Novità in materia di sanzioni agli amministratori comunali

Appunti sparsi sul decreto n.1/2019 della Sezione Regionale Giurisdizionale della Corte dei conti per l’Abruzzo: il bene tutelato e la natura della responsabilità, nella reciproca integrazione tra funzioni

Il decreto n.1/2019 della Sezione Giurisdizionale Regionale della Corte dei conti per l’Abruzzo ha applicato per la prima volta le disposizioni dell’art. 248-bis TUEL disancorando tale responsabilità dal tradizionale paradigma risarcitorio.

La responsabilità, infatti, è stata declinata interamente dentro il modello della responsabilità “sanzionatoria”, in base al quale non è necessario l’accertamento di un danno al patrimonio di un soggetto (ovvero una lesione “naturalistica”, e quindi misurabile, della sfera giuridica altrui), ma la imputabilità di una condotta consistente in comportamenti omissivi o commissivi causativi di un danno in senso giuridico (la lesione del bilancio come “bene pubblico”) che si consuma in termini “diffusi”, ma altrettanto reali, sulla intera comunità di riferimento, con l’evidenza della dichiarazione del “dissesto”.

La condotta, segnatamente, consiste in comportamenti omissivi o commissivi violativi di precetti di diligenza, prudenza perizia, prescritti dalla legge, e indirettamente, da regole economiche e best practices contabili-amministrative, cui le norme contabili rinviano.

Tali precetti di diligenza e standard di comportamento contabile sono predisposti dall’ordinamento, per evitare lo squilibrio strutturale dell’ente locale, sussumibili nel concetto di “sana gestione”. L’evento, nella dichiarazione di dissesto, con tutti gli effetti legge.

Il cambio di paradigma è evidente.

È indubbio – sul piano generale – che ogni dissesto rechi con sé anche un danno, quanto meno sub specie di “danno da disservizio” diffuso e generalizzato, atteso che il dissesto, nella sua più intrinseca consistenza, si traduce proprio nel fatto che “l’ente non può [più] garantire l’assolvimento delle funzioni e dei servizi indispensabili” (ex art. 244, c.1, TUEL). È però altrettanto indubbio che l’accertamento della responsabilità sanzionatoria da dissesto non può e non deve dipendere (necessariamente) dall’accertamento del danno e della relativa responsabilità risarcitoria.

Per tale ragione, la legge ha previsto per le due forme di responsabilità, sanzionatoria e risarcitoria, regimi diversi.

Nel decreto si è infatti sottolineato come «esul[i]no […] dalla responsabilità sanzionatoria i profili tipici delle vicende strettamente risarcitorie, attinenti, ad esempio, al c.d. potere riduttivo, ai vantaggi comunque conseguiti, al riparto della responsabilità tra i concorrenti, al c.d. dolo contrattuale, [nonché] alla prevedibilità del danno».

Le sanzioni, per altro verso, non combaciano col rimedio risarcitorio (dal quale si divaricano quanto a presupposti applicativi), in quanto: a) rispondono ad esigenze istituzionali diverse; b) si informano a principi costituzionali diversi; c) sono rette da diverse norme sostanziali e (oggi) anche processuali (il codice ha addirittura previsto un rito separato).

Sotto il primo profilo, come emerge da decreto ««valgono, piuttosto, i principi fondamentali di legalità (ricondotti, in giurisprudenza, talvolta all’art. 25 e talaltra all’art. 23 della Costituzione), di offensività e di colpevolezza, nonché gli accennati principi generali del “diritto punitivo”, variamente declinati dal legislatore, ad esempio, nei settori penale, amministrativo e tributario […] trattandosi di sanzione pecuniaria (e non di richiesta risarcitoria), trovano necessaria applicazione i principi fondamentali del diritto punitivo e, in primo luogo, quello secondo cui “nessuno può essere punito se non in forza di una legge che sia entrata in vigore prima del fatto commesso” (art. 25 Cost.) e “nessuno può essere assoggettato a sanzioni amministrative se non in forza di una legge che sia entrata in vigore prima della commissione della violazione” (art. 1 della legge 24 novembre 1981, n. 689)» [1].

