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Il danno all’immagine della pubblica amministrazione e il “buon uso del rinvio” (Nota a C. conti, sez. giur. Lombardia, 14 marzo 2022, n. 21)

19/05/23

Abstract (IT): L’azione di responsabilità amministrativa per danno all’immagine della pubblica amministrazione rappresenta una preziosa conquista della stagione giudiziaria dei primi anni Novanta del secolo scorso e, tutt’ora, consente all’erario di recuperare ingenti somme. Tuttavia, sin dall’entrata in vigore del d.l. n. 543/1996 e, in particolare, con il d.l. n. 78/2009, il legislatore ha introdotto numerose limitazioni all’esercizio di tale azione, il cui ruolo è stato anche indebolito dall’elaborazione, nel grembo della giurisprudenza della Suprema Corte di cassazione, del sistema del c.d. doppio binario. Questi due fattori continuano a influenzare l’opera dei giudici contabili, anche a seguito dell’entrata in vigore del d.lgs. n. 174/2016. Questo contributo esamina una recente sentenza in cui la sezione giurisdizionale per la Lombardia della Corte dei conti si pronuncia, direttamente, sulle condizioni di proponibilità dell’azione di responsabilità amministrativa per danno all’immagine della pubblica amministrazione contenute nel d.l. n. 78/2009, dichiarandole non più vigenti a seguito dell’entrata in vigore del d.lgs. n. 174/2016, e, indirettamente, sul sistema del c.d. doppio binario, evidenziandone le criticità in merito alla compatibilità costituzionale. Il presente lavoro si apre con l’analisi della sentenza in commento e una breve disamina delle tematiche in essa affrontate. Successivamente, l’attenzione si sposta sulla disciplina del danno all’immagine della pubblica amministrazione, dalla quale vengono estratti gli elementi necessari per la comprensione delle argomentazioni svolte del giudice erariale lombardo nella sentenza in commento. A seguire, questo contributo analizza il “dialogo” tra legislatore, Corte dei conti e Corte costituzionale sulle condizioni di proponibilità dell’azione di responsabilità per danno all’immagine della pubblica amministrazione, che ha caratterizzato gli ultimi trent’anni. Infine, il presente scritto sottopone a esame quella parte della sentenza in cui il giudice erariale lombardo si pronuncia sul tema del danno all’immagine della pubblica amministrazione, evidenziando la portata innovativa delle statuizioni in essa contenute; anche di quelle, come la scelta di rendere contestabile il danno all’immagine nelle ipotesi di concorso di delitti dei pubblici ufficiali contro la pubblica amministrazione con delitti “comuni”, che sono dirette a produrre i loro effetti nella giurisprudenza favorevole alla rinnovata attualità del c.d. lodo Bernardo. Questo contributo condivide le scelte interpretative compiute dal giudice erariale lombardo, conformi alla prevalente opinione della dottrina e di parte della giurisprudenza, e, pertanto, ritiene superate le condizioni di proponibilità dell’azione di responsabilità amministrativa per danno all’immagine della pubblica amministrazione contenute nel d.l. n. 78/2009 e non conforme alla Costituzione il sistema del c.d. doppio binario.

Abstract (EN): This paper analyses the judgement n. 21/2022 of the Italian Court of Auditors’ Judicial Section for Lombardy. This judgment is crucial because it allows to regional prosecutors of the Italian Court of Auditors the possibility to claim compensation for the “damage to the image of the public administration” for any crime which has caused a “damage to the public administration” itself. First, this paper analyses those parts of the judgment that do not deal with the topic “damage to the image of the public administration”. Second, this paper examines the notion of “damage to the image of the public administration” and explores the conditions under which the Public Prosecutor of the Court of Auditors can claim compensation for the “damage to the image of the public administration”. Third, this paper analyses the “dialogue” between the legislators, the Court of Auditors and the Constitutional Court on the legal structure and nature of the “damage to the image of the public administration”, which has been going on for the last thirty years. This “dialogue” also covers the so-called “double track system”, which allows public administrations to take legal action before the civil or criminal courts to obtain compensation for the “damage to the image” they have suffered. Last, this paper examines the juridical novelties contained in the judgement and gives some final considerations.

Sommario: 1. Introduzione. – 2. Analisi della sentenza n. 21/2022. Brevi cenni sulle tematiche sottoposte all’esame della Corte dei conti. – 3. La giurisdizione della Corte dei conti sul danno all’immagine della pubblica amministrazione. – 4. Il dialogo tra legislatore, giudice contabile e giudice costituzionale sulle condizioni di proponibilità dell’azione di responsabilità per danno all’immagine della pubblica amministrazione. – 5. La portata innovativa della pronuncia nel contesto della giurisdizione contabile. Analisi critica. – 6. Considerazioni conclusive.

1. Introduzione

La sentenza n. 21/2022 della sezione giurisdizionale lombarda della Corte dei conti si presenta come un provvedimento sui generis. La sua natura composita, a tratti enciclopedica e a tratti innovativa, fa trasparire l’intenzione del giudice erariale di ristabilire l’ordine in alcuni campi della disciplina giuscontabile, per poi concentrarsi sul tema principe: il danno all’immagine della pubblica amministrazione. Sicché, in un primo momento, detto giudice ribadisce alcuni punti fermi della recente giurisprudenza su tematiche sia di natura sostanziale, come la disciplina applicabile alla prescrizione dell’illecito contabile e al c.d. danno erariale da indebita percezione di retribuzione, sia di natura processuale, come le cause di nullità della citazione e i presupposti per l’accesso al rito abbreviato. Successivamente, avendo fornito alcuni brevi cenni sul danno all’immagine della pubblica amministrazione, manifesta la sua adesione a quell’audace orientamento pretorio, la cui fortuna è andata crescendo negli ultimi anni, che si propone di interpretare l’abrogazione espressa dell’art. 7 della legge 27 marzo 2001, n. 97[1], a opera dell’art. 4, co. l, lett. g), dell’allegato 3 al d.lgs. 26 agosto 2016, n. 174, in termini di una rottura netta con la disciplina preesistente, ribadendone l’attualità, nella cornice dei recenti interventi sul punto della Corte costituzionale. Infine, all’apice di un crescendo attentamente costruito, la sezione meneghina si fa interprete creatrice del “diritto vivente[2]”, ammettendo la contestabilità del danno all’immagine della pubblica amministrazione nelle ipotesi di concorso di delitti dei pubblici ufficiali contro la pubblica amministrazione con delitti “comuni”, ossia non disciplinati nel Libro secondo, Titolo secondo, Capo I, del Codice penale.

Modellata sull’archetipo della sentenza che si propone di commentare, la presente nota mostra una struttura tripartita. Il secondo paragrafo riporta il contenuto del provvedimento e “veste” di un breve commento l’approccio del giudice erariale alle singole tematiche estranee al danno all’immagine della pubblica amministrazione. Ragioni di spazio e di compattezza di trattazione non consentono di soffermarsi su queste tematiche, per l’analisi delle quali si rinvia agli scritti citati nelle note a piè di pagina. Il terzo e il quarto paragrafo della nota contengono un approfondimento sul danno all’immagine della pubblica amministrazione. Il tema viene affrontato prima in chiave statica, definendo la relativa voce di danno e descrivendone (solo) quelle componenti strutturali che rivestono un ruolo nella pronuncia in commento, poi in chiave dinamica, evidenziando come le riforme legislative e la giurisprudenza costituzionale abbiano influito sulla contestabilità di tale voce di danno. Infine, il quinto paragrafo della nota, cui seguono delle brevi conclusioni, analizza la scelta di campo effettuata dalla sezione giurisdizionale lombarda della Corte dei conti in tema di danno all’immagine della pubblica amministrazione, riservando particolare attenzione a quegli aspetti della decisione che provocano un’estensione della giurisdizione contabile.

2. Analisi della sentenza n. 21/2022. Brevi cenni sulle tematiche sottoposte all’esame della Corte dei conti

2.1 La vicenda sottoposta all’attenzione del Collegio

Con la sentenza n. 21/2022, la sezione giurisdizionale lombarda della Corte dei conti si pronuncia sulle conseguenze pregiudizievoli per l’erario, tanto sul piano patrimoniale quanto su quello non patrimoniale, determinate da una serie di episodi di violenza sessuale, concussione e peculato d’uso. La vicenda sottoposta all’attenzione del Collegio è la seguente. Tra il 2007 e il 2009, quattro appartenenti alla Guardia di Finanza – Reparto Tecnico Logistico Amministrativo Lombardia – hanno commesso, in maniera reiterata, atti di violenza sessuale ai danni di alcune prostitute. Tali episodi si sono verificati durante le ore di servizio di controllo del territorio, utilizzando l’autovettura di servizio e con abuso dell’autorità della funzione, considerato che i soggetti attivi del reato, all’atto della violenza sulle vittime, indossavano la divisa.

Con sentenza 12 aprile 2011, n. 946, confermata nei successivi gradi di giudizio[3], il Tribunale di Milano ha condannato i quattro militari per i reati di violenza sessuale di gruppo (art. 609-octies c.p.), di peculato d’uso (art. 314 c.p.) nonché di concussione (art. 317 c.p.). Inoltre, gli stessi militari sono stati destituiti con rimozione del grado dalla Guardia di Finanza, che ha proceduto anche, nel 2014 e nel 2019, alla costituzione in mora e all’interruzione della prescrizione del credito risarcitorio vantato nei loro confronti.

Con nota del 13 aprile 2015, la Guarda di Finanza – Reparto Tecnico Logistico Amministrativo Lombardia – ha notiziato la Procura regionale presso la Corte dei conti del suddetto procedimento penale a carico dei quattro militari, determinando l’attivazione di un’istruttoria per l’accertamento di un eventuale danno erariale. Con atto di citazione del 15 aprile 2021, la Procura contabile lombarda ha contestato ai militari due diverse voci di danno erariale: il danno da indebita percezione di retribuzione, in violazione del sinallagma contrattale durante la commissione dei reiterati illeciti, e il danno da lesione dell’immagine del Ministero dell’Economia-Guardia di Finanza.

2.2 Sull’inammissibilità della domanda di rito abbreviato in presenza di una sola voce di danno che configuri doloso arricchimento

I convenuti, negli scritti difensivi, hanno chiesto la definizione del giudizio con rito abbreviato, offrendo il pagamento di una somma pari al 50% della pretesa risarcitoria azionata nei loro confronti nell’atto di citazione.

Il Collegio dichiara inammissibile la richiesta di rito abbreviato, sull’assunto che la voce di danno da interruzione del sinallagma, contestata dalla Procura alle parti convenute, integri un’ipotesi di arricchimento doloso, tale da rendere inammissibile la domanda ex art. 130, comma 4, c.g.c., anche nell’ipotesi, come quella di specie, in cui si verifica un cumulo oggettivo di domande, alcune delle quali non caratterizzate da arricchimento doloso. Si ritiene utile soffermarsi, sia pur brevemente, sulla scelta operata dalla sezione giurisdizionale lombarda della Corte dei conti.

Il rito abbreviato[4], che è subentrato al c.d. condono erariale[5], altro non è che un procedimento alternativo al rito ordinario, cui il legislatore ha attribuito una funzione «deflattiva della giurisdizione di responsabilità» nonché «lo scopo di garantire l’incameramento certo e immediato di somme risarcitorie all’Erario». Queste sono le parole con cui l’art. 130 c.g.c., in apertura del Titolo dedicato ai riti speciali, enuncia la ratio sottesa al rito abbreviato. Lo stesso articolo ne racchiude l’intera disciplina, prevedendo la possibilità del soggetto convenuto nel giudizio di responsabilità amministrativa di chiedere, nella comparsa di risposta e previa l’acquisizione del parere concorde del Pubblico Ministero, la definizione alternativa del giudizio, attraverso il pagamento di una somma che, nel primo grado di giudizio, non può superare il 50% della pretesa risarcitoria azionata nell’atto di citazione; in grado di appello tale somma non può essere inferiore al 70% del danno contestato in citazione. L’art. 130, comma 4, c.g.c. introduce un limite all’accesso al rito abbreviato, disponendo l’inammissibilità della relativa richiesta «nei casi di doloso arricchimento del danneggiante». In tal modo, come ha chiarito la giurisprudenza[6], il legislatore ha inteso scongiurare che il soggetto che abbia volontariamente provocato un danno all’amministrazione possa avvalersi di un meccanismo premiale, quale è il rito abbreviato, onde trattenere buona parte del vantaggio economico indebitamente percepito. La nozione di “doloso arricchimento”, che il legislatore da per presupposta, è stata oggetto di esame da parte della giurisprudenza, secondo cui configura una fattispecie di doloso arricchimento il conseguimento a qualsiasi titolo di un vantaggio latu sensu patrimoniale[7]. Dunque, non ogni illecito contabile, quantunque di matrice dolosa, comporta un doloso arricchimento, rappresentando questo un quid pluris, successivo e distinto rispetto all’evento in senso stretto[8]. Talvolta, solo alcune delle domande risarcitorie della Procura, tra di loro connesse sotto il profilo soggettivo e formulate all’interno del medesimo giudizio di responsabilità, nei confronti della medesima persona, sono caratterizzate dal doloso arricchimento. In questi casi, la giurisprudenza si interroga sulla possibilità per il Collegio di operare una separazione delle domande e una conseguente conversione di rito con riferimento alle sole domande risarcitorie non dirette al recupero del doloso arricchimento.

