No alla consulenza sul piano anticorruzione.

La sezione Giurisdizionale Lazio condanna dirigente che aveva richiesto una consulenza per la mappatura dei rischi anticorruzione.

Nella sentenza in rassegna (sezione Lazio n.      del 4 maggio 2018) .viene riconosciuta la responsabilità del Segretario generale di un I.p.a.b. per aver conferito una consulenza, in dispregio delle norme statutarie che attribuivano tale competenza al Consiglio di amministrazione dell’Ente e al disposto dell’art. dell’art.1, comma 8 della legge 190/2012 che prevede il divieto di redigere il piano anticorruzione da parte di soggetti esterni. Ai fini del riconoscimento della predetta responsabilità amministrativa appaiono significativi, in particolare, due diversi passaggi motivazionali.

In primo luogo, rileva la qualificabilità dell’incarico come ‘di consulenza’, in quanto il riconoscimento, di contro, della natura di appalto di servizi, con importo peraltro sotto-soglia, non avrebbe determinato la predetta violazione dello Statuto dell’Ente. Ai fini della riconducibilità dell’incarico nel genus consulenza la sentenza fa applicazione dei criteri più volti ribaditi dalla giurisprudenza della Corte dei Conti, ovvero in via esemplificativa: “il confine fra contratto d’opera intellettuale (artt. 2222 e 2229 del codice civile) e contratto d’appalto di servizi (art. 1665 del codice civile) è individuabile, in base al codice civile, nel carattere personale o intellettuale delle prestazioni, nel primo caso, e nella natura imprenditoriale del soggetto esecutore, nel secondo. L’appalto di servizi, pur presentando elementi di affinità con il contratto d’opera (autonomia rispetto al committente), si differenzia da quest’ultimo in ordine al profilo dell’organizzazione, atteso che l’appaltatore esegue la prestazione con mezzi e personale che fanno ritenere sussistente, assieme al requisito della gestione a proprio rischio, la qualità di imprenditore commerciale (art. 2195 cod. civ.). Il prestatore d’opera, di converso, pur avendo anch’egli l’obbligo di compiere, dietro corrispettivo, un servizio a favore del committente, senza vincolo di subordinazione e con assunzione del relativo rischio, si obbliga ad eseguirlo con lavoro prevalentemente proprio, senza una necessaria organizzazione” (ex plurimis Sez. reg. controllo Lombardia n. 162/2016/PAR).

In secondo luogo, viene in evidenza l’oggetto stesso dell’incarico, relativo alla “mappatura dei rischi”. La sentenza mette, infatti, chiaramente in evidenza come tale analisi è un aspetto fondamentale del piano anticorruzione e ne costituisce una delle componenti più significative , con la conseguente violazione del disposto dell’art.1, comma 8 della legge 190/2012, che prevede il divieto di redigere il predetto piano da parte di soggetti esterni.

MASSIMA E SENTENZA

Sezione giurisdizionale per la Regione Lazio; sentenza 4 maggio 2018; Pres. Maggi, Est. d’Ambrosio. D.lgs. 18 agosto 2000 n. 267, artt. 107; L. 6 novembre 2012, n. 190, art. 1, co.8.

Risponde di danno erariale il segretario generale di un I.P.A.B., che abbia conferito un incarico di consulenza per la redazione del piano anticorruzione ad una società esterna priva di competenza, contravvenendo alle previsioni statutarie dell’ente e della l. n. 190/2012 che espressamente esclude che tali attività possano essere svolte da soggetti terzi rispetto all’amministrazione.

La consulenza, assimilabile al contratto d’opera intellettuale disciplinato dagli artt. 2222 e seguenti c.c., si differenzia dal contratto di appalto, in quanto ricomprende l’esecuzione di una prestazione frutto dell’elaborazione concettuale e professionale di un soggetto competente nello specifico settore di riferimento, senza vincolo di subordinazione e in condizioni di assoluta indipendenza.

