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La Corte dei conti ai tempi del “Recovery plan” tra controllo e giurisdizione di Guido Rivosecchi(Professore ordinario di Diritto costituzionale – Università degli Studi di Padova)

05/10/21 La redazione

Sommario: 1. Il Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza e il rilancio degli investimenti pubblici. 2. Come interviene il decreto-legge c.d. “semplificazioni” sugli investimenti pubblici. 3. Il ruolo della Corte dei conti alla stregua dei decreti-legge c.d. “semplificazioni” e “rilancio”, in ordine ai diversi profili dei giudizi di responsabilità… 4. …e alle funzioni di controllo. 5. Verso una Corte dei conti sempre più “consulente” e sempre meno giudice?

1. Il Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza e il rilancio degli investimenti pubblici

Per tentare di inquadrare quello che potrebbe essere il ruolo della Corte dei conti “ai tempi del Recovery plan”, è necessario affrontare preliminarmente altri due temi: quello degli investimenti e quello della semplificazione, da cui discende l’esigenza di “manutenzione” dei procedimenti decisionali a seguito dell’emergenza pandemica.

Quanto alla possibile ridefinizione dei compiti della magistratura contabile, si tratta infatti di profili indefettibili per favorire la ripresa e lo sviluppo economico attraverso l’annunciato piano di investimenti pubblici, effetto dell’impiego di risorse di derivazione europea. Per tali ragioni sembra opportuno richiamare anzitutto gli aspetti maggiormente rilevanti che, a tali fini, emergono dal Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza (d’ora in poi: PNRR) e dalla disciplina posta in essere dal decreto-legge 16 luglio 2020, n. 76 (Misure urgenti per la semplificazione e l’innovazione digitale), convertito in legge, con modificazioni, dall’art. 1, comma 1, della legge 11 settembre 2020, n. 120 (c.d. decreto “semplificazioni”)[1]. Successivamente, alla stregua del quadro normativo e giurisprudenziale qui di seguito ricostruito, si tenterà di delineare quello che potrebbe essere il ruolo della magistratura contabile nell’emergenza pandemica in relazione ai provvedimenti di rilancio dell’economia.

Il decreto “semplificazioni” rappresenta infatti un tentativo di adeguare il quadro normativo alle esigenze poste dall’emergenza e risponde quindi agli stessi obiettivi del Recovery plan, dichiaratamente rivolti a creare «una Pubblica Amministrazione più efficiente» e «un contesto regolamentare più favorevole alla crescita economica»[2].

Sia nella versione originaria del PNRR[3], sia in quella successivamente formulata dal Governo Draghi[4] sono articolati i programmi di investimento che l’Italia è tenuta a presentare alla Commissione europea nell’ambito del Next Generation Europe (d’ora in poi: NGEU). Come è noto, si tratta del primo programma di intervento capace di creare debito europeo di dimensioni inedite senza che sia necessario fornire la previa garanzia degli Stati, in larga parte destinato a erogazioni a fondo perduto per finanziare, appunto, i PNRR degli Stati membri, integrati nella programmazione di bilancio europea[5].

Il NGEU mette a disposizione ingenti risorse per il rilancio degli investimenti pubblici, sfruttando anche le sinergie con gli altri strumenti di investimento da tempo previsti dal diritto dell’Unione europea, a partire dai Fondi europei disponibili all’interno del Quadro Finanziario Pluriennale[6]. Al riguardo, occorre precisare che tra i principali criteri per il monitoraggio dei programmi nazionali di investimento sono espressamente richiamate le specifiche raccomandazioni annualmente rivolte agli Stati membri nell’ambito del Semestre europeo, sicché dagli interventi europei dipende in buona parte la “tenuta” delle misure di sostegno all’economia già votate in extra-deficit dal Parlamento nazionale[7].

Per dare la dimensione delle cifre di cui stiamo parlando, è opportuno ricordare che per l’Italia le risorse finanziarie messe a disposizione ammontano a circa 196 miliardi a prezzi correnti, 69 dei quali sotto forma di trasferimenti, 127 sotto forma di prestiti. Si tratta, quindi, di un programma di investimento senza precedenti di fonte ad un’emergenza senza precedenti, almeno nel periodo repubblicano.

Uno degli obiettivi maggiormente qualificanti del Piano Nazionale è costituito dall’«aumento permanente dell’efficienza della Pubblica Amministrazione e della sua capacità di decidere e mettere a punto progetti innovativi, accompagnandoli dalla selezione e progettazione fino alla realizzazione finale»[8] (PNNR, 13).

Tra le specifiche «missioni» in cui si articola il Piano, largo spazio è dedicato agli «Interventi speciali di coesione territoriale», tra i quali assumono particolare rilievo la digitalizzazione delle amministrazioni pubbliche[9] e lo sviluppo delle Infrastrutture e della mobilità sostenibile[10].

Al riguardo, in sede di audizione parlamentare dinanzi alle Commissioni riunite bilancio, finanze e politiche dell’Unione europea di Camera e Senato in data 8 marzo 2021, il Ministro dell’economia Daniele Franco ha sottolineato tre priorità: a) completare il Piano rispettando il termine di presentazione del 30 aprile 2021; b) assicurare che i progetti di investimento siano effettivamente completati nei tempi previsti dal Piano; c) predisporre un sistema di monitoraggio e rendicontazione dell’avanzamento dei progetti stessi, del conseguimento di obiettivi intermedi e finali e del relativo impiego delle risorse: ciò che costituisce condizione per l’effettiva erogazione delle risorse da parte dell’Unione europea[11].

A tali fini – come anticipato dallo stesso Ministro – dovrebbe essere istituita un’apposita struttura di monitoraggio e controllo del Piano nazionale di ripresa e resilienza presso il Ministero dell’Economia e delle Finanze, anche mediante l’istituzione di un’unità di audit, di carattere indipendente, a cui affidare le verifiche a tutela degli interessi finanziari dell’Unione europea e della sana gestione degli investimenti, nonché l’adozione delle eventuali azioni correttive per non compromettere il conseguimento degli obiettivi del PNRR[12]. Sottolineo questo punto perché mi pare rilevante anche per comprendere quello che potrebbe essere il ruolo della Corte dei conti nella fase di controllo e vigilanza che – è bene ricordare – è costituzionalmente distinta da quella degli organi del Ministero dell’Economia e delle Finanze e deve rimanere tale, come ripetutamente precisato dalla giurisprudenza costituzionale[13].

Dal quadro normativo euro-nazionale e dalle già anticipate linee di attuazione del PNRR seguono quindi specifiche esigenze: a) dovranno essere selezionati i progetti che rientrano nelle linee programmatiche e sono conformi ai parametri previsti dalla normativa europea di sostegno degli investimenti; b) l’individuazione di tali progetti dovrà avvenire in tempi rapidi, secondo criteri di efficienza e in maniera conforme ai parametri euro-nazionali.

Non si tratta, per la verità, di un approccio nuovo, bensì già largamente sperimentato nel diritto dell’Unione europea: basti pensare alle diverse “stagioni” dei fondi strutturali europei e ai diversi istituti rivolti ad incentivare gli investimenti previsti all’interno del Quadro Finanziario Pluriennale. Pertanto, alla luce della non sempre felice esperienza italiana circa l’impiego dei fondi, le linee di attuazione del Programma nazionale dovranno cercare di superare le difficoltà strutturali e i ritardi nella valutazione ex ante dei progetti e nella valutazione ex post circa i risultati nell’impiego dei fondi.

