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La Cassazione, i derivati e gli enti pubblici: verso una giurisprudenza costante
di Giacinto Della Cananea
Osservazioni a margine di Cass. civ., sez. I, sentenza 29 luglio 2021, n. 21830
Sommario:
- Una questione d’interesse pratico e teorico
- La “giurisprudenza costante”: concetto e problemi
- La sentenza della Cassazione nel caso ‘Comune di Cattolica’
- La successiva giurisprudenza di merito
- La recente sentenza della Cassazione
- Conclusioni
- Una questione d’interesse pratico e teorico
Dopo alterne vicende, quasi dieci anni or sono, il legislatore è tornato sulla norma che consentiva alle regioni e agli enti locali di stipulare contratti riguardanti gli strumenti finanziari derivati, a certe condizioni (articolo 41 della legge 28 dicembre 2001, n. 448, legge finanziaria per il 2002). Ha sostituito la norma di tipo legittimante, ancorché condizionata, con una norma di tipo proibitivo. Ha vietato alle regioni e agli enti locali di stipulare nuovi contratti di questo tipo (articolo 1, comma 572, legge 27 dicembre 2013, n. 147, legge di stabilità per il 2014), fatte salve alcune misure volte a risolvere situazioni contrattuali pendenti. Il divieto è stato rafforzato dalla sanzione della nullità, già da tempo stabilita per i contratti stipulati in violazione dell’articolo 119, ultimo comma, della Costituzione. La nullità è, tra l’altro, rilevabile soltanto dagli enti pubblici. Si tratta, nell’interpretazione della Corte costituzionale, di “norme imperative che perseguono una finalità chiaramente protettiva” ([1]). Da allora la questione più rilevante non è stata quella del “se” le amministrazioni regionali e locali dispongano d’una legittimazione contrattuale in tale ambito, bensì quella del “come” valutare i contratti da esse pattuiti in precedenza.
Purtroppo non disponevamo d’una teoria compiuta della formazione dei contratti relativi ai derivati che tenesse nel debito conto lo specifico contesto giuridico degli enti locali. Non l’avevano elaborata i giuspubblicisti. Tanto meno vi avevano provveduto gli studiosi del diritto privato, le cui costruzioni incontravano ostacoli nelle norme riguardanti gli enti locali ([2]). Vi ha in parte provveduto, come sovente accade, la giurisprudenza. Già nelle pronunce dei giudici di merito, essa ha mostrato consapevolezza delle caratteristiche specifiche che gli enti esponenziali di collettività territoriali presentano rispetto agli operatori privati. Permanevano, peraltro, incertezze. In casi siffatti, l’ordinamento italiano individua con chiarezza l’istituzione a cui è soprattutto demandata la responsabilità di promuovere l’uniforme interpretazione del diritto. Questa istituzione è la Corte di Cassazione. Essa è l’unica istituzione in grado di agire, secondo unitarietà di visione, sia come giudice di ultima istanza, sia – attraverso le Sezioni Unite – come risolutrice di eventuali divergenze interpretative. Proprio le Sezioni Unite hanno emanato una sentenza importante tanto per i principi generali che enuncia, quanto per le indicazioni operative che fornisce relativamente agli enti locali (S.U., sentenza 12 maggio 2020, n. 8770). Persiste, tuttavia, un ritardo nella riflessione giuridica nel prendere atto dell’imprudenza insita nel riconoscimento d’una piena legittimazione contrattuale, estesa ai derivati di tipo speculativo. Nei casi di punta, il ritardo è accompagnato dalla riluttanza ad annettere il dovuto rilievo alla pronuncia della Corte di Cassazione, vuoi perché essa è ritenuta non vincolante, vuoi perché – si asserisce – non sempre i giudici di merito si sono attenuti ai suoi orientamenti. Può essere quindi di qualche utilità, per il giurista, interrogarsi sulla giurisprudenza degli ultimi due anni.