[Responsabilità amministrativa e contabile – Amministratore di un ente pubblico – IPAB – Conferimento di un incarico di consulenza – Assenza di presupposti – Danno erariale – Sussistenza – Quantificazione]

Premesso

La procura cita la convenuta M. C. perché, nella sua qualità di Segretario generale della I.P.A.B. Z (di seguito Z), avrebbe illecitamente assegnato un contratto di consulenza e servizi alla società XY Global Service S.p.A, riguardante l’analisi dei rischi per l’attuazione della legge 190/2012, procedendo a pagare, con successivi 4 mandati in atti, la somma di 48.400 euro. Riferisce la procura che la convenuta, con determina dirigenziale n. 119 del 12 aprile 2013, attribuiva alla società citata l’incarico di svolgere l’attività di Risk Analysis e Risk Assesment per l’ente, stabilendo un compenso di 40.000 euro più IVA. Tale conferimento di incarico risulterebbe in violazione delle previsioni statutarie dell’ente che all’art. 12 dello statuto prevede la competenza del C. di A. per il conferimento di incarichi. Inoltre, l’art. 1, comma 8 della legge 190/2012 espressamente esclude che tali attività possano essere svolte da soggetti terzi rispetto all’amministrazione. Ne consegue che la Sig.ra C. ha operato contravvenendo disposizioni interne (statuto dell’ente) e disposizioni legislative, tra l’altro assegnando il contratto ad una società che non aveva le competenze specifiche per lo svolgimento dell’incarico, essendo la stessa principalmente una società di “trasporto cose per soggetti terzi”. La stessa ditta, per altro, è risultata titolare di numerosi altri incarichi presso la Z (servizio di pulizie, implementazione sistemi di sicurezza, etc.). Conclude la procura chiedendo la condanna a titolo di dolo, o in via subordinata di colpa grave, della convenuta al risarcimento di euro 48.400 oltre a rivalutazione dal momento dei singoli pagamenti. Si è costituita la difesa eccependo che l’assegnazione di tale tipo di incarico rientrava pienamente nelle competenze del Segretario generale, posto che lo stesso è preposto alla struttura organizzativa ed alla gestione dell’ente. L’assunto fondante della citazione, perciò, è erroneo. L’attività esercitata è tipica di un organo gestionale e non si rinvengono motivazioni per cui la stessa dovrebbe, invece, essere svolta dall’organo di indirizzo quale è il consiglio di amministrazione. Nel caso di specie, poi, trattandosi di un appalto di servizi il SG era pienamente competente alla sua assegnazione. Infatti, l’assegnatario dell’incarico ha una sua organizzazione economica di impresa e il relativo contratto non può qualificarsi come contratto di consulenza ma appalto di servizi. Sul punto del perimetro dell’affidamento, con riferimento alla previsione che tali attività non possono essere affidate all’esterno, la difesa rileva che quanto richiesto alla ditta non era la redazione del piano anticorruzione, ma una attività propedeutica e di studio finalizzata alla redazione degli atti di attuazione della legge 190. Infatti, il piano triennale di prevenzione della corruzione è stato predisposto dal SG e regolarmente presentato al C. di A. per l’approvazione avvenuta poi nella seduta del 31 gennaio 2014. Del resto, la stessa ANAC con la determina n.72/2013 ha ritenuto del tutto legittimo l’avvalersi di soggetti esterni per individuare le informazioni e i dati rilevanti alla redazione del piano anticorruzione. Infatti, anche successivamente, le stesse attività sono state affidate all’esterno a soggetti terzi dal SG subentrato (dott. Basile). Inoltre, la società affidataria ha garantito un elevato apporto di professionalità specifiche con evidente vantaggio dell’ente stesso. Quanto alle competenze della società, la stessa è dotata di strutture e risorse specializzate per l’assolvimento di tali complesse competenze e non si tratta, come affermato dalla procura, di una società di facchinaggio. Infatti, la società è in grado di fornire servizi integrati, in cui il trasporto è solo una delle componenti, ed in particolare ha specifiche competenze in materia di Risk management. Infine, con riferimento all’elemento soggettivo non si rinviene alcuna prova della colpa grave della convenuta la quale, con diligenza e puntualità, ha espletato i compiti a lei affidati. (omissis)

Diritto

La domanda di cui alla citazione deve essere accolta.