Da questo punto di vista, il decreto semplificazioni si inserisce in un contesto normativo che poneva già queste esigenze e quindi, in linea generale, non può che essere apprezzato il tentativo del legislatore di introdurre nuovi istituti e rafforzare quelli già esistenti al fine di garantire il rilancio degli investimenti pubblici in coerenza con i diversi strumenti previsti dal Quadro di finanziamento pluriennale europeo 2021-2027 e anticipando quelli che saranno successivamente introdotti dal PNRR.

2. Come interviene il decreto-legge c.d. “semplificazioni” sugli investimenti pubblici

Su questa stessa linea ricostruttiva si colloca il richiamato decreto-legge n. 76 del 2020, in una logica dettata dalle esigenze di rilancio dell’economia a seguito dell’emergenza pandemica.

Coerentemente con i programmi di intervento euro-unitari, il decreto interviene lungo una duplice direttrice: agevolare gli investimenti e favorire la realizzazione delle infrastrutture.

A questi fini, sono previsti interventi particolarmente incisivi per: la disciplina dei contratti pubblici; l’edilizia e la ricostruzione nelle aree colpite da eventi sismici; le semplificazioni procedimentali; lo sviluppo di sistemi informativi nelle amministrazioni pubbliche; la disciplina della finanza degli enti locali in relazione allo stato di emergenza; il sostegno all’innovazione tecnologica e all’innovazione digitale; le semplificazioni in materia di attività di impresa e di investimenti pubblici; le semplificazioni in materia ambientale e di green economy; la disciplina della responsabilità penale e amministrativo-contabile.

Al riguardo, occorre osservare che le articolate misure contenute nel decreto sono accomunate non soltanto da obiettivi di semplificazione dei procedimenti strettamente intesi, ma soprattutto dall’introduzione di una disciplina in parte temporanea e in parte “a regime”. Mentre, per il primo profilo, la normativa in parola si pone in termini esplicitamente derogatori rispetto al diritto vigente, per il secondo, introducendo una disciplina permanente, pone non pochi interrogativi nella prospettiva della perdurante vigenza delle norme introdotte.

In buona sostanza, entrando più nel dettaglio, si tratta di una corposa normativa che trova fondamento nell’emergenza ed è rivolta ad introdurre misure acceleratorie dei procedimenti disciplinati dal decreto legislativo 18 aprile 2016, n. 50 (Attuazione delle direttive 2014/23/UE, 2014/24/UE e 2014/25/UE sull’aggiudicazione dei contratti di concessione, sugli appalti pubblici e sulle procedure d’appalto degli enti erogatori nei settori dell’acqua, dell’energia, dei trasporti e dei servizi postali, nonché per il riordino della disciplina vigente in materia di contratti pubblici relativi a lavori, servizi e forniture; c.d. Codice dei contratti pubblici) e dalla normativa degli altri comparti su cui interviene il decreto “semplificazioni”.

Nel tentativo di conseguire questi obiettivi, la disciplina maggiormente rilevante sia quantitativamente sia qualitativamente è quella relativa ai contratti pubblici, dichiaratamente rivolta a eliminare vincoli e oneri per le amministrazioni pubbliche e a favorire la ripresa economica. Da questo punto di vista, il decreto interviene sulla disciplina dei contratti c.d. “sotto soglia” per i quali sono previsti affidamenti diretti e procedure negoziate semplificate mediante, tra l’altro, l’introduzione di un sistema di consultazione di un numero variabile di operatori a seconda del valore dell’appalto in relazione alle diverse soglie, a cui è funzionale il previsto criterio di rotazione degli inviti, capace di tenere conto anche della diversa dislocazione territoriale delle imprese invitate[14].

Quanto, invece, ai contratti c.d. “sopra soglia” sono introdotte rilevanti deroghe alla disciplina prevista dal decreto legislativo n. 50 del 2016 con riferimento alle procedure di selezione dei contraenti poiché è attribuito specifico rilievo alla procedura negoziata senza bando e viene introdotta una disciplina derogatoria per alcune categorie di opere[15].

La normativa in esame sembrerebbe, almeno nelle intenzioni, avere l’ambizione di offrire un’alternativa ai commissariamenti nelle procedure di realizzazione delle opere pubbliche al fine di favorire l’accelerazione della realizzazione di interventi infrastrutturali[16]. Per questa parte, essa non costituisce una normativa temporanea, ma una soluzione definitiva “a regime”.

Al riguardo, occorre però osservare che le norme contenute nel decreto “semplificazioni”, benché si riferiscano prevalentemente alle amministrazioni statali, almeno all’art. 9 sembrerebbero rivolgersi anche ad interventi infrastrutturali di interesse regionale e locale, come risulta espressamente dal riferimento agli interventi «di rilevanza esclusivamente regionale o locale». Ciò porrebbe un problema di intreccio di competenze: è appena il caso di ricordare che una consolidata giurisprudenza costituzionale richiede, ai fini della legittimità di interventi legislativi di questo tipo, la previsione di istituti di leale collaborazione con le Regioni interessate[17].

Nella parte in cui si rivolge anche agli enti sub-statali, tali interventi del legislatore potrebbero inoltre suscitare interrogativi circa la compatibilità della disciplina in parola anche con l’art. 120, comma secondo, Cost. e, più, in generale con i precetti costituzionali in tema di poteri sostitutivi. Rispetto a tal precetti appare infatti, almeno a prima vista, decisamente eccentrica la normativa introdotta in ordine ai presupposti dell’attivazione del “commissariamento”. Si potrebbe infatti osservare che, ai fini del commissariamento, dal punto di vista procedimentale non sembrerebbe necessario alcun inadempimento per addivenire a tale esito, e, dal punto vista sostanziale, l’intervento statale sembrerebbe essere consentito anche oltre quanto riconducibile alla clausola dell’“interesse nazionale”, potendosi far ricorso a questo strumento anche per infrastrutture di rilevanza esclusivamente regionale o locale.

Infine, per la logica stessa di funzionamento dei commissariamenti straordinari e per gli obiettivi di accelerazione che tali interventi si prefiggono, sarebbe stato probabilmente opportuno ridurre o espungere il controllo preventivo della Corte dei conti su tali procedimenti. Come si tenterà qui di seguito di argomentare, il carattere emergenziale degli interventi contenuti nel decreto in parola, rivolti a favorire la tempestiva ripresa degli investimenti, mal si concilia con il rafforzamento dei controlli preventivi della Corte dei conti, ben potendosi all’opposto intensificare controlli successivi sull’impiego delle risorse affidati alla magistratura contabile.

Quanto alle autonomie territoriali, le novità degne di maggior rilievo sono quelle previste per gli enti locali, soprattutto in relazione al ruolo della Corte dei conti nella procedura di pre-dissesto (o dissesto-guidato) e nella procedura di riequilibrio finanziario pluriennale prevista dall’art. 243-bis del decreto legislativo 18 agosto 2000, n. 267 (Testo unico delle leggi sull’ordinamento degli enti locali; c.d. TUEL)[18]. Su tali procedimenti e sull’assetto della finanza locale è successivamente intervenuto anche l’art. 53 del decreto-legge 14 agosto 2020, n. 104 (Misure urgenti per il sostegno e il rilancio dell’economia), convertito in legge, con modificazioni dell’art. 1, comma 1, della legge 13 ottobre 2020, n. 126.

Tali norme hanno previsto: a) forme di sostegno agli enti locali in deficit strutturale, incrementando la dotazione del Fondo di rotazione previsto dal TUEL; b) la sospensione dei procedimenti e dell’efficacia delle deliberazioni delle Sezioni regionali della Corte dei conti – chiamate a verificare il piano di riequilibrio e la corretta adozione delle previste misure correttive – per gli enti locali che hanno approvato il piano di riequilibrio pluriennale ai sensi dell’art. 243-bis del TUEL; c) la sospensione delle procedure esecutive a qualunque titolo intraprese nei confronti degli enti locali.