2. La “giurisprudenza costante”: concetto e problemi
Nei suoi termini generali, la questione va vista alla luce dell’importanza che la giurisprudenza assume al fine di assicurare una ragionevole certezza del diritto.
Negli ordinamenti moderni vari istituti riflettono la preoccupazione di assicurare la prevedibilità delle decisioni giudiziarie. Le soluzioni esistenti possono – per brevità – essere collocate in un ideale continuum. A un estremo del continuum si trovano gli ordinamenti anglosassoni, nei quali vige l’obbligo di rispettare i precedenti delle corti superiori (doctrine of precedent, principle of stare decisis), con le differenze che derivano dall’esservi o meno una costituzione scritta ([3]). Un esempio è costituito dalla sentenza della Corte Suprema degli USA in Hubbard, secondo cui il principio dello stare decisis permette di preservare “un sistema non basato su una discrezionalità arbitraria” ([4]). All’altro estremo, in vari ordinamenti di civil law, le corti inferiori dispongono di ampi margini di selettività, fermo restando il potere delle corti superiori d’intervenire assumendo decisioni aventi portata generale. Esse suscitano nei giudici reazioni contrastanti. Da un lato, vi è la tendenza, nell’attenervisi, a considerarle alla stregua di un elemento di sostegno e di conforto nell’assunzione di decisioni delicate. Dall’altro, vi è la tendenza a subirle come un fattore di rigidità, se non di complicazione del lavoro da svolgere ([5]). Ma, nel complesso, ha perso adesioni la concezione secondo cui l’autonomia che connota la funzione di giudicare esimerebbe il giudice dall’obbligo di motivare le scelte effettuate.
Non è senza interesse, sotto il profilo della comparazione giuridica, che – contrariamente all’opinione diffusa nella fase meno recente della riflessione giuridica, secondo cui vi era un divario tra il diritto francese e quello inglese ([6]) – si avvicini al primo modello anche il diritto amministrativo francese, che è stato forgiato dal Conseil d’Etat. Vengono frequentemente evidenziati, quindi, gli orientamenti consolidati del giudice amministrativo, il cui rilievo è più accentuato nei confronti di regole o misure che in qualche modo interferiscano con l’esercizio di diritti in sede giurisdizionale ([7]). È al concetto elaborato nella riflessione giuridica francese, la “jurisprudence constante”, che i pratici fanno riferimento anche nell’ambito del diritto internazionale, segnatamente per quanto concerne le decisioni arbitrali nell’ambito degli investimenti esteri ([8]). Pur mancando una qualsivoglia norma positiva che imponga obblighi ai tribunali arbitrali, costituiti volta per volta, ottiene consensi la tesi che essi debbano quanto meno argomentare, illustrare le ragioni per cui si discostano dalle decisioni prese in precedenza in casi simili.
Evidentemente, non è possibile forzare oltre i limiti derivanti dalle diversità di assetto istituzionale le soluzioni accolte dai vari ordinamenti. Purtuttavia, ovunque si è fatta strada la convinzione che i giudici sono chiamati a fornire soluzioni adeguate all’assillo dell’incertezza, che condiziona negativamente i rapporti sociali e segnatamente le transazioni giuridiche. Le giurisdizioni superiori sono quindi chiamate a raccordare la funzione di giudice di ultima istanza e la funzione che da noi suole essere detta di nomofilachia, in assenza della quale la vocazione stabilizzatrice del diritto non può adeguatamente realizzarsi.
