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La magmaticità degli “scudi” della responsabilità dei funzionari pubblici: la fragilità dell’abuso d’ufficio e la chimera della temporaneità dello “scudo erariale”

21/11/23 Emanuela Andreis

di Emanuela Andreis, Dottoranda in Diritti e Istituzioni, Università degli Studi di Torino

1. La limitazione della responsabilità penale ed erariale dei funzionari pubblici nel Decreto “Semplificazioni” – 2. Criticità – 2.1. Il fine giustifica il mezzo? Il Decreto Semplificazioni “salvo intese” e la sentenza della Corte costituzionale n. 8 del 2022. – 2.2. La riforma dell’abuso d’ufficio: l’inarrestabile tensione tra legislatore e giurisprudenza. – 2.3 L’attenuazione – temporanea? – della responsabilità erariale – 3. Considerazioni conclusive in tema di burocrazia difensiva ed eventuali antidoti alternativi.

Abstract

Il contributo esamina congiuntamente i due “scudi” della responsabilità – penale ed erariale – dei funzionari pubblici introdotti con il cd. “Decreto Semplificazioni”, approfondendo le ragioni della loro introduzione e le criticità emerse a distanza di tre anni per coglierne i punti di contatto.

Se da un lato lo scudo penale – la riforma dell’abuso d’ufficio – si proponeva, nelle intenzioni del legislatore dell’emergenza da Covid-19, quale intervento definitivo, da altro lato lo scudo erariale – la limitazione dell’elemento soggettivo al dolo, con l’esclusione della colpa grave, negli illeciti erariali commissivi – è stata introdotta come misura temporanea. Eppure, a distanza di tre anni da tali interventi, si assiste ad una inarrestabile tensione tra legislatore e giurisprudenza e a molteplici disegni di legge che propongono la riformulazione o la definitiva abrogazione dell’abuso d’ufficio. Per quanto concerne il versante amministrativo-contabile, le tre proroghe che già si sono susseguite fanno legittimamente dubitare (non senza perplessità) della temporaneità dello scudo erariale.

Il contributo evidenzia inoltre il cambio di paradigma da una de-responsabilizzazione degli amministratori alla contestuale opposta responsabilizzazione degli amministrati, prospetta eventuali antidoti alternativi al fenomeno della cd. “burocrazia difensiva” e auspica una più sinergica integrazione tra i due settori dell’ordinamento, quello amministrativo e penale, nei contesti in cui essi vengono inevitabilmente a sovrapporsi.

The contribution jointly examines the two ‘shields’ of liability – criminal and administrative-accounting – of public officials introduced with the so-called ‘Simplification Decree’, analyzing the reasons for their introduction and the criticalities that have emerged after three years to grasp their points of contact.

If, on the one hand, the criminal shield – the reform of abuse of office – was intended, in the aim of the legislator during the Covid-19 emergency, as a definitive intervention, on the other hand, the administrative-accounting shield – the limitation of the subjective element to wilful misconduct, with the exclusion of gross negligence, in the commission of administrative-accounting offences – was introduced as a temporary measure. Yet three years after these interventions, we witness an unrelenting tension between legislature and jurisprudence and multiple bills proposing the reformulation or definitive repeal of abuse of office. As regards the administrative-accounting side, the three extensions that have already followed each other make legitimately doubt (not without perplexity) the temporariness of the administrative-accounting shield.

The contribution also highlights the paradigm shift from a de-accountability of administrators to the opposite accountability of those who are administered, proposes possible alternative antidotes to the phenomenon of the so-called ‘defensive bureaucracy’ and advocates a more synergic integration between the two sectors of the legal system, the administrative and the criminal, in the contexts in which they inevitably overlap.

1. La limitazione della responsabilità penale ed erariale dei funzionari pubblici nel Decreto “Semplificazioni”

L’inedita situazione emergenziale che ha colpito il nostro Paese dai primi mesi del 2020 ha imposto l’adozione di una serie di provvedimenti che hanno comportato un inevitabile bilanciamento tra contrapposti diritti, anche fondamentali, e principi del nostro ordinamento.

L’alluvionale ed eterogeneo susseguirsi di interventi legislativi ha per un verso determinato un fenomeno di espansione degli spazi presidiati dal diritto penale[1], suscitando anche forti tensioni rispetto alla compatibilità con il principio di legalità[2]; per altro verso si è registrata una parallela ed opposta esigenza di contrazione della responsabilità di quei soggetti maggiormente coinvolti dalla situazione emergenziale, sia nella quotidiana lotta al virus[3], sia nella ripartenza del Paese.

Sono così state introdotte significative forme di limitazione della responsabilità[4] che hanno circoscritto fattispecie ritenute troppo ampie, ristretto il controllo amministrativo contabile sia pure per periodi limitati nel tempo e introdotto eccezionali cause di non punibilità per proteggere quei soggetti coinvolti in prima linea nella lotta alla pandemia[5]. Tali interventi hanno trovato giustificazione comune nella necessità di risolvere o prevenire fenomeni per così dire “difensivi”: come si è cercato di limitare la responsabilità degli amministratori pubblici per superare la cosiddetta “burocrazia difensiva”[6], così è stato previsto uno “scudo penale” per evitare il ripresentarsi di fenomeni di “medicina difensiva”[7].

Il d.l. 16 luglio 2020, n. 76, convertito dalla legge 11 settembre 2020, n. 120, presentato con il motto “funzionari pubblici: basta paura, conviene sbloccare”[8], ha avviato una piccola rivoluzione sul versante della responsabilità erariale[9] e penale degli amministratori pubblici.

Tale provvedimento contiene una serie di interventi di natura eterogenea volti a fronteggiare le ricadute economiche conseguenti all’emergenza epidemiologica con misure urgenti per la semplificazione e l’innovazione tecnologica[10], che hanno coinvolto, tra gli altri, il codice degli appalti (nella ormai previgente formulazione)[11], il T.U. edilizia[12] e la legge sul procedimento amministrativo[13]. Da ciò la denominazione “Decreto Semplificazioni”, in quanto la ratio che ha permeato tale intervento è stata l’esigenza di snellire l’attività amministrativa, da sempre avvertita e quanto mai amplificata dalla situazione emergenziale e dalla conseguente necessità di “ripresa e resilienza”.

Come è noto, l’art. 21 è intervenuto sulla responsabilità dei soggetti sottoposti al controllo della Corte dei conti modificando l’art.1, comma 1, della l. n. 20 del 1994, in due direzioni.

In primo luogo, è stato espressamente imposto un nuovo e più gravoso onere della prova a carico del P.M. contabile, che rende ora particolarmente difficile il pieno accertamento della responsabilità erariale del pubblico funzionario: è infatti richiesta la “dimostrazione della volontà dell’evento dannoso”, superando l’orientamento giurisprudenziale della Corte dei conti che riteneva la necessità di dimostrare il dolo unicamente con riguardo alla condotta e non all’evento[14].

In secondo luogo, è stato introdotto un regime – seppur, dichiaratamente, transitorio[15] – che circoscrive il campo applicativo della responsabilità erariale ai soli danni “dolosamente voluti” e cagionati da “condotte attive”, con la conseguenza che il pubblico agente non è più chiamato a rispondere per colpa grave nel caso di condotta attiva. La limitazione di responsabilità, precisa la norma, non si applica invece ai danni cagionati da omissione o inerzia del soggetto agente, che continuerà a rispondere sia a titolo di dolo, sia di colpa grave. Sono dunque previsti “più rischi per il funzionario che tiene fermi procedimenti e opere, non per quello che li sblocca”[16].

L’art. 23 ha invece apportato significative modifiche alla fattispecie dell’abuso di ufficio disciplinata all’art. 323 c.p., delimitandone ulteriormente i più volte ritoccati confini. Con il fine di escludere definitivamente il rischio dell’invasione del sindacato penale nell’attività amministrativa, il legislatore ha modificato la prima condotta descritta dalla fattispecie, sostituendo la violazione di “norme di legge o di regolamento” con quella di “specifiche regole di condotta espressamente previste dalla legge o da atti aventi forza di legge e dalle quali non residuino margini di discrezionalità”.

Come è noto, la responsabilità penale dei funzionari pubblici differisce da quella amministrativo-contabile per natura, presupposti, ambito di applicazione e modalità di accertamento. Ciò nonostante, è opportuno esaminare congiuntamente gli interventi introdotti con il Decreto Semplificazioni del 2020 in quanto adottati nel comune intento di fornire ai funzionari pubblici degli scudi che gli permettano di difendersi dal rischio di incorrere in tali responsabilità per vincere la “paura della firma” che in qualche modo ingenera quel “problema vecchio e permanente ma, al tempo stesso nuovo e urgente”[17] della burocrazia difensiva.

L’esame congiunto dei due “scudi” appare particolarmente utile per coglierne analogie e differenze sia nel momento istitutivo che nella loro evoluzione. Ed infatti, mentre la deresponsabilizzazione sul piano amministrativo contabile è stata introdotta dal legislatore emergenziale come una “riforma a tempo”, a differenza della modifica dell’abuso di ufficio che si proponeva come definitiva, ora, a distanza di tre anni, è lecito dubitare della temporaneità del primo intervento, tenuto conto delle tre proroghe che già si sono susseguite e che hanno da ultimo fissato il termine al 30 giugno 2024, così come sono evidenti le perplessità circa la stabilità della richiamata fattispecie penale, stanti i numerosi disegni di legge che ne hanno proposto ulteriore revisione o definitiva abrogazione.

2. Criticità

2.1. Il fine giustifica il mezzo? Il Decreto Semplificazioni (“salvo intese”) e la sentenza della Corte costituzionale n. 8 del 2022

Per incidere su tali responsabilità è stato utilizzato un decreto-legge, eterogeneo nelle sue disposizioni, emanato in assenza di un accordo tra le forze di maggioranza e all’interno del Consiglio dei ministri, con la formula “salvo intese”.

La scelta di tale strumento impone riflessioni in merito alla legittimità costituzionale, con particolare riferimento all’art. 77 Cost.

Questo, in primo luogo, per la riforma dell’abuso d’ufficio, che comporta verifiche sul rispetto del principio di legalità e di riserva di legge in materia penale. Il tema evidenzia – ancora una volta – il progressivo declino del monopolio delle scelte politico-criminali affidato ex art. 25, co. 2 Cost. al Parlamento, a favore di un – forse eccessivo – ricorso alla decretazione d’urgenza[18], che desta quanto meno preoccupazioni nella ormai frequente prassi dell’approvazione di riforme “salvo intese”.

Tale formula si riferisce ad un fenomeno dalle origini risalenti, la cui dubbia legittimità costituzionale è stata in più occasioni evidenziata[19]. In tempi recenti tale modalità ha trovato ampia applicazione, disvelando le potenzialità distorsive dell’attività normativa dell’esecutivo ove in sede di Consiglio dei ministri si raggiunga soltanto un accordo politico di principio sullo schema di un provvedimento, non tradotto in disposizioni normative, lasciando avvolta nell’opacità la fase istruttoria successiva volta alla stesura del testo definitivo, che può così essere perfezionato senza un’ulteriore deliberazione dell’organo collegiale.

Oltre all’“invisibilità del Parlamento” nell’adozione dei decreti-legge, nel procedimento “salvo intese” è marginalizzato anche il ruolo del Consiglio dei ministri, e, come è stato autorevolmente affermato, questo impone particolari riflessioni, soprattutto se oggetto degli interventi sono disposizioni del Codice penale[20].

Nel caso di specie, parrebbe quasi una de-responsabilizzazione della de-responsabilizzazione: l’approvazione dei decreti “salvo intese” “deresponsabilizza il Consiglio dei ministri”[21] e ciò è quanto meno peculiare se oggetto di tali interventi è una limitazione della responsabilità di altri soggetti volti al perseguimento di interessi pubblici.

Analoghe considerazioni sulla legittimità costituzionale possono svolgersi con riferimento alla limitazione della responsabilità erariale, se si considera l’art. 21 del decreto semplificazioni un intervento normativo risolutivo di un contrasto giurisprudenziale, adottato attraverso lo strumento del decreto-legge[22]. Ciò soprattutto se si ritiene tale intervento di interpretazione autentica, anche se non è stato così espressamente denominato dal legislatore dell’emergenza. Come è stato osservato[23], difetterebbe infatti il requisito dell’urgenza, stante il lasso temporale di oltre venti anni dalla legge n. 20 del 1994 all’intervento riformatore del 2020; quello della necessità, per la volontà di attuare un indirizzo governativo volto alla contrazione delle responsabilità dei funzionari pubblici sotto duplice profilo nell’ottica della semplificazione e accelerazione dell’azione amministrativa; quello della straordinarietà, essendo l’orientamento giurisprudenziale del dolo civilistico piuttosto radicato nella giurisprudenza contabile.

Non a caso, questioni di legittimità costituzionale con riferimento all’art. 77 Cost.[24] sono state sollevate, anche se con riferimento alla sola responsabilità penale (art. 23, co. 1 d.l. 76/2020), ma con riflessioni che possono essere tenute in considerazione anche per quella erariale.

Le censure hanno avuto riguardo alla totale estraneità della riforma della fattispecie di abuso d’ufficio dalle altre disposizioni contenute nel medesimo decreto-legge oltre che dalle ragioni giustificatrici della normativa adottata in via d’urgenza dal Governo, che, si rammenta, erano legate alla necessità di fronteggiare le ricadute economiche conseguenti all’emergenza epidemiologica da Covid-19. È stata inoltre censurata l’assenza del presupposto della straordinaria necessità ed urgenza, tenuto conto anche dell’asserita assenza di ricadute delle singole vicende penali sul piano della semplificazione amministrativa.

La Corte costituzionale si è pronunciata con la sentenza n. 8 del 18 gennaio 2022[25].