Si tratta di norme che, da un lato, si spiegano per sostenere nell’emergenza l’autonomia locale, ma che, dall’altro, se la loro applicazione non sarà rigorosamente limitata all’emergenza, potrebbero avere un considerevole impatto finanziario non soltanto perché riguardano i numerosi comuni che si trovano in stato di pre-dissesto, ma perché la disciplina introdotta potrebbe interferire con il percorso di convergenza verso gli obiettivi di risanamento dei conti imposti dalla legge costituzionale n. 1 del 2012 e dalla normativa attuativa dei precetti costituzionali dell’equilibrio e della sostenibilità della finanza pubblica allargata.

Occorre infatti ricordare che tali norme si inseriscono in un quadro di pronunce della Corte costituzionale che sono intervenute negli ultimi anni sia sul versante delle modalità di risanamento della finanza degli enti locali[19], sia su quello della garanzia del pagamento dei debiti delle amministrazioni pubbliche, considerato valore preminente dal diritto dell’Unione europea, recentemente ribadito anche dalla sent. della Corte costituzionale n. 78 del 2020. Quest’ultima, infatti, ha dichiarato non fondate questioni di legittimità costituzionale promosse da alcune Regioni in relazione alle norme rivolte ad assicurare il rispetto dei tempi di pagamento delle obbligazioni contratte dagli enti sanitari regionali, consentendo che sia condizionata a tali obiettivi una quota di indennità di risultato dei dirigenti amministrativi e avvalorando, in tal modo, il percorso intrapreso dalla legislazione finanziaria statale rivolto, sin dalla crisi del 2011, ad introdurre istituti idonei a smobilizzare i crediti commerciali mediante l’allentamento delle regole del patto di stabilità interno e la concessione di anticipazioni di liquidità per favorire maggiori disponibilità di cassa per gli enti creditori[20], allo scopo di ridurre i ritardi nei pagamenti dei debiti commerciali di tutte le pubbliche amministrazioni, statali e regionali, incluse nel conto consolidato rilevante per la verifica del rispetto dei parametri europei[21]. Guardando al quadro di riferimento euro-nazionale, si tratta di una tendenza che sembrerebbe necessario preservare anche nell’attuale crisi pandemica ed economia poiché proprio ai fini di assicurare l’effettività dell’obbligo di pagamento dei debiti commerciali delle amministrazioni pubbliche sono recentemente intervenute pronunce di condanna dell’Italia in sede europea[22].

Pertanto, l’applicazione di tali norme “di favore” per gli enti locali – inserite, tra l’altro, come purtroppo troppo spesso accade, mediante decreti-legge omnibus – e i loro possibili effetti sulla finanza pubblica andranno seguiti con grande attenzione per evitare che misure rivolte ad assicurare la «stabilità finanziaria degli enti locali» come recita il titolo dell’art. 17 del decreto semplificazioni non si pongano in contrasto con i dicta della Corte costituzionale e della Corte di giustizia e non si traducano in una dequotazione del principio di legalità finanziaria[23]. Infatti, come emerge dai controlli delle Sezioni regionali della Corte dei conti (che vengono invece limitati, dalle norme in parola, se non, a certe condizioni, sospesi), nel periodo più recente si riscontrano discutibili prassi contabili degli enti locali: dalla rinuncia alla attivazione dell’anticipazione del Fondo di rotazione, alla tendenza a ricorrere a un uso improprio dell’avanzo di amministrazione o del fondo pluriennale vincolato o – aspetto ancor più critico – delle anticipazioni di liquidità; o, ancora, la tendenza a sopravalutare le entrate, o ad occultare i debiti fuori bilancio nei rapporti debito-credito tra i comuni e la Regione di appartenenza[24].

Deve essere invece ricordato che la giurisprudenza costituzionale ha posto limiti ben precisi al ricorso a tali istituti. Quanto alle anticipazioni di liquidità, ad esempio, pur trattandosi di istituto largamente utilizzato dalla legislazione finanziaria statale in favore degli enti locali, sono state definite dai Giudici costituzionali «anticipazioni di cassa di più lunga durata di quelle ordinarie»[25]: sicché il loro impiego va ritenuto ammissibile nei limiti del rispetto del precetto costituzionale che impone di riservare l’indebitamento degli enti territoriali alle spese di investimento (art. 119, sesto comma, Cost.). Non è certamente un caso che la Corte abbia tentato di limitare il fenomeno, ritenuto espressione di «una disciplina di carattere speciale e temporaneo»[26], «non riproducibile serialmente nel tempo e inidoneo a risanare bilanci»[27], bensì rivolto unicamente ad assicurare disponibilità di cassa per fronteggiare i debiti arretrati degli enti sub-statali[28].

3. Il ruolo della Corte dei conti alla stregua dei decreti-legge c.d. “semplificazioni” e “rilancio”, in ordine ai diversi profili dei giudizi di responsabilità…

Le considerazioni da ultimo sviluppate consentono di giungere al tema centrale relativo alle norme contenute nel decreto “semplificazioni” rivolte a definire il ruolo della Corte dei conti “ai tempi del Recovery plan”.

È opportuno muovere dalle norme previste dal decreto-legge n. 76 del 2020 per poi allargare lo sguardo in chiave prospettica all’indubbio ruolo che potrebbe avere la Corte dei conti ai fini di garantire l’efficienza, l’efficacia e l’economicità nella gestione delle risorse del PNRR. Dal primo punto di vista, la disciplina introdotta dal decreto “semplificazioni” sembra porre non pochi problemi di opportunità e financo di compatibilità con il quadro costituzionale; dal secondo punto di vista, invece, è indubbio che, guardando al sistema dei controlli sull’impiego delle risorse pubbliche, tanto più se di derivazione europea, potrebbe invece delinearsi uno spazio significativo e rilevante per il coinvolgimento della Corte dei conti, pienamente sintonico ed anzi rivolto all’attuazione dei principi costituzionali, muovendo dal presupposto che le funzioni attribuite alla Corte dei conti, volte ad assicurare il rispetto delle regole sulla trasparenza delle decisioni in materia di finanza pubblica e il corretto impiego delle risorse, appartengono a pieno titolo al sistema delle garanzie dell’ordine costituzionale[29].

Nel contesto dell’emergenza e delle richiamate esigenze di celerità, efficienza ed efficacia poste dal diritto dell’Unione europea, gli artt. 21 e 22 del decreto-legge n. 76 del 2020 agiscono parallelamente sia sulla funzione giurisdizionale sia sulla funzione di controllo della Corte dei conti. Questo approccio sembra condivisibile perché presuppone un intervento coordinato in relazione alla manutenzione del plesso complessivo delle funzioni della Corte dei conti nell’emergenza, anche in relazione al significativo ruolo che essa potrebbe assumere nel controllo delle risorse pubbliche di derivazione europea.

Secondo quanto affermato dal decreto legislativo 26 agosto 2016, n. 174 (Codice di giustizia contabile, adottato ai sensi dell’articolo 20 della legge 7 agosto 2015, n. 124), dalla giurisprudenza costituzionale[30] e da quella di legittimità[31], è proprio l’elemento oggettivo della natura pubblica delle risorse, tanto più alla luce dei parametri costituzionali sull’equilibrio di bilancio, a determinare la sostanziale sinergia tra la funzione giurisdizionale e quella di controllo della Corte[32]. Ciò consente oggi di fornire un’interpretazione unificante delle funzioni della magistratura contabile: da un lato, nella natura pubblica delle risorse da impiegare trovano fondamento i giudizi davanti alla Corte dei conti per accertare la responsabilità amministrativo-contabile, sempre più incentrata sull’elemento oggettivo su cui incide la condotta produttiva del danno erariale; dall’altro lato, la stessa natura pubblica delle risorse giustifica l’estensione dei controlli affidati alla Corte dei conti per evitare un impiego distorto o illegittimo delle risorse stesse.

