Ponte Morandi e Corte Costituzionale: prime note alla sentenza 168/2020

di Giovanni Comazzetto

Il sindacato costituzionale delle leggi provvedimento è incentrato sulla “causa ultima della norma, quale componente razionalmente coordinata nel più vasto insieme dell’ordinamento” e non è sovrapponibile al sindacato amministrativo

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Il 27 luglio è stata depositata l’attesa decisione della Corte costituzionale sulla legittimità delle norme che disciplinano l’attività di ricostruzione del Ponte Morandi (sentenza n. 168 del 2020). Come è noto, il contenuto essenziale della decisione era stato anticipato tramite un comunicato dell’Ufficio Stampa della Corte dell’8 luglio scorso, nel quale si riferiva che le numerose questioni di legittimità costituzionale relative al cd. “Decreto Genova” (d.l. 28 settembre 2018, n. 109), sollevate con 5 ordinanze del TAR Liguria, erano state dichiarate tutte inammissibili o infondate (qui una sintesi dei contenuti del Decreto Genova e dei dubbi di legittimità costituzionale sollevati dal TAR: https://dirittoeconti.it/ponte-morandi-e-corte-costituzionale/).

1. Il suddetto decreto era stato contestato in sede amministrativa in quanto escludeva il concessionario autostradale (Autostrade per l’Italia s.p.a., di seguito Aspi), così come le società ad esso collegate o da esso controllate, dalle attività di demolizione e ricostruzione del Ponte Morandi, imponendo al contempo al concessionario medesimo di sostenere i costi delle attività di demolizione e ricostruzione dell’opera e degli espropri. I dubbi di legittimità costituzionale sollevati in quella sede dal giudice amministrativo si articolavano essenzialmente intorno ai tre profili seguenti. In primo luogo, attesa la natura di legge provvedimento propria del d.l. n. 109 del 2018, si riteneva che lo stesso non fosse conforme ai parametri di ragionevolezza, proporzionalità e non arbitrarietà (riconducibili all’art. 3 Cost.). Si affermava, in particolare, che l’esclusione di Aspi era irragionevole alla luce dell’obiettivo primario perseguito dal decreto contestato, ossia la più celere ricostruzione dell’infrastruttura, e sproporzionata in quanto fondata “su un assunto ipotetico e perplesso relativo alla non certa irresponsabilità della società concessionaria” (punto 1.1.7 del Ritenuto in fatto). In secondo luogo, le misure escludenti citate, di carattere “sostanzialmente punitivo” (punto 1.1.8), costituivano secondo il giudice rimettente una violazione dei principi di libertà imprenditoriale e di libertà della concorrenza, ex art. 41 Cost., senza che si potessero giustificare in base alla tutela di interessi contrapposti di rango costituzionale. Da ultimo, il fatto di aver stabilito l’esclusione del concessionario in quanto ritenuto inaffidabile e responsabile di un grave inadempimento, senza tuttavia un accertamento concreto dell’inadempimento in sede giudiziale, rappresentava secondo il giudice a quo una violazione dei diritti di difesa e al contraddittorio in capo alla società esclusa, ex artt. 24 e 111 Cost.

Prima di esporre, in estrema sintesi, quanto statuito dal giudice costituzionale, è d’uopo riportare alcuni degli argomenti dedotti in giudizio dalla difesa statale. In punto di ammissibilità, questa affermava, ex multis, che Aspi difettava di legittimazione attiva nel giudizio a quo, in quanto l’attività di demolizione e ricostruzione del Ponte Morandi non era contemplata nella convenzione di concessione. In punto di merito, si asseriva la necessità di applicare al settore di mercato considerato i principi della concorrenza e dell’evidenza pubblica, scongiurando l’ulteriore vantaggio competitivo che sarebbe derivato alla concessionaria dall’affidamento dei lavori. La decisione di escludere Aspi dalle attività citate sarebbe stata peraltro in linea con la normativa nazionale ed europea, che consente l’esclusione dalle procedure d’appalto di operatori economici che si siano resi colpevoli di gravi illeciti professionali, sebbene non ancora accertati in via definitiva, essendo sufficiente anche la mera pendenza di un procedimento penale. Si affermava inoltre, a proposito della presunta violazione dell’art. 41 Cost., che la libertà imprenditoriale era stata in verità bilanciata con altri interessi costituzionalmente protetti, tra i quali l’adeguato impiego delle risorse pubbliche in vista della migliore ricostruzione possibile, la garanzia dell’incolumità di chi dovesse utilizzare il Ponte in futuro e la massima apertura alla concorrenza. Per quanto riguarda infine l’asserita violazione dei principi del giusto processo, la difesa statale replicava che le misure intraprese avevano natura cautelare e non punitiva e/o sanzionatoria, essendosi trattato di escludere la concessionaria dalla ricostruzione del Ponte in ragione della sua inaffidabilità, e non invece di sanzionare il suo inadempimento.