Nella sentenza in commento, la sezione giurisdizionale lombarda prende posizione sulla questione. La Procura ha contestato ai convenuti sia un danno erariale da violazione o interruzione del sinallagma[9], che integra un’ipotesi di doloso arricchimento, sia un danno all’immagine della pubblica amministrazione[10]. In questa occasione, il Collegio si pronuncia per l’inscindibilità delle domande e per la conseguente inammissibilità, ai sensi dell’art. 130, comma 4, c.g.c., di tutte le richieste di rito abbreviato, sull’assunto che una diversa composizione del problema, che opti per soluzioni “scissioniste”, sia contraria alla ratio dell’istituto, «che risulta finalizzato ad assolvere ad una funzione deflattiva dei giudizi di responsabilità, che risulterebbe frustrata nel caso in cui dovesse essere ammessa la scissione della domanda e la sua regolazione con riti differenti». Il Collegio, tuttavia, apre a una “scissione” delle domande, con conseguente ammissione del rito abbreviato, nell’ipotesi in cui il convenuto versi stragiudizialmente all’amministrazione danneggiata, prima del giudizio, l’importo del danno frutto di doloso arricchimento, di talché residui in capo al convenuto la sola contestazione della voce di danno non riconducibile al doloso arricchimento. In questa ipotesi, difatti, la ratio dell’istituto non subirebbe alcuno sconvolgimento, essendo stati gli importi costituenti doloso arricchimento integralmente restituiti all’erario ed essendo scongiurato il rischio che colui che abbia inteso arricchirsi dolosamente a danno delle casse pubbliche possa opportunisticamente, attraverso la definizione agevolata della propria posizione, conservare parte del profitto illecitamente conseguito.

2.3 Sul rigetto dell’eccezione di nullità ex art. 87 c.g.c. in presenza di un ragionevole rapporto di continenza tra citazione e invito a dedurre

Una prima eccezione sollevata dai convenuti concerne la nullità della citazione per mancata corrispondenza tra i fatti contestati nell’invito a dedurre e quelli esplicitati nell’atto di citazione. In particolare, un convenuto ha lamentato una discrasia tra l’importo contestato pro quota nell’invito a dedurre per danno all’immagine e l’importo contestato in solidum in citazione. La norma richiamata a fondamento dell’eccezione è l’art. 87 c.g.c.[11], che disciplina un’ipotesi di nullità sui generis dell’atto di citazione, eccepibile qualora gli elementi essenziali del fatto in esso dedotti non corrispondano con quelli contenuti nell’invito a dedurre[12].

Il Collegio ritiene insussistente la violazione del contraddittorio, giacché, nel caso di specie, i fatti storici menzionati in invito a dedurre (condotta, entità del danno, elemento psicologico doloso) sono i medesimi indicati in citazione. Inoltre, evidenzia come, nell’atto di citazione, la Procura si sia limitata ad ascrivere il danno all’immagine arrecato, in via prioritaria, in solidum e, solo in via gradata, pro-quota, anche in considerazione del fatto che il disposto dell’art. 1-quinquies della legge 14 gennaio 1994, n. 20, trova applicazione solo in presenza di una condotta dolosa o di un illecito arricchimento, operando altrimenti l’art. 1-quater del medesimo testo normativo[13]. Questo punto della sentenza si pone in linea con un orientamento che domina il panorama giurisprudenziale da oltre un ventennio[14], secondo cui non è prescritta la necessaria piena corrispondenza tra le contestazioni mosse nell’atto di citazione e quelle contenute nell’invito a dedurre, ma è sufficiente un ragionevole rapporto di continenza, che mantenga inalterato il nucleo essenziale della domanda, ossia il petitum e la causa petendi.

2.4 Sulla decorrenza del termine di prescrizione a fronte di fatti di reato dolosamente occultati

Una seconda eccezione sollevata dai convenuti ha a oggetto la prescrizione della domanda risarcitoria, a fronte di fatti del 2008 che non sarebbero stati dolosamente occultati e, con riferimento al solo danno all’immagine, posti in essere prima dell’entrata in vigore dell’art. 17, comma 30-ter, del d.l. 1 luglio 2009, n. 78, convertito in legge 3 agosto 2009, n. 102, che prevede la sospensione della prescrizione dell’azione di responsabilità amministrativa da reato sino al termine del procedimento penale.

Il Collegio dichiara manifestamente infondata questa eccezione, ritenendo che i fatti integranti i reati sessuali siano stati occultati dai militari e ricordando come sia ormai pacifico in giurisprudenza che, qualora i fatti generatori di danno erariale siano connessi a fatti integranti un reato dolosamente occultato, il danno si materializzi in tutte le sue componenti oggettive e soggettive, con conseguente decorso della prescrizione, solo con il decreto di rinvio a giudizio, nel caso di specie emesso in data 27 gennaio 2011. Di seguito, il Collegio rammenta che la Guardia di Finanza ha proceduto, nel 2014 e nel 2019, alla costituzione in mora dei militari, di tal guisa interrompendo la prescrizione del credito risarcitorio vantato nei loro confronti, e che, nel 2021, è intervenuto l’invito a dedurre, avente parimenti effetto interruttivo della prescrizione. Pertanto, ritiene tempestivo l’esercizio dell’azione di responsabilità da parte della Procura erariale. Infine, con riferimento alla sola voce di danno all’immagine contestata, il Collegio statuisce che, per la stessa, opera anche l’effetto sospensivo sulla prescrizione sino al giudicato penale, formatosi nel 2013, ai sensi di quanto previsto dall’art. 17, comma 30-ter, del d.l. n. 78/2009.

Le motivazioni con le quali la sezione giurisdizionale lombarda si pronuncia su questa seconda eccezione non destano stupore, perché in linea con il dettato normativo e la prevalente conforme interpretazione giurisprudenziale dello stesso. È cosa nota agli operatori del settore che il termine di prescrizione quinquennale dell’azione di responsabilità, previsto dall’art. 1, comma 2, della legge n. 20/1994, decorra dalla verificazione del fatto dannoso, ossia dalla realizzazione dell’eventus damni, non espletando alcun effetto, nel processo contabile, il semplice scostamento della condotta dal paradigma legale. Tale regola generale subisce una deroga nell’ipotesi di “occultamento doloso del danno”, in cui la percezione e comprensione degli accadimenti richiede lo spiegamento di approfondimenti mirati. Il legislatore ha previsto per tali evenienze, integranti di norma condotte penalmente rilevanti, un termine prescrizionale decorrente dal momento della conoscenza effettiva del danno. Affinché si possa parlare di “conoscenza effettiva” del danno, ricorda il giudice contabile d’appello[15], «non è sufficiente la conoscenza o conoscibilità ipotetica di un illecito, ma occorre la conclusione del processo di valutazione istruttoria degli elementi fattuali, con la qualificazione giuridica degli stessi e l’individuazione dei soggetti cui le medesime condotte sono causalmente riconducibili». Anche in questo punto della sentenza in commento, così come nel precedente, il giudice erariale statuisce in conformità con la prevalente giurisprudenza[16].

2.5 Sull’azionabilità di pretese per danno all’immagine conseguente a giudicati penali anche per delitti diversi da quelli contro la p.a. nonché nelle ipotesi di concorso tra delitti “comuni” e delitti contro la p.a. (rinvio)

I convenuti hanno eccepito anche l’inesistenza del danno all’immagine alla pubblica amministrazione, loro contestato dalla Procura regionale, sull’assunto che i reati di peculato e di concussione, da loro commessi, non avrebbero arrecato alcun danno all’immagine al Ministero dell’Economia-Guardia di Finanza. In subordine, richiamando pronunce del giudice contabile su vicende analoghe, hanno eccepito l’erronea quantificazione di tale danno non patrimoniale, a loro dire arrecato in misura notevolmente inferiore. Hanno eccepito, altresì, la non contestabilità del danno all’immagine per il reato di violenza sessuale di gruppo, richiamando quell’orientamento della giurisprudenza contabile secondo cui, nonostante l’espressa abrogazione dell’art. 7 della legge 27 marzo 2001, n. 97, a opera dell’art. 4, comma 1, lett. g), dell’allegato 3 al d.lgs. n. 174/2016[17], il rinvio allo stesso art. 7, contenuto nel secondo alinea dell’art. 17, comma 30-ter, del d.l. 1 luglio 2009, n. 78, convertito in legge 3 agosto 2009, n. 102[18], continuerebbe a spiegare i suoi effetti all’interno dell’ordinamento contabile, limitando l’esercizio dell’azione di responsabilità per danno all’immagine ai soli delitti dei pubblici ufficiali contro la pubblica amministrazione, elencati nel Capo I del Titolo secondo del Libro secondo del Codice penale. Nell’intento di rafforzare la loro posizione processuale, i convenuti hanno richiamato la pronuncia 4 luglio 2019, n. 191, della Corte costituzionale, che, a loro dire, avallerebbe questo orientamento giurisprudenziale.

Alla luce delle inequivoche sentenze penali passate in giudicato e della non contestazione, da parte dei convenuti, del computo effettuato dalla Procura, il Collegio ritiene i convenuti responsabili di un danno erariale da indebita percezione di (quota parte della) retribuzione in violazione del sinallagma contrattale e di un danno all’immagine della pubblica amministrazione. Il Collegio considera questa seconda “posta” di danno come ancorabile e causalmente legata alle due gravi fattispecie di reato contro la pubblica amministrazione, ossia il peculato e la concussione, commesse dai convenuti, che sono stati oggetto di richiami espressi nelle testate giornalistiche allegate dalla Procura. Pur consapevole dell’esistenza di un orientamento giurisprudenziale che ammette la perseguibilità del danno all’immagine solo a fronte dei delitti dei pubblici ufficiali contro la pubblica amministrazione, il Collegio sceglie di ammettere la contestabilità del succitato danno erariale non patrimoniale anche per i reati di violenza sessuale, ritenendo che siano oggi azionabili pretese risarcitorie in sede contabile per danno all’immagine della pubblica amministrazione conseguente a giudicati penali anche per delitti diversi da quelli contro la pubblica amministrazione. Questa scelta si fonda sull’assunto che, avendo l’art. 4, comma 1, lett. h), dell’allegato 3 al d.lgs. n. 174/2016 abrogato l’art. 7 della legge n. 97/2001, il richiamo a questa disposizione – operato dall’art. 17, comma 30-ter, del d.l. n. 78/2009 – andrebbe riferito, in applicazione dell’art. 4, comma 2, dell’allegato 3 al d.lgs. n. 174/2016[19], all’art. 51, comma 7, c.g.c. [20]; così determinando il tramonto dei limiti al novero dei delitti suscettibili di danno all’immagine e una riespansione della giurisdizione contabile a perseguire qualsiasi delitto foriero di lesione alla reputazione della pubblica amministrazione. Il Collegio rimarca, altresì, come la recente pronuncia n. 191/2019 della Corte costituzionale non abbia affatto ritenuto che la vigente normativa consenta di perseguire in sede contabile il danno all’immagine solo a fronte di delitti contro la pubblica amministrazione, avendo, invece, previsto la possibile qualificazione del rinvio operato da parte del primo alinea dell’art. 17, comma 30-ter, del d.l. n. 78/2009 all’art. 7 della legge n. 97/2001 come rinvio “mobile”. Questa soluzione interpretativa, nell’opinione del Collegio, scongiurerebbe una irragionevole discrasia, costituzionalmente illegittima, con la piena perseguibilità risarcitoria del danno all’immagine patito dalla pubblica amministrazione innanzi all’autorità giudiziaria ordinaria. Infine, il Collegio evidenzia come, anche seguendo l’indirizzo giurisprudenziale che ammette la perseguibilità del danno all’immagine solo a fronte dei delitti contro la pubblica amministrazione, le conclusioni non muterebbero nel caso di specie. Difatti, sviluppando ulteriormente l’indirizzo giurisprudenziale secondo cui il danno all’immagine è contestabile anche a fronte di reato complesso, non rientrante nel “catalogo” dei delitti contro la pubblica amministrazione, di cui però il delitto contro la pubblica amministrazione sia elemento costitutivo o circostanza aggravante, il Collegio stabilisce che la lesione del danno all’immagine è azionabile per qualsiasi forma di concorso di delitti “comuni” con quelli contro la pubblica amministrazione, qualora il legame tra gli stessi si traduca in una unitaria o continuata azione delittuosa che nel suo insieme arrechi danno alla immagine della pubblica amministrazione.

In conclusione, la sezione giurisdizionale lombarda della Corte dei conti condanna i convenuti al risarcimento del danno da violazione del sinallagma contrattuale e del danno all’immagine provocati al Ministero dell’Economia-Guardia di Finanza. Considerata l’impossibilità di determinare gli importi da addebitare ai singoli convenuti mediante il criterio del c.d. duplum, liquida tali importi facendo applicazione dei tre criteri generali di liquidazione – oggettivi, soggettivi e sociali – utilizzati dalla giurisprudenza contabile a partire dalla nota sentenza n. 10/QM/2003[21].