Tale linea ricostruttiva sembra significativamente adottata anche dal decreto “semplificazioni”. Gli artt. 21 e 22 del decreto-legge n. 76 del 2020 consentono infatti di fornire un’interpretazione unificante delle funzioni della magistratura contabile: da un lato, la natura pubblica delle risorse giustifica la manutenzione della funzione giurisdizionale nell’accertamento della responsabilità amministrativo-contabile; dall’altro lato, la stessa natura pubblica delle risorse giustifica i controlli affidati alla Corte dei conti per evitarne un impiego distorto o illegittimo.

È bene ricordare che la responsabilità amministrativo-contabile riguarda l’esercizio della funzione e deve entrare in gioco soltanto quando impedire l’evento dannoso non è più possibile: in questa prospettiva, si dovrebbe privilegiare il controllo, preventivo e successivo, in quanto rivolto a prevenire il danno, evitando, cioè, l’uso illegittimo o scorretto delle risorse pubbliche. Al riguardo, deve essere ricordato che la nozione di controllo sull’impiego delle risorse affidato alla Corte dei conti, inteso quale istituto rivolto ad evitare «danni irreparabili» agli equilibri di bilancio, emerge molto chiaramente nelle sentt. della Corte costituzionale n. 60 del 2013, n. 39 del 2014 e n. 40 del 2014 ove è stato ripetutamente affermato che i controlli di legittimità-regolarità dei conti, in particolare quelli introdotti dal decreto-legge n. 174 del 2012, sono rivolti a prevenire «squilibri di bilancio», tanto più in forza rinnovati parametri costituzionali sull’equilibro introdotti dalla legge costituzionale n. 1 del 2012.

Se l’approccio metodologico del decreto-legge n. 76 del 2020 è decisamente condivisibile – intervenire, cioè, sul plesso complessivo delle funzioni della Corte dei conti –, lo sono molto meno i contenuti degli artt. 21, 22 e 23 del decreto stesso.

Per limitarsi soltanto a un cenno sui profili penalistici, in quanto connessi alla limitazione della responsabilità erariale, si può osservare che le norme richiamate rischiano di determinare il passaggio da un eccesso di penalizzazione che connotava l’approccio della legge 9 gennaio 2019, n. 3 (Misure per il contrasto dei reati contro la pubblica amministrazione, nonché in materia di prescrizione del reato e in materia di trasparenza dei partiti e movimenti politici; c.d. “spazza-corrotti”), tutta orientata a valorizzare il momento repressivo e l’inasprimento delle pene, mentre è stato ampiamente dimostrato che il controllo della corruzione politica e amministrativa deve essere assicurato soprattutto attraverso la prevenzione[33], a un presumibile eccesso di depenalizzazione, per effetto della riforma del reato di abuso d’ufficio (art. 23), combinata alla limitazione della responsabilità erariale (art. 21)[34].

Nel provvedimento i due profili dell’intervento sono strettamente collegati per superare quella che è stata giornalisticamente definita la c.d. “paura della firma”.

Sulla riforma dell’abuso d’ufficio si possono sinteticamente ricordare le linee evolutive della normativa e della giurisprudenza rilevante: dal tentativo di tipizzare maggiormente la condotta delittuosa con la legge 16 luglio 1997, n. 234 (Modifica dell’articolo 323 del codice penale, in materia di abuso d’ufficio, e degli articoli 289, 416 e 555 del codice di procedura penale), che tentava di espungere dall’area del penalmente rilevante l’eccesso di potere collegando l’abuso d’ufficio alla «violazione di norme di legge o di regolamento», al successivo orientamento della giurisprudenza di legittimità che, specie nella fase successiva alla sent. Cass. Sez. Un. Pen. 10 gennaio 2012, n. 155, ha interpretato la riforma sopra richiamata non sempre nel senso di limitare l’applicazione della fattispecie di reato alle violazioni di legge in senso stretto, bensì nel senso di «mantenere la rilevanza penale anche di altre situazioni che integrano un vizio dell’atto amministrativo» (eccesso di potere) purché «contrastanti con disposizioni di legge o di regolamento incluso il precetto costituzionale del buon andamento e dell’imparzialità della pubblica amministrazione» (art. 97 Cost.)[35].

In questa chiave di lettura, potrebbe forse spiegarsi la modifica alla disciplina apportata dall’art. 23 del decreto “semplificazioni”, rivolta, cioè, a delimitare ulteriormente l’elemento materiale della fattispecie criminosa, sia per rendere maggiormente determinata la condotta tipica, sia per limitare il sindacato del giudice penale sulle scelte discrezionali dell’amministrazione, in conformità al principio di legalità, determinatezza e tassatività del precetto penale.

Bisogna però osservare che espungere i regolamenti dalle fonti la cui inosservanza possa determinare l’abuso d’ufficio – fattispecie di reato ora integrata soltanto in caso di violazione di specifiche regole di condotta espressamente previste da fonti di rango primario – rischi di innalzare troppo l’asticella perché molto spesso, in esito ai processi di delegificazione connessi a quelli di semplificazione amministrativa, proprio come prevede parte della disciplina del Codice dei contratti pubblici, sono le fonti secondarie a recare le specifiche regole di condotta relative alla funzione o al servizio esercitato da una determinata amministrazione pubblica e questo potrebbe rendere difficile l’effettività della tutela penale del buon andamento e dell’imparzialità dell’amministrazione[36]. Esemplificativa, al riguardo, la normativa in materia ambientale, laddove si riscontra frequentemente il ricorso alle fonti secondarie ai fini sopra richiamati.

Tale impressione è confermata dall’ulteriore requisito introdotto dalla riforma per qualificare il reato, relativo al carattere vincolante delle regole di condotta, che devono essere tali da non lasciare «margini di discrezionalità all’agente», quando, in realtà, la discrezionalità (amministrativa, tecnica) involve tutti i settori di esercizio del potere amministrativo[37]. È senz’altro ragionevole escludere dal sindacato del giudice penale la discrezionalità politica, che ha carattere assoluto e riguarda scelte di indirizzo, per il resto sarebbe stato invece auspicabile eliminare il riferimento ai «margini di discrezionalità» rimettendo la questione al prudente apprezzamento del giudice[38].

È tuttavia sul versante della limitazione della responsabilità erariale che si registrano le maggiori perplessità. Si tratta di una forma di responsabilità capace di fungere da deterrente e quindi di contrastare efficacemente la corruzione mediante l’attività di prevenzione e repressione delle diverse forme di mala gestio, derivanti da condotte illecite o da gestioni contabili irregolari, su cui spetta alla Corte dei conti giudicare.

L’art. 21 del decreto semplificazioni interviene su un duplice versante della disciplina. Sotto un primo profilo, quanto alla “prova del dolo”, inserendo un apposito periodo all’art. 1, comma 1, della legge 14 gennaio 1994, n. 20 (Disposizioni in materia di giurisdizione e controllo della Corte dei conti), viene richiesto espressamente di dimostrare la «volontà dell’evento dannoso» (art. 21, comma 1). In tal modo, il legislatore sembra accogliere la nozione penalistica di azione dolosa, sinora ritenuta invece non immediatamente applicabile al processo per responsabilità erariale dal prevalente orientamento della giurisprudenza contabile. In altre parole, mentre ai fini della sussistenza del dolo è stato sinora ritenuto sufficiente che il comportamento tenuto dal dipendente pubblico violi gli obblighi di servizio (dolo c.d. contrattuale), senza dover necessariamente dimostrare la volontà di produrre l’evento dannoso, la pretesa estensione dell’onere probatorio renderà presumibilmente più difficile affermare la responsabilità per danno erariale.