Quanto al secondo profilo, l’oggetto della tutela appare essere il bilancio inteso come “bene pubblico” (cfr. Corte cost. sentenze n. 184/2016, n. 80/2017, n. 228/2017, n. 247/2017, n. 49/2018 e ordinanza n. 7/2019), nella sua capacità di garantire non solo trasparenza, ma anche continuità dei servizi, capacità che si assume violata, automaticamente, per effetto del dissesto. In quest’ottica il bilancio non è un atto, ma un ciclo, che si svolge in “processo” continuo, fortemente intriso dall’elemento temporale e collegato alla tutela di interessi finanziari adespoti: esso non si sviluppa linearmente secondo un inizio ed una fine, ma in modo ciclico, senza soluzione di continuità, tra rendicontazione e programmazione, per garantire, appunto, l’”inderogabile principio di continuità tra gli esercizi finanziari” (Corte costituzionale n. 274/2017 e n. 105/2019).

Il carattere pubblico del bilancio è infatti espressione delle diverse finalità cui tende un ente pubblico rispetto ad una azienda di diritto privato (cfr. in proposito la sentenza n. 18/2019): in primo luogo, la capacità del bilancio di rendere una trasparente rappresentazione degli equilibri di bilancio, in ragione della diretta connessione di tale strumento al principio dell’accountability e della responsabilità democratica (art. 1 Cost.), in secondo luogo, la necessità di assicurare la continuità dell’azione della pubblica amministrazione, per le precipue finalità di erogazione che contrassegnano gli enti pubblici, in termini di funzioni e servizi (il buon andamento, ai sensi dell’art. 97, comma 1Cost.).

Le continue omissioni di azioni correttive, documentate dalle delibere della Sezione regionale di controllo e valutate nel giudizio come “prove” di condotte omissive e positive dei doveri di diligenza, prudenza e perizia richieste ad un amministratore locale in quanto tale, sono esse stesse violazione del dovere di protezione verso tale bene pubblico.

I dati desumibili dalle predette deliberazioni di controllo non sono stati assunti acriticamente nell’area della giurisdizione e si è, perciò, evitata ogni forma di commistione e/o di sovrapposizioni tra i differenti punti di rilevanza ermeneutica e di valutazione delle norme e dei fatti che rilevano nell’attività di controllo rispetto a quelli che rilevano nell’attività giurisdizionale. La Procura Regionale (prima) ed il Giudice (dopo), invero, hanno riesaminato i fatti e gli elementi desumibili dalle ridette deliberazioni, in base ai canoni ed alle esigenze di sistema della responsabilità sanzionatoria. E ciò, sia per l’imputazione soggettiva della condotta illecita ai convenuti, sia per la ricostruzione del nesso di causalità tra il dissesto e le condotte addebitate e sia, infine, per l’accertamento dell’elemento psicologico di rilievo per l’affermazione della responsabilità da dissesto dei convenuti medesimi.

La pronuncia in riferimento, dopo alcune, opportune puntualizzazioni sugli aspetti salienti del rito per l’accertamento della responsabilità erariale sanzionatoria (maggiore speditezza e snellezza di forme rispetto al rito ordinario), quale previsto dal codice di giustizia contabile, è pervenuta infatti all’applicazione delle sanzioni pecuniarie (a cui accedono – in via del tutto conseguente – le misure interdittive di “stato”), di cui all’art. 248, comma 5, TUEL, nei confronti del sindaco e degli amministratori di un Comune, per il dissesto provocato all’Ente dalle loro condotte gravemente colpose.

