Operatività della litispendenza nel processo pensionistico dinnanzi alla Corte dei conti

Le Sezioni Riunite in sede giurisdizionale della Corte dei conti esaminano l’applicabilità dell’istituto della litispendenza nell’ambito del processo pensionistico, individuando i conseguenti rimedi processuali

SSRR 7/2020 pubblicata il 25 nivembre 2020 Leggi il testo qui

Come noto, la litispendenza è un istituto processuale volto alla corretta identificazione del giudice chiamato a valutare una controversia: ex art. 39 c.p.c. il giudice successivamente adito, che rilevi la pendenza della stessa causa dinanzi a un giudice diverso appartenente al medesimo plesso giurisdizionale, è tenuto alla declaratoria di litispendenza e alla cancellazione della causa dal ruolo.

Dopo alterne oscillazioni giurisprudenziali, le Sezioni Unite della Cassazione (n. 27846/2013) hanno sancito il principio che la “litispendenza possa operare anche allorquando la stessa causa sia stata proposta in due giudizi, uno dei quali si trovi in grado di appello. Anzi, proprio il riferimento alla esistenza dell’obbligo per il giudice che rilevi la litispendenza di dichiararla, e di disporre la cancellazione della causa dal ruolo, sembra presupporre la assoluta indifferenza del grado di giudizio ai fini della necessità che si proceda alla dichiarazione della litispendenza da parte del giudice successivamente adito, non potendosi neanche escludere che, a causa della mancata eccezione delle parti sul punto nel precedente grado di giudizio e in assenza di elementi idonei ad evidenziare la esistenza di una situazione di litispendenza, la causa successivamente adita sia quella pendente in appello, sicché potrebbe essere anche tale giudice a dovere adottare i provvedimenti di cui all’art. 39, primo comma, cod. proc. civ.”. Tale opzione ermeneutica, secondo la Suprema Corte si fonda su una valorizzazione della funzione di tale istituto. “Questo è, infatti, espressione della regola, sovraordinata al sistema del processo, secondo cui de eadem re ne bis sit actio; tale regola delimita il diritto di azione nella sua dimensione pubblica, in quanto, cioè, esso sia volto ad ottenere dallo Stato la prestazione della giurisdizione, e nella sua dimensione privata, in quanto diretto verso altro soggetto che sì voglia sottoporre alle statuizioni del giudice. In tale prospettiva, la regola della litispendenza, intesa come effetto della consumazione del diritto di azione, ha lo stesso fondamento, ovvero appaga le stesse esigenze, della regola del giudicato, sicché la prima dovrebbe espandersi finché non funzioni già l’altra. Supponendo, cioè, la cosa giudicata una sentenza irrevocabile, la litispendenza, che preserva gli stessi interessi propri della prima, sarebbe tenuta ad occupare, e quindi a regolare, tutta la vicenda processuale che precede la regiudicata. Pertanto, in nome della realizzazione dell’obiettivo del ne bis in idem, tra eccezione di litispendenza e eccezione di giudicato non possono lasciarsi spazi vuoti. In sostanza, la pendenza della lite, che si determina dall’attimo in cui la domanda sia regolarmente proposta, cessa soltanto quando si consegua una sentenza definitiva non impugnabile con mezzi ordinari (col che all’eccezione di litispendenza subentra quella di giudicato), oppure si verifichi l’estinzione della domanda”.

Queste coordinate interpretative sono state fatte proprie anche nell’ordinanza delle Sezioni Riunite in commento, nella quale vengono individuate importanti ricadute per quanto riguarda gli strumenti processuali attraverso i quali far valere una situazione di litispendenza. In particolare, le Sezioni Riunite, dopo aver confermato l’applicabilità anche nel processo contabile della disciplina di cui all’art. 39 c.p.c., stante la sua natura di “norma di principio” e la conseguente operatività della clausola di recezione aperta contenuta nell’art. 7, comma 2, c.g.c., in forza della quale il legislatore – come chiaramente messo in luce nella pronuncia in rassegna – «ha subordinato il soccorso “esterno” all’assenza di norme reperibili all’interno del codice della giustizia contabile, imponendo la previa verifica di uno spazio per l’auto-integrazione, di cui al comma 1. La disposizione ha, poi, introdotto un criterio misto di “eterointegrazione”, solo parzialmente tipizzato, in quanto il rinvio opera rispetto a talune disposizioni del codice di procedura civile, ben definite (artt. 99, 100, 101, 110 e 111), e, poi, a tutte quelle che “siano espressione di principi generali”, demandando, pertanto, all’interprete l’onere della relativa individuazione. Nel caso in esame, accertato l’esito negativo della verifica interna – posto che non v’è alcun richiamo espresso all’istituto della litispendenza – e individuato, come sopra precisato, il fondamento dell’art. 39 c.p.c. nel principio del ne bis in idem, non può che conseguirne l’applicabilità ai processi contabili». Venendo allo specifico profilo dei rimedi processuali esperibili, è messo in evidenza – dopo essere stato funditus ripercorso il dibattito giurisprudenziale e dottrinale sulle cui conclusioni si basa l’attuale disciplina contenuta nel c.g.c. – come nel processo contabile l’unico strumento impugnatorio delle ordinanze di litispendenza, caratterizzate da un contenuto decisorio e, al tempo stesso, declinatorio, in quanto l’organo giudicante, nel pronunciare la litispendenza si spoglia di ogni potere di cognizione in relazione alla controversia, non possa che essere l’appello, alla luce della speciale disciplina recata dal c.g.c., che su questi aspetti diverge dal codice di procedura civiele e dal codice del processo amministrativo, che, invece, riconoscono il diverso rimedio del regolamento di competenza. Ciò in quanto “tra le ordinanze per le quali l’art. 11, comma 4, c.g.c. riconosce l’impugnabilità con il regolamento di competenza dinanzi alle Sezioni riunite, non possono essere ricomprese quelle che, pur “decidendo soltanto questioni di competenza” (e, dunque, senza entrare nel merito della lite), definiscono il giudizio, dichiarando, per quanto qui rilevi, la litispendenza, essendo previsto per esse il generale rimedio dell’impugnabilità mediante appello, e soggiacendo, pertanto, alle modalità e ai termini propri del gravame, ex art. 102, comma 5, c.g.c.”

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