Emerge, infatti, dagli atti depositati che la dirigente ha operato con negligenza, disprezzo delle più elementari norme di legge e delle regole specifiche sulla disciplina dell’anticorruzione, con questo causando un danno all’ente di cui era Segretario Generale.

In primo luogo, occorre osservare che la convenuta ha disapplicato lo statuto dell’ente effettuando la procedura di assegnazione di un contratto senza la prevista delega di competenza. Infatti, lo statuto dell’Z prevedeva che fosse competenza del Consiglio di Amministrazione l’assegnazione di incarichi e la stipulazione dei contratti sulla base delle deliberazioni che ne determinano i contenuti. La difesa afferma che, nel caso di specie, si trattava di un appalto di servizi e, pertanto, essendo sotto-soglia comunitaria era di competenza del Segretario generale. Inoltre, si tratterebbe di un atto gestionale sempre di competenza del SG.

Questa ricostruzione non convince.

In primo luogo, è la stessa convenuta, nella determina di assegnazione (119/2013), a qualificare il contratto come “incarico”. Il fatto che fossero impegnate diverse persone non appare rilevante ai fini dell’individuazione della causa del contratto. Infatti, è la stessa convenuta che, nella determina, definisce tale assetto organizzativo prevedendo una spesa di euro 2500 al giorno oltre a IVA e l’impiego di 2/3 persone per ogni giorno di attività. Inoltre, non emerge in nessun modo che si tratti di un appalto di servizi né viene richiamata la relativa disciplina nella parte motiva della determina.

Sul tema della qualificazione dei contratti di consulenza rispetto agli appalti di servizi, ad avviso della giurisprudenza (C. di S. 2760/2012), occorre valutare l’aspetto organizzativo e la natura imprenditoriale dell’attività. Deve essere ritenuto elemento qualificante dell’appalto di servizi, oltre alla complessità dell’oggetto e alla predeterminazione della durata, il fatto che l’affidatario del servizio necessiti, per l’espletamento dello stesso, di apprestare una specifica organizzazione finalizzata a soddisfare i bisogni dell’ente. Nel caso di specie, nel quale peraltro non si ravvisa una particolare complessità, l’organizzazione viene pienamente definita in sede di contratto dalla stessa C., la durata è solo genericamente determinata e non è specificato quale sia l’oggetto del “servizio”.

Come sostenuto anche da Corte Conti, Sez. Controllo Lombardia n. 178/2014, “la consulenza nell’accezione che qui rileva (rectius la collaborazione autonoma) è assimilata al contratto d’opera intellettuale, artistica o artigiana, disciplinato dagli artt. 2222 e seguenti del codice civile (…). Tale tipo negoziale ricomprende l’esecuzione di una prestazione frutto dell’elaborazione concettuale e professionale di un soggetto competente nello specifico settore di riferimento, senza vincolo di subordinazione e in condizioni di assoluta indipendenza. Nel contratto d’opera la prestazione richiesta può assumere tanto i connotati di un’obbligazione di mezzi (ad es. un parere, una valutazione o una stima peritale), quanto i caratteri dell’obbligazione di risultato (ad es. la realizzazione di uno spartito musicale, o di un’opera artistica di particolare pregio). Nel contratto di appalto, l’esecutore si obbliga, nei confronti del committente, al compimento di un’opera o di un servizio verso un corrispettivo in danaro, con organizzazione dei mezzi necessari (di tipo imprenditoriale) e con assunzione in proprio del rischio di esecuzione della prestazione (art. 1655 c.c.).

Nel caso in esame appare certamente determinante l’aspetto di consulenza, rispetto a quello dell’organizzazione imprenditoriale dei mezzi. In ultima analisi l’incarico consiste nella redazione di una perizia di valutazione dei rischi, prestazione assimilabile ad una consulenza o contratto d’opera piuttosto che ad un appalto. Invece, appare impossibile individuare, nel rapporto contrattuale con la XY Gloabal service S.p.A., gli elementi della fornitura di servizio.