Si ricorda che le sanzioni interdittive di “stato”, previste dal precitato articolo 248 TUEL, pur nell’identicità della loro natura (personale), si distinguono tra esse, perché pertengono:

a) la prima (ex art. 248, c. 5, primo periodo, TUEL), agli “amministratori” degli EE. LL. e si esprime in termini di incompatibilità dell’accertata responsabilità da dissesto con gli “incarichi di assessore, di revisore dei conti di enti locali e di rappresentante di enti locali presso altri enti, istituzioni ed organismi pubblici e privati”;

b) la seconda (art. 248, c. 5, secondo e terzo periodo, TUEL), ai sindaci ed ai presidenti di provincia e si esprime sia in termini di incandidabilità alle “cariche di sindaco, presidente della provincia, presidente della giunta regionale, nonché di membro dei consigli comunali, dei consigli provinciali, delle assemblee e dei consigli regionali, del Parlamento e del Parlamento europeo”, sia in termini di incompatibilità con la “carica di assessore comunale, provinciale o regionale” e con “alcuna carica in enti vigilati o partecipati da enti pubblici”.

Nel decreto è stato, infatti, evidenziato come l’originario testo dell’art. 248, c. 5, TUEL, che prevedeva solo la responsabilità risarcitoria e – in connessione con essa – la misura interdittiva di status, sia stato modificato dall’art. 3, c.1, lettera s) del d.l. n.174/2012 (convertito dalla l. n.213/2012), che ha introdotto anche la sanzione pecuniaria. Una simile innovazione ha consentito, nella pari dignità del giudizio risarcitorio e di quello sanzionatorio, assicurato dal codice di giustizia contabile, di rendere “indipendente dall’accertamento di una previa o concomitante responsabilità per danni” – ha precisato la Sezione Abruzzo – l’applicazione della misura pecuniaria e, complementarmente ad essa, quella personale di stato

Si ricorda, al riguardo, che fino all’entrata in vigore del codice di giustizia contabile, la dottrina, seguita dalle poche pronunce rese in proposito dalla giurisprudenza (v. sentenze nn. 247e 248/2013 della Sezione Giur. Campania e sent. n.67/2015 della Sez. Giur. Reg. Piemonte), aveva ritenuto che le sanzioni di status (ex art. 248, c. 5, TUEL) avessero natura “accessoria” rispetto alla responsabilità per danno erariale, così che esse potessero essere comminate solo a chi (sindaco, presidente della provincia e/o amministratori degli enti locali), con la propria condotta dannosa, avesse determinato il dissesto e fosse convenuto in giudizio per responsabilità risarcitoria.

Per contro, correttamente, il decreto della Sezione Abruzzo ha ricondotto la sanzione di status di cui al più volte citato art. 248, comma 5, TUEL all’accertamento anche della (sola) fattispecie astratta dell’illecito da sanzionare, così che essa ha assunto le connotazioni proprie di una misura complementare (anche) all’applicazione della (sola) sanzione pecuniaria prevista dal medesimo articolo (per il medesimo illecito), senza che si debba necessariamente instaurare (anche) un giudizio risarcitorio per il danno patrimoniale da disseto.

Altro profilo di interesse attiene alle puntualizzazioni sul nesso di causalità tra la condotta addebitata ai convenuti in responsabilità sanzionatoria ed il dissesto, rilevante ai fini dell’applicazione delle misure (pecuniarie e personali) previste dall’art. 248, c. 5, TUEL. Al riguardo, è stato correttamente chiarito che «lo squilibrio di un ente locale [è] la risultante di una serie di concause, riferibili a vari soggetti e a vari fattori, nel corso del tempo”, di talché, “consapevole di ciò, il legislatore […] ha richiesto il mero “contributo” causale degli amministratori [e] non certo la responsabilità esclusiva e neppure quella “preponderante”, ai fini della integrazione della fattispecie sanzionata».