3. La sentenza della Cassazione nel caso ‘Comune di Cattolica’
Planando dall’astrattezza dei modelli sulla realtà del dibattito svoltosi in Italia attorno alle soluzioni in tema di contratti delle pubbliche amministrazioni relativi agli strumenti finanziari derivati, è il momento di dare conto, in estrema sintesi, della sentenza n. 8770/2020, emessa dalle Sezioni unite della Corte di Cassazione nella controversia che vedeva il Comune di Cattolica opposto a una banca ([9]). La Cassazione ha preso le mosse, pragmaticamente, dalle soluzioni elaborate dalla dottrina civilistica per i contratti riguardanti gli strumenti finanziari derivati. Non si è nascosta che quelle soluzioni mirano a risolvere problemi tanto più complessi in quanto gli strumenti finanziari derivati traggono origine dalla prassi finanziaria e sono governati da regole e usi ben diversi rispetto ai nostri. La Cassazione ha, comunque, tenuto distinte le soluzioni disponibili in generale da quelle applicabili per gli enti locali. Lo ha fatto per tre ragioni. La prima è di ordine costituzionale. La giurisprudenza costituzionale ha più volte sottolineato che i derivati comportano rischi non previamente calcolabili ed espongono quindi “gli enti pubblici ad accollarsi oneri impropri e non prevedibili all’atto della stipulazione del contratto”, un contratto che presenta pertanto “caratteristiche fortemente aleatorie per le finanze dell’ente”, mettendo in “pericolo la disponibilità delle risorse finanziarie pubbliche utilizzabili dagli enti … per il raggiungimento di finalità … di generale interesse per la collettività” ([10]). La seconda ragione attiene alla normativa contabile, più volte richiamata, pur se genericamente, nella sentenza. Tale normativa, prima del 2000, non consentiva agli enti locali di stipulare mutui con soggetti diversi dalla Cassa depositi e prestiti. Anche dopo quella data ha imposto agli enti locali di rispettare l’equilibrio di bilancio nel corso della gestione (articolo 193, testo unico degli enti locali, decreto legislativo 18 agosto 2000, n. 267). La terza ragione muove dalla realistica consapevolezza dei rischi, assai concreti, per le finanze degli enti locali. Per queste ragioni, seguendo il parere del pubblico ministero, le Sezioni Unite hanno escluso che gli enti locali possano stipulare contratti riguardanti strumenti finanziari derivati di tipo speculativo; hanno ritenuto legittimo il ricorso ai derivati a fini di copertura, a condizione che siano rispettati determinati requisiti relativi al mark to market e agli scenari probabilistici; hanno affermato che l’autorizzazione alla conclusione dei contratti spetta al consiglio comunale, organo rappresentativo dell’intera comunità.
Alla luce di questa pronuncia, sono meglio comprensibili due equivoci, a cui sono soprattutto esposti i giuristi che muovono dall’assunto che le soluzioni operative applicate agli operatori economici privati abbiano una portata generale. Il primo equivoco consiste nel ritenere che una legislazione ordinaria che ammette l’utilizzo di alcuni tipi di strumenti derivati, rinviandone la disciplina alla normazione secondaria di fonte governativa, possa sollevare un’amministrazione regionale o locale dall’impegno, prioritario, volto a realizzare gli interessi della collettività. La basilare distinzione tra questi interessi e quelli di tipo individuale, in relazione ai quali cittadini e imprese esercitano la propria autonomia, comporta un ostacolo insormontabile all’ipotesi che – poniamo – a un ente locale sia consentito utilizzare strumenti finanziari derivati aventi fini di tipo speculativo ([11]). Opinare diversamente – come ha fatto di recente un giudice inglese, sulla base d’una criticabilissima ricostruzione dei principi costituzionali e della normativa contabile ([12]) – equivale, in sostanza, ad affermare che il responsabile finanziario di un ente locale possa giocare alla lotteria con le risorse dei contribuenti, senza alcuna considerazione per l’interesse pubblico. Il secondo equivoco consiste nel ritenere che, per gli strumenti derivati di tipo non speculativo, utilizzati – cioè – per proteggersi da un rischio, gli enti pubblici territoriali non siano tenuti al rispetto dei principi generali che servono a proteggere proprio quegli interessi fondamentali della collettività. Nel novero di tali principi, vi è senz’altro l’equilibrio dei conti pubblici. In Italia, il principio, posto a fondamento della legislazione di contabilità dello Stato del 1923-24, riaffermato e incluso tra le norme di grado superiore dall’articolo 81 della Costituzione, è stato sancito e rafforzato dalle leggi di revisione costituzionale del 2001 e del 2011. Entrambe hanno modificato – tra gli altri – l’articolo 119, consolidando la cruciale distinzione tra le spese per investimenti e le spese correnti, per le quali non è ammesso in alcun modo l’indebitamento ([13]). Come notato all’inizio, la legge rafforza tale divieto, comminando la sanzione della nullità agli atti amministrativi e ai contratti adottati in violazione del divieto.