Con riferimento al profilo procedimentale della riforma dell’abuso d’ufficio, la Corte ha ritenuto la censura di violazione dell’art. 77 Cost. ammissibile, ma non fondata, superando dunque le perplessità che erano state sollevate da numerosi e autorevoli Autori sin dall’entrata in vigore della riforma. La pronuncia ha infatti escluso che la norma censurata fosse eccentrica ed assolutamente avulsa per materia e finalità rispetto al decreto-legge in cui è inserita, composto sì da norme eterogenee, ma tutte accomunate dall’obiettivo di promuovere la ripresa economica del Paese dopo il blocco delle attività produttive a causa dell’emergenza pandemica.

La ratio alla base di tale riforma risulta che una più puntuale delimitazione delle responsabilità degli amministratori pubblici sia funzionale alla ripresa di un Paese fortemente martoriato dalle ricadute economiche e sociali di una emergenza sanitaria senza precedenti, posto che la c.d. “paura della firma” e la “burocrazia difensiva” si tradurrebbero in un ostacolo al rilancio economico, che richiede, al contrario, una pubblica amministrazione dinamica ed efficiente. Inoltre, la Corte ha escluso la mancanza di requisiti di straordinaria necessità ed urgenza, che deriverebbero proprio dall’emergenza epidemiologica e dalla necessità di far ripartire celermente il Paese dopo il prolungato blocco imposto per fronteggiare la pandemia.

Anche in altre occasioni la Corte costituzionale aveva “salvato” la fattispecie di abuso d’ufficio, seppur per ragioni differenti. Già con sentenza n. 7 del 4 febbraio 1965, era stata ritenuta infondata la questione di legittimità costituzionale con riferimento agli artt. 25, secondo comma, e 3 della Costituzione. Dopo la profonda riformulazione del 1997 (cfr. par. successivo), la sentenza n. 447 del 15-28 dicembre 1998 aveva ritenuto inammissibili le questioni sotto i profili dell’art. 3 e dell’art. 97 della Costituzione e manifestamente infondata quella in riferimento all’art. 79 Cost.

Tuttavia, permangono le seguenti perplessità a seguito della pronuncia del 2022. Afferma la Corte che la modifica non sarebbe “una monade isolata”, in quanto abbinata a disposizioni volte a tranquillizzare i pubblici amministratori anche riguardo alla responsabilità erariale. Eppure, il parallelismo stride un po’. Ciò già solo perché la modifica introdotta sul piano erariale è una forma di limitazione della responsabilità per un periodo di tempo definito, il cui countdown è già iniziato (anche se è più volte ripartito, stante le tre proroghe già intervenute), a differenza di quella penale che – quanto meno sulla carta (tenuto conto delle molteplici proposte di riforma avanzate, dei numerosi dubbi sollevati dalla dottrina, ma anche dalla giurisprudenza, come si dirà) – si proponeva di essere definitiva.

Permangono inoltre dubbi sul rispetto del principio “nullum crimen, nulla poena sine lege” sacrificato per snellire l’azione amministrativa. E, ancora, sull’adeguatezza di entrambe le riforme rispetto all’obiettivo perseguito di rimediare alla burocrazia difensiva per la ripartenza necessaria ai fini della ricostruzione di un Paese afflitto dalle tragiche conseguenze di una pandemia senza precedenti.

2.2. La riforma dell’abuso d’ufficio: l’inarrestabile tensione tra legislatore e giurisprudenza

La riforma dell’art. 323 c.p. si inscrive nel più ampio contesto del controllo del giudice penale sulla legalità dell’azione amministrativa, tema magmatico in cui confluiscono politica, amministrazione e giustizia[26], in cui penetra il diritto amministrativo ed il rapporto tra illegittimità amministrativa e illiceità penale sembra confondersi. È una questione dalle radici lontane ma evidentemente ancora attuale, che concerne un tema fondamentale per uno Stato di diritto. Si tratta del delicato bilanciamento di due poli antitetici: da un lato l’esigenza che sia preservata l’area tradizionalmente riservata alla discrezionalità della pubblica amministrazione, da altro lato la necessità di assicurare una efficace tutela della legalità e dell’imparzialità dell’azione amministrativa.

È la storia della continua ricerca di un baricentro, per garantire che i funzionari rispondano degli illeciti commessi nell’esercizio delle loro funzioni, ma al contempo che il controllo penale sulla loro attività rimanga entro confini compatibili con il principio della separazione dei poteri.

Nella ricerca di tale – instabile – equilibrio, si assiste ad una inarrestabile tensione tra i tentativi del legislatore di circoscrivere i confini della fattispecie, cui reagisce la giurisprudenza ampliandone i perimetri applicativi, fino a che non interviene una nuova riforma per placare la tendenza espansiva del diritto vivente, e così via[27]. Ai numerosi tentativi del legislatore di limitare – sino ad espressamente escludere – il sindacato del giudice penale sulla discrezionalità amministrativa, la giurisprudenza ha reagito escogitando soluzioni interpretative volte a riappropriarsi dei poteri sottratti[28].

Ben si comprende perché la fattispecie di abuso di ufficio è stata associata all’immagine dell’uroboro, leggendario serpente che si morde la coda formando un cerchio senza inizio né fine, eletto da Nietzsche a simbolo dell’eterno ritorno[29]. Allo stato attuale sono infatti quattro – cinque se si considera il ritocco delle forbici edittali dovuto alla cd. riforma Severino – le formulazioni che dal 1930 hanno interessato la fattispecie, ma, come si dirà, sembra non aver ancora trovato la conformazione definitiva o è addirittura destinata a scomparire.

Ripercorrendo brevemente la travagliata vicenda normativa e giurisprudenziale dell’abuso d’ufficio, la primitiva versione del Codice penale del 1930 puniva il cosiddetto “abuso innominato” del pubblico ufficiale che, “abusando dei poteri inerenti alle sue funzioni, commette[sse], per recare ad altri un danno o per procurargli un vantaggio, qualsiasi fatto non preveduto come reato da una particolare disposizione di legge”. Era all’epoca una figura sussidiaria rispetto agli altri reati dei pubblici ufficiali contro la pubblica amministrazione e blandamente punita, in quanto il controllo di legalità sull’attività amministrativa era affidato al peculato per distrazione (art. 314 c.p.) e all’interesse privato in atti d’ufficio (all’epoca disciplinato nell’art. 324 c.p.), fattispecie dai contorni assai labili.

A partire dagli anni Novanta del secolo scorso è divenuta impellente la questione della delimitazione delle aree della rilevanza penale e della discrezionalità dell’attività degli operatori pubblici e dunque del discrimine tra illecito penale e illecito amministrativo. La legge n. 86 del 1990 ha estromesso dalla fattispecie di peculato la forma “per distrazione” e abrogato il reato di interesse privato in atti d’ufficio, facendo confluire parte delle condotte non più perseguibili dalle fattispecie abrogate nell’abuso d’ufficio, estendendone altresì l’applicazione agli incaricati di pubblico servizio. In tale versione, l’abuso d’ufficio era finalizzato ad un vantaggio, proprio od altrui, «ingiusto», o a un danno altrui del pari «ingiusto», ed era altresì previsto un sensibile aumento della pena nel caso in cui il vantaggio fosse di natura patrimoniale. L’indeterminatezza della condotta di “abusare dell’ufficio” permetteva un penetrante sindacato della magistratura penale sull’operato dei pubblici funzionari, che in pochi anni ha infatti portato ad un’altra riforma del reato.

Il legislatore è intervenuto nel 1997 con la legge n. 234 operando una profonda riforma della fattispecie al fine di specificarne e delimitarne meglio i confini. È stato eliminato il generico riferimento all’abuso d’ufficio, rimasto solo nella rubrica del reato, ed individuata la condotta tipica nella «violazione di norme di legge o di regolamento», ovvero, in alternativa, nella omessa astensione «in presenza di un interesse proprio o di un prossimo congiunto o negli altri casi prescritti». La fattispecie si è così trasformata in reato di evento, essendo richiesta l’effettiva verificazione dell’ingiusto danno o dell’ingiusto vantaggio patrimoniale, perdendo di rilevanza il vantaggio non patrimoniale. L’evento, inoltre, doveva essere oggetto di dolo intenzionale.

Nell’intento del legislatore la “violazione di norme di legge e regolamento” doveva escludere il sindacato del giudice penale sull’eccesso di potere, ma la giurisprudenza è presto virata verso interpretazioni estensive che hanno come in un déjà-vu nuovamente travalicato i paletti della novella legislativa e riaperto gli ampi scenari del controllo del giudice penale sull’attività amministrativa discrezionale.

L’escamotage che la Suprema Corte ha utilizzato per ampliare i confini della fattispecie è stato attingere all’art. 97 Cost. sia per far rientrare nell’alveo della “violazione di norme di legge” l’inosservanza del principio di imparzialità della pubblica amministrazione[30], sia per giustificare la sussunzione nella fattispecie dell’eccesso di potere per sviamento[31]. A tal fine, la Cassazione ha affermato che tale principio costituzionale esprime una precisa regola di comportamento di immediata applicazione nella parte in cui vieta al pubblico funzionario di operare ingiustificati favoritismi o intenzionali vessazioni.

Con riferimento al secondo profilo, la Suprema Corte ha ritenuto sussistente la violazione di legge di cui all’art. 323 c.p. non solo quando la condotta si pone in contrasto con le norme che regolano l’esercizio del potere, ma anche quando sia volta alla sola realizzazione di un interesse collidente con quello per il quale il potere è attribuito (c.d. sviamento), e perciò quando il potere non è stato esercitato secondo lo schema normativo che legittima l’attribuzione.

Per porre un argine allo straripamento del diritto vivente, è intervenuto ancora una volta il legislatore.

I due interventi normativi che hanno fatto seguito alla riforma del 1997 sono stati di segno opposto.

In un primo momento la legge n. 190/2012, nell’ambito delle disposizioni volte a prevenire e reprimere la corruzione e l’illegalità nella pubblica amministrazione, è intervenuta sul solo lato sanzionatorio, aumentando i limiti edittali di pena.

L’attuale formulazione si deve invece al già citato Decreto Semplificazioni del 2020 (art. 23 d.l. n. 76/2020, convertito in l. n. 120/2020), che ha ulteriormente delimitato i confini della fattispecie, incidendo sulla prima delle due condotte tipiche, con una netta inversione del cambio di rotta nel messaggio politico-criminale che aveva accompagnato la strategia repressiva della tutela della legalità dell’amministrazione, culminata con l’emanazione di una legge il cui fine ultimo era di tutta evidenza nel titolo con cui era stata presentata (la cd. legge “spazza-corrotti”) [32]. Ma non solo: tale riforma si pone anche in contrasto con gli indirizzi che evidenziano che proprio l’instabilità e l’insicurezza generata da situazioni emergenziali e di crisi costituirebbero terreno fertile per l’emergere dell’illegalità, in un Paese che già in situazioni normali si trova a fare i conti con fenomeni di maladministration diffusa.

Il legislatore dell’emergenza ha operato una parziale abolitio criminis, escludendo la rilevanza dei fatti realizzati attraverso la violazione di norme di legge da cui non siano ricavabili regole di condotta espresse e specifiche o di norme contenute in regolamenti oppure, ancora, di regole di condotta da cui residuino margini di discrezionalità[33]. Rispetto all’oggetto, ai fini della rilevanza penale dell’abuso d’ufficio, la violazione deve pertanto ora riguardare una regola di condotta (specifica); rispetto alla fonte, la regola violata deve essere specifica ed espressamente prevista da una legge o da un atto avente forza di legge, escluse le norme regolamentari[34]; rispetto al contenuto, infine, la regola violata non deve lasciare spazi di discrezionalità.

Il “modo di farsi del potere”, su cui si era già interrogata la giurisprudenza penale nell’individuazione dell’ampiezza del suo sindacato, entra pertanto, come elemento negativo del fatto tipico, a delimitare la fattispecie di abuso d’ufficio[35].

Permane invece la natura residuale del reato, la condotta alternativa di omissione di astensione in presenza di un interesse proprio o di un prossimo congiunto[36], o negli altri casi prescritti da specifiche fonti normative, e l’intenzionalità del dolo di procurare a sé o altri un ingiusto vantaggio patrimoniale o di arrecare ad altri un danno ingiusto.

Questo apparente ciclo senza fine, per cui la giurisprudenza, attraverso l’interpretazione estensiva, tende a far rientrare dalla finestra quello che il legislatore aveva messo fuori dalla porta, non sembra aver trovato nemmeno con la formulazione del 2020 un punto di arresto. Ciò è reso evidente sia dalla persistente tendenza espansiva della giurisprudenza, sia dalle proposte di riforma già preannunciate.

L’esame delle pronunce della Corte di Cassazione intervenute successivamente all’entrata in vigore della nuova fattispecie ha posto in luce la fragilità di tale “scudo penale”, il cui obiettivo era quello di segnare il definitivo tramonto del sindacato del giudice penale sull’esercizio dell’azione amministrativa, ma che nella prassi applicativa tende a sfuggire dai confini forse troppo labili posti dalla riformata norma penale.

Per quanto concerne la rilevanza ai fini della configurabilità dell’abuso di ufficio dell’attività discrezionale, che pare essere esclusa dalla lettera della norma, con una minuziosa attività di “chirurgia interpretativa”, la Suprema Corte ha distinto i limiti esterni da quelli interni della discrezionalità amministrativa, riconoscendo rilevanza penale alla violazione dei primi, ovvero allo “sviamento di potere” inteso come distorsione del potere pubblico, piegato al perseguimento di interessi oggettivamente difformi e collidenti rispetto a quelli per cui è attribuito[37]. La Cassazione ha infatti precisato che l’irrilevanza penale dell’esercizio della discrezionalità amministrativa trova un limite quando essa trasmoda “in una vera e propria distorsione funzionale dai fini pubblici – c.d. sviamento di potere o violazione dei limiti esterni della discrezionalità – laddove risultino perseguiti, nel concreto svolgimento delle funzioni o del servizio, interessi oggettivamente difformi e collidenti con quelli per i quali soltanto il potere discrezionale è attribuito; oppure si sostanzi nell’alternativa modalità della condotta, rimasta penalmente rilevante, dell’inosservanza dell’obbligo di astensione in situazione di conflitto di interessi”[38]. La violazione dei limiti interni nell’esercizio della discrezionalità amministrativa, ossia la cattiva ponderazione degli interessi pubblici e privati coinvolti dall’adozione di un provvedimento amministrativo è invece esclusa dall’alveo dell’art. 323 c.p.