Il terzo ed ultimo profilo di interesse, infine, attiene alle puntualizzazioni sulle metodiche di accertamento dell’elemento psicologo di rilievo nei confronti degli amministratori e del sindaco convenuti in responsabilità sanzionatoria da dissesto. Al riguardo, richiamando pregressa giurisprudenza, è stato correttamente evidenziato che, nei casi di atti propri degli amministratori degli enti locali, “il grado di colpa va rapportato allo sforzo di diligenza impiegato per formare una corretta rappresentazione dell’atto da adottare e delle circostanze entro cui esso si colloca, seguendone l’andamento in termini proporzionalmente inversi: quanto maggiore, cioè, è lo sforzo di diligenza dispiegato, tanto minore sarà il grado della colpa e viceversa”. In questa ottica, ha precisato la Sezione Abruzzo, gli amministratori che “votano una deliberazione di bilancio, cioè l’atto fondamentale della vita dell’ente, non possono invocare a loro discolpa la buona fede, ma devono dimostrare di aver essi stessi, nell’esercizio dei loro poteri-doveri di approfondimento […], stimolato interventi appropriati per acquisire tutti gli elementi necessari per valutare adeguatamente la situazione finanziaria dell’ente”. In sostanza, per gli atti propri degli “organi politici”, nella responsabilità sanzionatoria da dissesto non è possibile invocare la “buona fede” di cui all’art. 1, comma 1-ter, secondo periodo, della l. n.20/1994, nel testo sostituito dall’art. 3, c.1, della l. n.639/1996.

È peraltro evidente che la consistenza del contributo causale al verificarsi del dissesto può costituire anche uno dei parametri di graduazione della misura della sanzione pecuniaria da applicare in concreto, tra il minimo ed il massimo edittale previsto dall’art. 284, c.5, TUEL, insieme ad altri elementi, come quello attinente allo stato psicologico che ha caratterizzato l’addebitata condotta, effettivamente considerato (quest’ultimo) dalla Sezione Abruzzo per la determinazione della sanzione applicata con il decreto in riferimento.

È appena il caso di notare che la sanzione interdittiva di status, invece, non è graduabile ed il fatto che sia stata concretamente comminata con il predetto decreto apre ora, per la prima volta, al problema della sua effettività. L’ordinamento giuscontabile sembra che non offra soluzioni in proposito, non altrimenti rinvenibili neanche nelle disposizioni del d.lgs. n. 235/2012, con il quale è stato approvato il “T.U. delle disposizioni in materia di incandidabilità e di divieto di ricoprire cariche elettive e di Governo conseguenti a sentenze definitive di condanna per delitti non colposi, a norma dell’art. 1, c. 63, della l. n.190/2012”. In via del tutto logico-consequenziale, sembra ragionevole ritenere che le pronunce giudiziali della magistratura contabile che accertano e condannano per responsabilità (sanzionatoria e/o risarcitoria) da dissesto debbano essere comunicate (a cura del P.M.) sia all’Ente al quale il dissesto stesso si riferisce, sia alla Prefettura territorialmente competente, anche per le eventuali ulteriori comunicazioni al Ministero dell’Interno, secondo le indicazioni che emergono in proposito dal precitato d.lgs. n. 235/2012, in relazione anche ad eventuali, possibili dichiarazioni sostitutive degli interessati, che attestino l’insussistenza delle condizioni di incandidabilità senza tuttavia tener conto della predetta, accertata responsabilità da dissesto.

In conclusione, la pronuncia è un caso paradigmatico di evidenza della connessione tra funzione controllo e giurisdizionale, coessenziali l’uno all’altra, attraverso il bene giuridico tutelato.

Entrambe le funzioni costituiscono forme di tutela, nel senso che assicurano prima certezza e poi effettività al diritto sul bilancio ed al suo equlibrio, come strumento di garanzia di funzioni e servizi essenziali per lo svolgimento e la qualità della vita organizzata della comunità territoriale.