In ogni caso, sulla base dello statuto dell’ente, l’appalto avrebbe dovuto essere riversato in un contratto, la cui stipula risultava di competenza del C. di A.. La convenuta, invece, ha agito autonomamente con ciò qualificando l’attività come diversa da un appalto di servizi. Per l’attribuzione di tale incarico di consulenza, pertanto, la C. avrebbe dovuto rimettere la decisione al C. di A. e, nel caso avesse ritenuto di affidare un appalto di servizi, avrebbe dovuto trasmettere la determina al C. di A. per riversarne i contenuti nel contratto. Invece, non ha fatto nessuna delle due cose: in realtà ha trattenuto tutta l’attività presso di sé ed agito in totale autonomia contravvenendo alle disposizioni interne. La motivazione di tale agire sarebbe, sulla base di quanto affermato in sede di audizione e riportato anche negli scritti difensivi, la necessità di disapplicare uno statuto illegittimo che non definiva in modo compiuto una separazione tra atti di indirizzo e atti di amministrazione.

Quanto a quest’ultimo punto, e cioè la disapplicazione dello statuto perché non rispondente alle norme del d.lgs. 267/2000, questa ricostruzione non convince. In termini generali la distinzione tra politica ed amministrazione, introdotta per gli enti locali dal d.lgs. 267/2000, per gli enti come le IPAB, deve essere riportata nello statuto dell’ente; quest’ultimo, peraltro, certamente, non può essere disapplicato solo in ragione del mutato quadro legislativo. Inoltre, la stessa distinzione tra atti gestionali e atti politici è meno netta di quanto prospettato nella ricostruzione della difesa e valida per le pubbliche amministrazioni di cui al d.lgs. 165/2001. Ad esempio, l’art. 107 del d.lgs. 267/2000, citato espressamente nella determina in esame da parte della convenuta, stabilisce che: “Spettano ai dirigenti tutti i compiti, compresa l’adozione degli atti e provvedimenti amministrativi che impegnano l’amministrazione verso l’esterno, non ricompresi espressamente dalla legge o dallo statuto tra le funzioni di indirizzo e controllo politico-amministrativo degli organi di governo dell’ente o non rientranti tra le funzioni del segretario o del direttore generale, di cui rispettivamente agli articoli 97 e 108”. Anche i citati articolo 97 e 108 rinviano allo statuto per la definizione dei compiti degli organi di vertice della struttura amministrativa (Segretario generale o Direttore Generale). In sostanza, la C., nella determina in esame, cita una norma che fa espresso riferimento allo statuto per la definizione delle competenze, in sede di contestazione, però, afferma di aver voluto disapplicare lo statuto stesso. Tale ricostruzione del quadro decisionale non emerge affatto dalla determina in questione. Né, del resto, la convenuta ha potuto dimostrare di aver esplicitato tale sua posizione al C. di A. o di aver  intrapreso iniziative per l’aggiornamento dello statuto che, invece, ha ritenuto di disapplicare.

Si deve ritenere che, in assenza di una modifica statutaria, non sia possibile procedere con la mera disapplicazione dello statuto, che resta legge interna vigente sino al suo superamento, salvo che la legge non sia esplicita con riferimento alla eventuale decadenza di previsioni illegittime.

Tra l’altro, è discutibile che la decisione di affidare all’esterno l’attività di risk analysis sia una decisione di carattere esclusivamente “gestionale”. La stessa, infatti, ha anche un contenuto strategico e tale scelta avrebbe dovuto trovare una specifica indicazione nelle linee di indirizzo date dal C. di A..

La decisione, quindi, di procedere all’affidamento alla XY Global Service S.p.A. risulta illegittima ai sensi dello statuto vigente e non supportata da diverse previsioni di carattere regolamentare o di indirizzo.

Per quanto poi attiene alla scelta di far effettuare l’analisi del rischio all’esterno da soggetto terzo, essa appare in contraddizione con la norma dell’art.1, comma 8 della legge 190/2012 che prevede il divieto di redigere il piano anticorruzione da parte di soggetti esterni. Non convince l’affermazione della difesa che la mappatura del rischio sarebbe un elemento prodromico alla redazione del piano. Infatti, l’analisi dei rischi è un aspetto fondamentale del piano stesso e ne costituisce una delle componenti più significative, secondo quanto previsto dall’ANAC nei propri modelli.