Da ciò si ricava che, per la Suprema Corte, anche nella rinnovata formulazione della fattispecie assume rilievo il vizio di legittimità amministrativa dell’eccesso di potere, attraverso la breccia della “violazione di legge”[39], con una reviviscenza dell’orientamento giurisprudenziale che faceva capo alle note Sezioni Unite Rossi del 2011.

È stato inoltre ritenuto configurabile il reato nei casi in cui l’inosservanza della regola di condotta sia collegata allo svolgimento di un potere che, astrattamente previsto come discrezionale, sia divenuto in concreto vincolato per le scelte effettuate dal pubblico agente prima dell’adozione dell’atto (o del comportamento) in cui si sostanzia l’abuso di ufficio[40] e, ancora, è stato precisato che la discrezionalità amministrativa può riguardare le modalità con le quali il potere, attribuito da una specifica norma che ne individui i presupposti, venga esercitato[41].

Quanto risulta dal diritto vivente è pertanto un binomio indissolubile tra abuso d’ufficio e sindacato sul cattivo uso della discrezionalità amministrativa. Come è stato autorevolmente affermato, “stanno e cadono insieme (simul stabunt vel simul cadent). Finché sarà vigente il delitto de quo dovrà essere consentito anche il controllo di legalità del giudice penale sull’azione amministrativa discrezionale: ne rappresenta l’essenza”[42].

Per quanto attiene, invece, alle fonti la cui violazione è penalmente rilevante, sono state ricondotte alla fattispecie la violazione di atti amministrativi generali, in particolare il piano regolatore, in ragione del rinvio posto in norme dal rango primario[43]; è stata riconosciuta la rilevanza di violazione di norme contenute in regolamenti nel caso in cui esse, operando quali norme interposte, si risolvano nella specificazione tecnica di un precetto comportamentale già compiutamente definito nella norma primaria e purché questa sia conforme ai canoni della tipicità e tassatività propri del precetto penale[44].

La questione di legittimità costituzionale sfociata nella recente sentenza della Corte costituzionale n. 8 del 2022, già richiamata per i profili procedimentali, ha interessato anche quelli sostanziali della riforma dell’abuso d’ufficio. In particolare, l’ultima riforma è stata censurata per contrasto con gli artt. 97 e 3 Cost. perché la configurabilità del reato è stata ritenuta ormai pressoché impossibile[45]. Rileverebbero infatti solo i casi di attività amministrativa integralmente vincolata, estremamente rari e attinenti ad una sfera minuta dell’agere della pubblica amministrazione, lasciando invece prive di risposta punitiva condotte ben più gravi. Inoltre, le censure hanno riguardato la violazione del principio di eguaglianza, tenuto conto che, privando di rilievo penale ogni forma di esercizio di discrezionalità amministrativa, la norma finirebbe per equiparare il pubblico funzionario ad un comune privato[46].

La Corte, ricostruita la genesi della norma ripercorrendone la travagliata vicenda normativa e giurisprudenziale, non si è in realtà pronunciata nel merito, perché ha ritenuto inammissibili le questioni sollevate per la preclusione delle sentenze in malam partem in materia penale. Ciò per l’ostacolo posto dal principio di riserva di legge enunciato, come è noto, nell’art. 25 comma 2 Cost, non rientrando il caso di specie nella categoria delle “norme penali di favore” cui non si applica tale principio[47]. Il giudice a quo, infatti, invocava una pronuncia ablativa della modifica operata dalla norma censurata che avrebbe avuto come effetto la reviviscenza della precedente norma incriminatrice.

Pronunce più recenti – successive alla sentenza della Corte costituzionale n. 8 del 2022 – paiono talvolta più rispettose dei confini stabiliti nella novella del 2020. È stata infatti affermata la sopravvenuta irrilevanza penale della violazione di disposizioni di principio, prive del requisito della specificità richiesto dall’art. 323 c.p.[48], a differenza di quanto affermato solo pochi mesi prima[49], e la circostanza che il carattere discrezionale del potere esclude la possibilità di ritenere integrati gli estremi del reato per violazione di specifiche regole di condotta[50].

La più recente giurisprudenza conferma, anche dopo la pronuncia della Corte Costituzionale, la configurabilità del reato di abuso d’ufficio in presenza di violazione di piani urbanistici, rientrando nella categoria degli atti amministrativi generali la cui violazione rappresenta solo il presupposto di fatto della violazione della normativa in materia urbanistica (nella specie, artt. 12 e 13 del d.P.R. n. 380 del 2001), cui deve farsi riferimento per la “violazione di legge” richiesta dall’art. 323 c.p.[51].

È altresì confermata la citata distinzione tra limiti interni ed esterni alla discrezionalità amministrativa[52]. Il sindacato del giudice penale sulla discrezionalità amministrativa, che dunque permane nella sola ipotesi di sviamento del potere, è il risultato di una ibridazione di categorie tra il diritto amministrativo e il diritto penale, che conserva connotazioni proprie nei due ordinamenti[53]. Nell’accezione penalistica lo sviamento di potere integra una violazione di legge, poiché esso si verifica quando vi è contrasto con l’interesse per il quale il potere è attribuito e dunque quando il potere non viene esercitato in modo conforme alla norma che ne legittima l’attribuzione. Al contrario, il giudice amministrativo colloca lo sviamento del potere nell’alveo dell’eccesso di potere.

Appare piuttosto evidente la netta cesura tra il diritto vivente, che risulta dalle interpretazioni giurisprudenziali, ed il diritto vigente scaturente dalle norme. La fattispecie penale dell’abuso d’ufficio viene quasi ad essere ricostruita dalla Suprema Corte ex post, in contrasto con il principio di determinatezza della fattispecie penale, giungendo a ricomprendere condotte che erano state espressamente escluse dal legislatore, con preoccupanti riflessi in tema di certezza del diritto e predeterminazione delle condotte.

Questa situazione di scostamento tra il parametro normativo – che dal punto di vista degli amministratori pubblici è certamente più mite rispetto alle formulazioni precedenti – e quello giurisprudenziale – invece più preoccupante – non fa che alimentare quella burocrazia difensiva che l’intervento riformatore mirava a superare. I funzionari pubblici possono infatti ora trovarsi in una situazione ancor più di incertezza, essendo talune condotte soltanto apparentemente non più punite ai sensi della lettera della norma, per via dell’interpretazione estensiva del diritto vivente.

L’attuale formulazione dell’art. 323 c.p. non appare pertanto convincente e risolutiva di quella certezza del diritto tanto ambita.

Ulteriori istanze di riforma della fattispecie di abuso d’ufficio sono confluite in disegni di legge, volti anche a delimitare i rischi di responsabilità penale dei sindaci legata all’utilizzo delle ingenti somme di denaro provenienti dal Recovery Fund, circoscrivendo l’ambito di operatività della norma in particolare in ipotesi di condotte omissive improprie[54]. Si tratta di tre disegni di legge, presentati dai Senatori Ostellari, Parrini e Santangelo, rispettivamente il 22 marzo 2021, il 19 luglio 2021 e il 15 giugno 2021[55].

Il primo propone l’abolizione del reato nella prima modalità della condotta e l’abolizione della locuzione “negli altri casi prescritti” nella seconda modalità descritta, eliminando altresì il riferimento allo «svolgimento delle funzioni o del servizio». Nella formulazione proposta dal Sen. Ostellari, sparirebbe dunque la violazione “di specifiche regole di condotta espressamente previste dalla legge o da atti aventi forza di legge e dalle quali non residuino margini di discrezionalità” e rimarrebbe soltanto la condotta di omessa astensione “in presenza di un interesse proprio o di un prossimo congiunto”, a prescindere dallo svolgimento delle funzioni o del servizio, con l’abolizione del reato nella parte relativa alla condotta posta in essere in violazione di obblighi di astensione espressamente sanciti[56].

Il secondo ed il terzo disegno di legge propongono invece di inserire specifiche disposizioni per i Sindaci. La proposta del Sen. Parrini prevede da un lato di aggiungere un secondo comma all’art. 323 c.p., che rimarrebbe immutato, del seguente tenore: “quando il fatto di cui al primo comma è compiuto dal sindaco, la violazione si intende riferita a specifiche regole di condotta previste dalle legge o da atti aventi forza di legge relative a competenze espressamente attribuite al sindaco e dalle quali non residuino margini di discrezionalità”. Da altro lato, si propone di aggiungere il comma 1 bis all’art. 50 del Testo Unico delle leggi sull’ordinamento degli Enti Locali (TUEL – d.lgs. 18 agosto 2000, n. 267), per limitare la responsabilità a titolo omissivo improprio del sindaco ai soli eventi lesivi o pericolosi che si siano verificati a causa della violazione di doveri di controllo e protezione espressamente attribuitigli da norme di legge o di fonte equiparata alla legge, dalle quali non residuino margini di discrezionalità. Non sarebbe quindi possibile addebitare all’amministratore locale l’omesso impedimento di un evento lesivo ogniqualvolta il dovere di attivarsi per scongiurarlo non sia espressamente sancito, ma discenda genericamente dal ruolo di garante del buon funzionamento dell’amministrazione comunale a questo attribuito.

Infine, il disegno di legge di iniziativa del Sen. Santangelo si propone di introdurre una limitazione di responsabilità in senso soggettivo al Sindaco nella veste di ufficiale del Governo in particolare nello svolgimento del potere di emanare ordinanze contingibili e urgenti, che risponderebbe esclusivamente per dolo o colpa grave per violazione dei doveri d’ufficio, determinando così l’abolizione del reato omissivo improprio rispetto a fatti posti in essere con colpa lieve o lievissima[57].

Sono inoltre state proposte[58] la riformulazione della fattispecie in senso restrittivo volta ad espungere il c.d. “abuso di vantaggio”[59] e la trasformazione del reato in illecito amministrativo[60].

Non sono infine mancate proposte di abrogazione della fattispecie penale[61], che hanno condotto, da ultimo, all’approvazione da parte del Consiglio dei ministri il 15 giugno 2023 di un disegno di legge (c.d. d.d.l. Nordio)[62] che intende abrogare l’abuso d’ufficio per superare la temutissima “paura della firma”[63]. La relazione illustrativa pone a fondamento di tale radicale opzione la conclamata forbice tra i procedimenti avviati e le condanne definitive pronunciate per il reato in materia[64]. Se questo è certamente un dato di fatto ormai anche mediaticamente noto, da tale premessa non deve necessariamente conseguire quale unica soluzione possibile l’abrogazione della fattispecie. Occorre piuttosto partire da tale assunto – oltre che dall’inevitabile scostamento tra diritto vivente e diritto vigente di cui si è detto – per valutare possibili soluzioni alternative che meglio circoscrivano la fattispecie.

Pare peraltro opportuno evidenziare che analoga situazione di fatto – e cioè lo scostamento tra i procedimenti avviati e le condanne definitive pronunciate – si riscontra anche in tema di responsabilità amministrativo contabile, e che in entrambi i casi l’abrogazione o la limitazione di tali responsabilità (penale ed erariale) sono apparse come strategie vincenti, o forse più probabilmente di più facile attuazione rispetto a rimeditazioni di più ampio respiro.

2.3 L’attenuazione – temporanea ? – della responsabilità erariale.

Come affermato anche dalla Corte costituzionale, la limitazione della responsabilità penale degli amministratori pubblici non è stata “una monade isolata”, ma è andata di pari passo con l’attenuazione della responsabilità erariale.

Come già anticipato, due sono stati gli interventi in tal senso, contenuti nell’art. 21 del Decreto Semplificazioni. Con il primo, la repressione degli illeciti contabili dolosi è stata subordinata alla necessaria dimostrazione della volontà dell’evento dannoso. Con il secondo è stata limitata, anche se per un periodo di tempo circoscritto, ma già tre volte prorogato[65], la responsabilità per colpa grave ai soli illeciti omissivi.

Con tali operazioni il legislatore ha inteso accelerare la c.d. ripartenza del Paese alleggerendo la posizione dei funzionari e incentivando la pubblica amministrazione all’azione. La linea indicata è chiara: è ora più rischioso non agire che agire[66], poiché in tale ultimo caso la responsabilità è limitata al dolo, con un onere probatorio rafforzato che ne limita molto l’accertamento.

L’intervento, seppur – quanto meno nelle intenzioni del legislatore emergenziale – temporaneo e giustificato da esigenze irrinunciabili di rilancio del Paese, non può andare esente da riflessioni. La limitazione della responsabilità erariale forse solo in apparenza pare aver ricevuto minore attenzione da parte della dottrina[67] rispetto alla “gemella” limitazione della responsabilità penale, su cui sono stati senza dubbio versati fiumi di inchiostro. Essa è stata vivacemente contrastata dalla Magistratura contabile che in scritti, in occasione di convegni o delle inaugurazioni degli anni giudiziari, ne ha evidenziato l’inopportunità, l’inefficacia e l’incompatibilità con principi costituzionali e regolamenti sovranazionali[68].

Già nell’audizione del 28 luglio sul d.l. 76/2020, la Corte dei conti rilevava come all’incapacità provvedimentale della pubblica amministrazione concorrono “ben altri fattori, tra i quali: la confusione legislativa, l’inadeguata preparazione professionale, l’insufficienza degli organici” e che

la non punibilità a titolo di colpa grave mal si concilia con le più recenti statistiche.

Anche in occasione del Convegno per i 160 anni della Corte dei conti[69] è stato affrontato il tema, e da più voci è emerso che la “paura della firma” esiste ed è inutile negarlo, ma che le limitazioni della responsabilità erariale introdotte nel 2020 non sono idonee a superarla, creando piuttosto una zona d’ombra in cui appare lecito sbagliare, a scapito della corretta e sana gestione delle risorse pubbliche; che pertanto l’art. 21 del Decreto Semplificazioni andrebbe abrogato; che gli interventi dovrebbero piuttosto mirare alla scrittura di norme chiare, semplici, snelle, accessibili, perché nella chiarezza non sta l’incertezza che determina la paura.