Quanto, poi, alla colpa grave, l’art. 21, comma 2, ha introdotto una disposizione transitoria, in relazione ai fatti commessi dall’entrata in vigore del decreto sino al 31 dicembre 2021, che “argina” anche la colpa grave, in quanto introduce una sorta di «scudo erariale»[39], poiché limita la responsabilità per danno erariale «ai casi in cui la produzione del danno conseguente alla condotta del soggetto agente è da lui dolosamente voluta», con l’effetto di abolire per l’anno corrente la responsabilità erariale per colpa grave, salva l’ipotesi di danni cagionati da omissione o inerzia del soggetto agente a cui non si applica tale limitazione di responsabilità.

Ci si potrebbe chiedere quanto tale disciplina, maggiormente penalizzante nei confronti di chi non agisce, poiché la colpa grave può essere sempre accertata e fatta valere in caso di condotta omissiva, possa essere ritenuta non soltanto effettivamente ragionevole e compatibile con il principio costituzionale del buon andamento dell’amministrazione (art. 97 Cost.)[40], ma anche quanto tale orientamento del legislatore possa ritenersi effettivamente rispondente a quelle esigenze anche sopra richiamate di maggiore efficienza nell’impiego delle risorse; esigenze, come dicevo, affermate proprio dal diritto euro-unitario nell’attuazione del Recovery plan e del PNRR nella selezione dei progetti su cui investire le risorse di derivazione europea.

In tale contesto, la riforma della responsabilità per danno erariale qui in esame non sembra sintonica né con la nozione di agire amministrativo postulata dai principi costituzionali sotto il profilo del principio del buon andamento e della legalità sostanziale, né con quella desumibile dal diritto dell’Unione europea che guarda anzitutto all’impiego efficiente delle risorse attraverso meccanismi di responsabilizzazione del decisore e alla tutela sostanziale degli interessi finanziari dell’Unione nell’impiego delle risorse, come ha dimostrato anche la lunga “saga Taricco” svoltasi tra Corte di Giustizia e Corte costituzionale.

Al riguardo, deve essere anzi sottolineato che l’art. 3 del Regolamento (UE, Euratom) 2020/2092 del Parlamento europeo e del Consiglio del 16 dicembre 2020, relativo a un regime generale di condizionalità per la protezione del bilancio dell’Unione, individua tra le violazioni dei principi dello Stato di diritto «la limitazione della disponibilità e dell’efficacia dei mezzi di ricorso, per esempio attraverso norme procedurali restrittive» nella tutela degli interessi finanziari dell’Unione, sicché la limitazione della responsabilità erariale, riferita all’impiego di risorse di derivazione europea, mal si concilierebbe con la tutela degli interessi che la riforma intenderebbe preservare, potendo all’opposto integrare una violazione del diritto euro-unitario.

Sulla stessa linea ricostruttiva può collocarsi il Regolamento (UE) 2021/241 del Parlamento europeo e del Consiglio del 12 febbraio 2021 che istituisce il dispositivo per la ripresa e la resilienza, vale a dire il principale strumento di intervento del programma NGEU, capace – come si è detto – di mettere a disposizione degli Stati membri prestiti e sovvenzioni per un ammontare di 672,5 miliardi di euro. Ebbene l’art. 8 del richiamato Regolamento dispone che il dispositivo in parola sia «attuato dalla Commissione in regime di gestione diretta, in conformità delle pertinenti norme adottate a norma dell’articolo 322 TFUE, in particolare il regolamento finanziario e il regolamento (UE, Euratom) 2020/2092 del Parlamento europeo e del Consiglio», con ciò rinviando ai richiamati principi del regolamento finanziario sulla responsabilità degli agenti finanziari e sul controllo e audit finanziario. Detto altrimenti: la disciplina europea sui controlli e la responsabilità finanziaria viene a postulare normative nazionali di rafforzamento e non certo di restringimento della responsabilità erariale in relazione all’impiego dei fondi derivanti dal Recovery plan.

Occorre inoltre precisare che la questione della compatibilità della normativa interna in parola con il diritto euro-unitario è tutt’altro che meramente teorica perché sono già pendenti davanti alla Corte di giustizia rinvii pregiudiziali della Corte dei conti. Basti pensare al rinvio pregiudiziale delle Sezioni riunite della Corte dei conti (ord. n. 5/2021/RIS) avente ad oggetto l’art. 23-quater del decreto-legge 28 ottobre 2020, n. 137 (Ulteriori misure urgenti in materia della tutela della salute, sostegno ai lavoratori e alle imprese, giustizia e sicurezza, connesse all’emergenza epidemiologica da COVID-19), convertito, con modificazioni, dall’art. 1, comma 1, della legge 18 dicembre 2020, n. 176, nella parte in cui limita la giurisdizione della Corte dei conti in ordine al perimetro delle pubbliche amministrazioni incluse nel c.d. “elenco Istat”, funzionale alla formazione del conto economico consolidato dello Stato, poiché le previsioni e i risultati delle gestioni di bilancio di ogni pubblica amministrazione concorrono alla determinazione dei saldi del bilancio nazionale, sicché la determinazione del perimetro delle amministrazioni pubbliche costituisce atto presupposto alla formazione del bilancio e all’applicazione degli obblighi derivanti dai Trattati europei in materia di finanza pubblica (limiti all’indebitamento netto e al disavanzo). Da ciò potrebbe seguire la lesione dei parametri del diritto euro-unitario in quanto la norma nazionale oggetto del rinvio pregiudiziale circoscrive la giurisdizione della Corte dei conti ai soli fini dell’applicazione della normativa nazionale di contenimento della spesa pubblica. Se la Corte di giustizia accogliesse la prospettazione del giudice del rinvio, si affermerebbe il principio a cui facevo poco sopra riferimento in forza del quale il diritto dell’Unione potrebbe costituire limite invalicabile ad eventuali compressioni della giurisdizione contabile e della responsabilità per danno erariale.

Bisogna infine sottolineare che la limitazione della responsabilità erariale appare tanto più contraddittoria in quanto interviene in un momento storico in cui, da un lato, il già citato decreto legislativo n. 174 del 2016 (c.d. Codice della giustizia contabile) ha introdotto significative innovazioni rivolte a semplificare e accelerare i processi, con l’introduzione del processo monitorio, vale a dire di un procedimento a ridotte garanzie per danni erariali di lieve entità, e del rito alternativo (c.d. abbreviato) che consente il rapido recupero delle somme sottratte in misura pari al cinquanta per cento del danno prodotto e, dall’altro lato, la giurisprudenza delle Sezioni Unite della Cassazione sembra oggi più “generosa” rispetto al passato nei confronti della giurisdizione della Corte dei conti nell’interpretare le «materie di contabilità pubblica» di cui all’art. 103 Cost.[41].

Non deve essere sottaciuto che l’ampliamento o il restringimento della responsabilità per danno erariale possa determinare problemi di coordinamento tra giurisdizioni per effetto della moltiplicazione dei processi a cui possono essere sottoposti i dipendenti pubblici, con il rischio di non assicurare in maniera sempre adeguata l’effettività del diritto di difesa (art. 24 Cost.), ripetutamente qualificato principio supremo dell’ordinamento dalla giurisprudenza costituzionale[42]. Nondimeno, si può osservare de iure condendo che problemi di questo tipo debbano essere affrontati sul piano del coordinamento sistematico tra giurisdizioni, nella specie tra processo penale e processo per danno erariale, piuttosto che ricorrendo ad interventi di modificazione di figure tipizzate (id est: restringimento della responsabilità per danno erariale) che rivestono per loro natura carattere residuale.