2. La Corte costituzionale ha considerato unitariamente i diversi giudizi pendenti di fronte al TAR Liguria, in quanto vertenti sulle medesime disposizioni, ai fini di una decisione congiunta.

Con riferimento alle questioni dichiarate inammissibili, rileva in particolare quella concernente l’estromissione dalla procedura negoziata delle società collegate ad Aspi. Sul punto, la Corte costituzionale ravvisa un difetto di motivazione sulla rilevanza nell’ordinanza del giudice a quo, in quanto quest’ultimo aveva ritenuto che la valutazione negativa dell’offerta di Pavimental S.p.a. (società collegata ad Aspi, che aveva presentato domanda di partecipazione alla consultazione di mercato per l’attività di ricostruzione del Ponte, senza essere tuttavia chiamata dal commissario straordinario a curare i lavori) fosse stata in ogni caso assorbita dal divieto legislativo di affidare le opere alle collegate di Aspi. Un tale presupposto ermeneutico è tuttavia ritenuto “fallace” (punto 10.3 del Considerato in diritto) dal giudice costituzionale, in quanto sarebbe stato necessario valutare, preliminarmente rispetto alla rimessione della questione di costituzionalità, se l’esclusione di Pavimental S.p.a. fosse stata disposta a seguito di una valutazione concreta della sua offerta, ovvero in applicazione della normativa contestata. Mancando un approfondimento di tale punto controverso nell’ordinanza di rimessione, la questione di costituzionalità è dichiarata inammissibile.

Ugualmente inammissibile la questione di costituzionalità che si appuntava sull’imposizione ad Aspi degli oneri economici connessi alla ricostruzione. Osserva qui la Corte che il rimettente si interroga sulla portata giuridica dell’art. 1, comma 6, del d.l. n. 109 del 2018, dubitando che si tratti di una definitiva imposizione del debito, salvo conguaglio, ovvero di una mera anticipazione di somme in via provvisoria, destinata ad integrale ripetizione nel caso in cui fosse successivamente esclusa la responsabilità della concessionaria per il crollo del Ponte. La Corte rileva il carattere “perplesso e ancipite” delle questioni (punto 11.2 del Considerato in diritto), dichiarandone inevitabilmente l’inammissibilità in quanto “manca l’indicazione del significato assunto dalla disposizione censurata”.

3. Per quanto concerne, invece, le questioni dichiarate non fondate, la Corte muove dalle considerazioni seguenti. Il d.l. n. 109 del 2018 corrisponde senza dubbio alla figura della legge provvedimento, soggetta in quanto tale a uno “scrutinio di costituzionalità stretto, ovvero particolarmente severo, poiché in norme siffatte è insito il pericolo di un arbitrio, connesso alla potenziale deviazione, in danno di determinati soggetti, dal comune trattamento riservato a tutti i consociati” (punto 15). La Corte non condivide tuttavia l’ulteriore assunto dei rimettenti, ossia che il sindacato di costituzionalità sulle leggi provvedimento sia strutturalmente analogo all’accertamento della violazione dei principi che presiedono all’attività amministrativa. Il fatto che il legislatore attragga a sé una materia che, in caso contrario, sarebbe stata rimessa all’autorità amministrativa, comporta sì “che la legge si sostituisca all’atto provvedimentale, ma non che ne mutui con ciò anche i tratti costitutivi” (punto 15.1). Una tale premessa è di assoluta importanza ai fini della comprensione di quel che segue: lo scrutinio di costituzionalità della legge provvedimento, afferma la Corte, non può limitarsi alla verifica della validità e congruità delle motivazioni, in quanto essa è tenuta ad individuare “la causa ultima della norma, quale componente razionalmente coordinata nel più vasto insieme dell’ordinamento” (sempre punto 15.1). Ne deriva il tentativo della Corte di attingere alla razionalità oggettiva delle disposizioni censurate, di contro all’approccio seguìto dai giudici rimettenti, teso “a rendere causa immediata di illegittimità costituzionale ogni eventuale inadeguatezza della motivazione esplicitata dal legislatore” (punto 15.2).