In occasione della più recente inaugurazione dell’anno giudiziario della Corte dei conti 2023 sono state ulteriormente evidenziate le perplessità della Magistratura contabile per la limitazione della perseguibilità di condotte gravemente colpose, ancorchè produttive di danno. Il Presidente della Corte ha precisato che la paura della firma “deve imputarsi all’incertezza e alla complessità della normativa nei diversi settori amministrativi e, in alcuni casi, anche all’inerzia di soggetti agenti non adeguatamente formati, e non già alla giurisprudenza della Corte dei conti”[70].

Dello stesso avviso il Procuratore Generale, che ritiene siano altre le cause della paura della firma, che si tratti piuttosto di “fuga dalla firma, cioè timore o più spesso incapacità di assumersi responsabilità, una incapacità alle cui radici bisognerebbe andare: il che ci porterebbe alle criticità negli attuali criteri di scelta della dirigenza e alla insufficiente considerazione del merito; ma anche alla qualità e all’orientamento della formazione, probabilmente non del tutto adeguate; ad una legislazione complessa, spesso farraginosa, stratificata, di dubbia interpretazione, fonte di incertezze”[71].

Il richiamo alla paura della firma appare ingiustificato e improprio rispetto alla responsabilità amministrativa, soprattutto con riguardo agli asseriti effetti paralizzanti dell’attività contrattuale delle pubbliche amministrazioni[72]. Infatti, i dati delle pronunce della magistratura contabile dimostrano che le procure erariali si sono occupate di singole, specifiche e circoscritte ipotesi di mala gestio generalmente successive all’aggiudicazione e spesso all’esecuzione[73] e che, in generale, le ipotesi in cui vengono pronunciate sentenze di condanna sono alquanto limitate.

Non sono mancate proposte alternative da parte della Magistratura contabile, come quella di introdurre una “specifica previsione normativa che individui i criteri per determinare quanta parte del rischio connesso alle attività gestionali debba rimanere a carico dell’apparato, e quanta a carico del dipendente”, con una più precisa perimetrazione della colpa grave, e con una rimodulazione dei presupposti per l’esercizio del potere riduttivo dell’addebito, “rendendolo obbligatorio in presenza di specifiche circostanze quali, ad esempio, l’eventuale concorso dell’amministrazione danneggiata nella produzione del danno”.

Appare apprezzabile, in tal senso, la previsione di cui all’art. 2, comma 3, del nuovo Codice dei contratti pubblici (D.lgs. 36/2023), che, al fine di definire più puntualmente il confine tra colpa lieve e grave, introduce una definizione speciale di colpa grave in ambito negoziale, allineando contenuti e operatività alle altre figure di responsabilità professionali. Da tale disposizione potrebbe prendersi spunto per una più precisa delimitazione della colpa grave nell’ambito degli illeciti erariali.

Molteplici sono i profili di perplessità che permangono trascorsi tre anni da questa riforma, che – allo stato – non risultano tuttavia essere oggetto di questioni di legittimità costituzionale o di ulteriori interventi legislativi (se non delle proroghe di cui si è detto) e che, come già accennato, non sono stati coinvolti dalla recente sentenza della Corte Cost. n. 8 del 2022.

Emergono quanto meno dubbi sulla ragionevolezza e compatibilità con il principio del buon andamento e della corretta gestione delle risorse pubbliche (art. 97 Cost.), sull’ammissibilità sul piano dell’etica pubblica e dei doveri di comportamento del pubblico funzionario (28 Cost.), sulla disparità di trattamento (art. 3 Cost) – seppur per un periodo limitato – tra funzionari che cagionino un danno grave con una condotta gravemente colposa e funzionari che causino un grave danno mediante omissione, e, ancora, in ragione dell’innalzamento della soglia della punibilità per tutti i lavoratori pubblici, a prescindere dalla qualifica rivestita o dalle mansioni svolte[74].

Il rischio dell’incostituzionalità è stato mitigato proprio dalla natura temporanea dello scudo introdotto al secondo comma dell’art. 21[75], ma le proroghe già intervenute non inducono ad escludere una stabilizzazione dell’intervento. Al contrario, fanno riemergere le possibili frizioni con i principi della nostra Carta fondamentale. È infatti noto l’orientamento che afferma la costituzionalità delle deroghe temporanee se di breve durata[76], per non comportare uno snaturamento sostanziale della disciplina derogata.

Così come non vi è dubbio che l’eliminazione del limite minimo della colpa grave per le condotte commissive, che rientra tra i principi della responsabilità amministrativa[77], comporti un significativo allontanamento dal modello ordinamentale, che la stessa Corte costituzionale aveva ritenuto “un assetto normativo in cui il timore della responsabilità non espon[e] all’ eventualità di rallentamenti ed inerzia nello svolgimento dell’attività amministrativa”, ed anzi un “punto di equilibrio tale da rendere, per dipendenti ed amministratori pubblici, la prospettiva della responsabilità ragione di stimolo e non di disincentivo”[78]. Punto di equilibrio che oggi può dirsi perduto e ciò a maggior ragione a seguito delle ulteriori proroghe intervenute oltre la dichiarata fine dell’emergenza pandemica, che si pongono in contrasto con i principi della nostra Costituzione[79].

Oltre ai profili di incompatibilità con i principi della nostra Carta fondamentale, sono evidenti i contrasti a livello euro-unitario con l’art. 325 del TFUE, che prevede che gli Stati membri debbano garantire una sana gestione finanziaria, e con le esigenze di maggiore efficienza nell’impiego delle risorse, anche affermate dal diritto comunitario nell’attuazione del PNRR e del Recovery Plan.

Il Regolamento 2021/241 del Parlamento europeo e del Consiglio del 12 febbraio 2021, che istituisce il principale strumento di intervento del programma NGEU, postula efficaci azioni di contrasto da parte degli Stati membri beneficiari dei fondi derivanti Recovery Fund nei casi di illecito impiego degli stessi, oltre che un “sistema di controllo interno efficace ed efficiente” (art. 22, comma 1). Attraverso i rinvii al Regolamento finanziario ed allo Statuto dei funzionari UE (art. 22)[80], è del tutto evidente che la limitazione dell’elemento soggettivo della colpa grave a livello interno si pone in contrasto con la cornice sovra-unitaria che, al contrario, espressamente prevede la risarcibilità dei danni arrecati dai funzionari con colpa grave. Ne consegue che la normativa nazionale non pare adempiere all’onere imposto dalla normativa sovranazionale di adottare “tutte le opportune misure per tutelare gli interessi finanziari dell’Unione e per garantire che l’utilizzo dei fondi in relazione alle misure sostenute dal dispositivo sia conforme al diritto dell’Unione e nazionale applicabile”, realizzando, al contrario, un restringimento della responsabilità erariale in relazione all’impiego dei fondi derivanti dal Recovery Plan.

Ulteriore profilo di criticità dello scudo erariale è relativo al suo impatto. Così come per la riformata fattispecie dell’abuso d’ufficio, anche nello “scudo erariale” si assiste allo snaturamento della responsabilità, che ha reso giuridicamente irrilevante un ampio spettro di condotte. Ciò sarebbe in particolare determinato da una interpretazione della disposizione che escluda il dolo eventuale[81].

Non convince inoltre il messaggio, giustificato da esigenze di rilancio del Paese, che sia meglio “fare”, agire – anche superficialmente? – piuttosto che “non fare”, posto che è ora più rischioso adottare condotte omissive che attive.

E, ancora, permangono dubbi sulla temporaneità dello scudo, sulla possibile ultrattività e stabilizzazione di tale contrazione della responsabilità oltre che, in ogni caso, sui relativi effetti permanenti. Ciò parrebbe confermato dalle tre proroghe di cui si è già anticipato.

A tre anni dal Decreto Semplificazioni, l’attuazione del PNRR è infatti tornata ad essere il pretesto per il Governo per intervenire in senso restrittivo sui poteri della Corte dei conti. Con un emendamento governativo al cd. “decreto PA”[82] è stata introdotta un’ulteriore proroga di un anno (fino al giugno 2024) al regime inizialmente temporaneo della limitazione della responsabilità erariale al dolo per le condotte attive. Con il medesimo intervento è inoltre stato abolito il controllo concomitante della Magistratura contabile sull’utilizzo dei fondi del PNRR. Peraltro, anche in tale contesto tali significative limitazioni sono state adottate in un arco temporale piuttosto ristretto, che se per il Decreto Semplificazioni era dettato dall’urgenza di provvedere per rimediare alla crisi pandemica in atto ed alle sue inevitabili ricadute a livello economico (ma non solo), per questo ultimo intervento l’urgenza pare imposta soltanto dall’imminente scadenza del decreto-legge.

Ed anche in questo caso non si tratta di una “monade isolata”, riprendendo le parole della Corte costituzionale nel riferirsi ai due scudi introdotti con il Decreto Semplificazioni, ma alla proroga dello scudo erariale si è affiancato altro intervento egualmente giustificato dalla rimozione di meccanismi che tendono a rallentare il sistema per tendere invece al rilancio dell’economia, con eguali inevitabili conseguenze in termini di indebolimento dei presidi di legalità e correttezza dell’azione amministrativa.

Se già la sua introduzione non appariva priva di elementi di criticità, risulta ancora più difficile apprezzare positivamente la conferma dello scudo erariale in assenza della sua originaria ratio – il contesto di emergenza pandemica – che può ormai ragionevolmente ritenersi superata.

3. Considerazioni conclusive in tema di burocrazia difensiva ed eventuali antidoti alternativi

A distanza di tre anni dal Decreto Semplificazioni, le due forme di limitazione della responsabilità, penale ed erariale, destano tutt’ora perplessità sulla garanzia della legalità ed effettività della tutela, oltre che di raggiungimento degli scopi prefissati e di cristallizzazione di tali interventi.

Inevitabile un confronto tra i due “scudi”: da un lato la riforma dell’abuso d’ufficio, che è stata da anni auspicata per porre rimedio al vortice dell’incertezza causata dall’indissolubile binomio legislatore – giurisprudenza di cui si è detto, ma che evidentemente non ha raggiunto i suoi effetti; da altro lato il – temporaneo ? (l’interrogativo è d’obbligo) – scudo erariale, di cui forse non se ne sentiva la necessità e di cui anzi si chiede a gran voce, fin dalla sua introduzione, un ripristino della situazione ante-pandemia. Riforma, la prima, che si propone come definitiva, ma che già pochi mesi dopo l’entrata in vigore ha reso evidenti le sue fragilità e la reviviscenza di quei fenomeni espansivi del diritto vivente che aveva cercato di escludere; scudo, il secondo, che (almeno in parte) si propone come temporaneo, ma che già in fase di conversione del d.l. ha visto la prima proroga ed è ora alla terza, e non è a questo punto da escludersi una sua definitiva stabilizzazione, con tutte le criticità di cui si è detto.

Le limitazioni delle responsabilità erariale e penale finora esaminate sono state entrambe introdotte con l’intento di porre rimedio alla c.d. burocrazia difensiva in un momento storico in cui non era accettabile il rischio di un’ulteriore stasi dei procedimenti amministrativi, essendo urgente l’accelerazione degli stessi per consentire una ripartenza efficace ed effettiva del Paese.

Come è stato da più autorevoli voci affermato, molteplici sono e possono essere le cause di tale fenomeno, molteplici i “sintomi”, molteplici le “cure”. Probabilmente il timore di incorrere in responsabilità erariale e penale dei funzionari pubblici più che la causa, ne è un sintomo: questo potrebbe spiegare la possibile inefficacia di tali interventi.

Tra le cause della paralisi della pubblica amministrazione è possibile includervi l’incertezza normativa, causata oltre che dalla scarsa qualità e dall’eccessiva quantità delle norme, dal moltiplicarsi dei centri di produzione normativa (c.d. “nomorrea”): non solo nazionali, regionali, ma anche internazionali, sovranazionali; non solo di hard law, ma anche di soft law. A ciò si aggiunge l’incertezza applicativa delle norme ed il non indifferente scostamento tra fonte normativa e giurisprudenza, esaminata nell’evoluzione dell’abuso d’ufficio ed evidente ancora nei recenti arresti.

Ulteriori cause della burocrazia difensiva possono essere il limitato investimento nella formazione, informazione e specializzazione del personale pubblico e l’assenza di forme di responsabilità di risultato. Su tali aspetti occorrerebbe focalizzare l’attenzione con interventi sinergici per cercare quanto meno di ridurre questi fenomeni.

Pare peraltro che ad una de-responsabilizzazione degli amministratori in chiave risolutiva della burocrazia difensiva si stia parallelamente affermando una opposta tendenza alla responsabilizzazione degli amministrati in diversi settori: basti pensare all’irrompere delle autocertificazioni in sostituzione di atti amministrativi (ad esempio SCIA, CILA), che ora si estendono a profili di ordine giuridico e tecnico particolarmente complessi, e che in assenza di controlli preventivi addossano al privato inediti oneri interpretativi e sanzioni, anche in assenza della competenza specifica e del ruolo istituzionale che invece rivestono i funzionari pubblici[83]. Il progressivo cambio di paradigma nel rapporto tra privato e amministrazione, che vede il primo sempre più partecipe allo svolgimento di attività di pubblico interesse, con tutte le responsabilità che ne conseguono, è inoltre ravvisabile nel rapporto sinallagmatico che pare delinearsi tra i due soggetti nell’erogazione di contributi pubblici che connotano le politiche attive e passive del lavoro[84].

In entrambi i tentativi di de-responsabilizzazione introdotti nel 2020 si assiste ad una commistione tra il diritto amministrativo ed il diritto penale[85]: la discrezionalità entra – come elemento negativo del fatto tipico – nella fattispecie penale; il “dolo penalistico” viene a configurare l’elemento soggettivo della responsabilità amministrativa; l’illegittimità amministrativa tende a confondersi con l’illiceità. Tale commistione tuttavia è incompleta, sfuggente, e necessiterebbe forse dell’adozione di un linguaggio comune tra i due settori, o addirittura, che il diritto amministrativo assurga a co-protagonista nella qualificazione astratta di fattispecie penali in cui inevitabilmente è chiamato in causa.