4. La successiva giurisprudenza di merito
Si tratta, adesso, di capire se i giudici di merito vadano nella direzione suggerita dalle Sezioni unite. Secondo una prima ricognizione, la giurisprudenza di poco successiva alla sentenza emessa nel caso riguardante il Comune di Cattolica ha dedicato ben poca attenzione all’orientamento enunciato dalla Corte di Cassazione. Ma, a ben vedere, la giurisprudenza considerata in tale ricognizione riguardava controversie in cui non erano coinvolti enti pubblici, diversamente dal caso ‘Cattolica’.
La tendenza risulta – invece – rovesciata, se si tiene conto delle pronunce riguardanti gli enti locali. Così, nella sentenza emessa dal Tribunale di Pavia nella controversia tra la Provincia di Pavia e una banca italiana, si è fatto riferimento alla sentenza nel caso ‘Cattolica’. Lo si è fatto non solo per illustrare le ragioni per cui, in assenza d’un adeguato accordo tra le parti sull’alea, qualora manchino indicazioni sugli scenari probabilistici, il contratto risulta nullo, ma proprio per aderire all’orientamento ritenuto preferibile “anche alla luce del recente pronunciamento delle Sezioni unite” ([14]). Coerentemente con questa impostazione, il contratto stipulato dalle parti è stato giudicato nullo. Emerge, quindi, una precisa correlazione tra la natura pubblica dell’ente e la necessità di rispettare gli specifici requisiti individuati dalla Cassazione, ai fini d’una valida assunzione degli impegni di spesa.
La correlazione è confermata da un’altra pronuncia, resa dalla Corte di appello abruzzese nella controversia instaurata dalla Provincia di Chieti nei confronti di un’altra banca italiana. Ricostruita la cornice legislativa, la Corte di appello ha fatto riferimento alla sentenza emessa dalle Sezioni unite ([15]), indicando i “punti fermi” da essa stabiliti e dichiarando subito di condividerli pienamente. Tali punti fermi possono essere riassunti nel modo seguente: affinché il contratto sia lecito, deve perseguire interessi meritevoli di tutela e ciò richiede che vi sia un accordo “sulla misura dell’alea, calcolata secondo criteri riconosciuti”, inclusiva di tutti costi. Alla conclusione riguardante l’illiceità del contratto in sé si è aggiunta la conclusione raggiunta in ordine alla competenza alla sua stipulazione. Anche sotto questo profilo, la Corte ha seguito le Sezioni unite nell’affermare che la violazione della competenza attribuita al consiglio comunale dall’articolo 42 del testo unico sugli enti locali comporta la nullità dei contratti, contrariamente alla conclusione raggiunta dal Consiglio di Stato per quanto concerne l’ordine delle competenze interne agli enti locali ([16]).
Può esservi complementarità, invece, tra la giurisprudenza del giudice ordinario, cui spetta accertare la nullità dei contratti stipulati dagli enti locali, e quella del giudice contabile, che verte sulla responsabilità amministrativa di coloro i quali li hanno stipulati, come si evince da un’altra pronuncia della Corte di Cassazione ([17]). Questi motivi di complementarità sono di immediata evidenza, di assoluto buon senso. Essendo tra loro strettamente connessi, in vista della salvaguardia delle risorse finanziarie pubbliche, è poco utile interrogarsi circa l’ordine di importanza in cui si dispongono.