Sotto altro profilo, riforme di questa portata, che incidono cioè, sulla responsabilità penale, amministrativa e contabile dei dipendenti pubblici e che involvono quindi principi fondamentali come quelli affermati dall’art. 28 Cost., meriterebbero riflessioni maggiormente approfondite e articolate per la portata dei principi costituzionali in gioco e dovrebbero conseguentemente essere collocate in leggi “di sistema” anziché in decreti-legge che rispondono a regimi emergenziali e per giunta approvati dal Consiglio dei ministri “salvo intese”, con rinvio, quindi, della più puntuale definizione dei contenuti normativi stessi.

Sembra invece condivisibile la disciplina introdotta dal decreto-legge n. 76 del 2020 nella parte in cui tende a qualificare il mancato rispetto dei termini, la mancata stipulazione del contratto e il tardivo avvio dell’esecuzione dell’opera come indici sintomatici ai fini della determinazione della responsabilità per danno erariale del responsabile unico del procedimento perché ciò costituisce elemento di bilanciamento rispetto agli elementi di semplificazione e accelerazione dei procedimenti.

4. …e alle funzioni di controllo

Quanto alle funzioni in senso stretto di controllo affidate alla Corte dei conti, occorre osservare che l’art. 22 del decreto “semplificazioni” tenta di rilanciare i controlli concomitanti della Corte dei conti «per accelerare gli interventi di sostegno dell’economia nazionale», con un richiamo ai controlli già previsti dall’art. 11, comma 2, della legge 4 marzo 2009, n. 15 (Delega al Governo finalizzata all’ottimizzazione della produttività del lavoro pubblico e alla efficienza e trasparenza delle pubbliche amministrazioni nonché disposizioni integrative delle funzioni attribuite al Consiglio nazionale dell’economia e del lavoro e alla Corte dei conti; c.d. legge Brunetta). Si deve ricordare che, al momento della sua introduzione, quel modello di controllo concomitante non fu ritenuto felicissimo perché replicava il controllo già affidato alla Corte dei conti dall’art. 3, comma 4, della legge n. 20 del 1994 che, per quanto successivo, può esplicarsi «anche in corso di esercizio» «sulla gestione del bilancio e del patrimonio delle amministrazioni pubbliche»[43].

In ogni caso, sviluppando ulteriormente la richiamata prospettiva, l’art. 11, comma 2, della legge n. 15 del 2009 prevede che «ove accerti gravi irregolarità gestionali ovvero gravi deviazioni da obiettivi stabiliti da norme, nazionali o comunitarie» o «ritardi nella realizzazione di piani e programmi» o «nell’erogazione di contributi», la Corte dei conti ne individua, in contraddittorio con l’amministrazione, le cause, e provvede a darne comunicazione al Ministro competente che può adottare misure correttive o attivare misure di blocco della spesa.

Pertanto, sia quelli previsti dall’art. 3, comma 4, della legge n. 20 del 1994, sia quelli previsti dall’art. 11, comma 2, della legge n. 15 del 2009 sono controlli sulla gestione del bilancio e sui risultati nell’impiego delle risorse rivolti a stimolare, anche in corso di esercizio, la responsabilità del decisore politico. Deve essere pertanto sottolineato che si tratta di controlli che possono arrivare determinare misure impeditive della spesa. Alla stregua di quanto detto, quelle richiamate si configurano come forme di controllo concomitante «in corso di realizzazione dei programmi» pacificamente applicabili anche ai piani e programmi di sostegno e rilancio dell’economia nazionale e ai controlli sull’attuazione degli investimenti previsti dal Recovery plan: la fase attuativa del PNRR richiede infatti un costante monitoraggio sulla realizzazione delle linee di intervento dei programmi e sul tempestivo e corretto impiego delle risorse.

Da questo punto di vista, sembra condivisibile il coinvolgimento della Corte dei conti anche in procedimenti idonei a garantire controlli concomitanti capaci di esplicare eventuali effetti impeditivi in corso di esercizio. Per questa parte, risulta quindi convincente il richiamo dell’art. 22 del decreto semplificazioni al controllo già previsto dalla legge n. 15 del 2019 perché esso, per quanto praticamente mai applicato, si configura come un controllo sull’impiego delle risorse rispetto alla realizzazione dei programmi rivolto a stimolare e a responsabilizzare il decisore politico. In definitiva, tali procedimenti parrebbero ben attagliarsi ai controlli sui programmi di sostegno e rilancio dell’economia nazionale, inclusi quelli previsti dal Recovery plan.

Più discutibile, invece, è la seconda proposizione del comma 1 dello stesso art. 22, nella parte in cui ha la pretesa di collegare l’eventuale accertamento delle irregolarità gestionali o dei ritardi nell’erogazione dei contributi alla responsabilità dirigenziale ai sensi dell’art. 21, comma 1, del decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165 (Norme generali sull’ordinamento del lavoro alle dipendenze delle amministrazioni pubbliche).

Al riguardo, dovrebbe essere meglio chiarito quello che potrebbe essere il ruolo della Corte dei conti nell’accertamento della responsabilità dirigenziale che non è strettamente connessa a parametri normativi certi e inequivoci – come quelli posti a fondamento dei controlli esterni affidati alla magistratura contabile – bensì a programmi e piani di valutazione degli obiettivi rispetto ai quali si attivano processi di valutazione dei risultati rimessi ai controlli interni. La responsabilità dirigenziale, che può arrivare a determinare la revoca o l’esclusione del rinnovo dello stesso incarico, segue inoltre una specifica disciplina – peraltro distinta da quella relativa ai controlli sulla sana gestione finanziaria – e pone specifiche esigenze di tutela rimesse alla giurisdizione del giudice amministrativo e soprattutto di quello ordinario dopo la privatizzazione del pubblico impiego, rispetto ai quali andrebbe quantomeno coordinata la funzione di accertamento rimessa alla Corte dei conti.

Resta poi da chiarire sino a che punto la disciplina dell’organizzazione e del coordinamento delle misure di controllo della Corte dei conti possa essere affidata alla potestà regolamentare di autorganizzazione del Consiglio di Presidenza come prevede il comma 2 dell’art. 22 dello stesso decreto “semplificazioni”[44], trattandosi di materia che, così interpretata, potrebbe essere ricondotta alle riserve di legge previste dalla Costituzione in materia di ordinamento e organizzazione degli uffici giudiziari. Queste ultime, infatti, a partire dall’art. 108 Cost., non dovrebbero essere interpretate nel senso meramente organizzatorio, essendo invece rivolte, affermando principi di portata generale, ad assicurare le garanzie di indipendenza interna di ogni giudice[45].

In definitiva, mentre il coinvolgimento della Corte dei conti appare pacifico ed anzi necessario in forza dell’art. 100 Cost. in tutte le ipotesi in cui i controlli concomitanti previsti dall’art. 22 del decreto “semplificazioni” vengano collocati nella prospettiva di controlli sulla realizzazione dei programmi e sull’impiego delle risorse, aventi quale parametro le norme sull’equilibrio di bilancio, sulla sana gestione finanziaria e sull’efficiente impiego delle risorse del Recovery plan, appare invece meno chiaro il ruolo della Corte dei conti in procedimenti rivolti ad attivare la responsabilità dirigenziale.

Quando invece “agganciati” ai parametri sulla sana gestione finanziaria e sull’equilibrio di bilancio, i controlli preventivi di legittimità sugli atti o i controlli concomitanti possono essere d’aiuto nel monitoraggio costante sull’impiego delle risorse e nella lotta alla corruzione, anche nella prospettiva della verifica sull’impiego delle ingenti risorse derivanti dal Recovery plan.