La discrezionalità è peraltro un tema magmatico e dai profili incerti, che mal si concilia con le esigenze di determinatezza tipiche della fattispecie penale, e la cui distinzione con l’attività vincolata è invero nei profili applicativi complessa. Tale concetto andrebbe approfondito e attualizzato, e non confuso con l’interpretazione o limitato nel risvolto patologico all’eccesso di potere. Tale nozione è infatti al centro di importanti rivisitazioni da parte della più importante dottrina amministrativistica[86].

Anche la migrazione del dolo penalistico nel processo contabile presenta profili di criticità non trascurabili, poiché non trascina con sé gli ampi poteri attribuiti al Pubblico Ministero nel processo penale. In linea generale, i mezzi di ricerca della prova, i mezzi di prova, le regole probatorie e di giudizio del processo contabile sono ispirati alla disciplina del processo civile e non di quello penale.

Il confronto tra saperi giuridici differenti andrebbe approfondito e ampliato nei contesti in cui essi vengono a sovrapporsi[87].

La riformata fattispecie di abuso d’ufficio nella prassi applicativa mostra le fragilità di uno scudo di cristallo, destinato ad andare in frantumi con l’insorgere di interpretazioni estensive del diritto vivente e a richiedere nuovamente l’intervento riparatore del legislatore.

La permanenza di incertezze applicative che si registrano a tre anni dall’entrata in vigore della riforma e la necessità di evitare vuoti di tutela che si verrebbero inevitabilmente a creare qualora venisse integralmente abolita la fattispecie[88], impone la riflessione sulla necessità di ulteriori prospettive di riforma, la previsione di sanzioni di tipo diverso o la valorizzazione degli altri tipi di responsabilità.

È del tutto evidente che un intervento in materia si rende necessario. Nonostante si siano già succeduti numerosi interventi del legislatore sulla fattispecie dell’art. 323 c.p., potrebbe non essere una chimera un’ultima riformulazione della norma che sia veramente efficace ed effettiva, che individui criteri selettivi non suscettibili di interpretazioni estensive e che consentano di ancorare l’abuso di ufficio al principio di tassatività. Ciò, ad esempio, attraverso la puntuale indicazione delle fonti violate, dei provvedimenti invalidi e delle patologie che lo affliggono[89].

Si potrebbe in alternativa immaginare il recupero in chiave preventiva del presidio della legalità amministrativa, attraverso l’individuazione di strumenti adeguati volti a rafforzare in una strategia di prevenzione quella tutela indebolita in chiave repressiva. Se è vero che il controllo penale sull’esercizio della funzione amministrativa può talvolta generare un rallentamento o addirittura un blocco delle attività in cui si annida la presunta condotta abusiva mettendo in ombra l’interesse pubblico che avrebbe voluto tutelarsi, tenuto conto anche della scarsa effettività della fattispecie così delineata, come evidenziato dalle ormai note statistiche, potrebbe essere opportuno valutare un ridimensionamento del diritto penale nelle vicende della pubblica amministrazione.

Se di depenalizzazione occulta si tratta, tenuto conto che la maggior parte dei provvedimenti della pubblica amministrazione sono discrezionali, che interi settori sono ormai delegificati e che è difficile immaginare che precetti di condotta specifici e vincolanti siano contenuti in disposizioni di rango primario, potrebbe pertanto essere utile ripensare a meccanismi alternativi a presidio della tutela del buon andamento della pubblica amministrazione, valutando ad esempio l’opportunità e la possibilità di recuperare in chiave preventiva il presidio della legalità dell’attività amministrativa.

Ad esempio, come già proposto nella riforma Castaldo-Naddeo, attribuendo all’Autorità indipendente un supporto interpretativo che potrebbe avere sensibili vantaggi in termini di consapevolezza degli operatori e, di conseguenza, di efficienza della decisione ammnistrativa. Potrebbe essere attribuito a linee guida il compito di selezionare le condotte rilevanti per recuperare certezza e prevedibilità della fattispecie e si potrebbe valutare la previsione di una causa di non punibilità in favore del pubblico agente che abbia rispettato le linee guida o i pareri formalmente resi da un’autorità di controllo, come dibattuto già in passato per la responsabilità degli enti con riguardo ai programmi organizzativi interni. Tale spunto potrebbe derivare anche da quanto avvenuto in campo sanitario: come sono state emanate linee guida con la Legge Gelli-Bianco in materia di colpa medica per porre rimedio alla “medicina difensiva”, anche l’”amministrazione difensiva” potrebbe trovare supporto in tale atto.

Per quanto attiene allo scudo erariale, appare difficile apprezzare positivamente tale intervento, tanto più in considerazione delle tre proroghe che si sono succedute e che fanno sinceramente dubitare della sua delimitazione temporale. I presidi della legalità dell’azione amministrativa appaiono pertanto indeboliti ed una vasta area di condotte, gravemente colpose, relative ad una non oculata gestione delle risorse pubbliche rischiano ora di sfuggire ai controlli della Magistratura contabile e di restare a carico dei bilanci pubblici e della collettività.

Merita infine una riflessione l’impatto della permanenza dello scudo erariale e della prospettata abrogazione dell’abuso d’ufficio sull’efficace individuazione e lotta alla corruzione.

Da un primo punto di vista, il grave depotenziamento dei presidi di legalità e di tutela della sana e corretta gestione delle risorse pubbliche realizzato con la dequotazione della responsabilità amministrativo-contabile, a dispetto di quanto imposto dalla normativa comunitaria, specie nella gestione di una assai ingente mole di risorse quali quelle connesse al PNRR, rischia infatti di avere effetti negativi di un certo rilievo nei confronti delle strategie di prevenzione e contrasto della corruzione [90], con la conseguenza – certamente non voluta, ma probabilmente non adeguatamente valutata – di incentivare l’utilizzo improprio di tali risorse.

Per quanto concerne invece il versante penalistico, il delitto di abuso di ufficio è molto spesso “il delitto-spia delle figure di corruzione in senso stretto”[91], e la sua paventata abrogazione andrebbe gravemente ad inficiare le strategie di repressione di tali fenomeni. Anche a tal proposito è oggetto di discussione una Proposta di Direttiva sulla lotta contro la corruzione che all’art. 11 impone un vincolo di criminalizzazione in materia di abuso di ufficio, evidenziando pertanto la necessità di tale reato – previsto in tutti i 25 Stati UE[92] – superando la Convenzione ONU di Merida del 2003 che riconosceva agli Stati la mera facoltà di tale penalizzazione.

La direzione euro-unitaria appare dunque chiara, sia sul versante penalistico che erariale: occorre ora meditare o ri-meditare entrambi gli scudi nella prospettiva nazionale.

  1. Sul cosiddetto “diritto penale pandemico”, si vedano, tra gli altri: M. PELISSERO, Covid-19 e diritto penale pandemico. Delitti contro la fede pubblica, epidemia e delitti contro la persona alla prova dell’emergenza sanitaria, in Rivista italiana di diritto e procedura penale, 2020, pp. 504-542; V. VALENTINI, Profili penali della veicolazione virale: una prima mappatura, in Archivio penale, 1/2020, pp. 133-139; R. BARTOLI, Il diritto penale dell’emergenza “a contrasto del coronavirus”: problematiche e prospettive”, in Sistema penale, 24 aprile 2020; C. RUGA RIVA, Il D.L. 25 marzo 2020, n. 19, recante «misure urgenti per fronteggiare l’emergenza epidemiologica da Codiv-19»: verso una “normalizzazione” del diritto penale dell’emergenza?, in La Legislazione penale, 4/2020; A. BERNARDI, Il diritto penale alla prova della COVID-19, in Diritto penale e processo, 2020, pp. 441-451; G. PICCO, Le sanzioni per l’inosservanza delle misure di contenimento del Covid-19: prime osservazioni, in Il Lavoro nella giurisprudenza, 5/2020, pp. 535-545; G. PIGHI, La trasgressione delle misure per contrastare il “coronavirus”: tra problema grave e norma penale simbolica, in La legislazione penale, 3/2020; M. BIASI, F. FERRARO, D. GRIECO, S. ZIRULIA (a cura di), L’emergenza covid nel quadro giuridico, economico e sociale. Quattro chiavi di lettura: distanza, disuguaglianza, comunicazione, responsabilità, Atti del II Convegno annuale del Dipartimento di Scienze Giuridiche “Cesare Beccaria” 15-18 marzo 2021, Giuffrè, 2021.
  2. In tema D. CANGEMI, Principi costituzionali e regime sanzionatorio alla luce della recente legislazione in materia di Covid-19 (parte I), in La Giustizia Penale, 5/2020, pp. 138-160; R. BARTOLI, Legalità e coronavirus: l’allocazione del potere punitivo e i cortocircuiti della democrazia costituzionale durante l’emergenza, in Osservatorio sulle fonti, 2020; G. BATTARINO, Decreto-legge “COVID-19”, sistemi di risposta all’emergenza, equilibrio costituzionale, in Questione Giustizia, 1 marzo 2020; G.L. GATTA, Coronavirus, limitazione di diritti e libertà fondamentali, e diritto penale: un deficit di legalità da rimediare, in Sistema Penale, 16 marzo 2020.

  3. Sull’esigenza di introdurre forme di limitazione della responsabilità degli operatori sanitari, cfr., tra gli altri: C. CUPELLI, Emergenza Covid-19: dalla punizione degli “irresponsabili” alla tutela degli operatori sanitari, in Sistema penale, 30 marzo 2020; M. CAPUTO, Logiche e modi dell’esenzione da responsabilità penale per chi decide e opera in contesti di emergenza sanitaria, in La Legislazione penale, 6/2020, 3; A. GARGANI, La gestione dell’emergenza Covid-19: il “rischio penale” in ambito sanitario, in Diritto penale e processo, 7/2020, pp. 887-895; A. ROIATI, Esercizio della professione sanitaria e gestione dell’emergenza “Covid-19”: note minime per un ampliamento delle fattispecie di esclusione della responsabilità penale, in La Legislazione penale, 5/2020, 3; G. AMATO, Scudo penale per i vaccinatori che somministrano le dosi (D.L. 1. aprile 2021 n. 44) in Guida al Diritto, 16/2021, pp. 47-50; C. ZANNOTTI, Covid e diritto penale: brevi note sullo “scudo penale” per i sanitari, in Il Foro italiano, 6/2021, 5, pp. 157-162; A. MASSARO, Responsabilità penale per morte o lesioni derivanti dalla somministrazione del vaccino antiSARS-CoV-2: gli “anticorpi” dei principi generali in materia di colpa penale, in Rivista italiana di medicina legale e del diritto in campo sanitario, 3/2021, pp. 683-703; F. PICCIONI, La limitazione della responsabilità penale in ambito sanitario, in Sanità Pubblica e Privata, 4/2021, pp. 36-39; R. BATTISTONI, Responsabilità penale medica ed emergenza Covid: le norme a tutela del personale sanitario, in Studium iuris, 1/2022,  pp. 1-12.
  4. Analizza le proposte di diverse norme-scudo nel periodo emergenziale volte a limitare la responsabilità di diversi soggetti (datori di lavoro, dirigenti scolastici, personale sanitario, vaccinatori) E. PENCO, Esigenze e modelli di contenimento della responsabilità nel contesto del diritto penale pandemico, in Diritto penale contemporaneo, 1/2021, pp. 16-37.
  5. Il decreto-legge 1 aprile 2021, n. 44 ha inciso in due direzioni. L’articolo 3 ha previsto un’ipotesi di esclusione della punibilità del personale sanitario addetto alla vaccinazione per i delitti di omicidio e lesioni personali colposi che trovano causa nella somministrazione del vaccino, a condizione che l’uso dello stesso risulti conforme alle indicazioni contenute nel provvedimento di autorizzazione all’immissione in commercio e alle circolari ministeriali in materia. Anche in questo caso per scongiurare il rischio della “medicina difensiva” che avrebbe potuto incentivare il personale sanitario ad astenersi dal somministrare il vaccino per il timore di incorrere in responsabilità penale, così come per incidere sulla “burocrazia difensiva”, il legislatore ha adottato la medesima strategia di contrazione delle relative responsabilità.

    Di più ampio respiro invece l’art. 3 bis, introdotto dalla legge di conversione (legge 28 maggio 2021, n. 76) e qualificato come “scudo penale”. La norma ha previsto una limitazione della responsabilità penale ai casi di colpa grave per tutti gli esercenti una professione sanitaria durante lo stato di emergenza da Covid-19 per i fatti di omicidio e lesioni causalmente riconducibili proprio al contesto emergenziale. In tale contesto sono stati disposti alcuni parametri, seppur non esaustivi, di valutazione del grado della colpa. Possono in particolare concorrere ad escludere la gravità della colpa: la limitatezza delle conoscenze scientifiche al momento del fatto sulle patologie da SARS-CoV-2, la scarsità delle risorse umane e materiali concretamente disponibili in relazione al numero dei casi da trattare, il minore grado di esperienza e conoscenze tecniche possedute dal personale non specializzato impiegato per far fronte all’emergenza.

