probanti in modo assoluto, ovvero l’entità degli introiti (superiori alla retribuzione annua da professore) e l’apertura di partita IVA. Qualora concorrano il criterio base e uno dei due indici sintomatici, l’attività, pur formalmente qualificata come consulenziale, configura una attività libro-professionale vietata e non autorizzabile.

A fronte dell’espletamento da parte di professori universitari a tempo pieno di attività libero-professionali vietate dalla legge Gelmini, oltre al danno erariale previsto dall’art.53, co.7, d.lgs. n.165 del 2001, si configura un ulteriore danno per le maggiorazioni stipendiali percepite quale professore a tempo pieno rispetto a quelle spettanti al professore a tempo definito.

Infine, in caso di espletamento di attività extra-lavorative remunerate e non autorizzate dal datore da parte di un pubblico dipendente, l’obbligo di riversare alla propria amministrazione gli importi percepiti in base all’art.53, co.7 e 7 bis, d.lgs. 30 marzo 2001 n. 165, impone un calcolo al netto e non al lordo delle somme da versare, essendoci già stato un prelievo fiscale a favore della P.A. al momento della erogazione e della dichiarazione dei redditi.

La sentenza per intero qui

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