Come è possibile evincere dall’ampia e dettagliata analisi sopra effettuata, nella pronuncia in commento la sezione giurisdizionale lombarda della Corte dei conti non si limita a riaffermare una serie di princìpi già noti agli operatori del diritto in tema di accesso al rito abbreviato, nullità della citazione e prescrizione dell’illecito contabile. In un contesto “sensibile” come quello del danno all’immagine della pubblica amministrazione, il giudice erariale opera una netta scelta di campo tra due orientamenti in contrasto tra loro sin dall’adozione del Codice di giustizia contabile, motivando tale scelta attraverso un’interpretazione costituzionalmente orientata del dettato codicistico. Inoltre, estende una regola, che parte della giurisprudenza ritiene applicabile ai reati complessi, al diverso istituto di concorso di reati, di tal guisa realizzando quell’opera di riempimento delle lacune del diritto vigente mediante il c.d. diritto vivente. Prima di analizzare nel dettaglio l’approccio riservato dalla sezione giurisdizionale lombarda al tema del danno all’immagine della pubblica amministrazione, si rende opportuno descrivere il contesto in cui la pronuncia in commento si colloca: un contesto in cui «non si ravvisa un vero e proprio complesso organico di interventi coordinati tra loro in vista del perseguimento di un determinato obiettivo di politica legislativa, quanto piuttosto una serie di iniziative episodiche e frammentarie»[22].

3. La giurisdizione della Corte dei conti sul danno all’immagine della pubblica amministrazione

3.1 Il diritto all’immagine nella cornice dei diritti della personalità

Nell’ambito del giudizio di responsabilità dinanzi alle sezioni giurisdizionali della Corte dei conti, è notazione corrente che, quando ne sussista la possibilità e la convenienza, il legislatore e il giudice erariale modellino le voci di danno sull’archetipo delle omonime voci di danno di cui fa uso il giudice ordinario. Esempi significativi di questa convergenza sono la nozione di danno ambientale[23] nonché quella di danno da medical malpractice[24]. Sicché, non stupisce che la nozione primordiale di danno all’immagine della pubblica amministrazione costituisse una mera trasposizione, con i dovuti adattamenti richiesti dalla disciplina pubblicistica, della voce di danno all’immagine della persona giuridica di matrice civilistica.

La dottrina civilistica[25] scinde, con alcune sfumature, il concetto giuridico di immagine in due nozioni: quella di “immagine-ritratto” e quella di “immagine-reputazione”. La nozione di immagine-ritratto[26] può essere definita come «la rappresentazione e la riproduzione delle sembianze dell’aspetto fisico di una persona[27]». In questo senso, l’immagine rappresenta uno dei mezzi di identificazione più pregnanti della persona all’interno della realtà sociale in cui è inserita e, unitamente col nome e con le altre caratteristiche soggettive, uniche e irripetibili dell’individuo, compone la nozione di personalità. Secondo la tesi c.d. pluralistica, esistono tanti diritti della personalità quanti sono gli aspetti della personalità direttamente o indirettamente riconosciuti dall’ordinamento[28]: il nome, l’immagine, l’onore e la reputazione. Trattasi di diritti originari, indisponibili e dal contenuto non patrimoniale, perché garantiti dall’ordinamento a prescindere dalle eventuali ripercussioni di carattere economico originate dalla loro violazione. I diritti della personalità non trovano un riferimento esplicito a livello costituzionale. Tuttavia, la dottrina[29] e la giurisprudenza[30] attribuiscono a tali diritti una valenza costituzionale e, pertanto, una piena tutela giuridica, in virtù dell’art. 2 Cost. Tale norma riconosce e garantisce i diritti inviolabili dell’uomo, tutelando ognuna delle distinte modalità attraverso cui la persona si esplica. Tra i diritti della personalità si annovera il diritto all’immagine, che la dottrina definisce come «l’interesse all’intangibilità della proiezione sociale della persona[31]». La tutela civilistica del diritto alla “immagine-ritratto” è contenuta nell’art. 10 c.c. [32] e negli artt. 96 e 97 della legge 22 aprile 1941, n. 633, sul diritto d’autore[33].

Nulla ha a che vedere con la nozione di immagine intesa come ritratto la nozione di immagine intesa come reputazione personale o commerciale, anche detta immagine sociale o professionale. Trattasi di una nozione elaborata dalla giurisprudenza di legittimità[34] e che corrisponde alla considerazione che la società ha di ciascuna persona. In dottrina, questa seconda concezione di immagine è stata definita come «la proiezione fisionomica della persona nel contesto sociale di appartenenza[35]». Di conseguenza, il diritto alla tutela dell’immagine, intesa nel senso da ultimo evidenziato, consiste nell’interesse a preservare l’idea che gli altri hanno di sé. La dottrina[36] e la giurisprudenza[37] annoverano anche tale diritto tra i diritti della personalità, di tal guisa riconducendone la tutela giuridica nella sfera di applicazione dell’art. 2 Cost. A partire dagli anni ’80, la giurisprudenza di legittimità[38] ha esteso la titolarità del diritto all’immagine – inteso quale diritto alla reputazione – anche in capo alle persone giuridiche e agli enti collettivi, affinché la lesione di tale diritto potesse dar luogo al risarcimento dei danni sia patrimoniali sia non patrimoniali. In particolare, in una nota pronuncia[39], la Corte di cassazione ha riconosciuto che «le persone giuridiche sono portatrici di una propria immagine sociale nell’ambito della realtà nel contesto in cui operano». L’espresso riferimento all’immagine sociale permette di ribadire, citando le parole della dottrina, come, in questa circostanza, «per lesione dell’immagine non si intende la diffusione del c.d. ritratto, ma, al contrario, la lesione della reputazione dell’ente conseguente a vicende che la pongono in pericolo[40]».

3.2 La nozione e la natura giuridica di danno all’immagine della pubblica amministrazione

Così come le persone giuridiche private, anche le persone giuridiche pubbliche annoverano nel loro “portafoglio di diritti” il diritto all’immagine, da intendersi nella sua accezione di reputazione. Questa titolarità è stata riconosciuta per la prima volta dalla Corte di cassazione, nel 1991, nella sentenza pronunciata sul caso Lockheed, una vicenda avente a oggetto la corresponsione di tangenti a ministri e funzionari del governo italiano per l’acquisto di aerei da una compagnia straniera[41]. Sicché, costituisce danno all’immagine della pubblica amministrazione, secondo una definizione essenziale, la lesione del decoro e del prestigio dell’ente pubblico, scaturente da un comportamento illecito. Questa definizione deve essere integrata alla luce dell’evoluzione dell’istituto nella giurisprudenza della Corte dei conti, della Corte di cassazione e della Corte costituzionale. In particolare, queste corti si sono pronunciate sulla giurisdizione sul danno all’immagine della pubblica amministrazione, sulla sua natura giuridica, ossia sulla sua qualificazione come danno patrimoniale o non patrimoniale nonché come danno-evento o danno-conseguenza, sull’estensione di alcune voci che ne compongono l’elemento oggettivo, come il fatto illecito o il clamor fori ovvero il rapporto di servizio, sui meccanismi di quantificazione a esso applicabili e sulla sua funzione.

Sin dal tramonto degli anni ’80, la Corte dei conti si è occupata di definire le competenze giurisdizionali in materia di danno all’immagine della pubblica amministrazione[42]. In un primo momento, le sezioni riunite[43] hanno negato la possibilità, in sede di giudizio di responsabilità, di pronunciarsi in tema di danno all’immagine della pubblica amministrazione, all’epoca ricondotto al solo danno morale conseguente al reato, affidando la relativa giurisdizione al giudice ordinario. Un quinquennio più tardi, contraddicendo la funzione nomofilattica delle sezioni riunite, le neoistituite[44] sezioni giurisdizionali regionali[45] hanno riconosciuto la propria giurisdizione sul danno all’immagine della pubblica amministrazione. Tale orientamento, presto avallato dalle sezioni unite della Corte di cassazione[46], è stato accolto sia dalle sezioni di appello[47] sia dalle sezioni riunite[48] della Corte dei conti.

La presa di coscienza, da parte di entrambe le giurisdizioni, circa la meritevolezza della tutela risarcitoria in favore della persona giuridica pubblica che abbia subito un danno alla propria immagine nonché della competenza a conoscerne della magistratura contabile non ha sempre sottointeso un’uniformità di opinioni in merito alla natura giuridica di tale danno[49]. In un primo momento, la Corte di cassazione riconduceva il danno all’immagine della pubblica amministrazione nella categoria dei danni patrimoniali ex art. 2043, in quanto tali non vincolati alla commissione di un reato ex art. 2059 c.c. Tale inquadramento permetteva al giudice di legittimità di qualificare il danno all’immagine delle persone giuridiche pubbliche come danno-conseguenza, così come già avveniva per il danno all’immagine delle persone giuridiche private. Contrariamente, l’opinione del supremo consesso di giustizia contabile riconduceva il danno all’immagine della pubblica amministrazione nella categoria dei danni non patrimoniali ex art. 2059 c.c., qualificandolo come danno esistenziale. Dalla natura non patrimoniale di tale danno discendeva la sua qualifica di danno-evento. Nel corso del primo decennio del nuovo millennio, la giurisprudenza di legittimità[50], superando un annoso contrasto tra orientamenti, si è allineata con la posizione espressa dalla Corte costituzionale[51] e dalle sezioni riunite della Corte dei conti[52], riconoscendo natura non patrimoniale e di danno-conseguenza al danno all’immagine della pubblica amministrazione. La giurisprudenza ha individuato la conseguenza dannosa della condotta illecita nella lesione all’immagine dell’ente, conseguente ai fatti lesivi produttivi della lesione stessa (compimento di reati o altri specifici casi), e ha invitato l’interprete a non confondere la voce di danno in questione con le spese necessarie al ripristino dell’immagine, che costituiscono solo uno dei possibili parametri della quantificazione equitativa del risarcimento[53].

Le considerazioni svolte consentono di riprendere il discorso iniziale sulla nozione di danno all’immagine della pubblica amministrazione, interrotto per ragioni di ordine sistematico, e di portarlo a compimento, facendo buon uso dei criteri che, in progresso di tempo, la giurisprudenza ha elaborato con riferimento all’istituto e declinando la tutela del diritto all’immagine con i canoni della responsabilità amministrativa. Ebbene, è ora possibile fornire una definizione più completa dell’istituto, per la quale il danno all’immagine della pubblica amministrazione è una voce di danno non patrimoniale, inquadrabile nella categoria dogmatica del danno-conseguenza, contestabile agli autori di condotte dolose o gravemente colpose, contrarie ai doveri connessi al rapporto di impiego o servizio, che abbiano provocato una lesione del decoro e del prestigio dell’ente pubblico, di entità tale da provocare una perdita di credibilità e affidabilità presso i cittadini. Resta inteso che l’azione di responsabilità per danno all’immagine della pubblica amministrazione, al pari di quella diretta al recupero del danno erariale patrimoniale, non può essere esercitata in assenza di un nesso di occasionalità necessaria tra le funzioni svolte dall’autore del danno e il danno stesso[54]. Il diritto all’immagine della pubblica amministrazione beneficia di un doppio addentellato costituzionale[55]. L’immagine dell’ente trova la sua tutela risarcitoria non solo nell’art. 2 Cost., che, come già visto, protegge il diritto all’immagine di qualunque persona fisica e giuridica, sia privata sia pubblica, in quanto diritto della personalità, ma anche nell’art. 97, comma 2, Cost., che impone alla pubblica amministrazione di agire secondo i canoni di buona amministrazione, ossia in modo imparziale, efficace, efficiente ed economico. Tale ultima norma osta a qualunque condotta infedele dei membri dell’amministrazione, giacché questi, alla luce della teoria dell’immedesimazione organica[56], si identificano agli occhi della comunità con l’amministrazione di appartenenza, estendendo a quest’ultima anche il grave disvalore dell’illecito commesso. Non è mancato chi[57], in dottrina, ha individuato un fondamento della tutela risarcitoria del danno all’immagine della pubblica amministrazione nel diritto unionale, in particolare nell’art. 41 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea o “Carta di Nizza”, che codifica il «diritto a una buona amministrazione».

3.3 Gli elementi costitutivi del danno all’immagine della pubblica amministrazione (rinvio). Il clamor fori

Affinché la Procura regionale presso la Corte dei conti possa contestare il danno all’immagine della pubblica amministrazione ai convenuti di un giudizio di responsabilità è necessario che risultino integrati gli elementi essenziali dell’illecito erariale, il clamor fori e alcune condizioni di proponibilità che il legislatore e la giurisprudenza sono andati elaborando in progresso di tempo. Ragioni di spazio non consentono di soffermarsi, in questa sede, sugli elementi essenziali dell’illecito erariale, per la cui disamina si fa integrale rinvio agli innumerevoli scritti della dottrina sul tema[58]. Risulta, invece, essenziale analizzare nel dettaglio sia il clamor fori sia le condizioni di proponibilità che circondano e condizionano l’esercizio dell’azione di responsabilità per danno all’immagine della pubblica amministrazione.