  6. Con il termine “burocrazia difensiva” si intende quel fenomeno per cui i pubblici funzionari si astengono dall’assumere decisioni che pur riterrebbero utili per il perseguimento dell’interesse pubblico, preferendo assumerne altre meno impegnative o restando inerti per il timore di incorrere in responsabilità, soprattutto penale o erariale. In argomento A. MANNA, G. SALCUNI, Dalla “burocrazia difensiva” alla “difesa della burocrazia”? Gli itinerari incontrollati della riforma dell’abuso d’ufficio, in La Legislazione penale, 2020, n. 12.
  7. Per un parallelismo tra medicina difensiva e burocrazia difensiva si veda C. CUPELLI, L’abuso d’ufficio, in Delitti dei pubblici ufficiali contro la P.A., (a cura di) B. ROMANO, A. MARANDOLA, Wolters Kluwer, CEDAM, 2020, pag. 291. Sui riflessi della modifica della responsabilità amministrativa sull’esercente una professione sanitaria, assoggettato alla giurisdizione della Corte dei conti, cfr. R. TUZZI, La medico-crazia difensiva: un confronto tra medicina e burocrazia difensiva alla luce dell’art. 21 del d.l. 76/2020, in Federalismi, 28/2021, pp. 140-160. Inoltre, sulla responsabilità amministrativa dell’esercente la professione medica alle dipendenze di una struttura sanitaria pubblica, anche a seguito delle modifiche introdotte dal Decreto Semplificazioni, E. FRATTO ROSI GRIPPAUDO, La responsabilità erariale dell’esercente la professione sanitaria, in Federalismi, 21/2021, pp. 83-112.
  8. Tale affermazione è comparsa nel titolo della slide utilizzata dal Presidente Conte nella conferenza stampa di presentazione del Decreto.
  9. Di diverso avviso A. Benigni, che almeno per il profilo dell’elemento soggettivo della responsabilità amministrativa ritiene che la riforma “sia stata molto più apparente che reale”. Così A. BENIGNI, Prima lettura del d.l. n. 76/2020 tra formante legislativo e interpretazione costituzionalmente orientata, in Rivista della Corte dei conti, 5/2020.
  10. Si tratta, come affermato nel comunicato stampa diffuso dopo l’approvazione del Decreto, di un “intervento organico volto alla semplificazione dei procedimenti amministrativi, all’eliminazione e alla velocizzazione di adempimenti burocratici, alla digitalizzazione della pubblica amministrazione, al sostegno all’economia verde e all’attività di impresa. Il decreto interviene, in particolare, in quattro ambiti principali: semplificazioni in materia di contratti pubblici ed edilizia, semplificazioni procedimentali e responsabilità, misure di semplificazione per il sostegno e la diffusione dell’amministrazione digitale, semplificazioni in materia di attività di impresa, ambiente e green economy”.
  11. Esaminano la disciplina emergenziale degli appalti pubblici in chiave critica, anche sotto il profilo della compatibilità con le regole europee e con la CEDU, S. FOA’ – M. RICCIARDO CALDERARO, Gli appalti pubblici e la pandemia: criticità del sistema degli affidamenti e del contenzioso, in Gestione nazionale della pandemia, misure giuridiche tra Costituzione e Cedu. Profili critici., (a cura di) S. FOA’ e A. CAMAIANI, Giappichelli, 2022.

    Sulle modifiche introdotte dal d.l. Semplificazioni in tema di appalti si veda, tra gli altri, S. USAI, Le procedure sotto soglia nella legge di conversione del d.l. 76/2020, in Appalti e Contratti, 9/2020, pp. 10-20; C. DI MARZIO, Il decreto semplificazioni e gli appalti pubblici, in Rivista Amministrativa della Repubblica Italiana, 1-2/2021, 2, pp. 59-92; F. GAFFURI, La disciplina degli appalti pubblici dopo il “Decreto Semplificazioni”, in Giurisprudenza Italiana, 5/2021, pp. 1243-1257.

  12. In tema G. RIZZI, Decreto Semplificazioni 2020 e modifiche al Testo unico in materia edilizia, in Notariato, 6/2020, pp. 582-598
  13. Ex multis F. FRACCHIA – P. PANTALONE, La fatica di semplificare: procedimenti a geometria variabile, amministrazione difensiva, contratti pubblici ed esigenze di collaborazione del privato “responsabilizzato”, in Federalismi, 36/2020, pp. 33-70; M. TRIMARCHI, Note sul preavviso di rigetto dopo la legge n. 120 del 2020, in Diritto e Processo Amministrativo, 2/2022; M. RICCIARDO CALDERARO, Il preavviso di rigetto ai tempi della semplificazione amministrativa, in Federalismi, n. 11/22; M. CALABRO’, L’inefficacia del provvedimento tardivo di cui al nuovo art. 2, co. 8-bis della L. n. 241/1990 e gli effetti sulla disciplina del silenzio assenso: primi passi nell’ottica della certezza del diritto, in ambientediritto.it, 1/2021, pp. 103-125.
  14. Si tratta del cosiddetto “dolo contrattuale o in adimplendo”, che in una concezione civilistico-contrattuale si riferisce ad un comportamento consapevole di omissione di una prestazione dovuta in violazione dei principi che regolano l’esercizio dell’attività amministrativa, senza che sia rilevante a tal fine la consapevolezza del danno cagionato dalla condotta. Così Corte conti, sez. Sardegna, 18 novembre 2014, n. 229. Di orientamento contrario invece l’indirizzo, poi cristallizzato dal Decreto Semplificazioni, che già da tempo richiede la volontà dell’evento dannoso, oltre alla consapevolezza della condotta: è il cosiddetto “dolo erariale”. Così Corte conti, sez. Lombardia, 8 gennaio 2015, n. 1; id., 10 febbraio 2015, n. 18; id., 10 febbraio 2015, n. 19; id., 20 febbraio 2015, n. 26.
  15. La limitazione temporale inizialmente prevista dall’art. 21 del d.l. n. 76/2020 per i fatti commessi dalla data di entrata in vigore del decreto-legge e fino al 31 luglio 2021, è stata estesa in sede di conversione, con legge n. 120/2020, al 31 dicembre 2021, poi prorogata, con d.l. 77/2021, convertito con legge n. 108/2021, art. 51, co. I, lett. h), al 30 giugno 2023, e da ultimo ulteriormente estesa al 30 giugno 2024 con d.l. n. 44/2023 (c.d. “Decreto PA”), convertito con legge n. 74/2023, art. 1 comma 12- quinquies
  16. Tale affermazione è comparsa nella slide utilizzata dal Presidente Conte nella conferenza stampa di presentazione del Decreto Semplificazioni per introdurre l’allentamento della responsabilità dei funzionari pubblici.
  17. Così AA.VV., “Burocrazia difensiva”: cause, indicatori e rimedi, in Rivista Trimestrale di Diritto Pubblico, 4/2021, pp. 1295 ss.
  18. Da ultimo, il d.l. 31 ottobre 2022, n. 162 aveva introdotto l’art. 434 bis c.p., che puniva la condotta di invasione di terreni o edifici per raduni pericolosi per l’ordine pubblico o l’incolumità pubblica o la salute pubblica. A seguito delle ampie critiche sollevate, la fattispecie è stata tuttavia emendata con la legge di conversione (L. 30 dicembre 2022, n. 199) che ne ha assegnato nuova collocazione all’art. 633 bis c.p.. La norma originariamente introdotta è stata definita “una norma-bandiera, identitaria, che voleva far capire ai disobbedienti che la festa era finita, o che la musica era cambiata”: così C. RUGA RIVA, Indietro (quasi) tutta. Sulla nuova fattispecie di invasione di terreni o edifici altrui pericolosa per la salute o incolumità pubblica, in Sistema Penale, 10 gennaio 2023. Sul punto si veda anche C. RUGA RIVA, La festa è finita. Prime osservazioni sulla fattispecie che incrimina i “rave party” (e molto altro), in Sistema Penale, 3 novembre 2022; D. PULITANO’, Penale party. L’avvio della nuova legislatura, in Giurisprudenza Penale Web, 11/2022. Il 7 dicembre 2022 la Commissione Giustizia del Senato ha approvato l’emendamento che ne riscrive il testo e.
  19. Analizzano il fenomeno del frequente ricorso alle delibere dell’esecutivo “salvo intese”, evidenziandone i profili di dubbia legittimità costituzionale, A. DI CHIARA, Due prassi costituzionalmente discutibili: delibere del Governo “salvo intese” e pubblicazione tardiva dei decreti legge, n. 1/2019, in Osservatorio sulle fonti, ed A. MARCHETTI, Il procedimento governativo di approvazione dei decreti legge tra regole formali e prassi: il requiem della collegialità ministeriale, in Osservatorio sulle fonti, fasc. 3/2016, 23 e ss.
  20. In tema G.L. GATTA, Da ‘spazza-corrotti’ a ‘basta paura’: il decreto-semplificazioni e la riforma con parziale abolizione dell’abuso d’ufficio, approvata dal Governo ‘salvo intese’ (e la riserva di legge?), in Sistema Penale, 17 luglio 2020.
  21. Così il Prof. Francesco Clementi nell’intervista a Il dubbio del 9 luglio 2020.
  22. La finalità di superare tale orientamento giurisprudenziale emerge chiaramente nella relazione illustrativa al d.l. n. 76/2020, dove all’art. 21 si legge: “in materia di responsabilità̀ dei soggetti sottoposti alla giurisdizione della Corte dei conti, la norma chiarisce che il dolo va riferito all’evento dannoso in chiave penalistica e non in chiave civilistica, come invece risulta da alcuni orientamenti della giurisprudenza contabile che hanno ritenuto raggiunta la prova del dolo inteso come dolo del singolo atto compiuto”.
  23. Sul punto si veda L. CARBONE, Una responsabilità erariale transitoriamente “spuntata”. Riflessioni a prima lettura dopo il d.l. 16 luglio 2020, n. 76 (c.d. “Decreto Semplificazioni”), in Federalismi, n. 30/2020, pp. 7 ss.
  24. Nel paragrafo successivo saranno analizzate le ulteriori questioni di legittimità costituzionale sollevate.
  25. Corte cost. 19 gennaio 2022, n. 8, in Cass. Pen., 2022, n. 3, pp. 1025 ss., con nota di E. APRILE, Questioni di legittimità costituzionale in tema di abuso di ufficio. Annotano la sentenza altresì i contributi di F. MERUSI, La Corte fra residui risorgimentali e limiti all’efficienza della Pubblica Amministrazione causa dal giudice penale, in Giurisprudenza costituzionale, 2022, n. 1, pp. 88 ss.; G. AMATO, Una norma di difficile applicazione che non è uno ‘scudo burocratico’ ([Commento a sentenza] Corte costituzionale, 25 novembre 2021-18 gennaio 2022 n. 8), in Guida al Diritto, 4/2022, pp. 96-101; S. BATTINI, Abuso d’ufficio e burocrazia difensiva nel groviglio dei rapporti fra poteri dello Stato, in Giornale di diritto amministrativo, 2022, n. 4, pp. 494 ss.; E. PENCO, Costituzionalmente legittima la ri-formulazione della fattispecie di abuso d’ufficio operata dal c.d. “decreto semplificazioni”, in Diritto penale e processo, 2022, n. 4, pp. 457 ss.; C. PAGELLA, La riforma del delitto di abuso d’ufficio passa, indenne, al vaglio della Corte costituzionale, in Il lavoro nelle pubbliche amministrazioni, 3/2022; F. BALLESI, La sentenza della Corte Costituzionale n. 8/2022 sul reato di abuso d’ufficio, come modificato dall’art. 23 DL 76/2020: verso il tramonto del principio “nullum crimen, nulla poena sine lege”?, in Giurisprudenza Penale Web, 2022, 3; A. LUBERTI, La Corte Costituzionale interviene sull’abuso d’ufficio, in Questa Rivista, 25 gennaio 2022.
  26. Sul punto si veda S. BATTINI, Abuso d’ufficio e burocrazia difensiva nel groviglio dei rapporti fra poteri dello Stato, cit.
  27. In tema G. BOTTINO, Il conflitto tra il legislatore e la giurisprudenza come causa della “burocrazia difensiva”: la responsabilità penale per “abuso d’ufficio” come paradigma, in Il lavoro nelle pubbliche amministrazioni, 2/2022, pp. 241-274. L’Autore esamina le conseguenze del conflitto tra legislatore e giurisprudenza sulle scelte decisionali degli amministratori e funzionari pubblici attraverso la metafora dell’“asino di Buridano”, “l’animale stanco ed affamato posto esattamente alla stessa distanza tra due mucchi di fieno con i quali nutrirsi, che non sapendo quale dei due scegliere ed ove dirigersi, resta fermo nel mezzo, e ivi muore per gli stenti”. I funzionari pubblici, si trovano così “nel mezzo”, tra il legislatore e la giurisprudenza penale sulla fattispecie di abuso d’ufficio, tra il “decidere di non decidere”, di rimanere inerti, o di adottare soltanto le scelte in grado di metterli in più possibile al riparo dalle imputazioni di abuso d’ufficio.
  28. Il complesso rapporto tra la formulazione normativa dell’abuso d’ufficio e la sua interpretazione giurisprudenziale è stato efficacemente descritto come “un gioco di Sumo tra due giganti”, la cui partita non sembra ancora essersi chiusa. Così M. PELISSERO, L’instabilità dell’abuso d’ufficio e la lotta di Sumo, in Dir. Pen. e Proc., 5/2023, pp. 613-619.
  29. Così A. MERLO, Lo scudo di cristallo: la riforma dell’abuso d’ufficio e la riemergente tentazione “neutralizzatrice” della giurisprudenza, in Diritto penale contemporaneo, 1/2021, pp. 75-89.
  30. Ex multis, Cass. pen., sez. VI, sent. 21 febbraio 2019-23 maggio 2019, n. 22871; Cass. pen., sez. VI, sent. 12 giugno 2018-29 ottobre 2018, n. 49549; Cass. pen., sez. II, sent. 27 ottobre 2015-20 novembre 2015, n. 46096.
  31. Ex multis, la sentenza delle Sezioni Unite “Rossi”, che ha riconosciuto il “requisito della violazione di legge non solo quando la condotta del pubblico ufficiale sia svolta in contrasto con le norme che regolano l’esercizio del potere, ma anche quando la stessa risulti orientata alla sola realizzazione di un interesse collidente con quello per il quale il potere è attribuito, realizzandosi in tale ipotesi il vizio dello sviamento di potere, che integra la violazione di legge poichè lo stesso non viene esercitato secondo lo schema normativo che ne legittima l’attribuzione”. Così Cass. pen., Sez. Un., sent. 29 settembre 2011-10 gennaio 2012, n. 155.
  32. Dal “volto feroce della legge ‘spazza-corrotti’ si è passati al più mite e comprensivo decreto-semplificazioni”: così G.L. GATTA, Da ‘spazza-corrotti’ a ‘basta paura’: il decreto-semplificazioni e la riforma con parziale abolizione dell’abuso d’ufficio, approvata dal Governo ‘salvo intese’ (e la riserva di legge?), cit.
  33. Moltissimi sono i contributi che hanno esaminato, in chiave critica, la fattispecie riformata dell’abuso d’ufficio. Ex multis: M. GAMBARDELLA, Simul stabunt vel simul cadent. Discrezionalità amministrativa e sindacato del giudice penale: un binomio indissolubile per la sopravvivenza dell’abuso d’ufficio, in Sistema penale, 2020, 7, p. 152 ss.; R. GRECO, Abuso d’ufficio: per un approccio “eclettico”, in giustizia-amministrativa.it, 2020; A. NISCO, La riforma dell’abuso d’ufficio: un dilemma legislativo insoluto ma non insolubile, in Sistema Penale, 20 novembre 2020; T. PADOVANI, Vita, morte e miracoli dell’abuso d’ufficio, in giurisprudenzapenale.com, 28 luglio 2020; G. MANFREDI PARODI, In memoria dell’abuso d’ufficio? Osservazioni critiche sulla riforma dell’art. 323 c.p., in Sistema Penale, 17 agosto 2021; A. CASTALDO – M. NADDEO, La riforma dell’abuso d’ufficio, Giappichelli, 2021; T. PADOVANI, L’erratica sopravvivenza dell’abuso d’ufficio, in Giur. It., 10/2021, pp. 2216-2218; N. PISANI, La riforma dell’abuso d’ufficio nell’era della semplificazione, in Diritto Penale e Processo, 2021, 1, pp. 9-19.
  34. Si esclude così quell’orientamento che tendeva a ritenere sussistente la fattispecie anche in violazione di atti di soft law, come le Linee Guida dell’ANAC. Sul punto si veda V. VALENTINI, Abuso d’ufficio e fast law ANAC. Antichi percorsi punitivi per nuovi programmi preventivi, in Archivio Penale, 3/2018; F. ROTONDO, Linee guida ANAC ed abuso d’ufficio: principio di legalità e modifiche mediate della fattispecie incriminatrice, in Penale, Diritto e Procedura, 2020; V. NERI, Note minime sulla disapplicazione delle linee guida ANAC da parte del giudice amministrativo e sulla rilevanza penale della loro violazione, in giustizia-amministrativa, 6 marzo 2018.
  35. Approfondisce il tema della discrezionalità amministrativa nella nuova formulazione dell’art. 323 c.p., con considerazioni in chiave critica dei risvolti applicativi ed evidenziando la crescente importanza che il concetto e la nozione di potere discrezionale rivestono nel contesto attuale, R. FERRARA, Abuso d’ufficio e discrezionalità amministrativa: alle origini del problema, in Diritto e Processo Amministrativo, 1/2022.
  36. In tema Cass. pen. sez. VI, 14 aprile 2021, n. 26429, in C.E.D. Cass. n. 281582; sez. VI, 8 gennaio 2021, n. 7007, ivi, n. 281158.
  37. Cass. pen., sez. VI, sent. 8 gennaio 2021, n. 442. Commentano la sentenza A. D’AVIRRO, Il “labirinto” della discrezionalità nel nuovo reato di abuso di ufficio, in Diritto penale e processo, 7/2021, pp. 930 ss.; M. GAMBARDELLA, La modifica dell’abuso d’ufficio al vaglio della prima giurisprudenza di legittimità: tra parziale abolitio criminis e sindacato sulla discrezionalità amministrativa, in Cassazione penale, 2/2021, p. 490; A. ALBERICO, Le vecchie insidie del nuovo abuso d’ufficio, in Sistema penale, 4/2021; A. PICARNI – F. GUIDA, L’abuso di ufficio. Ambivalente fattispecie tra genericità dell’addebito, a perimetro delineato dal diritto vivente, e “paura della firma”, in Rivista trimestrale di diritto penale dell’economia, 2021, n. 1/2, pp. 150 ss; R. BORSARI, A volte ritornano. Riforma dell’abuso d’ufficio e sperimentazioni applicative, in Sistema Penale, 23 settembre 2021.