In questo contesto, anche in considerazione delle risorse da impiegare in relazione al PNRR, la disciplina dei controlli affidati alla Corte dei conti potrebbe essere rivista anche in relazione alle diverse soglie dei contratti pubblici individuate dalla normativa euro-nazionale ed andrebbe estesa alle amministrazioni regionali e locali poiché non tutti i contratti pubblici sono soggetti ai controlli preventivi oggi vigenti in quanto si trovano spesso al di sotto della soglia di spesa fissata dall’Unione europea prevista per attivare i controlli medesimi e soprattutto perché il 70 per cento circa di tali contratti è sottoscritto da Regioni ed enti locali e quindi rischia spesso di sfuggire ad uno specifico controllo preventivo della Corte dei conti, specialmente nella forma del controllo successivo e concomitante.

Occorre poi aggiungere che, in regime d’emergenza, quando larga parte dei procedimenti di verifica sono affidati al Ministero dell’Economia e delle Finanze e alle strutture di audit che saranno create ai fini del monitoraggio del PNRR, lo spazio riservato alla Corte dei conti sui controlli preventivi e concomitanti andrebbe coordinato con i controlli affidati al Ministero dell’Economia sia perché si tratta di controlli costituzionalmente distinti, sia per evitare inutili duplicazioni e aggravamenti procedurali che non consentirebbero di rispondere a quelle esigenze di celerità e di efficienza nell’impiego delle risorse postulate dal diritto dell’Unione europea.

Qualora fossero estesi i controlli preventivi, ciò che dovrebbe essere evitato è qualificare il visto o la registrazione preventiva come titolo di esonero di responsabilità: da un lato, tale orientamento non risolverebbe ma rischierebbe di aggravare i problemi in ordine alla limitazione della responsabilità erariale; dall’altro lato, così operando, la Corte dei conti rischierebbe di uscire dall’alveo costituzionale della funzione di controllo per assumere compiti di amministrazione attiva.

Per concludere le riflessioni sul tema dei controlli, sarebbe utile accompagnare l’istituzione delle previste strutture di audit con forme di monitoraggio “a valle” dei flussi finanziari di provenienza europea basato sulla rendicontazione dell’impiego delle risorse derivanti dal Recovery impiegate nella realizzazione del Piano di investimenti. Tali controlli andrebbero necessariamente affidati alla Corte dei conti e potrebbero essere previsti nella forma del controllo documentale, già felicemente sperimentato, ad esempio, nei controlli sui rendiconti dei gruppi consiliari dei Consigli regionali introdotti dall’art. 1, commi 9-12, del decreto-legge 10 ottobre 2012, n. 174 (Disposizioni urgenti in materia di finanza e funzionamento degli enti territoriali, nonché ulteriori disposizioni in favore delle zone terremotate nel maggio 2012), convertito, con modificazioni, dall’art. 1, comma 1, della legge 7 dicembre 2012, n. 213; controlli che hanno superato il vaglio di costituzionalità[46] e che hanno impedito ulteriori casi di mala gestio, favorendo, al contempo, un migliore impiego delle risorse a livello regionale.

5. Verso una Corte dei conti sempre più “consulente” e sempre meno giudice?

In definitiva, sembrerebbe più conforme ai principi costituzionali e del diritto dell’Unione europea una Corte dei conti che non sia tanto consulente in via preventiva per gli investimenti, ma che sia invece giudice della responsabilità contabile e del corretto ed efficiente impiego delle risorse mediante controlli in via successiva. Detti controlli sembrerebbero molto più sintonici con il concetto di «amministrazione di risultato»[47], rafforzato dal diritto dell’Unione europea che richiede da tempo il passaggio dai «controlli di conformazione» ai «controlli di integrazione», rivolti ad assicurare la coerenza della condotta degli attori istituzionali e il conseguimento degli obiettivi di sistema[48].

In conclusione, il susseguirsi degli interventi presi in esame, apportati con il sistematico ricorso alla decretazione d’urgenza, sembrano porre un rilevante interrogativo di diritto costituzionale: le esigenze di semplificazione e di celerità che sono ragionevolmente richieste dal diritto euro-unitario per uscire dalla crisi e rilanciare gli investimenti possono valere sino al punto di fondare sull’emergenza l’introduzione di una disciplina non soltanto transitoria ma anche “a regime” che rischia di sacrificare i principi costituzionali della legalità costituzionale-finanziaria?

È auspicabile che il legislatore debba porre grande attenzione nel dare la risposta nei delicati bilanciamenti tra principi costituzionali che sarà chiamato a realizzare nei prossimi mesi, perché tutte le emergenze, anche quelle più gravi come quella che stiamo vivendo, a un certo punto sono destinate a finire in fatto e non possono consegnarci un diritto derogatorio che rischia di proiettare la sua ombra ben al di là del regime emergenziale con il rischio di ridurre le garanzie costituzionali.