Per clamor fori o strepitus fori ovvero clamore mediatico si intende la divulgazione della notizia del fatto illecito, che può operare su un piano esterno o anche solo interno all’ente pubblico. Nella prima ipotesi, la notizia dell’illecito viene diffusa a mezzo della stampa, dei mass media o di un pubblico dibattimento. Tale divulgazione incide sul rapporto di affectio societatis, provocando una diminuzione del grado di fiducia della comunità amministrata nella capacità dell’ente, alle cui dipendenze presta servizio l’autore dell’illecito, di perseguire i fini istituzionali a esso demandati dall’ordinamento. Nella seconda ipotesi, invece, la vicenda illecita non ha rilevanza esterna alla pubblica amministrazione, ma incide negativamente sull’agire delle persone fisiche che lavorano al suo servizio. Esistono due orientamenti giurisprudenziali sulla natura giuridica del clamor fori. Un primo orientamento[59], minoritario e risalente, considera il clamor fori come un mezzo imprescindibile per la consumazione della lesione della reputazione della persona giuridica pubblica. Questa impostazione ravvisa nel clamor fori un elemento essenziale della fattispecie, in grado di condizionare l’esistenza e la risarcibilità del danno all’immagine della pubblica amministrazione, che sarebbe del tutto inconfigurabile in assenza di clamore mediatico. Un secondo orientamento[60], recente e maggioritario, non considera il clamor fori un elemento essenziale del danno all’immagine della pubblica amministrazione, bensì un elemento accessorio o una [circostanza] «aggravante», che ne indica la dimensione ai fini dell’opera di liquidazione dell’importo risarcibile. Tale orientamento ritiene che la diffusione della notizia nei mass media comporti solamente un effetto amplificativo della lesione al prestigio e alla credibilità dell’ente pubblico, la cui consumazione risalirebbe al momento della consapevole violazione degli obblighi di correttezza e di fedeltà ai doveri d’ufficio.

3.4 Brevi cenni sul sistema del c.d. doppio binario

Il sistema del c.d. doppio binario è nato in seno alla giurisprudenza della Corte di cassazione[61] e consente, anche in ordine al medesimo fatto causativo di pregiudizio, la coesistenza dell’azione risarcitoria proposta dalla pubblica amministrazione danneggiata dinanzi al giudice ordinario e dell’azione per danno erariale a iniziativa del pubblico ministero contabile, dando luogo alla duplicità e, quindi, alla concorrenza delle due azioni, a tutela degli interessi delle amministrazioni pubbliche danneggiate da soggetti legati alle stesse da un rapporto di servizio. Nell’opinione dei giudici di legittimità, tale concorrenza di azioni non pone un’interferenza tra giurisdizioni, bensì un’interferenza tra giudizi, tra loro indipendenti nonché caratterizzati da diversi regimi sostanziali e processuali, e si giustifica per la diversità degli interessi tutelati dall’azione di responsabilità amministrativa rispetto all’azione di responsabilità civile. Mentre la prima, proposta dalla Procura contabile, è diretta a perseguire l’interesse pubblico generale al buon andamento della pubblica amministrazione, la seconda, esercitata dalla singola amministrazione, tende al pieno ristoro del danno, con funzione riparatoria e compensativa. Il sistema del c.d. doppio binario trova il suo fondamento nell’art. 24, comma 1, della Costituzione[62] e nell’art. 47 della Carta dei diritti fondamentali[63] dell’Unione Europea: impedisce la compressione della legittimazione processuale delle persone giuridiche pubbliche, le quali, non potendo trovare una tutela diretta nel processo contabile, rivolgono le loro istanze risarcitorie al giudice ordinario.

La giurisprudenza della Corte dei conti[64] si è conformata al sistema del c.d. doppio binario, riconoscendo, in considerazione della totale autonomia tra le giurisdizioni civile e contabile, la possibilità per l’amministrazione, danneggiata da una condotta illecita di un soggetto con cui intrattiene un rapporto di servizio, di chiedere il ristoro del danno patito avvalendosi non solo del “binario” della responsabilità amministrativa, ma anche di quello dell’azione di responsabilità civile dinanzi al giudice ordinario. Inoltre, tale giurisprudenza non esclude la possibilità che, esaurito uno dei “binari”, l’amministrazione possa percorrere il “binario” concorrente. Infatti, nel sistema del c.d. doppio binario, la condanna al risarcimento del danno in sede civile o penale non impedisce l’esercizio dell’azione di responsabilità amministrativa, per il medesimo fatto, diretta al recupero di quella parte del danno erariale che il giudice ordinario non abbia posto a carico del convenuto; al contempo, il recupero parziale del credito in sede erariale non esclude l’esercizio dell’azione di responsabilità dinanzi al giudice ordinario per la restituzione degli importi residui. L’unico limite, in caso di vaglio dello stesso illecito da parte dei due giudici, è costituito dal divieto di una duplicazione risarcitoria a fronte di una sentenza definitiva pienamente satisfattiva, ossia a seguito di un giudicato in sede civile o penale che copra l’intero danno patito dalla p.a., che farebbe venir meno l’interesse alla prosecuzione del giudizio contabile.

4. Il dialogo tra legislatore, giudice contabile e giudice costituzionale sulle condizioni di proponibilità dell’azione di responsabilità per danno all’immagine della pubblica amministrazione

4.1 Il c.d. lodo Bernardo

Durante i primi due decenni di vita, il danno all’immagine della pubblica amministrazione ha conosciuto un enorme sviluppo, complice anche il verificarsi, nel corso degli anni ’90, dello scandalo denominato “Tangentopoli”, che ha consentito alle neoistituite sezioni giurisdizionali regionali della Corte dei conti di approfondire la tematica nell’ambito di numerose decisioni[65]. In quegli stessi anni, la Corte di cassazione[66] e la Corte costituzionale[67] hanno elaborato la regola della risarcibilità del danno non patrimoniale anche in assenza di correlazione con un fatto di reato, di tal guisa permettendo alle Procure regionali presso la Corte dei conti di estendere notevolmente l’ambito di applicazione dell’azione di responsabilità per danno all’immagine della pubblica amministrazione. Senonché, come contraltare all’opera di estensione dell’ambito applicativo del danno all’immagine della pubblica amministrazione, effettuata dalla magistratura contabile, il legislatore del 2009 ha stabilito che le procure regionali della Corte dei conti possono contestare tale voce di danno nell’ambito del giudizio di responsabilità solo in presenza di due condizioni di proponibilità. In particolare, l’art. 17, comma 30-ter, secondo periodo, del d.l. 1 luglio 2009, n. 78 (c.d. lodo Bernardo), convertito in legge 3 agosto 2009, n. 102, consente alle procure della Corte dei conti di esercitare l’azione per il risarcimento del danno all’immagine nei soli casi e nei modi previsti dall’articolo 7 della legge 27 marzo 2001, n. 97. La disposizione da ultimo citata contiene le due condizioni di proponibilità: una di natura processuale, ossia la presenza di un giudicato penale di condanna, e una di natura sostanziale, ossia il fatto che la sentenza sia stata pronunciata per i delitti dei pubblici ufficiali contro la pubblica amministrazione, previsti nel Capo I del Titolo secondo del Libro secondo del Codice penale. L’innovazione introdotta dal d.l. n. 78/2009, come prevedibile, è stata sottoposta a censura davanti alla Corte costituzionale, che, altrettanto prevedibilmente, ne ha confermato la legittimità, invocando il principio di insindacabilità della discrezionalità del legislatore. Per meglio comprendere la “reazione” della Corte dei conti al c.d. lodo Bernardo, la quale, unitamente alla pronuncia della Corte costituzionale, sarà approfondita nel successivo paragrafo 4.3, si ritiene utile effettuare un “salto” indietro nel tempo.

4.2 La prima stagione del dialogo: il d.l. n. 543/1996

Fino agli anni ’90, fatta eccezione per alcuni interventi normativi isolati[68], la disciplina della responsabilità amministrativa era rimasta sostanzialmente inalterata rispetto a quella contenuta nella legge di contabilità di Stato[69]. Nei primi anni ’90, complici sia i numerosi casi giudiziari di rilevanza nazionale connessi al pagamento di tangenti e alla corruzione negli appalti sia la riorganizzazione dell’organo giudicante della magistratura contabile in sezioni regionali, si è assistito a un incremento esponenziale di giudizi di responsabilità amministrativa. È anche vero che, in tale periodo storico, la magistratura contabile è riuscita a portare alla massima estensione il perimetro della responsabilità amministrativa, includendovi nuove voci di danno, come, appunto, il danno all’immagine della pubblica amministrazione. A distanza di pochi anni, con l’intento primario di evitare la c.d. paura della firma e le sue conseguenze paralizzanti sull’azione amministrativa, il legislatore ha iniziato un percorso di senso opposto rispetto a quello perseguito dalle procure erariali, introducendo nell’ordinamento contabile alcune disposizioni dirette a limitare l’ambito di estensione della responsabilità amministrativa.

Le prime disposizioni aventi la finalità di limitare l’ambito di estensione della responsabilità amministrativa sono state introdotte dall’art. 3, comma 1, del d.l. 23 ottobre 1996 n. 543, convertito dalla legge 20 dicembre 1996 n. 639, che ha modificato la legge 14 gennaio 1994, n. 20. Il d.l. n. 543/1996 è intervenuto sulla disciplina sostanziale[70] e processuale[71] della responsabilità amministrativa, modificandone profondamente l’aspetto. I due interventi di maggior rilievo sono stati l’individuazione nella colpa grave del requisito minimo ai fini dell’imputazione della responsabilità amministrativa e il traghettamento dell’obbligazione risarcitoria che sorge dall’illecito erariale colposo verso il regime di parziarietà. Trattasi di due interventi colmi di implicazioni e ritenuti inappropriati dalla Corte dei conti, che, con riferimento agli stessi, ha promosso due distinte questioni di legittimità costituzionale. Sebbene, ai fini della presente indagine, sia del tutto superfluo elencare le numerose censure sollevate dai giudici erariali nelle ordinanze di rimessione, alcune di queste meritano particolare attenzione perché rappresentano una sorta di leitmotiv nell’opposizione della Corte dei conti allo svilimento della responsabilità amministrativa imposto dal legislatore.

La prima questione di legittimità costituzionale è stata promossa dalla prima sezione centrale d’appello[72] e dalla sezione giurisdizionale della regione Liguria[73] e riguarda l’asserito contrasto tra l’art. 3, comma 1, lettera a), del d.l. n. 543/1996 e gli artt. 3, 11, 24, 81, 97 e 103, secondo comma, della Costituzione, nella parte in cui limita la responsabilità dei soggetti sottoposti alla giurisdizione della Corte dei conti ai fatti e alle omissioni commessi con dolo o colpa grave. Tra le numerose censure di legittimità costituzionale[74], la Corte dei conti ha posto il tema della sopravvenuta inadeguatezza del sistema del c.d. doppio binario, che consente all’ente pubblico di scegliere se esercitare l’azione risarcitoria all’interno del giudizio penale, mediante la costituzione di parte civile, o di attendere l’esito del giudizio di responsabilità amministrativa. Tale sistema prevede che le limitazioni all’esercizio dell’azione in sede erariale, contenute nella novella del 1996, non trovano applicazione nel giudizio penale, nel corso del quale la pubblica amministrazione danneggiata può continuare a esercitare l’azione risarcitoria per il danno erariale anche per quegli illeciti connotati da colpa non grave. In questo modo, ha sostenuto la Corte dei conti, si assoggetterebbero situazioni analoghe a regimi giuridici diversi, in violazione del principio di eguaglianza, contenuto nell’art. 3 Cost. Inoltre, sempre nelle ordinanze di rimessione, la Corte dei conti ha evidenziato che, lungi dal permettere il raggiungimento dell’obiettivo perseguito dal legislatore, l’introduzione di limitazioni all’esercizio dell’azione di responsabilità amministrativa potrebbe indurre, piuttosto, ad atteggiamenti più inclini alla permissività e all’incuria nell’esercizio delle pubbliche funzioni, in violazione di quei principi costituzionali, ospitati negli artt. 97 e 103, comma 2, volti a realizzare l’efficienza e la regolarità della gestione finanziaria e patrimoniale degli enti pubblici.

La seconda questione di legittimità costituzionale è stata promossa dalla sezione giurisdizionale della Corte dei conti per la regione Lombardia[75] e riguarda l’asserito contrasto tra l’art. 1, comma 1-quinquies, della legge n. 20/1994, introdotto dall’art. 3, comma 1, lettera b), del d.l. n. 543/1996, e gli artt. 3, 24, 28 e 97 della Costituzione, nella parte in cui prevede che sono responsabili solidalmente i soli concorrenti che abbiano conseguito un illecito arricchimento o abbiano agito con dolo. Anche questa ordinanza si risolve in un’aspra critica al sistema del c.d. doppio binario, il cui riconoscimento realizzerebbe una ingiustificata duplice disparità di trattamento, e precisamente: la prima, intercorrente tra il diritto di azione del procuratore regionale della Corte dei conti e il regime di responsabilità civile di diritto privato, ispirato al principio generale della solidarietà passiva; la seconda, operante tra il terzo, che può ottenere l’integrale ristoro del danno nei confronti dell’ente pubblico, e quest’ultimo, che potrebbe incontrare limiti a ottenere l’integrale ristoro del danno per via dell’esclusione del rapporto di solidarietà.

La Corte costituzionale non ha condiviso le censure di costituzionalità sollevate dalla Corte dei conti e le ha dichiarate infondate, utilizzando un’argomentazione anch’essa destinata a divenire pietra miliare delle successive sentenze della stessa Consulta in materia. In particolare, nella sentenza n. 371/1998[76], il giudice delle leggi, pronunciandosi sulla questione di legittimità costituzionale relativa alla norma modificativa dell’art. 1, comma 1, della legge n. 20/1994, ha stabilito che rientra nella discrezionalità del legislatore stabilire «non solo quali comportamenti possano costituire titolo di responsabilità, ma anche quale grado di colpa sia richiesto ed a quali soggetti la responsabilità sia ascrivibile, senza limiti o condizionamenti che non siano quelli della non irragionevolezza e non arbitrarietà». La Corte costituzionale ha seguito la stessa strada argomentativa nella sentenza n. 453/1998[77], pronunciandosi sulla questione di legittimità costituzionale relativa all’art. 1, comma 1-quinquies, della legge n. 20/1994. Come ha rilevato la migliore dottrina[78], a partire dalla sentenza n. 371/1998, «si assiste ad una specie di dialogo a distanza, nel quale il legislatore restringe e il giudice contabile allarga il perimetro della responsabilità amministrativa» e ogniqualvolta il legislatore introduce limitazioni nella disciplina sostanziale della responsabilità amministrativa, la Corte dei conti si rivolge alla Corte costituzionale, sollevando questioni di costituzionalità che la Consulta, con assoluta continuità, respinge. Se l’introduzione delle prime restrizioni al perimetro della responsabilità amministrativa, mediante il d.l. n. 543/1996, ha dato vita a una prima stagione di dialogo tra i suddetti interlocutori, sono le condizioni di proponibilità contenute nell’art. 17, comma 30-ter, secondo periodo, del d.l. n. 78/2009 ad aver aperto la seconda stagione del dialogo.