Per tale ragione è necessario un giudice del bilancio e l’integrazione delle funzioni , dove quella di controllo viene vista come il primo step di garanzia della certezza ed effettività del diritto (art. 100 comma 2 Cost., art. 20 della L. n. 243/2012). Quella della tutela degli equilibri di bilancio e del bilancio come “bene pubblico” che costituisce infatti una materia di contabilità pubblica (art. 103 comma 2 Cost,) attribuita direttamente dalla Corte, dall’art. 100 comma 2 Cost., senza interpositio legislatoris. Il giudizio e l’accertamento contabile, di legittimità regolarità, assicura la certezza del diritto del bilancio e costituisce la garanzia degli interessi adesposti alla informazione corretta sui risultati della gestione e alla funzionalità del bilancio rispetto agli obiettivi fissati dalla legge nei limiti tracciati dalla Costituzione.

In quest’ottica, gli illeciti contabili che la Corte generalmente accerta e sui cui ha giurisdizione e controllo sono “illeciti di evento”, nel senso che devono produrre una lesione del precetto dell’equilibrio, alterando la rappresentazione del bilancio e l’effettiva capacità di sostenere costi e prese. In altri casi la legge affida alla Corte la giurisdizione su veri e propri “illeciti di condotta”, ossia la violazione di taluni parametri che arrecano di per sé un sicuro danno all’equilibrio e alla sostenibilità del ciclo di bilancio (artt. 81 e 97 Cost)[2].

Tali illeciti di condotta (fermo restando l’evento in senso giuridico della lesione del bene pubblico bilancio), nella fattispecie del controllo di cui all’art. 1 comma 3 del D.L. n. 174/2012, ad esempio, coincidono con la violazione “degli obiettivi annuali posti dal patto di stabilità interno”, con l’inosservanza “del vincolo previsto in materia di indebitamento dall’articolo 119, sesto comma, della Costituzione”.

Fattispecie, per cui, non a caso, è previsto un apposito corredo sanzionatorio in termini di responsabilità sanzionatoria (art. 30, comma 15, l. n. 289/ 2002[3]; art. 1, comma 727, l. n. 208/2015[4])

  1. In dottrina, più recentemente, si sta facendo strada l’idea di rapportare il sistema sanzionatorio giuscontabile non tanto al “diritto punitivo”, quanto al “diritto della prevenzione”, laddove il bene-valore da salvaguardare è costituito dall’ “equilibrio di bilancio”, da intendere come la più rilevante delle qualità intrinseche del bilancio stesso, ad esso ontologicamente correlata. Cfr. F.M. Longavita “Il divieto del ne bis in idem e la responsabilità erariale”, in Bilancio Comunità Persona – Numero 1 -Maggio 2019 – Diritto & Conti
  2. In verità la struttura di illecito di condotta è solo apparente, perché l’evento c’è sempre ed è misurabile in una alterazione illegittima dell’equilibrio.
  3. «Qualora gli enti territoriali ricorrano all’indebitamento per finanziare spese diverse da quelle di investimento, in violazione dell’articolo 119 della Costituzione, i relativi atti e contratti sono nulli. Le sezioni giurisdizionali regionali della Corte dei conti possono irrogare agli amministratori, che hanno assunto la relativa delibera, la condanna ad una sanzione pecuniaria pari ad un minimo di cinque e fino ad un massimo di venti volte l’indennità di carica percepita al momento di commissione della violazione».
  4. «Qualora le sezioni giurisdizionali regionali della Corte dei conti accertino che il rispetto delle regole [sul patto di stabilità] è stato artificiosamente conseguito mediante una non corretta applicazione dei principi contabili di cui al decreto legislativo 23 giugno 2011, n. 118, o altre forme elusive, le stesse irrogano, agli amministratori che hanno posto in essere atti elusivi delle predette regole, la condanna ad una sanzione pecuniaria fino a un massimo di dieci volte l’indennità di carica percepita al momento di commissione dell’elusione e, al responsabile amministrativo individuato dalla sezione giurisdizionale regionale della Corte dei conti, una sanzione pecuniaria fino a tre mensilità del trattamento retributivo, al netto degli oneri fiscali e previdenziali. Gli importi di cui al periodo precedente sono acquisiti al bilancio dell’ente».

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