3.1. Detto ciò, si ricostruiscono i due passaggi, giuridicamente distinti, attraverso i quali si è realizzata l’estromissione di ASPI dalle attività di demolizione e ricostruzione del Ponte Morandi. In primo luogo, osserva la Corte, il legislatore ha deciso di non attivare la convenzione sia per l’urgenza di ripristinare tempestivamente un tratto autostradale essenziale per i collegamenti nella regione, sia per i dubbi insorti in merito all’affidabilità del concessionario, alla luce della gravità dell’evento verificatosi. In secondo luogo, esso ha – per necessaria conseguenza – escluso il concessionario dalla procedura negoziata, anche al fine di aprire maggiormente il settore autostradale alla concorrenza. Ciascuno di questi passaggi si basa, a detta del giudice delle leggi, su “ragioni obiettive” (punto 16.1), sebbene non sempre esposte in modo limpido nella normativa contestata.

3.2. Rispetto al primo dei due passaggi indicati, la Corte osserva che senza dubbio il mantenimento della funzionalità delle infrastrutture costituiva e tutt’ora costituisce, ai sensi della convenzione, un obbligo del concessionario. Da ciò non si deve tuttavia trarre il corollario che alla facoltà di esigere l’esatto adempimento da parte del concessionario – facoltà che spetta al concedente – corrisponda una pretesa, in capo al concessionario medesimo, di imporre al concedente “quelle iniziative che il legislatore provvedimentale reputi, nella sua discrezionalità, contrarie all’interesse pubblico” (punto 17.1). Non rilevano allora, nel caso di specie, le disposizioni della convenzione relative al grave inadempimento del concessionario, al recesso o alla revoca della concessione da parte del concedente; si tratta piuttosto della decisione del legislatore di obbligare il concedente – ferma restando la concessione – ad avvalersi di soggetti diversi dal concessionario per la ricostruzione del Ponte, anziché attivare gli obblighi della convenzione. Questa decisione non costituisce deviazione dalle regole generali in materia di concessioni; né contrasta con il Codice dei appalti pubblici la scelta del legislatore di obbligare le amministrazioni aggiudicatrici a ricorrere al mercato al fine di eseguire un’opera, piuttosto che chiederne l’esecuzione a un soggetto che vi sarebbe sì obbligato, ma non è più degno di fiducia. Per queste ragioni si ritengono non fondate le questioni di costituzionalità basate sulla premessa che, alla luce della convenzione di concessione, la parte pubblica non potesse ricorrere a soggetti diversi dal concessionario per eseguire l’opera.

3.3. Ugualmente non fondate sono le questioni di costituzionalità dirette a rilevare come il legislatore, irragionevolmente, abbia deciso di estromettere il concessionario, pur essendo quest’ultimo il più idoneo, anche sotto il profilo della tempestività, a soddisfare l’interesse pubblico ad una celere ricostruzione del Ponte. Sul punto si rammenta che “il crollo del Ponte Morandi […] ha segnato profondamente la coscienza civile nella comunità, e ha aperto una ferita nel rapporto di fiducia che non può mancare tra i consociati e lo stesso apparato pubblico, cui è affidata la cura di beni primari tra i quali, in primo luogo, la salute e l’incolumità” (punto 19). In un tale contesto “segnato da un grado eccezionale di gravità”, non risulta allora irragionevole o incongrua la decisione del legislatore di rivolgersi, per la ricostruzione dell’infrastruttura, a un soggetto diverso da chi avrebbe dovuto prevenirne il disfacimento. Né tale scelta può essere censurata in quanto connessa a un giudizio di responsabilità in capo ad ASPI, e ad una sorta di sanzione anticipata nei confronti della stessa: trattasi piuttosto della “scelta incensurabile” del legislatore di provvedere in via cautelativa per via diversa da quella consentita dalla convenzione, peraltro “in forme così celeri da non arrecare in sé alcun pregiudizio alla concessionaria” (punto 19.1).

3.4. L’esame delle successive questioni, inerenti al secondo passaggio sopra enunciato, è del tutto coerente con quanto statuito rispetto al primo. I rimettenti, pur non contestando la legittimità del ricorso all’affidamento dei lavori per mezzo di procedura negoziata senza previa pubblicazione (ex art. 32 della Direttiva 2014/24/UE e art. 63 del Codice dei contratti pubblici), ritengono che sia costituzionalmente illegittimo escludere a priori ASPI dalla procedura. La Corte replica che l’esclusione di ASPI è del tutto coerente con la premessa, ovvero con la decisione iniziale di non avvalersi della facoltà – stabilita nella convenzione – di chiedere alla società concessionaria l’esatto adempimento. Sarebbe stato anzi irragionevole un comportamento diverso, ossia “accantonare” in un primo momento la convenzione, per poi consentire alla concessionaria di aggiudicarsi lo stesso incarico all’esito di una procedura onerosa per l’amministrazione aggiudicatrice (punto 23.1).