4.3 La seconda stagione del dialogo: il d.l. n. 78/2009

La seconda stagione del dialogo si è aperta quando la prima sezione centrale della Corte dei conti[79], unitamente alle sezioni giurisdizionali regionali per le regioni Umbria[80], Calabria[81], Campania[82], Sicilia[83], Lombardia[84] e Toscana[85], ha sollevato la questione di legittimità costituzionale con riferimento all’art. 17, comma 30-ter, secondo periodo, del d.l. n. 78/2009 per violazione degli artt. 3, 24, 25, 54, 77, 81, 97, 103, comma 2, e 111 della Costituzione. Anche in questa occasione, ai fini della presente indagine, è del tutto superfluo elencare le numerose censure sollevate dai giudici erariali nelle ordinanze di rimessione[86], essendo sufficiente rimarcare come, tra le stesse, vi siano, ancora una volta, problematiche inerenti sia alla inadeguatezza del sistema del c.d. doppio binario sia al rischio di indurre atteggiamenti più inclini alla permissività e all’incuria nell’esercizio delle pubbliche funzioni. In primo luogo, la Corte dei conti ha ritenuto che, con l’emanazione della norma impugnata, il legislatore abbia esercitato la sua discrezionalità in una forma irragionevole, provocando un’illogica disparità di trattamento tra dipendenti dell’ente pubblico che, avendo commesso uno dei delitti contro la pubblica amministrazione, sono sottoposti alla giurisdizione contabile, e dipendenti che, pur avendo commesso un altro delitto con abuso delle funzioni ricoperte e nell’esercizio delle stesse, sono sottoposti, per il risarcimento del danno all’immagine, alla giurisdizione ordinaria, con un differente regime processuale e prescrizionale. In secondo luogo, la Corte dei conti ha reputato che la norma impugnata riduca la tutela dell’immagine della pubblica amministrazione, indebolendo il diritto sostanziale della stessa ad agire, attraverso i propri funzionari, in modo corretto, imparziale, efficace ed efficiente. Il caso in esame si caratterizza per la presenza di una terza censura, che merita anch’essa attenzione. Trattasi della seconda irragionevole e illogica disparità di trattamento scaturente dalla norma impugnata: quella tra la tutela all’immagine assicurata alle persone giuridiche private, per le quali non varrebbe alcun limite, e quella garantita alle persone giuridiche pubbliche, per le quali varrebbero i limiti contenuti nella norma impugnata.

Con la sentenza n. 355/2010[87], la Corte costituzionale ha dichiarato in parte inammissibili e in parte infondate le questioni di legittimità costituzionale sollevate dai giudici erariali. In tale arresto, la Corte costituzionale ha ribadito nuovamente che rientra nella discrezionalità del legislatore, con il solo limite della non manifesta irragionevolezza e arbitrarietà della scelta, conformare l’istituto della responsabilità amministrativa alle esigenze cui ritiene debba fare fronte. Secondo il pensiero della Consulta, così come vi rientra la scelta di limitare l’azione di responsabilità amministrativa alle sole ipotesi di dolo e colpa grave, ritenuta costituzionalmente legittima nella sentenza n. 371/1998, vi rientra anche la scelta di non estendere l’azione risarcitoria in presenza di condotte non costituenti reato, ovvero costituenti un reato diverso da quelli espressamente previsti nel Capo I del Titolo secondo del Libro secondo del Codice penale. Quanto al criterio della ragionevolezza, la Corte costituzionale ha riconosciuto che l’intento del legislatore del 2009 fosse quello di ragionevolmente limitare in senso oggettivo l’ampliamento dei casi di responsabilità dei pubblici agenti, evitando che si determinasse «un rallentamento nell’efficacia e tempestività dell’azione amministrativa dei pubblici poteri, per effetto dello stato diffuso di preoccupazione che potrebbe ingenerare in coloro ai quali, in definitiva, è demandato l’esercizio dell’attività amministrativa». In questo modo, la Consulta ha collocato il c.d. lodo Bernardo, che contiene anche alcune modifiche alla legge n. 20/1994[88], all’interno di quell’insieme di norme, che, nell’intenzione del legislatore, sono finalizzate a evitare la c.d. paura della firma.

Dinanzi all’autorità del giudicato costituzionale, la magistratura contabile ha reagito elaborando orientamenti eterogenei[89]. A un orientamento[90], allineato alla decisione della Consulta, che declinava la propria giurisdizione in presenza di sentenze irrevocabili relative a delitti “comuni”, si sono affiancati numerosi altri orientamenti che, per le più diverse ragioni, hanno ritenuto esercitabile l’azione di responsabilità amministrativa per danno all’immagine della pubblica amministrazione anche per i delitti “comuni”. Tra questi ultimi, non è mancato un orientamento[91] che ha considerato la sentenza n. 355/2010 della Corte costituzionale una decisione interpretativa di rigetto e, di conseguenza, ha ritenuto il principio di diritto in essa stabilito vincolante solo per il giudice a quo.

D’altro canto, in quegli anni, lo stesso legislatore ha assunto un atteggiamento ambiguo nei riguardi del novero dei reati forieri di danno all’immagine della pubblica amministrazione. L’art. 1, comma 1-sexies della legge n. 20/1994[92], così come introdotto dalla legge 6 novembre 2012, n. 190 in tema di misure anticorruzione, si è pronunciato nuovamente, seppure incidentalmente, sulle condizioni di proponibilità dell’azione di responsabilità amministrativa per tale danno. Trattasi di una disposizione che, nell’indicare un criterio quantificativo del danno all’immagine della pubblica amministrazione, dichiara ammissibile la relativa azione risarcitoria in presenza di due condizioni, cumulative e non alternative: si deve trattare di un reato contro la pubblica amministrazione; tale reato deve essere accertato con sentenza del giudice ordinario penale passata in giudicato. Questa disposizione ha prodotto due risultati opposti con riferimento alle due condizioni di proponibilità dell’azione risarcitoria erariale per danno all’immagine. Da un lato, ha confermato, rafforzandone la forza precettiva, la condizione inerente al giudicato penale irrevocabile. Dall’altro, la scelta del legislatore di riferire la seconda condizione ai «reati contro la pubblica amministrazione» piuttosto che utilizzare l’inciso, contenuto nell’art. 7 della legge n. 97/2001, «delitti contro la pubblica amministrazione previsti nel Capo I del Titolo secondo del Libro secondo del Codice penale» ne ha indebolito la precettività, alimentando il clima di incertezza e i malumori di alcuni giudici erariali sfavorevoli a un’interpretazione restrittiva del c.d. lodo Bernardo.

Nel 2015, le sezioni riunite della Corte dei conti[93], sperando di porre fine a tale clima di incertezza, hanno stabilito che la normativa in materia di danno all’immagine dovesse essere interpretata alla luce del suo tenore letterale e, pertanto, hanno negato la possibilità di contestare tale voce di danno in assenza di una sentenza irrevocabile di condanna per i reati previsti nel Capo I del Titolo secondo del Libro secondo del Codice penale.

4.4 La terza stagione del dialogo: il d.l. n. 174/2016. La nozione di rinvio.

La “quiete” è durata poco più di un anno, poiché con l’entrata in vigore del d.lgs. 26 agosto 2016, n. 174, il tema della proponibilità dell’azione di responsabilità per danno all’immagine della pubblica amministrazione in presenza di delitti “comuni” è ritornato prepotentemente al centro del dibattito. L’art. 4, comma 1, lett. g), dell’allegato 3 al d.lgs. n. 174/2016 ha decretato l’abrogazione dell’articolo 7 della legge 27 marzo 2001, n. 97, lasciando inalterato il secondo periodo dell’art. 17, comma 30-ter, del d.l. n. 78/2009. L’ambiguità serbata dal legislatore, che ha abrogato una disposizione oggetto di rinvio lasciando inalterata la disposizione rinviante, in uno con la severità dallo stesso mostrata nel prevedere, all’art. 51, comma 6, c.g.c. [94], la rilevabilità d’ufficio della nullità per violazione delle norme sui presupposti di proponibilità dell’azione per danno all’immagine, ha provocato la nascita, in seno alla giurisprudenza, di due distinti orientamenti[95] in merito alla natura del rinvio operato dall’art. 17, comma 30-ter, secondo periodo, del d.l. n. 78/2009. Sulla nozione giuridica di rinvio normativo è opportuno spendere alcune parole.

Una norma di rinvio «è un enunciato meta-linguistico che include nella sua formulazione la menzione (…) di un’altra fonte, di un’altra disposizione o di un altro sistema normativo»[96]. La dottrina[97] insegna che esistono due tipologie di rinvio (o riferimento) normativo nell’ordinamento giuridico italiano: il rinvio “fisso” (anche detto statico, sostanziale o chiuso) e il rinvio “mobile” (anche detto dinamico, formale o aperto). Il rinvio “fisso” ha come oggetto una disposizione e comporta una ideale incorporazione della disposizione oggetto del rinvio, così come si trova scritta al momento del rinvio stesso, nella disposizione rinviante, la quale, di tal guisa, si riempie dei contenuti della prima. Se ne evince che le vicende che interessano la disposizione oggetto di rinvio non si riflettono sul rinvio stesso. Il rinvio “mobile”, invece, ha come oggetto una fonte normativa o un sistema normativo e, dunque, comporta che tutte le successive modificazioni a cui è sottoposto l’atto richiamato si riflettano sul rinvio stesso. La Corte costituzionale e la Corte di cassazione ritengono che, nell’ordinamento giuridico italiano, esista una «presunzione favorevole al rinvio mobile[98]», secondo la quale affinché vi sia rinvio “fisso” occorre che «il richiamo sia indirizzato a norme determinate ed esattamente individuate dalla stessa norma che lo effettua[99]» e «la volontà del legislatore di recepire mediante rinvio sia espressa oppure sia desumibile da elementi univoci e concludenti[100]». In altri termini, come afferma la giurisprudenza amministrativa, la natura del rinvio va rilevata «alla luce della lettera e della ratio» della norma che opera il rinvio[101]: della lettera, perché, a esempio, è sufficiente che il legislatore aggiunga l’inciso “e successive modificazioni intervenute” a fianco di un richiamo indirizzato a norme determinate ed esattamente individuate per trasformare un rinvio “fisso” in un rinvio “mobile”[102]; della ratio, perché anche un rinvio a norme determinate ed esattamente individuate può essere qualificato come “mobile”, qualora gli obiettivi realizzati dal legislatore non siano compatibili con gli effetti che produrrebbe un rinvio “fisso”.

Alcune sezioni del giudice erariale hanno qualificato il rinvio contenuto nel c.d. lodo Bernardo come rinvio “fisso”[103]. Tale qualificazione consente la ultrattività dell’art. 7 della legge n. 97/2001, mediante l’inglobamento nell’art. 17, comma 30-ter, secondo periodo, del d.l. n. 78/2009, e, di conseguenza, permette alle Procure erariali di esercitare l’azione risarcitoria per il danno all’immagine della pubblica amministrazione unicamente nei casi in cui sussista una sentenza irrevocabile di condanna per i delitti di cui al Libro secondo, Titolo secondo, Capo I, del Codice penale. Un secondo orientamento, di segno opposto, ha qualificato il rinvio contenuto nel c.d. lodo Bernardo come rinvio “mobile”[104]. Tale qualificazione preclude l’ultrattività dell’art. 7 della legge n. 97/2001 e comporta l’applicazione dell’art. 4, comma 2, dell’allegato 3 al d.lgs. n. 174/2016, secondo cui il riferimento agli istituti previsti da norme abrogate dallo stesso allegato al d.lgs. n. 174/2016 va operato ai corrispondenti istituti disciplinati nel Codice di giustizia contabile. Pertanto, il rinvio operato dall’art. 17, comma 30-ter, secondo periodo, del d.l. n. 78/2009 deve ora ritenersi effettuato all’art. 51, comma 7, del codice di giustizia contabile, che dispone l’obbligo per la pubblica amministrazione di comunicare la sentenza irrevocabile di condanna per i delitti commessi a danno della stessa dai propri dipendenti al competente procuratore regionale della Corte dei conti affinché promuova l’eventuale procedimento di responsabilità per danno erariale nei confronti del condannato. Va da sé che, rivolgendosi questa ultima disposizione all’azione di responsabilità amministrativa per danno erariale sia patrimoniale sia non patrimoniale, il riferimento operato nella stessa ai delitti a danno della pubblica amministrazione, a differenza di quanto avvenuto nel precedente del 2012, non crea alcuna ambiguità. In base a questo secondo orientamento, solo una delle due condizioni di proponibilità previste nel c.d. lodo Bernardo rimane cogente: la presenza di un giudicato penale di condanna. Le Procure erariali possono, dunque, esercitare l’azione risarcitoria per danno all’immagine della pubblica amministrazione in presenza di qualsiasi reato, anche comune, commesso dall’agente pubblico ai danni della pubblica amministrazione.