5. La recente sentenza della Cassazione
Dopo aver rovesciato la prospettiva delineata dalla prima ricognizione sulla giurisprudenza successiva alla sentenza delle Sezioni unite nel caso ‘Cattolica’, la linea di ragionamento seguita può spingersi ancor più oltre, verificando se la stessa Corte di Cassazione tenga nel debito conto le conclusioni ivi raggiunte anche qualora una controversia si instauri tra due parti private, come è accaduto nella sentenza n. 21830 del 2021 ([18]).
Come nei casi precedenti, così in questo nelle trattative volte alla stipulazione del contratto non era stato comunicato al cliente il mark to market iniziale e, per questo motivo, la Corte di appello di Milano aveva respinto il gravame proposto dalla banca. Malgrado la diversità della controversia, sotto il profilo soggettivo, la Corte di Cassazione non si è limitata a citare varie parti della ricostruzione della cornice normativa effettuata dalle Sezioni unite nel caso ‘Cattolica’ ([19]). Ha sottolineato la distinzione tra i derivati, a seconda che abbiano finalità speculative o di copertura, come l’interest rate swap in discussione. Soprattutto, si è espressamente attenuta all’orientamento delle Sezioni unite, secondo cui, in vista della natura potenzialmente aleatoria dei contratti di swap e dei connessi limiti entro i quali l’ordinamento ne ammette la meritevolezza, occorre richiamarsi al “principio della necessaria sussistenza di alea ‘razionale’, intesa come ‘misurabile’, in quanto funzionale alla finalità di ‘gestione del rischio’, ravvisabile” solo a precise condizioni, ossia l’indicazione esplicita – e la condivisione – del mark to market e degli scenari probabilistici ([20]). Non è mancata l’esplicita adesione a una “prospettiva generale, … riferita ad un investitore tanto pubblico che privato” per quanto concerne la determinatezza o determinabilità dell’oggetto del contratto, in vista del quale sono necessarie le indicazioni relative al mark to market e degli scenari probabilistici ([21]). Si tratta, appunto, di elementi essenziali, in mancanza dei quali non sorge la semplice violazione di obblighi informativi (con il conseguente obbligo di risarcire il danno ingiusto), bensì la nullità delle clausole contrattuali ([22]).
Considerata insieme alla sentenza delle Sezioni unite, quella appena richiamata non si limita a confermare le obiezioni prima mosse alla ricognizione che escludeva l’esistenza d’una correlazione tra la natura pubblica d’una delle parti e la necessità di rispettare determinati requisiti. Essa può dare il destro a una generalizzazione del tipo seguente: se il problema che il giudice ha di fronte non è quando un ente locale possa validamente assumere impegni di spesa (è indubbiamente tenuto ad assicurare la copertura finanziaria delle misure previste ed è assodato che non possa farlo senza disporre di adeguate informazioni sugli elementi essenziali del contratto, né senza che il consiglio comunale abbia deliberato a tale riguardo), ma in generale a quali condizioni la regolazione contrattuale degli interessi sia meritevole di tutela, la risposta è che una negoziazione che non dia adeguatamente conto d’una serie di elementi essenziali (mark to market, scenari probabilistici, costi impliciti) è impari al compito che l’ordinamento giuridico le richiede di adempiere. Per una siffatta generalizzazione, però, occorrono accurate verifiche.
6. Conclusioni
Le conclusioni discendono dall’analisi, sotto tre profili connessi pur se distinti. La prima è che vi è senz’altro un difetto di specificazione negli schemi interpretativi che non tengono conto dei principi e delle regole cui le pubbliche amministrazioni sono assoggettate, in ragione degli interessi collettivi attribuiti alla loro cura. Quegli schemi interpretativi sono evidentemente viziati alla radice, donde l’inapplicabilità delle indicazioni operative che ne sono tratte, anche ai fini della risoluzione delle controversie. La seconda conclusione è che si può forse anche rovesciare tale prospettiva, mettendo in discussione l’assunto che, per gli operatori privati, non debbano essere rispettati requisiti stringenti riguardo alla consistenza dei rischi connessi con gli strumenti finanziari derivati, pur se ovviamente occorrono ulteriori, più approfondite, verifiche.