    Già prima della riforma del 2020 vi era un orientamento giurisprudenziale che riteneva configurabile l’abuso d’ufficio in ipotesi di eccesso di potere, sotto forma di sviamento: le note Sezioni Unite “Rossi”, Cass. Sez. Un. 29 settembre 2011, n. 155, Rossi, CED 251498, ed ex multis Cass. Sez. VI, 13 aprile 2018, n. 19519, Filzola, CED 273099; Cass. Sez. VI, 13 marzo 2014, n. 32237, Novi, CED 260428).

  38. Così Cass. pen., sez. VI, sent. 8 gennaio 2021, n. 442, cit.
  39. Sul punto M. GAMBARDELLA, La modifica dell’abuso d’ufficio al vaglio della prima giurisprudenza di legittimità: tra parziale abolitio criminis e sindacato sulla discrezionalità amministrativa, cit.
  40. Cass. Sez. VI, 28 gennaio 2021, n. 8057, in C.E.D. Cass., n. 280965, e in Sistema Penale, 16 aprile 2021, con nota di C. PAGELLA, La Cassazione sui “margini di discrezionalità” nel riformato abuso d’ufficio. Sul punto anche R. BORSARI, A volte ritornano. Riforma dell’abuso d’ufficio e sperimentazioni applicative, cit.

    A. MERLO, Quasi come Queneau: il legislatore e l’impresa immagine di riformare l’abuso d’ufficio, il Il Foro italiano, n. 4/2021m parte II, p. 231 ss.