In questo nuovo clima di incertezza, la Corte dei conti non ha tardato a rivolgersi alla Corte costituzionale. L’occasione è stata data dalla pronuncia, a opera della Corte di cassazione, della sentenza penale di condanna[105] per «falsità ideologica commessa dal pubblico ufficiale in atti pubblici», «abuso di autorità contro arrestati o detenuti» e «lesioni personali», commessi da alcuni appartenenti alle forze dell’ordine in occasione delle manifestazioni svoltesi a Genova nel luglio 2001, durante il vertice fra i Capi di Stato e di Governo denominato “G8”. Con due ordinanze di rimessione[106], la sezione giurisdizionale per la Liguria della Corte dei conti ha dedotto l’incostituzionalità dell’art. 17, comma 30-ter, secondo periodo, del d.l. n. 78/2009, per violazione degli artt. 3, 97 e 103 Cost. Anche in questa occasione, le censure lamentate dai giudici erariali hanno messo in luce il problematico rapporto tra la disciplina del danno all’immagine della pubblica amministrazione, che prevede la limitazione del giudicato penale di condanna, e il sistema del c.d. doppio binario, che consente alle pubbliche amministrazioni di chiedere la tutela risarcitoria al giudice ordinario, in assenza di tale limitazione. I giudici erariali hanno nuovamente lamentato anche il contrasto tra la norma impugnata e il principio di buon andamento dell’azione amministrativa, per via dell’irragionevole esclusione della responsabilità dei pubblici dipendenti nelle ipotesi di condotte che, pur non integrando alcuna delle fattispecie delittuose indicate, sono caratterizzate da obiettivo disvalore e arrecano pregiudizio al prestigio dell’amministrazione.

Con due ordinanze “gemelle” [107], la Corte costituzionale, dopo aver chiarito che il giudizio principale era stato introdotto prima dell’entrata in vigore del d.lgs. n. 174/2016 e che, pertanto, non poteva risentire delle modifiche introdotte da quest’ultimo alla disciplina del risarcimento del danno all’immagine della pubblica amministrazione, ha dichiarato infondate le censure della sezione ligure della Corte dei conti, richiamando, pressoché integralmente, il contenuto dispositivo della sentenza n. 355/2010.

Con una terza ordinanza di rimessione[108], la sezione giurisdizionale per la Liguria della Corte dei conti ha dedotto l’incostituzionalità dell’art. 51, commi 6 e 7, c.g.c., per violazione degli artt. 3, 76, 97 e 103 Cost., «nella parte in cui esclude l’esercizio dell’azione del PM contabile per il risarcimento del danno all’immagine conseguente a reati dolosi commessi da pubblici dipendenti a danno delle pubbliche amministrazioni, dichiarati prescritti con sentenza passata in giudicato pienamente accertativa della responsabilità dei fatti ai fini della condanna dell’imputato al risarcimento dei danni patiti dalle parti civili costituite». In sostanza, i giudici erariali remittenti hanno lamentato che la norma impugnata non consente alla Procura contabile di proporre l’azione risarcitoria per danno all’immagine della pubblica amministrazione finanche quando la sentenza che dichiara la prescrizione del reato abbia pienamente accertato la responsabilità dei fatti di reato ascritti all’agente pubblico nonché la presenza di un grave pregiudizio di immagine inferto alla reputazione pubblica dell’amministrazione di riferimento. Anche in questa occasione, è opportuno soffermarsi solo su quelle censure utili ai fini della presente indagine[109]. La Corte dei conti ha sollevato una censura circa l’irragionevole disparità di trattamento tra l’amministrazione e i privati cittadini, i quali – in relazione ai medesimi fatti storici – possono ottenere il risarcimento di tutti i danni patiti anche a fronte di una declaratoria di prescrizione del reato. Questa censura lambisce il tema dell’adeguatezza del sistema del c.d. doppio binario, giacché ci sarebbe da chiedersi se la stessa amministrazione, in sede civile, possa ottenere il risarcimento del danno all’immagine a fronte di una declaratoria di prescrizione del reato. Inoltre, la Corte dei conti ha paventato la possibilità che la norma impugnata possa avere effetti negativi sull’efficacia e il buon andamento della pubblica amministrazione, ritenendo che la restrizione del perimetro della responsabilità dei pubblici dipendenti trascenda i confini del pur legittimo scopo di non appesantire le conseguenze della loro attività, finendo per lasciare senza conseguenze la loro scelta di approfittare delle funzioni svolte per delinquere.

La Corte costituzionale si è pronunciata sulla vicenda con l’ordinanza n. 191/2019[110], in cui ha giudicato inadeguata la rappresentazione del quadro normativo entro il quale la disposizione impugnata è ricompresa e, per tale motivo, ha dichiarato inammissibili le questioni proposte dalla sezione giurisdizionale ligure della Corte dei conti. Nell’interpretazione della Consulta, il giudice erariale remittente avrebbe dovuto considerare la possibilità che il dato normativo di riferimento legittimasse un’interpretazione secondo cui il rinvio che l’art. 17, comma 30-ter, del d.l. n. 78/2009 opera nei riguardi dell’abrogato art. 7 della legge n. 97/2001 mantenesse intatti i propri effetti. Inoltre, tale giudice avrebbe dovuto interrogarsi sulla natura “fissa” o “mobile” del rinvio, onde stabilire se lo stesso sia tuttora operante o se la norma di riferimento sia oggi interamente costituita dal censurato art. 51, comma 7, c.g.c. In un passo della pronuncia, il giudice delle leggi ha statuito che «anche a voler ritenere che l’entrata in vigore del cod. giust. contabile abbia esteso il novero dei reati che legittimano l’esercizio dell’azione risarcitoria, occorre stabilire quali fattispecie delittuose consentono al PM contabile l’esercizio dell’azione per il risarcimento del danno all’immagine», giacché la previsione per cui solo la commissione di un delitto «a danno» della pubblica amministrazione rende ammissibile una domanda risarcitoria per danno all’immagine ha, anch’essa, la finalità di delimitare l’ambito della relativa responsabilità.

La mancata presa di posizione del giudice costituzionale sulla censura sollevata dalla sezione giurisdizionale ligure e sul connesso tema della natura del riferimento normativo contenuto all’art. 17, comma 30-ter, del d.l. n. 78/2009 ha contribuito all’inasprimento dello scisma in corso tra sezioni giurisdizionali regionali della Corte dei conti[111]. Anche in dottrina si sono registrati orientamenti di senso opposto sul punto[112]. Con riferimento alla condizione di proponibilità processuale dall’azione risarcitoria per danno all’immagine della pubblica amministrazione, alcuni giudici erariali[113] hanno comunque ritenuto, nell’ottica di una nozione sostanziale di “condanna”, che l’accertamento di responsabilità necessario per la contestazione di tale danno possa essere contenuto in una sentenza di prescrizione «che abbia comunque adeguatamente motivato in ordine alla responsabilità penale». In relazione alla condizione di proponibilità sostanziale dall’azione risarcitoria per danno all’immagine della pubblica amministrazione, altri giudici erariali[114] sono giunti ad affermare che il danno all’immagine sia contestabile anche a fronte di reato complesso, non rientrante nel “catalogo” dei delitti dei pubblici ufficiali contro la pubblica amministrazione, di cui però il delitto del pubblico ufficiale contro la pubblica amministrazione sia elemento costitutivo o circostanza aggravante. Ebbene, in questo contesto si colloca la sentenza in commento, sul cui contenuto innovativo in tema di danno all’immagine della pubblica amministrazione occorre ora soffermarsi.

5. La portata innovativa della pronuncia nel contesto della giurisdizione contabile. Analisi critica

5.1 Sulla natura del rinvio contenuto nell’art. 17, comma 30-ter, del d.l. n. 78/2009 e sulla nozione di «delitti commessi a danno dell’amministrazione»

La sezione giurisdizionale per la Lombardia della Corte dei conti affronta il tema del danno all’immagine nel punto 6 della sentenza n. 21/2022. L’incipit è molto forte: «pare evidente anche al profano (…) che anche un solo episodio di peculato d’uso e di concussione sessuale uniti ad atti di violenza sessuale di gruppo ai danni di una prostituta da parte di un appartenente alla blasonata Guardia di Finanza nell’esercizio di compiti istituzionali, vestendo la divisa ed utilizzando auto di servizio, leda e mortifichi, nel sentire sociale, l’immagine della antica e stimata Forza di Polizia ad ordinamento militare». Dunque, il Collegio ritiene che sia provato, in tutti i suoi elementi essenziali, il danno all’immagine della pubblica amministrazione, provocato dal peculato d’uso dell’auto di servizio e dalla concussione sessuale, poiché entrambi i delitti sono disciplinati all’interno del Libro secondo, Titolo secondo, Capo I del Codice penale. La sentenza prosegue, ricordando come, con riferimento ai due suindicati delitti, così come con riferimento alla violenza sessuale di gruppo, risulti provato anche il clamor mediatico-giornalistico, avendo a ciò contribuito il fatto che i protagonisti della vicenda sono dei «dipendenti particolarmente esponenziali della legalità», mentre le vittime sono delle «donne in evidente posizione di sudditanza psicologica e di disagio sociale». Dunque, anche la presenza del clamor fori, elemento essenziale per alcuni autori e aggravante o strumento di liquidazione del danno per altri, sembrerebbe essere provata, confermando che i due delitti di peculato e di concussione hanno provocato una lesione all’immagine della pubblica amministrazione. A facilitare questo esito, ha contribuito il comportamento processuale dei convenuti, che non hanno eccepito nulla in merito all’esistenza del danno all’immagine per i due delitti di peculato e di concussione, limitandosi a chiedere una riduzione degli importi liquidati a titolo risarcitorio. Costoro, infatti, hanno concentrato la loro difesa sulla terza voce di danno all’immagine loro contestata dalla Procura erariale: quella collegata ai delitti di violenza sessuale di gruppo. Hanno sostenuto, infatti, che tale voce di danno non sarebbe loro ascrivibile perché il delitto di violenza sessuale non è qualificabile come delitto dei pubblici ufficiali contro la pubblica amministrazione e, in base al richiamo all’art. 7 della legge n. 97/2001, contenuto nell’art. 17, comma 30-ter, del d.l. n. 78/2009, l’azione erariale risarcitoria potrebbe essere intrapresa solo verso quei danni all’immagine che derivino da un delitto appartenente a tale categoria. Tale assunto, nell’opinione dei convenuti, beneficerebbe dell’avallo della Corte costituzionale, che l’avrebbe fatto proprio nell’ordinanza n. 191/2019. Specularmente, la decisione del Collegio sulla contestabilità in sede erariale del danno all’immagine della pubblica amministrazione derivante da delitti “comuni” costituisce il punto di massimo interesse della vicenda giudiziaria. Il Collegio, pur riconoscendo l’esistenza di un filone giurisprudenziale che depone in senso opposto, afferma che sono oggi azionabili pretese per danno all’immagine, conseguente a giudicati penali, anche per reati diversi da quelli contro la pubblica amministrazione; che ciò è possibile alla luce del sopravvenuto art. 4, comma 1, lett. h) dell’allegato 3 del d.lgs. n. 174/2016 e che l’ordinanza n. 191/2019 non depone a favore, bensì smentisce gli approdi ermeneutici ai quali sono giunti i convenuti. A sostegno della propria tesi, il Collegio richiama un’ordinanza della Corte costituzionale, la n. 145/2017[115], ammettendo che in essa il tema in questione è solo lambito.

Come correttamente rileva il giudice contabile e a differenza di quanto sostenuto dai convenuti, l’ordinanza n. 191/2019 non si occupa della condizione di proponibilità sostanziale dell’azione risarcitoria erariale per danno all’immagine della pubblica amministrazione, bensì, lo si è visto nel precedente paragrafo, di quella processuale, pronunciandosi sulla possibilità di individuare l’accertamento di responsabilità necessario per la contestazione di tale danno in una sentenza di prescrizione che abbia comunque adeguatamente motivato in ordine alla responsabilità penale. L’ordinanza n. 191/2019 non si occupa del tema della natura da attribuire al rinvio contenuto nell’art. 17, comma 30-ter, del d.l. n. 78/2009 neanche in via incidentale; si limita a riconoscere l’esistenza di due orientamenti giurisprudenziali in merito alla natura di tale rinvio, ma senza prendere posizione. L’unica statuizione sul tema, dal valore innovativo, è quella secondo cui – anche a voler ritenere che l’entrata in vigore del d.lgs. n. 174/2016 abbia esteso il novero dei reati che legittimano l’esercizio dell’azione di responsabilità amministrativa per danno all’immagine della pubblica amministrazione a tutti i delitti «a danno» della stessa – l’interprete non è esonerato dallo stabilire di quali delitti si tratti, rivelando anche l’art. 51, comma 7, c.g.c.  l’intento del legislatore di delimitare l’ambito della predetta responsabilità. L’ordinanza n. 145/2017, dal canto suo, si limita ad affermare che le sopravvenute modifiche normative che hanno inciso sull’art. 17, comma 30-ter, del d.l. n. 78/2009 hanno determinato una profonda trasformazione del quadro normativo di riferimento.