L’ultima conclusione riguarda la cultura giuridica di quanti collaborano con le pubbliche amministrazioni o ne controllano l’operato. Bisogna certamente guardarsi dal rischio insito nella demonizzazione degli strumenti finanziari derivati, i quali possono risultare utili, in determinati casi e nel rispetto di ben precise condizioni. Ma occorre altresì assicurare la coerenza tra le pratiche e gli usi della finanza privata e i principi della finanza pubblica. La scarsa dimestichezza di alcuni amministratori locali con quegli usi può aver non aver impedito l’assunzione di decisioni non oculate, finanche azzardate. Ma questa risultanza, in quanto tale, non esclude che, in presenza di condotte più oculate e trasparenti, meno orientate al profitto nel breve periodo, le banche avrebbero potuto collaborare di più e meglio con gli enti locali, ottenendo un maggiore apprezzamento dalla società tutta o quanto meno da quella in cui Italo Calvino si riconosceva: una ipotesi che il buon senso e forse anche una coscienza giuridica appena un poco più vigilata (come avrebbe detto Massimo Severo Giannini), al contrario, suggeriscono ([23]). Invece di abbandonarsi ad alti lai sull’attardata cultura dei giudici della Cassazione, i responsabili delle strutture finanziarie e i loro consulenti farebbero bene, quindi, a riflettere sulla propria.
- Corte costituzionale, sentenza n. 52/2010. Per una ricostruzione dell’evoluzione della legislazione, è utile il documento predisposto dalle Sezioni riunite in sede di controllo della Corte dei conti in vista dell’audizione dinanzi alla commissione finanze della Camera dei deputati: Indagine conoscitiva sulle tematiche relative agli strumenti finanziari derivati, 2016, p. 20. ↑
- Per una disamina degli aspetti sistematici e teorici, rinvio a quanto scritto altrove: G. della Cananea, La legittimazione contrattuale degli enti locali, in Diritto amministrativo, 2021, n. 3, p. 311. ↑
- Sull’ordinamento inglese, P.J. Evans, The Status of Rules of Precedent, in Cambridge Law Journal (41), 1982, p. 162; su quello nordamericano, A.C. Barrett, Stare Decisis and Due Process, in University of Colorado Law Review (74), 2003, 1011 (secondo cui la rigida interpretazione dello stare decisis è in contrasto con il principio del due process). ↑
- US Supreme Court, Hubbard v. United States (1995). ↑
- Su alcune questioni, R. Caponi, Il mutamento di giurisprudenza costante della Corte di Cassazione in materia di interpretazione di norme processuali come ius superveniens irretroattivo, in Foro it., 2010, c. 311. ↑
- La tesi è in A.V. Dicey, Introduction to the Study of the Law of the Constitution (1885), tr. it. Introduzione allo studio del diritto costituzionale. Le basi del costituzionalismo inglese (Bologna, Il Mulino, 2003), ed è stata ripresa, da noi, da Massimo Severo Giannini. Per una retrospettiva, in chiave critica, G. della Cananea, Il nucleo comune dei diritti amministrativi in Europa. Un’introduzione, Napoli, Editoriale scientifica, 2019. ↑
- Conseil d’État, 13 febbraio 2020, aff. 435634, § 7; 9 giugno 2021, Société Lorany Conseils. ↑
- A. Bjorklund, Investment Treaty Arbitral Decisions as Jurisprudence Constante, UC Davis Legal Studies Research Paper no. 158, accessibile sul sito SSRN. ↑