  1. Al riguardo, cfr., ad esempio, AA.VV., I contratti pubblici dopo il decreto semplificazioni. Le principali novità in materia di contratti pubblici, responsabilità, controlli, procedimento e processo, tra emergenza e sistema “a regime”, a cura di D. Bolognino – H. Bonura – A. Storto, Piacenza, La Tribuna, e-book, 2020.
  2. Cfr. il il PNRR approvato dal Governo Draghi il 15 aprile 2021, 2 ss.
  3. Cfr. il PNRR presentato dal secondo Governo Conte il 12 gennaio 2021: cfr. Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza, NextGenerationItalia, approvato dal Consiglio dei ministri del 12 gennaio 2021.
  4. Cfr. il PNRR approvato dal Governo Draghi il 15 aprile 2021: cfr. Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza, NextGenerationItalia, Italia/domani, trasmesso alle Camere il 25 aprile 2021.
  5. Cfr. il Quadro di finanziamento pluriennale 2021-2027.
  6. Per un efficace inquadramento sul piano del Diritto costituzionale dei programmi del Next Generation Europe, cfr. C. Bergonzini, L’Europa e il Covid-19. Un primo bilancio, in Quad. cost., 2020, 761 ss., spec. 768 ss.
  7. Per un approfondimento, cfr. G. Rivosecchi, Il bilancio nel diritto pubblico italiano, in Nomos, n. 3/2020, 22 ss.
  8. Cfr. il PNRR approvato dal Consiglio dei ministri del 12 gennaio 2021, cit., 13.
  9. Cfr. il PNRR approvato dal Consiglio dei ministri del 12 gennaio 2021, cit., 51 ss.
  10. Cfr. il PNRR approvato dal Consiglio dei ministri del 12 gennaio 2021, cit., 98 ss.
  11. Cfr. l’audizione del Ministro dell’Economia e delle Finanze, Daniele Franco, dinanzi alle Commissioni riunite bilancio, finanze e politiche dell’Unione europea di Camera e Senato nell’ambito dell’esame del Doc. XXVII, n. 18 (Proposta di Piano nazionale di Ripresa e Resilienza), 8 marzo 2021, in www.gov.mef.it, 10 e 13.
  12. Cfr. l’audizione del Ministro dell’Economia e delle Finanze, Daniele Franco, cit., 13.
  13. Cfr. sentt. n. 60 del 2013; n. 39 del 2014.
  14. Cfr. l’art. 1 del decreto-legge n. 76 del 2020.
  15. Cfr. l’art. 2 del decreto-legge n. 76 del 2020.
  16. Cfr., in particolare, l’art. 9 del decreto-legge n. 76 del 2020.
  17. Cfr., ad esempio, sentt. n. 6 del 2004, punto n. 7 del “Considerato in diritto”; n. 383 del 2005, punti n. 15 e n. 30 del “Considerato in diritto”; n. 278 del 2010, punto n. 12 del “Considerato in diritto”; n. 7 del 2016, punto n. 2 del “Considerato in diritto”; n. 251 del 2016, punto n. 3 del “Considerato in diritto”.
  18. Cfr. l’art. 17 del decreto-legge n. 76 del 2020.
  19. Cfr. sentt. n. 18 del 2019; n. 4 e n. 115 del 2020.
  20. Cfr. d.l. 8 aprile 2013, n. 35: per un’analisi delle misure richiamate, cfr. C. Bergonzini, Ancora un singolare malfattore legale? I perduranti ritardi nel pagamento dei debiti commerciali delle p.a. (19 giugno 2017), in www.amministrazioneincammino.luiss.it, 14 ss.
  21. Per un approfondimento, cfr. G. Rivosecchi, Affidabilità delle transazioni commerciali delle amministrazioni pubbliche e limiti all’autonomia regionale, in Giur. cost., n. 2/2020, 892 ss.
  22. Cfr. sent. Corte Giustizia UE 28 gennaio 2020, in causa C-122/18, Commissione c. Italia.
  23. Al riguardo, si vedano le considerazioni critiche di G. Colombini, I decreti semplificazione e rilancio alla luce dei principi generali di contabilità pubblica ovvero dei falsari di parole, in Federalismi.it, n. 8/2021, 21 ss., spec. 24 ss.
  24. Così, G. Colombini, I decreti semplificazione e rilancio alla luce dei principi generali di contabilità pubblica, cit., 22. Al riguardo, cfr. anche AA.VV., Rapporto Ca’ Foscari sui Comuni 2018. I comuni italiani dopo la grande crisi finanziaria, a cura di M. Degni, Roma, Castelvecchi, 2019, spec. 125 ss.
  25. Sentt. n. 181 del 2015, punto n. 4.3.2 del “Considerato in diritto”; nonché n. 115 del 2020, punto n. 7.1 del “Considerato in diritto”.
  26. Sent. n. 181 del 2015, punto n. 4.2 del “Considerato in diritto”.
  27. Sent. n. 4 del 2020, punto n. 4.1 del “Considerato in diritto”.
  28. Cfr. sentt. n. 181 del 2015, punto n. 4.2 del “Considerato in diritto”; n. 4 del 2020, punto n. 4.1 del Cons. in dir.; nonché n. 115 del 2020, punto n. 7.1 del “Considerato in diritto”.
  29. Al riguardo, cfr., ad esempio, M. Ristuccia, La Corte dei conti quale strumento di governance, in Democrazia e diritto, n. 3-4, 2011, 44; G. D’auria, Sull’ingresso in Costituzione del principio del “pareggio di bilancio” (a proposito di un recente parere delle sezioni riunite della Corte dei conti), in Foro it., III, 2012, 55 s.; U. Allegretti, Controllo finanziario e Corte dei conti: dall’unificazione nazionale alle attuali prospet- tive, in Rivista AIC, n. 1/2013, spec. 10 ss.; nonché G. Rivosecchi, I controlli sulla finanza pubblica tra i diversi livelli territoriali di governo, in Riv. trim. dir. pubbl., n. 3/2019, 741 ss.
  30. Cfr. sentt. n. 60 del 2013, n. 39 e n. 40 del 2014; n. 18 del 2019.
  31. Cfr. ord. Cass., Sez. U, 13 marzo 2014 n. 5805; conformemente sent. Cass., Sez. U, 8 novembre 2016, n. 22645.
  32. In questa prospettiva, cfr. F. Sucameli, La “iurisdictio” contabile e la tutela degli interessi diffusi nell’ottica dell’attuazione “domestica” del principio costituzionale dell’equilibrio di bilancio (8/11/2017), in www.federalismi.it, n. 21/2017, spec. 9 ss.
  33. Cfr. B.G. Mattarella, Le regole dell’onestà. Etica, politica, amministrazione, Bologna, il Mulino, 2007, 17 ss.
  34. In questa prospettiva, cfr. G.L. Gatta, Da ‘spazza-corrotti’ a ‘basta paura’: il decreto-semplificazioni e la riforma con parziale abolizione, dell’abuso d’ufficio, approvata dal governo ‘salvo intese’ (e la riserva di legge?) (17/7/2020), in www.sistemapenale.it, 2020.
  35. In questi termini, D. Irollo, Depotenziato (o depenalizzazione di fatto?) il reato di abuso d’ufficio, ne Il Quotidiano per la P.A., n. 7/2020 (cui appartengono le espressioni virgolettate).
  36. In questa prospettiva, G.L. Gatta, Da ‘spazza-corrotti’ a ‘basta paura’, cit.; D. Irollo, Depotenziato (o depenalizzazione di fatto?) il reato di abuso d’ufficio, cit.; D. Irollo, Depotenziato (o depenalizzazione di fatto?), cit.
  37. Così, G.L. Gatta, Da ‘spazza-corrotti’ a ‘basta paura’, cit.
  38. Cfr. G.L. Gatta, Da ‘spazza-corrotti’ a ‘basta paura’, cit.
  39. G.L. Gatta, Da ‘spazza-corrotti’ a ‘basta paura’, cit.
  40. Si vedano le considerazioni critiche di G.L. Gatta, Da ‘spazza-corrotti’ a ‘basta paura’, cit.
  41. Cfr., ad esempio, sent. Cass. Sez. U., 4 ottobre 2019, n. 24858, che afferma la giurisdizione della Corte dei conti anche nei confronti di un privato che concorra a realizzare il danno erariale mettendo a disposizione il proprio conto corrente bancario, determinando lo sviamento dell’erogazione di fondi pubblici dalle loro finalità istituzionali in relazione all’impiego di fondi europei.
  42. Cfr. sentt. n. 98 del 1965; n. 18 del 1982; n. 232 del 1989; n. 10 del 1993; n. 26 del 1999, punto n. 3.1 del “Considerato in diritto”; n. 266 del 2009; n. 526 del 2000; n. 39 del 2014, punto n. 6.3.9.8 del “Considerato in diritto”; n. 238 del 2014.
  43. Al riguardo, si vedano le considerazioni critiche di G. D’Auria, La “nuova£ Corte dei conti, in www.astrid.eu, 2009.
  44. A tenore del quale «Il Consiglio di presidenza della Corte dei conti, nell’esercizio della potestà regolamentare autonoma di cui alla vigente normativa, provvede all’individuazione degli uffici competenti e adotta le misure organizzative necessarie per l’attuazione delle disposizioni di cui al presente articolo senza nuovi o maggiori oneri per la finanza pubblica e nell’ambito della vigente dotazione organica del personale amministrativo e della magistratura contabile».
  45. Al riguardo, cfr. F. Sorrentino, I poteri normativi del CSM, in Magistratura, CSM e principi costituzionali, a cura di B. Caravita, Roma-Bari, Laterza, 1994, 44 ss.
  46. Cfr. sent. n. 39 del 2014, punti n. 6.3.9, n. 6.3.9.1, n. 6.3.9.2, n. 6.3.9.3, n. 6.3.9.4, n. 6.3.9.5, n. 6.3.9.6.
  47. Sul punto, cfr. S. Cassese, Che vuol dire amministrazione di risultati, in Giorn. dir. amm., n. 9/2004, 941 s.
  48. Al riguardo, cfr. S. Cassese, Le trasformazioni dell’organizzazione amministrativa, in Riv. trim. dir. pubbl., n. 2/1985, 383 s.; nonché, con specifico riferimento ai controlli finanziari, G. Della Cananea, Indirizzo e controllo della finanza pubblica, Bologna, il Mulino, 1996, 271 ss.; G. D’Auria, I controlli, in Trattato di diritto amministrativo, a cura di S. Cassese, Diritto amministrativo generale, II, Milano, Giuffrè, 2000, 1250 ss. e 1337 ss.

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