Analizzando la scelta del giudice erariale di qualificare come dinamico il rinvio che l’art. 17, comma 30-ter, del d.l. n. 78/2009 effettua all’abrogato art. 7 della legge n. 97/2001, occorre riconoscere che si tratta di una scelta pienamente condivisibile, perché in linea, oltre che con le ragioni di conformità al dettato costituzionale indicate nella sentenza, anche con quei principi che, nell’ordinamento italiano, regolano gli effetti del rinvio normativo. Come già detto, la natura “fissa” o “mobile” di un rinvio normativo deve essere dedotta alla luce del tenore testuale della disposizione che lo contiene e della ratio a essa sottesa. Il rinvio contenuto nell’art. 17, comma 30-ter, del d.l. n. 78/2009, è indirizzato a norme determinate ed esattamente individuate, ossia all’art. 7 della legge n. 97/2001, risultando apparentemente qualificabile come “fisso”. Tuttavia, in conformità con quanto suggerito dalla Corte di cassazione[116], vi sono almeno due elementi dai quali è possibile ricavare che il legislatore abbia inteso tale rinvio come “mobile” e non “fisso”.

In primis, il fatto che il richiamo sia diretto verso una disposizione normativa dal contenuto più ampio, che contiene essa stessa un rinvio “mobile” (ai delitti contenuti nel Libro secondo, Titolo secondo, Capo I del Codice penale) e che disciplina le ipotesi in cui la sentenza penale irrevocabile di condanna, pronunciata nei confronti dei dipendenti delle pubbliche amministrazioni, nonché degli organismi o degli enti da esse controllate, debba essere comunicata alla Procura contabile. L’impressione è quella che il legislatore, che ben avrebbe potuto inserire direttamente nell’art. 17, comma 30-ter, del d.l. n. 78/2009 il richiamo ai delitti contenuti nel Libro secondo, Titolo secondo, Capo I del Codice penale, abbia preferito rinviare all’art. 7 della legge n. 97/2001 per garantire una costante omologazione tra i reati per i quali si prevede la trasmissione della sentenza di condanna al competente procuratore regionale presso la Corte dei conti e quelli per i quali può attivarsi l’azione per danno all’immagine. In altri termini, finché era vigente l’art. 7 della legge n. 97/2001, le uniche sentenze a dover essere comunicate alla Procura contabile per l’eventuale esercizio dell’azione di responsabilità per danno erariale, sia patrimoniale sia non patrimoniale, erano quelle di condanna per delitti contenuti nel Libro secondo, Titolo secondo, Capo I del Codice penale; con l’entrata in vigore del d.lgs. n. 174/2016 e, quindi, dell’art. 51, comma 7, c.g.c., devono essere comunicate alla Procura contabile anche quelle sentenze irrevocabili di condanna, pronunciate nei confronti dei dipendenti delle pubbliche amministrazioni, nonché degli organismi e degli enti da esse controllati, per quei delitti non contenuti nel Libro secondo, Titolo secondo, Capo I del Codice penale, ma «commessi a danno delle stesse». D’altronde, non si capisce quale altra intenzione avrebbe potuto avere il legislatore nel disporre l’abrogazione dell’art. 7 della legge n. 97/2001, mediante l’art. 4, co. l, lett. g), dell’allegato 3 al d.lgs. 26 agosto 2016, n. 174, se non quella di sostituire tale disposizione con una dal contenuto quasi sovrapponibile, ossia l’art. 51, comma 7, c.g.c., e prevedere, mediante l’art. 4, co. 2, del medesimo allegato, che tale disposizione diventasse l’oggetto del rinvio contenuto nell’art. 17, comma 30-ter, del d.l. n. 78/2009.

In secondo luogo, il fatto che il legislatore del 2009 ben sapesse che il catalogo dei reati ricompresi nel Libro secondo, Titolo secondo, Capo I del Codice penale si sarebbe, nel tempo, ampliato, inglobando nuove fattispecie delittuose, come l’induzione indebita (art. 319-quater c.p.) o la corruzione per l’esercizio della funzione (art. 318 c.p.). Tuttavia, come già visto in precedenza, per effetto del rinvio “fisso” si verifica un’ideale incorporazione della disposizione oggetto del rinvio, così come si trova scritta al momento del rinvio stesso, nella disposizione rinviante. Pertanto, se il suddetto legislatore avesse inteso inserire nell’art. 17, comma 30-ter, del d.l. n. 78/2009 un rinvio “fisso”, oggi le Procure erariali non potrebbero esercitare l’azione di responsabilità per danno all’immagine neanche con riferimento a queste nuove fattispecie.

Rimane un ultimo fatto da chiarire. L’ordinanza n. 191/2019 della Corte costituzionale, lo si è visto in precedenza, non esclude la possibilità che il rinvio contenuto nell’art. 17, comma 30-ter, del d.l. n. 78/2009 possa essere qualificato come rinvio “mobile” e che, pertanto, le Procure erariali possano esercitare l’azione di responsabilità per danno all’immagine della pubblica amministrazione anche in presenza del giudicato penale di condanna per delitti commessi a danno della stessa, seppure non contenuti nel Libro secondo, Titolo secondo, Capo I del Codice penale. Tuttavia, la stessa ordinanza ha chiaramente statuito che il disposto dell’art. 51, comma 7, c.g.c. ha, anch’esso, la finalità di delimitare l’ambito della responsabilità amministrativa per danno all’immagine della pubblica amministrazione. In definitiva, il giudice costituzionale ha, seppure in via indiretta, invitato il legislatore a chiarire cosa sia un delitto «a danno» della pubblica amministrazione. Alcuni autori hanno elaborato soluzioni interpretative dal carattere restrittivo, ritenendo tali solo quei delitti «che comportano in primo luogo un danno patrimoniale per l’amministrazione»[117]. Questa prima chiave di lettura non consente alle Procure contabili di perseguire il danno all’immagine derivante dai delitti di violenza, come quelli che sono oggetto della sentenza in commento. Altri autori, invece, hanno fatto propria un’interpretazione dal carattere estensivo, ritenendo che siano «a danno» della pubblica amministrazione tutti quei delitti «aventi ricadute in suo danno»[118]. Questa seconda soluzione interpretativa, adottata dalla sentenza in commento, consente, invece, alle Procure contabili di perseguire il danno all’immagine derivante dai delitti di violenza. Sul punto, nonostante la migliore dottrina abbia elaborato tesi dal carattere suggestivo, è auspicabile un intervento del legislatore, che chiarisca, una volta per tutte, cosa sia un delitto «a danno» della pubblica amministrazione.

5.2 Sull’inadeguatezza del sistema del c.d. doppio binario

Nella sentenza in commento, il Collegio ritiene «costituzionalmente orientata in punto di ragionevolezza» la «riespansione della giurisdizione contabile a perseguire qualsiasi reato (anche comune, direttamente o indirettamente dannoso) foriero di lesione alla reputazione della p.a.», in quanto «ove si ritesse la giurisdizione contabile sul danno all’immagine patito dalla p.a. limitata alle sole ipotesi di condotte da reato contro la p.a., ciò porrebbe una irragionevole discrasia, costituzionalmente illegittima, con la piena perseguibilità risarcitoria del danno all’immagine patito dalla p.a. innanzi all’a.g.o., che può invece ben vagliare in sede civile, senza i limiti normativi dell’art. 17, co. 30-ter, del d.l. n. 78/2009, qualsiasi forma di lesione reputazionale subìta dalla p.a., giungendo a condanna degli autori». Il Collegio solleva il tema, già esaminato in precedenza, dell’inadeguatezza del sistema del c.d. doppio binario, evidenziando come sia del tutto irragionevole sottoporre a condizioni di proponibilità restrittive l’azione risarcitoria per danno all’immagine della pubblica amministrazione in sede erariale e consentire l’esercizio di tale azione in sede civile o penale, mediante la costituzione di parte civile, anche in quelle ipotesi in cui le succitate condizioni di proponibilità non sussistano. In questo modo, asserisce il Collegio con un’affermazione densa di significato, l’applicazione o meno dei limiti alla perseguibilità nel caso concreto del danno all’immagine della pubblica amministrazione deriverebbe dalla «cabalistica evenienza del giudice attivatosi» e ciò sarebbe macroscopicamente irragionevole. Il tema sollevato dal Collegio è molto rilevante e merita di essere studiato guardando verso quattro punti di riferimento: la Corte costituzionale, la Corte di cassazione, il legislatore e la dottrina.

Per la Corte costituzionale, il problema sollevato dal Collegio non ha motivo di esistere. Nella già esaminata sentenza n. 355/2010, la Consulta afferma a chiare lettere che le limitazioni all’azione di responsabilità amministrativa, inserite, negli anni, dal legislatore trovano applicazione all’interno sia della giurisdizione contabile sia della giurisdizione ordinaria[119]. Se, dunque, alcuni strumenti di cui dispone il giudice erariale, come il potere riduttivo o la c.d. compensatio contabile, non sono nella disponibilità del giudice ordinario, tale giudice, nel decidere sull’azione di responsabilità per danno patrimoniale o non patrimoniale dinanzi a lui esperita da una pubblica amministrazione contro un soggetto a essa legata da un rapporto di servizio non potrebbe non tener conto delle regole giuridiche sostanziali che disciplinano la responsabilità amministrativa. Pertanto, a esempio, non potrebbe condannare tale soggetto a risarcire il danno erariale prodotto da una condotta sorretta da colpa lieve, così come, fino all’entrata in vigore del d.lgs. n. 174/2016, non avrebbe potuto condannarlo a risarcire il danno all’immagine della pubblica amministrazione derivante dalla commissione di un delitto non contenuto nel Libro secondo, Titolo secondo, Capo I del Codice penale.

Purtroppo, la tesi elaborata dalla Corte costituzionale non è stata recepita dalla Corte di cassazione – nel cui grembo è nato il sistema del c.d. doppio binario – che ha sempre ritenuto[120], salvo alcuni rari arresti[121], che dalla piena indipendenza tra le giurisdizioni ordinaria e contabile derivi la piena risarcibilità del danno patrimoniale e non patrimoniale subito dalla pubblica amministrazione che esercita l’azione risarcitoria in sede civile o penale, mediante costituzione di parte civile. Dunque, nessuno dei limiti posti dal legislatore, negli anni, all’esercizio dell’azione di responsabilità amministrativa, a partire da quelli contenuti nel d.l. n. 543/1996 fino a quelli introdotti con il d.l. n. 76/2020[122], sarebbe applicabile all’azione risarcitoria per danno erariale esperita dinanzi alla giurisdizione ordinaria. Che questa sia ancora oggi la posizione prevalente nella giurisprudenza di legittimità è confermato anche dalla sentenza in commento, per espressa ammissione del Collegio, ed è anche per contrastare gli effetti negativi che questo modo di intendere l’indipendenza tra giurisdizioni può produrre, in particolare nel campo della responsabilità amministrativa da medical malpractice, che il legislatore, il quale mai aveva preso posizione sul sistema del c.d. doppio binario, è stato costretto a intervenire.

Il legislatore si è indirettamente pronunciato sul sistema del c.d. doppio binario nella legge 8 marzo 2017, n. 24 (c.d. Gelli-Bianco), che disciplina la materia della responsabilità professionale degli esercenti le professioni sanitarie[123]. In particolare, l’art. 9 della legge n. 24/2017 disciplina l’azione di rivalsa civilistica e di responsabilità amministrativa per medical malpractice e detta, nei limiti della reciproca compatibilità, regole comuni, sia sostanziali sia processuali, alle due tipologie di azione. L’omogeneizzazione tra il regime di responsabilità civile, patito dal medico citato in rivalsa da una struttura sanitaria privata, e il regime di responsabilità amministrativa, applicabile a quei sanitari che afferiscono al pubblico impiego, concerne l’elemento psicologico[124], la modalità di assunzione delle prove[125] nonché il criterio di liquidazione del danno[126]. Dunque, il legislatore del 2017 ha scelto di avvicinare i regimi sostanziali e processuali delle due azioni di responsabilità, proprio allo scopo di evitare che il sistema del c.d. doppio binario produca disparità di trattamento[127], non solo tra medici impiegati nel settore privato e medici impiegati nel settore pubblico, ma anche tra questi ultimi, che possono essere chiamati a risarcire il danno provocato all’amministrazione di riferimento sia in sede erariale sia in sede civile. Facendo un passo indietro, occorre rilevare come il legislatore si sia già indirettamente pronunciato sul sistema del c.d. doppio binario in un’altra occasione, anch’essa inquadrabile nel contesto normativo che disciplina la responsabilità amministrativa per danno erariale indiretto. Si tratta del combinato disposto degli artt. 18[128], 19[129], 21[130] e 22[131] del d.P.R. 10 gennaio 1957, n. 3 («Testo unico delle disposizioni concernenti lo statuto degli impiegati civili dello Stato»), che contiene la norma generale in base alla quale l’impiegato è tenuto a risarcire all’amministrazione i danni, derivanti da violazioni di obblighi di servizio, provocati a terzi e, per la responsabilità dei medesimi, «è sottoposto alla giurisdizione della Corte dei conti». In questa occasione, il linguaggio utilizzato dal legislatore non lascia dubbi in ordine al fatto che sia (solo) la Corte dei conti ad avere giurisdizione su questa categoria di controversie. Nonostante ciò, il sistema del doppio binario trova applicazione anche, e soprattutto, nella responsabilità per danno erariale indiretto. I due interventi normativi riportati presentano un orientamento opposto, giacché il più risalente sembra escludere la configurabilità di un secondo binario giurisdizionale dinanzi al giudice ordinario per la responsabilità amministrativa da danno erariale indiretto, mentre il più recente disciplina proprio questo secondo binario. Tuttavia, nessuno dei due interventi legittima la perdurante violazione del principio di uguaglianza perpetrata dall’attuale disciplina del c.d. doppio binario, anzi il secondo intervento sembra diretto a limitarne gli effetti. La limitazione degli effetti del secondo binario giurisdizionale, ossia quello esperibile dinanzi all’autorità giudiziaria ordinaria, sembra essere una delle principali preoccupazioni della dottrina, che sul punto ha elaborato alcune interessanti tesi.