Particolarmente significativi sono gli ulteriori argomenti portati dal giudice costituzionale a sostegno della tesi per cui il legislatore, con l’esclusione di ASPI dalla ricostruzione del Ponte Morandi, “non ha affatto lacerato la trama dell’ordinamento”, né ha impedito alla suddetta società di replicare alle contestazioni seguìte al crollo del Ponte. Sul primo punto, la Corte ricorda che la giurisprudenza sia nazionale sia euro-unitaria è ferma nel ritenere che gravi inadempimenti da parte di un operatore economico possono giustificare la sua esclusione da una gara – anche quando l’illecito non sia stato definitivamente accertato in giudizio –, nella misura in cui siano stati sufficienti a determinare una rottura del rapporto di fiducia. Non si può dunque ritenere che la pubblica amministrazione sia obbligata a contrarre con soggetti che essa ritiene, sulla base di elementi obbiettivi, inaffidabili (punto 23.1). Riguardo al secondo punto, la Corte ricorda invece come ASPI sia stata posta nelle condizioni di replicare alle contestazioni mosse, ed eventualmente dimostrare l’incidenza di fattori imprevedibili o ingovernabili, prima dell’adozione del decreto-legge contestato. Non solo: si menzionano anche le conclusioni della commissione ispettiva ministeriale creata a seguito del crollo del Ponte, conclusioni che contengono “numerose e puntuali contestazioni a proposito di carenze nelle valutazioni di sicurezza e nelle procedure di controllo della sicurezza strutturale delle opere” (punto 23.2). Sussistevano pertanto “seri e comprovati elementi”, a disposizione del legislatore provvedimentale, per indursi a non affidare ad ASPI il compito di ricostruire l’infrastruttura crollata, sulla base peraltro di una logica “in senso lato cautelare”, che non ha affatto determinato l’irrogazione di una sanzione anticipata nei confronti della concessionaria.

3.5. La Corte ricorda infine come il deficit di fiducia insorto verso ASPI non possa trovare un correttivo nei principi di diritto europeo e nazionale riguardanti la più ampia partecipazione alle gare, anche alla luce delle peculiarità del settore delle concessioni autostradali. È richiamata, in tal senso, la delibera della Corte dei Conti, Sezione controllo sulla gestione delle amministrazioni dello Stato, 18 dicembre 2019, n. 18/2019/G (sulla quale vedi https://dirittoeconti.it/concessioni-autostradali-scarsa-trasparenza-pochi-controlli-molti-profitti-per-i-concessionari/), dalla quale si ricava che ASPI è concessionaria di circa la metà della rete autostradale italiana da molti decenni, “senza peraltro aver ottenuto tale qualità a seguito di una gara” (punto 24). Anche la convenzione di concessione, per quanto concerne in particolare le ipotesi di decadenza e revoca, si caratterizza per un “regime indennitario del tutto eccezionale e derogatorio, a favore della concessionaria, delle regole di diritto comune attinenti a tale genere di rapporto” (sempre punto 24). È dunque proprio l’insussistenza di un regime concorrenziale nel settore autostradale – aspetto sul quale ha già avuto modo di pronunciarsi la Corte di giustizia, con sentenza 18 settembre 2019, causa C-526/17 – a giustificare il trattamento riservato dal legislatore a chi aveva, fino a quel momento, goduto di condizioni privilegiate e in contrasto con le norme europee in tema di concorrenza. Risulta così che “il legislatore non ha […] conculcato la libertà di iniziativa economica di ASPI, ma piuttosto prevenuto un contrasto con l’utilità sociale, di cui all’art. 41 Cost., irrobustendo l’assetto concorrenziale con l’ingresso di altri operatori economici” (punto 24.2).

4. Trattasi, concludendo, di una decisione di straordinario interesse, resa su di un tema particolarmente delicato. Il crollo del Ponte Morandi ha colpito profondamente la coscienza civile del Paese, come ha ricordato la Corte nella sentenza; l’attività di ricostruzione ha costituito anche l’occasione per rimettere in discussione la gestione non solo delle autostrade, ma in generale delle infrastrutture pubbliche in quanto beni pubblici; il comunicato sulla decisione della Corte è stato peraltro pubblicato in un momento cruciale del negoziato relativo al controllo di ASPI. Si è cercato, in questa sede, di esporre i principali contenuti di una decisione ricca e complessa, destinata sicuramente a far discutere sia la dottrina sia l’opinione pubblica. Per una riflessione più approfondita e articolata, si rimanda a futuri contributi.

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