D’altra parte, non può escludersi, in linea di principio, che una parte della mappatura dei rischi possa essere oggetto di affidamento a terzi, ma ciò potrà avvenire quando la struttura di cui devono essere valutati i rischi sia molto complessa, particolarmente grande, ad esempio in termini di estensione territoriale, o soggetta a processi di notevole complessità. Nel caso in esame non solo non si ritengono configurabili queste caratteristiche, ma non vi è nessuna indicazione nella parte motiva della delibera che giustifichi la scelta di rivolgersi ad un soggetto estraneo all’amministrazione. Né sembra essere una significativa esimente il fatto che anche il Segretario Generale successivo si sia avvalso di soggetti esterni per la redazione dell’analisi del rischio. In disparte il fatto che non si conosce il processo decisionale che ha portato a quella decisione, si ribadisce che l’affidamento non può ritenersi in linea di principio escluso, ma le motivazioni di tale decisione dovrebbero avere evidenza nella delibera, e, inoltre, trattandosi di decisione di carattere strategico più che gestionale, ciò avrebbe dovuto comportare anche un coinvolgimento dell’organo politico dell’ente.

Del resto, non si rinviene negli atti neppure l’indicazione dell’assenza di personale interno adeguato per lo svolgimento dell’attività in esame, attività che, non essendo occasionale ma continuativa, avrebbe richiesto, quanto meno, l’affiancamento a fini formativi di personale interno con il soggetto esterno preposto alla prima redazione della perizia. Di tutto ciò, si ribadisce, non vi è traccia nel processo decisionale esposto dalla convenuta nella propria determina.

Infine, non si può sottacere la constatazione che la società prescelta svolgeva numerosi altri incarichi per l’ente, tra cui pulizie, facchinaggio, vigilanza e non sembra avere alcuna specifica specializzazione nella materia dell’analisi del rischio. Si condivide con la difesa che oggetto della citazione non è il processo di selezione ma la decisione, reputata illegittima, di avvalersi di un soggetto esterno, tuttavia, anche il fatto che la XY Global Service S.p.A. venga indicata per più incarichi, tutti singolarmente presi di entità inferiore alle soglie comunitarie, ma complessivamente molto numerosi, è indicativo di un modus operandi della convenuta che non è indirizzato a prudenza, diligenza e attenzione nella spesa del denaro dell’ente.

Nel complesso, quindi, emerge dal comportamento della C. una grave superficialità e negligenza, il disprezzo e l’ignoranza delle regole che disciplinano sia l’attività di affidamento di incarichi sia la normativa per l’anticorruzione. La convenuta deve perciò rispondere del danno arrecato all’ente con l’affidamento di tale incarico.

Quanto alla quantificazione del danno la difesa afferma che l’incarico ha avuto un’utilità per l’ente in funzione della redazione del piano anticorruzione da parte della dirigente. In realtà, si può ritenere che l’unica ad aver beneficiato dei risultati dell’analisi del rischio sia stata proprio la C. che se ne è avvalsa per la redazione del piano anticorruzione e che, altrimenti, avrebbe dovuto organizzare diversamente l’analisi del rischio. Non è possibile, perciò, considerare questo un vantaggio dell’ente che non ha avuto alcun beneficio diretto, ma, anzi, ha subito una spesa non dovuta, né, d’altra parte, la difesa è in grado di quantificare l’eventuale risparmio o vantaggio.

Per contro, si potrebbe persino ritenere che l’ente abbia subito un ulteriore danno che riguarda la citata mancata formazione del personale interno per la redazione delle future analisi dei rischi. In ogni caso, non si può ravvisare in una spesa inutile e priva di basi giuridiche alcuna utilità per l’ente che la subisce.

P.q.m., la Corte dei Conti – Sezione Giurisdizionale per la Regione Lazio, definitivamente pronunciando, ogni contraria istanza ed eccezione reiette CONDANNA M. C. a risarcire la somma di euro 48.400,00 (quarantottomilaquattrocento/00) in favore dell’IPAB Istituti Santa Maria d’Aquino Z oltre a rivalutazione dalle date dei singoli mandati di pagamento e interessi dal deposito della sentenza al soddisfo.

Condanna al pagamento delle spese di giudizio che si liquidano in euro 380,07 (trecentottanta/07).

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