- In Giur. it., 2020, I, 2403 con nota di A. Tucci, I contratti derivati degli enti locali dopo le Sezioni unite (secondo cui “la decisione del caso concreto risulta ampiamente condivisibile e solidamente fondata nel diritto positivo”, sebbene la motivazione presenti alcuni aspetti discutibili). Si veda, in senso adesivo, anche F. Sucameli, Derivati nulli: le Sezioni Unite declinano il contratto dentro il principio dell’accountability e danno luogo a un caso “Hammersmith” italiano, in Diritto e Conti, 26 maggio 2020; in senso critico, M. Danusso, Derivati: la sentenza della Cassazione 8770 del 2020 e le lezioni americane di Calvino, in Diritto bancario, 22 giugno 2020. ↑
- Sentenza n. 52/2010, § 12.1, richiamata dalla successiva sentenza n. 70/2012, § 3.2. ↑
- Nel senso del testo, A. Tucci, I contratti derivati degli enti locali dopo le Sezioni unite, cit., 2405 (secondo cui “la disciplina speciale della finanza pubblica … consentiva agli enti pubblici di concludere esclusivamente contratti derivati aventi una effettiva funzione di copertura”). ↑
- Si tratta della sentenza emessa dalla High Court (Commercial Court) il 12 ottobre 2021, § 195 (“I conclude that Article 119 does not per se prohibit Italian local authorities from entering into derivative contracts of a “speculative nature”), [2021] EWHC 2706 (Comm), accessibile al sito https://www.bailii.org/cgi-bin/format.cgi?doc=/ew/cases/EWHC/Comm/2021/2706.html. Al riguardo si vedano le opposte opinioni di P. Gatto e M. Danusso in Diritto bancario, 2021. Ma si osservi che anche il Consiglio di Stato riconosce il “principio” che “gli enti locali devono ricorrere agli swap in funzione di copertura dei rischi di tasso sul loro indebitamento”: sez. V, sentenza 30 giugno 2017, n. 3174, § 21. ↑
- Per un’analisi di tipo sistematico, A. Brancasi, L’ordinamento contabile, Torino, Giappichelli, 2005. ↑
- Tribunale di Pavia, sez. III civ., sentenza 16 settembre 2020, n. 870, § 3.1.4. ↑
- Corte di appello L’Aquila, sez. I, sentenza 13 aprile 2021, n. 576, in cui si fa riferimento anche alla ‘causa gemella’, instaurata davanti al Tribunale di Milano e alla Corte di appello di Milano. ↑
- Si veda la sentenza 30 giugno 2017, n. 3174, cit., § 12, secondo cui i contratti swap sono atti di gestione, sebbene possano derivarne spese di tipo pluriennale. ↑
- Cass., Sez. un. 1° febbraio 2021, n. 2157, con nota adesiva di P. de Gioia Carabellese, Derivati della P.A. e possibile danno erariale del consulente, in Rivista della Corte dei Conti, 2021, p. 71. Si veda anche R. Ristuccia e A. Castorino, L’estensione del sindacato giurisdizionale del giudice contabile in merito alla responsabilità del funzionario e dell’amministratore per operazioni di finanza derivata, ivi, 2019, p. 293. Va tenuta presente anche la linea seguita dalla Corte dei conti in sede di controllo: per un caso in cui l’ente locale aveva accettato clausole discutibili, rispetto alla legge italiana, Sez. contr. Regione Lazio, deliberazione n. 120/2021/PRSE, in https://www.corteconti.it/Download?id=6783f7cd-e169-4313-b3cb-09d77142d540. ↑
- Cass. civ., sez. I, sentenza 29 luglio 2021, n. 21830. ↑
- Cass. civ., sez. I, sentenza n. 21830 del 2021, § 2.2. ↑
- Cass. civ., sez. I, sentenza n. 21830 del 2021, § 2.8.2. ↑
- Cass. civ., sez. I, sentenza n. 21830 del 2021, § 2.8.3. ↑
- Cass. civ., sez. I, sentenza n. 21830 del 2021, § 2.9.3. ↑
- I. Calvino, Apologo sull’onestà nel paese dei corrotti (1980), ora in Romanzi e racconti, Milano, Mondadori, 1994 (per il monito sui problemi posti dall’eccessivo “bisogno di mezzi finanziari”). Il riferimento a Giannini è alla prolusione romana Sull’azione dei pubblici poteri nel campo dell’economia (1959), ora in Rivista italiana per le scienze giuridiche, 2018, p. 29. ↑