  41. Cass. Sez. fer, 17 agosto 2021, n. 42640, in C.E.D. Cass., n. 282268.
  42. Così M. GAMBARDELLA, cit.  
  43. Cass. Sez. III, sent. 28 settembre 2020, n. 26834 e Sez. VI, sent. 12 novembre 2020 n. 31873. La Suprema Corte ha affermato che dall’espresso rinvio della normativa legale in materia urbanistica agli strumenti urbanistici generali discende che il titolo abilitativo edilizio rilasciato senza rispetto del piano regolatore integra una violazione di legge rilevante ai fini della configurabilità del reato di cui all’art. 323 c.p. Questo perché “la violazione degli strumenti urbanistici, in conformità dell’indirizzo ermeneutico consolidato, rappresenta solo il presupposto di fatto della violazione della normativa legale in materia urbanistica e, in particolare, degli artt. 12 e 13 del d.P.R. n. 380 del 2001, Testo Unico delle disposizioni legislative e regolamentari in materia edilizia”. Inoltre, secondo la Cassazione le norme citate sono conformi al nuovo testo normativo in quanto esse si sostanziano in norme specifiche e per le quali non residuino margini di discrezionalità.
  44. Cass. Sez. VI, 16 febbraio 2021, n. 33240, in C.E.D. Cass., n. 281843, e in Sistema Penale, 9 dicembre 2021, con nota di C. PAGELLA, Abuso d’ufficio e violazione di norme regolamentari: la Cassazione delinea i limiti di ammissibilità dello schema della “eterointegrazione”. Da ultimo Cass. pen. sez. IV, 8 novembre 2022, n.46669.
  45. Nel testo della sentenza Corte Cost. n. 8/2022, pag. 4, nella parte in fatto, il giudice rimettente ha ritenuto la fattispecie incriminatrice così configurata a seguito della riforma del 2020 come un “reato legislativamente impossibile”. L’inosservanza di un vincolo di condotta integrerebbe già di per sé un diverso reato, ad esempio omissione di atti d’ufficio, o falso conseguente al compimento di un atto in difetto dei presupposti, o un diverso abuso d’autorità specificamente previsto. Stante la clausola di sussidiarietà posta in apertura nella norma, e non interpolata dalla riforma, l’abuso d’ufficio sarebbe quindi difficilmente riscontrabile nella prassi.
  46. Analoghe critiche erano già state svolte in dottrina: sul punto si veda T. PADOVANI, Vita, morte e miracoli dell’abuso d’ufficio, cit.
  47. Ex plurimis, Cass. sent. 17/2021, 37/2019, 46/2014, 324/2008, 394/2006, 161/2004.
  48. È stato così escluso che integri il reato di abuso d’ufficio la sola violazione dei principi di imparzialità e buon andamento di cui all’art. 97, comma 3, Cost.: Cass. pen. sez. VI, 10 giugno 2022, n.28402; Cass. pen., sez. VI, 17 febbraio 2022, n. 13136, in Cassazione Penale 2022, 7-08, 2624; Cass. pen. sez. VI, 7 aprile 2022, n.23794, in Il penalista.it, 20 settembre 2022, con nota di B. ROMANO, La Cassazione ribadisce la parziale abolitio criminis dell’abuso di ufficio. Sul punto anche C. PAGELLA, Abuso d’ufficio: la Cassazione ribadisce la sopravvenuta irrilevanza penale della violazione di norme di principio, in Sistema Penale, 15 luglio 2022.
  49. Con sentenza n. 2080 del 6 dicembre 2021, la Suprema Corte aveva infatti affermato che la riforma introdotta dal D.L. Semplificazioni “non ha determinato l’abolitio criminis delle condotte realizzate mediante violazione dell’art. 97 Cost nella parte in cui è vietata l’attuazione di intenti discriminatori o ritorsivi, quale connotato dell’imparzialità nell’esercizio delle pubbliche funzioni, trattandosi di principio costituzionale di portata immediatamente precettiva, che non necessita di alcun adattamento o specificazione”.
  50. Cass. pen., sent. n. 13136 del 2022.
  51. Cass. pen. sez. VI, 23 febbraio 2022, n.13139, in Cassazione Penale 2022, 10, 3450; Cass. pen. sez. VI, 8 marzo 2022, n.13148, in Cassazione Penale 2022, 10, 3444. In senso conforme, anche prima della riforma del 2020: Sez. VI, 8 gennaio 2021, n. 442; Sez. VI, 17 settembre 2020, n. 31873, in C.E.D Cass., n. 279889-01; Sez. VI, 9 dicembre 2020, n. 442/2021; Sez. fer., 25 agosto 2020, n. 32174; Sez. III, 8 settembre 2020, n. 26834; Sez. III, 19 giugno 2012, n. 39462, ivi, n. 254015; Sez. VI, del 25 gennaio 2007, n. 11620, ivi, n. 236147.
  52. Cass. pen., sez. VI, 18 maggio 2022, n.21643, in Guida al diritto, 2022, 30.
  53. Così G. VICICONTE, Il controllo del giudice penale e del giudice contabile sulla discrezionalità amministrativa: la legalità dell’esperienza giuridica concreta, in Rivista della Corte dei conti, 2021.
  54. Sul punto M. GAMBARDELLA, Tre disegni di legge in materia di abuso d’ufficio e responsabilità per i reati omissivi impropri, in DisCrimen, 11 novembre 2021; B. ROMANO, Brevi considerazioni sulle ulteriori proposte di riforma dell’abuso di ufficio, a partire dalle responsabilità dei sindaci, in Giurisprudenza Penale Web, 2021, 11 e C. PAGELLA, Abuso d’ufficio: una nuova riforma? Guida alla lettura dei Disegni di Legge Ostellari, Parrini e Santangelo, in Sistema Penale, 10 dicembre 2021.
  55. Sono i disegni di legge numero 2324, Parrini (Disposizioni in materia di responsabilità penale, amministrativa e contabile dei sindaci), 2279, Santangelo (Modifica all’articolo 54 del testo unico delle leggi sull’ordinamento degli enti locali, di cui al decreto legislativo 18 agosto 2000, n.267, in materia di responsabilità penale degli amministratori locali) e 2145, Ostellari (Modifica dell’articolo 323 del Codice penale in materia di reato di abuso d’ufficio).
  56. Il testo dell’art. 323 come proposto dal Sen. Ostellari risulterebbe: «Salvo che il fatto non costituisca un più grave reato, il pubblico ufficiale o l’incaricato di pubblico servizio che, omettendo di astenersi in presenza di un interesse proprio o di un prossimo congiunto, intenzionalmente procura a sé o al altri un ingiusto vantaggio patrimoniale ovvero arreca ad altri un danno ingiusto, è punito con la reclusione da uno a quattro anni».
  57. Il Disegno di legge Santangelo ha come soggetto, invece, il sindaco nella sua veste di ufficiale del Governo. Dopo il primo comma dell’art. 54 del TUEL (d.lgs. 267/2000), che attribuisce al sindaco, in tale veste, il potere di emanare ordinanze contingibili e urgenti per far fronte a situazioni di pericolo per l’incolumità pubblica non fronteggiabili con gli strumenti ordinari), propone inserimento di co. 1 bis ai sensi del quale «il sindaco, quale ufficiale del governo, nell’esercizio delle funzioni di cui al comma 1, risponde esclusivamente per dolo o colpa grave per violazione dei doveri d’ufficio».
  58. Commenta le più recenti proposte di riforma dell’abuso d’ufficio G.L. GATTA, L’annunciata riforma dell’abuso d’ufficio: tra “paura della firma”, esigenze di tutela e obblighi internazionali di incriminazione, in Sistema Penale, 19 maggio 2023. In tema si veda anche R. GAROFOLI, La annunciata riforma dell’abuso d’ufficio: le preoccupazioni dei Sindaci tra PNRR e rilancio della macchina dello Stato, in Sistema Penale, 27 marzo 2023.
  59. Proposta di legge Pella A.C. 716.
  60. Proposta di legge Costa A.C. 654.
  61. Proposta di legge Rossello ed altri C.399, presentata alla Camera dei deputati il 19 ottobre 2022 e la proposta di legge Pittalis ed altri C.645, presentata il 29 novembre 2022.
  62. Disegno di legge n. S. 808.
  63. In senso critico sull’abrogazione integrale della fattispecie si veda M. DONINI, Gli aspetti autoritari della mera cancellazione dell’abuso di ufficio, in Sistema Penale, 23 giugno 2023, che la definisce “una sanzione politica che non deve pregiudicare i diritti protetti dalla norma”. Sul punto si veda anche S. PERONGINI, Le ragioni che consigliano l’abrogazione del reato di abuso d’ufficio, in A. R. CASTALDO, pagg. 13 e ss.; B. ROMANO, La continua riforma dell’abuso di ufficio e l’immobilismo della pubblica amministrazione, in Il Penalista, 28 luglio 2020, pag. 8; C. CUPELLI, Sulla riforma dell’abuso d’ufficio, in Sistema penale, 2023; M. PELISSERO, L’instabilità dell’abuso d’ufficio e la lotta di Sumo, cit. Si segnalano i testi delle audizioni in Commissione Giustizia del Senato sul disegno di legge n. S. 808 (Nordio) che ne evidenziano alcuni profili di criticità: M. PELISSERO, Sulla proposta di abolizione dell’abuso d’ufficio e di riformulazione del traffico d’influenze illecite, in Sistema Penale, 18 settembre 2023; R. CANTONE, Ancora in tema di abuso d’ufficio e traffico di influenze illecite (d.d.l. Nordio), in Sistema Penale, 19 settembre 2023; G. LATTANZI, Sulla proposta abolizione del reato di abuso d’ufficio. Note critiche, in Sistema Penale, 20 settembre 2023; R. GAROFOLI, Note critiche sulla proposta di abolizione dell’abuso d’ufficio, in Sistema Penale, 21 settembre 2023; M. GAMBARDELLA, L’abrogazione dell’abuso d’ufficio e la riformulazione del traffico d’influenze nel “disegno di legge Nordio”, in Sistema Penale, 26 settembre 2023.
  64. Espone i risultati di una indagine di tipo statistico-criminologico su un campione di circa 500 sentenze in materia di abuso d’ufficio C. PAGELLA, L’abuso d’ufficio nella giurisprudenza massimata della Cassazione: un’indagine statistico-criminologica su 500 decisioni, in Sistema Penale, 17 giugno 2023.
  65. Il testo originario indicava il limite del 31 luglio 2021, dapprima ampliato al 31 dicembre 2021 in sede di conversione del d.l. n. 76 del 2020, poi ulteriormente prorogato alla data del 30 giugno 2023 dall’art. 51, comma 1, lett. h), d.l. n. 77 del 2021.
  66. Ciò emerge chiaramente dalla relazione illustrativa al d.l. 76/2020, dove all’art. 21 si legge che la responsabilità viene limitata “in modo che i pubblici dipendenti abbiano maggiori rischi di incorrere in responsabilità in caso di non fare (omissioni e inerzie) rispetto al fare, dove la responsabilità viene limitata al dolo”.
  67. Si segnalano i contributi di G. BOTTINO, Le azioni ed omissioni nella responsabilità erariale, in Questa Rivista, 1/2021, pp. 86-95; C. PAGLIARIN, L’elemento soggettivo dell’illecito erariale nel ‘decreto semplificazioni’: ovvero la ‘diga mobile’ della responsabilità, in Federalismi, 10/2021; L. CARBONE, Problematiche e prospettive della responsabilità erariale: dalla gestione dell’emergenza epidemiologica all’attuazione del piano nazionale di ripresa e resilienza (PNRR), in Ambiente Diritto, 2/2021; M. R. SPASIANO, Riflessioni in tema di nuova (ir)responsabilità erariale e la strada della tipizzazione della colpa grave nella responsabilità erariale dei pubblici funzionari, in Diritto e processo amministrativo, 2/2021, pp. 279-304; S. CIMINI – F. VALENTINI, La dubbia efficacia dello “scudo erariale” come strumento di tutela del buon andamento della P.A., in ambiente diritto, 1/2022; E. AMANTE, La “nuova” responsabilità amministrativa a seguito del D.L. n. 76 del 2020, in Urbanistica e appalti, 1/2021, pp. 63-71.; G. CREPALDI, L’elemento soggettivo della responsabilità amministrativa prima e dopo il decreto Semplificazioni, in Responsabilità civile e previdenza, 1/2021, pp. 23-36.
  68. Tra i contributi critici della magistratura contabile, si segnalano A. CANALE, Il d.l. semplificazioni e il regime transitorio in tema di responsabilità amministrativa: i chiaroscuri della riforma, in Questa Rivista, 30 marzo 2021; Associazione Magistrati Corte dei conti, Comunicato Stampa: PNRR e Stato di Diritto, in Questa Rivista, 26 aprile 2021.
  69. Il Convegno sui 160 anni della Corte dei conti si è tenuto a Torino l’11 e il 12 ottobre 2022 e gli interventi sono stati raccolti nel Quaderno n. 2/2022 della Rivista della Corte dei conti.
  70. Relazione del Presidente della Corte dei conti dott. Guido Carlino alla Cerimonia di Inaugurazione dell’Anno giudiziario 2023, pp. 10-12, disponibile al seguente link: https://www.corteconti.it/Download?id=28e9fdb0-915b-457d-a49d-d68f835c6401
  71. Intervento del Procuratore Generale Angelo Canale alla Cerimonia di Inaugurazione dell’Anno Giudiziario 2023 della Corte dei conti, disponibile al seguente link: https://www.corteconti.it/Download?id=fbb88a94-d023-404b-8351-73dfffd2d39e
  72. Sul punto A. CANALE, Il d.l. Semplificazioni e il regime transitorio in tema di responsabilità amministrativa: i chiaroscuri della riforma, in Diritto & Conti, 30 marzo 2021. L’Autore afferma che la premessa di tale riforma, ovvero che il rischio di incorrere nella responsabilità amministrativa indurrebbe i dirigenti alla c.d. burocrazia difensiva, “non è dimostrata, non è stata oggetto di alcun serio approfondimento, non è stata supportata da alcuna analisi, né da alcun dato, né sono stati forniti esempi”. Al contrario, l’Autore evidenzia che su circa 2000 giudizi di responsabilità promossi nel biennio 2019/2020, in apparenza nulla pare potersi ricondurre alle cause della “paura della firma”.
  73. Così A. CANALE, cit.
  74. Sollevano profili di incostituzionalità, tra gli altri, M. PERIN, Le modifiche (o soppressione) della responsabilità amministrativa per colpa grave. Saranno utili? Probabilmente no., in Lexitalia, 25 agosto 2020; C. PAGLIARIN, L’elemento soggettivo dell’illecito erariale nel “decreto semplificazioni”: ovvero la “diga mobile” della responsabilità, cit.
  75. La sentenza Corte conti, Sez. II App., n. 446 del 2022 ha ritenuto manifestamente infondata la questione di legittimità sulla limitazione della responsabilità erariale per disparità di trattamento, ritenendo che “la ragione della deroga, prevista dalla disposizione, al normale regime della responsabilità amministrativa è dichiaratamente quella di stimolare la ripresa economica dopo la grave crisi causata dalla pandemia da COVID-19”, con un intervento di “carattere straordinario” e volto a “soddisfare esigenze contingenti e temporanee”.
  76. Basti richiamare Corte cost. n. 466 del 1991.
  77. Sul punto Corte cost. n. 340 del 2001.
  78. Corte cost. n. 371 del 1998.
  79. In tema G. ASTEGIANO, M. SMIROLDO, I principali nodi e le prospettive della responsabilità amministrativa, in Cerimonia di inaugurazione dell’Anno Giudiziario 2023, p. 26.
  80. L’art. 8 del Regolamento n. 241 del 2021 rinvia alla normativa generale del Regolamento finanziario, che all’art. 92 prevede la responsabilità degli agenti finanziari, tenuti “a risarcire il danno alle condizioni dello statuto”. L’art. 22 dello Statuto dei funzionari UE, dispone che “Il funzionario può essere tenuto a risarcire, in tutto o in parte, il danno subito dall’Unione per colpa personale grave da lui commessa nell’esercizio o in occasione dell’esercizio delle sue funzioni”.
  81. Così S. CIMINI – F. VALENTINI, La dubbia efficacia dello “scudo erariale” come strumento di tutela del buon andamento della P.A., cit. Sul punto anche M. R. SPASIANO, Riflessioni in tema di nuova (ir)responsabilità erariale e la strada della tipizzazione della colpa grave nella responsabilità erariale dei pubblici funzionari, in Diritto e Processo Amministrativo, 2/2021.
  82. Emendamento governativo 1.83, relativo all’art. 1 del disegno di legge (A.C. 1114) di conversione del d.l. n. 44/2023, c.d. “decreto P.A.”.
  83. Sul punto S. Foà, L’attività amministrativa, in C.E. Gallo (a cura di), Manuale di diritto amministrativo, Torino, II ed., 2022, 165 ss; M. A. SANDULLI, La “trappola” dell’art. 264 del dl 34/2020 (“decreto Rilancio”) per le autodichiarazioni. Le sanzioni “nascoste”, in giustizia-insieme, 2 giugno 2020.
  84. Tale paradigma relazionale tra amministrazione che eroga contributi o finanziamenti pubblici e soggetti beneficiari da un lato è stato di recente riconosciuto fondare un rapporto di servizio, da altro lato qualifica il privato percettore come “gestore di un programma pubblicistico” vincolato ad una serie di obblighi e condizioni per concorrere alla realizzazione dell’interesse pubblico sotteso al finanziamento, pena la soggezione al trattamento sanzionatorio delineato. Sul tema S. FOA’ – E. ANDREIS, Giurisdizione contabile sull’indebita percezione del reddito di cittadinanza. Tra programma pubblicistico e rinnovata nozione del rapporto di servizio, in Federalismi, 2/2023.
  85. Evidenzia le sinergie e le connessioni tra diritto amministrativo e diritto penale sul tema, R. FERRARA, Abuso d’ufficio e discrezionalità amministrativa: alle origini del problema, in Diritto e Processo Amministrativo, 1/2022.
  86. Da ultimo: F. MERUSI, Discrezionalità, tempo e decadenza del potere nell’età della rivoluzione economica comunicativa. Nuove prospettive per la dicrezionalitá nel quando, in Diritto Amministrativo, fasc.2, 1 giugno 2023, pp. 215 ss.; A. ZITO, La scelta discrezionale della P.a. tra principio di esauribilità del potere e controllo effettivo sul suo esercizio: per una ridefinizione del concetto di discrezionalità, in Diritto Amministrativo, fasc.1, 1 marzo 2023, pp. 29 ss.; V. CAPUTI JAMBRENGHI, Lineamenti sulla discrezionalità amministrativa pura, in Forum AIPDA Discrezionalità e Amministrazione, 29 ottobre 2022; G. GRECO, Discrezionalità tecnica, margini di opinabilità delle valutazioni e sanzioni amministrative, in Forum AIPDA Discrezionalità e Amministrazione, 28 ottobre 2022; S. CASSESE, La nuova discrezionalità, in Forum AIPDA Discrezionalità e Amministrazione,  21 ottobre 2022; A. ZITO, Discrezionalità amministrativa e consumazione del potere, in Forum AIPDA Discrezionalità e Amministrazione, 21 ottobre 2022
  87. Sul punto si veda A. CIOFFI, Abuso d’ufficio e diritto amministrativo. Il problema dei due ordinamenti, tra eterointegrazione e incorporazione, in Diritto amministrativo, fasc.2, 1 giugno 2023, pp. 285 ss; S. PERONGINI, Il sindacato del giudice penale sulle valutazioni discrezionali dell’amministrazione, in Diritto Amministrativo, fasc.2, 1 giugno 2023, pp. 229 ss.
  88. In tema G.L. GATTA, La Cassazione sui concorsi universitari truccati: no alla turbativa d’asta, si al (moribondo) abuso d’ufficio, in Sistema Penale, 26 luglio 2023, commenta la sentenza Cass. sez. vi, 24 maggio 2023, n. 32319, che ha escluso che la “turbativa” dei concorsi per Professori universitari integri il delitto di turbata libertà degli incanti (art. 353 c.p.), quanto piuttosto il reato di abuso d’ufficio, che, qualora abrogato, creerebbe un vuoto di tutela.

    Sul punto anche Cass. Sez. VI, 10 maggio 2023, n. 26225, che nell’affermare che i concorsi per l’accesso a impieghi pubblici o le connesse procedure di mobilità del personale tra diverse amministrazioni non rientrano nelle “gare” tutelate dall’art. 353 c.p., aggiunge che tali condotte possono essere ricondotte all’art. 323 c.p. e integrare pertanto un abuso d’ufficio. Commenta tale pronuncia G.L. GATTA, Concorsi pubblici “turbati”: per la Cassazione è configurabile l’abuso d’ufficio ma non la turbativa d’asta: un esemplare caso di vuoto di tutela che si prospetta con l’abrogazione dell’art. 323 c.p., in Sistema Penale, 19 giugno 2023.

  89. Una proposta è quella contenuta nel volume di S. PERONGINI, L’abuso di ufficio. Contributo a una interpretazione conforme alla Costituzione. Con una proposta di integrazione della riforma introdotta dalla legge n. 120/2020, Giappichelli, 2020.
  90. Sul punto F. ALBO, Limitazione della responsabilità amministrativa e anticorruzione: il PNRR è adeguatamente protetto?, in Questa Rivista, 24 maggio 2021. Rileva l’Autore che ove l’accordo corruttivo preveda il compimento di atti che comportino un maggiore esborso a carico dell’Amministrazione, il danno all’erario e la condotta antidoverosa costituiscono la punta dell’iceberg di dinamiche corruttive che sfuggono alla repressione penale. La limitazione della perseguibilità di danni erariali cagionati con colpa grave impedisce così la repressione di indebiti esborsi che traggono origine da precise dinamiche corruttive che rimangono conosciute soltanto dalle parti.
  91. Così M.GAMBARDELLA, La “Proposta di Direttiva in materia di lotta alla corruzione” al vaglio del Parlamento: qualche riflessione sui reati di abuso d’ufficio e traffico di influenze, in Sistema Penale, 27 luglio.
  92. Sul punto si veda E. MATTEVI, L’abuso d’ufficio in prospettiva comparata, in Giustizia Insieme, 17 luglio 2023.

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