Numerosi sono gli autori[132] che ritengono che il carattere concorrente delle giurisdizioni in materia di responsabilità per danno erariale sia del tutto irragionevole, per via dei differenti regimi sostanziali a cui, di volta in volta, il danneggiante può essere sottoposto. In conformità con quanto sostenuto dal Collegio nella sentenza in commento, tali autori invocano l’intervento del legislatore, affinché disponga il superamento del sistema del c.d. doppio binario e sancisca definitivamente e a chiare lettere, in base a una interpretazione costituzionalmente orientata dell’art. 103, comma 2, Cost., la natura esclusiva della giurisdizione della Corte dei conti sui danni arrecati alla pubblica amministrazione da pubblici dipendenti. Tale superamento non precluderebbe alla pubblica amministrazione di agire in giudizio, sostanziandosi in una lesione dell’art. 24 Cost. A dire degli stessi autori, essa verrebbe “sostituita” dal pubblico ministero contabile, il quale eserciterebbe un’azione diretta al medesimo fine recuperatorio dinanzi alla Corte dei conti. Tuttavia, la dottrina deve fare i conti con un legislatore e una giurisprudenza di legittimità che ritengono, ormai, il sistema del c.d. doppio binario parte dell’ordinamento giuridico. Pertanto, alla richiesta di imporre a entrambi i giudici, ordinario ed erariale, lo stesso regime sostanziale, segnatamente quello previsto dalla legge n. 20/1994, si affiancano alcune soluzioni alternative. Una di queste[133] ipotizza l’unità della giurisdizione sul danno erariale dinanzi al giudice contabile mediante una rilettura dell’antico istituto delle c.d. azioni ad istanza di parte, che il Codice di giustizia contabile disciplina negli artt. 172 e seguenti e che consentirebbe alle pubbliche amministrazioni di esercitare l’azione risarcitoria diretta dinanzi alla Corte dei conti. Alla luce di quanto detto, la dottrina giuscontabile maggioritaria ha adottato un approccio al tema dell’inadeguatezza del sistema del c.d. doppio binario che è del tutto in linea con la posizione espressa dalla Corte costituzionale, dalla Corte dei conti e, nella legge n. 24/2017, dal legislatore. Trattasi di un approccio del tutto condivisibile.

Il sistema del c.d. doppio binario, sin dall’entrata in vigore del d.l. n. 543/1996, lede in modo manifesto il principio di uguaglianza, contenuto nell’art. 3 della Costituzione. Tale lesione, si sostanzia nella sottoposizione dei medesimi soggetti, colpevoli dei medesimi fatti illeciti, a due distinti giudizi, ai quali si applicano due distinte discipline, sia sostanziali sia processuali, a seconda che la pubblica amministrazione lesa decida di esercitare l’azione di responsabilità in sede civile o preferisca farla esercitare, in sede erariale, dalla Procura regionale presso la Corte dei conti. Un secondo principio leso dal sistema del c.d. doppio binario è quello della certezza del diritto, esistendo il rischio che i due giudici assumano decisioni di senso opposto, dando luogo a un contrasto tra giudicati. Inoltre, la possibilità di ottenere, in sede civile, la restituzione degli importi non recuperati in sede erariale pone nell’irrilevanza tutti quegli strumenti peculiari di cui il giudice contabile dispone per la liquidazione del danno, in primis il potere riduttivo. Dulcis in fundo, la scelta del legislatore di mantenere il sistema del c.d. doppio binario contrasta con la volontà di apporre sempre più limiti all’esercizio dell’azione di responsabilità amministrativa, in quanto tali limiti, incluse le due condizioni di proponibilità contenute nell’art. 17, comma 30-ter, del d.l. n. 78/2009, non trovano applicazione davanti all’autorità giudiziaria ordinaria. Di conseguenza, qualora le pubbliche amministrazioni scegliessero, come sta avvenendo sempre più spesso in materia di responsabilità da medical malpractice, di rivolgersi al giudice ordinario, piuttosto che attendere l’esito del giudizio erariale, tutte le modifiche al regime sostanziale e processuale della responsabilità amministrativa, a partire proprio da quelle contenute nel d.l. n. 543/1996, perderebbero gran parte della loro utilità. Non resta che invocare un intervento chiaro e univoco del legislatore, che disponga il superamento del sistema del c.d. doppio binario, lasciando alla sola Corte dei conti, giudice nelle materie di contabilità pubblica ai sensi dell’art. 103, comma 2, Cost., la giurisdizione esclusiva sull’azione di recupero del danno erariale, da condurre attraverso il giudizio a tal fine previsto dalla legge, ossia il giudizio di responsabilità amministrativa.

5.3 Sulla contestabilità del danno all’immagine nelle ipotesi di concorso di delitti dei pubblici ufficiali contro la pubblica amministrazione con delitti “comuni”

Il fattore che rende veramente innovativa la sentenza in commento è la decisione presa in merito alla contestabilità del danno all’immagine della pubblica amministrazione nelle ipotesi di concorso di delitti contenuti nel Libro secondo, Titolo secondo, Capo I, del Codice penale con delitti “comuni”. Il Collegio, dopo aver espresso la propria adesione a quell’orientamento giurisprudenziale che propende per la qualificazione del rinvio contenuto nell’art. 17, comma 30-ter, del d.l. n. 78/2009 come “mobile”, mette al sicuro la pronuncia da eventuali censure in appello dirette a contestare tale qualificazione. A tal fine, afferma che, anche volendo qualificare il rinvio contenuto nell’art. 17, comma 30-ter, del d.l. n. 78/2009 come “fisso”, «le conclusioni non muterebbero nel caso di specie in ordine alla azionabilità e fondatezza della pretesa attorea», essendo comunque esercitabile l’azione di responsabilità amministrativa per danno all’immagine della pubblica amministrazione nelle ipotesi di concorso di delitti contenuti nel Libro secondo, Titolo secondo, Capo I, del Codice penale con delitti “comuni”, «qualora il legame tra gli stessi si traduca in una unitaria o continuata azione delittuosa che nel suo insieme arrechi danno alla immagine della p.a.». Il Collegio giunge a tale approdo sviluppando ulteriormente l’indirizzo interpretativo, nato in seno alla sezione giurisdizionale Lombarda della Corte dei conti, che consente la contestabilità del danno all’immagine della pubblica amministrazione anche a fronte di reato complesso, non rientrante nel “catalogo” dei delitti dei pubblici ufficiali contro la pubblica amministrazione, di cui però il delitto del pubblico ufficiale contro la pubblica amministrazione sia elemento costitutivo o circostanza aggravante.

Sulla decisione del giudice erariale lombardo di interpretare in siffatto modo la condizione di proponibilità sostanziale dell’azione risarcitoria per danno all’immagine della pubblica amministrazione, ampliandone la portata anche alle ipotesi di concorso di delitti dei pubblici ufficiali contro la pubblica amministrazione con delitti “comuni”, si ritiene opportuno effettuare una considerazione: si tratta di una decisione dal carattere innovativo, poiché lo stato dell’arte della giurisprudenza contabile non conosce pronunce dal contenuto analogo. Occorre, pertanto, attendere quali saranno le possibili reazioni, ossia verificare in che modo i giudici erariali accoglieranno questa novità e, in particolare, se quelle sezioni della Corte dei conti che qualificano il rinvio contenuto nell’art. 17, comma 30-ter, del d.l. n. 78/2009 come “fisso” decidano di aderirvi, uniformandosi, o di prenderne le distanze, reiterando il proprio orientamento. Qualora si realizzasse quest’ultima ipotesi, la rilevanza del tema oggetto di contrasto e la difformità degli indirizzi interpretativi in campo sarebbero tali da rendere auspicabile un intervento sul punto delle sezioni riunite della Corte dei conti, che facciano chiarezza sulle condizioni di proponibilità dell’azione di responsabilità amministrativa per danno all’immagine della pubblica amministrazione.

6. Considerazioni conclusive.

La sentenza n. 21/2022 della sezione giurisdizionale per la Lombardia della Corte dei conti ha il grande pregio di far brillare di nuovo splendore l’antica gloria dell’azione di responsabilità amministrativa per danno all’immagine della pubblica amministrazione, strumento che negli ultimi trent’anni si è andato progressivamente sgretolando come cenere nelle mani del giudice erariale. Ebbene, i responsabili di questa circostanza sono il legislatore e la Suprema Corte di cassazione. L’accanimento del primo nella lotta per imporre limitazioni a questa funzione giurisdizionale della Corte dei conti è pari solo a quello dimostrato dalla seconda nel difendere un sistema incoerente e insidioso, oltre che incostituzionale, qual è quello del c.d. doppio binario. Tuttavia, se il c.d. lodo Bernardo ha snaturato nello scopo e nel valore il danno all’immagine della pubblica amministrazione, lasciando nell’impunità quelle condotte foriere di un danno erariale non patrimoniale che non erano sussumibili in alcune fattispecie di reato, il d.lgs. n. 174/2016, che un legislatore più attento avrebbe scritto facendo maggiore attenzione al “diritto vivente”, consente di operare una riespansione della giurisdizione contabile, superando parte delle criticità del precedente assetto normativo. Tale riespansione dovrebbe essere “guidata” dal legislatore, che dovrebbe chiarire la nozione di delitto commesso «a danno» della pubblica amministrazione, così come suggerisce la Consulta. Quest’ultima, a sua volta, qualora fosse investita nuovamente della questione di legittimità costituzionale, potrebbe pronunciarsi in modo chiaro e incisivo sul sistema del c.d. doppio binario, eliminando uno dei due “binari” od omologandone la disciplina al “binario” concorrente, di tal guisa obbligando il legislatore a intervenire, stavolta direttamente, sul punto. Nell’attesa che qualcosa si muova, non resta che osservare come la scelta della sezione giurisdizionale lombarda di ammettere la contestazione del danno all’immagine della pubblica amministrazione nelle ipotesi di concorso di delitti dei pubblici ufficiali contro la pubblica amministrazione con delitti “comuni” venga accolta dalle altre sezioni del giudice contabile, in particolare da quelle che interpretano i recenti interventi della Corte costituzionale in senso favorevole alla rinnovata attualità del c.d. lodo Bernardo.

  1. Si riporta il testo dell’articolo 7 della legge 27 marzo 2001, n. 97: «La sentenza irrevocabile di condanna pronunciata nei confronti dei dipendenti indicati nell’articolo 3 per i delitti contro la pubblica amministrazione previsti nel capo I del titolo II del Libro secondo del Codice penale è comunicata al competente procuratore regionale della Corte dei conti affinché promuova entro trenta giorni l’eventuale procedimento di responsabilità per danno erariale nei confronti del condannato. Resta salvo quanto disposto dall’articolo 129 delle norme di attuazione, di coordinamento e transitorie del codice di procedura penale, approvate con decreto legislativo 28 luglio 1989, n. 271».
  2. Sulla nozione di “diritto vivente”, si veda V. Carbone, Le difficoltà dell’interpretazione giuridica nell’attuale contesto normativo: il diritto vivente, in Corr. giur., 2011, fasc. 2, pp. 153-160.
  3. Il riferimento è da intendersi effettuato alla sentenza 5 giugno 2012, n. 4057, della Corte d’Appello di Milano, divenuta irrevocabile giusta declaratoria di inammissibilità dei gravami interposti dai condannati resa dalla Corte di Cassazione, Sez. III penale, con sentenza 19 giugno 2013, n. 1835.
  4. Per un’analisi del rito abbreviato, completa di riferimenti dottrinali e giurisprudenziali, si veda F. Freni, Il rito abbreviato, in A. Canale, F. Freni, M. Smiroldo (a cura di), Il nuovo processo davanti alla Corte dei conti. Commento sistematico al codice della giustizia contabile (D.Lgs. n. 174/2016, come modificato dal D.lgs. n. 114/2019), Giuffrè, Milano, 2021, pp. 591-606.
  5. Per una panoramica sul c.d. condono erariale, si vedano i seguenti scritti: A. F. Di Sciascio, Il condono erariale: istituto utile a reperire fondi per la P.A. o mezzo di attuazione dei principi del giusto processo nel processo contabile?, in F. G. Scoca (a cura di), Le linee evolutive della responsabilità amministrativa e del suo processo, Editoriale scientifica, Napoli, pp. 65-90; C. Pinotti, La definizione del processo d’appello contabile su richiesta della parte: difficile inquadramento sistematico e dubbi di costituzionalità, in Giur. it., 2007, fasc. 10, pp. 2368-2376.
  6. Di quest’avviso è stata C. conti, sez. giur. Liguria, 5 gennaio 2021, n. 1, in www.corteconti.it. Sul tema si sofferma anche la sezione giurisdizionale lombarda, nella sentenza in commento, quando, richiamando il decreto del 13 gennaio 2022, n. 1, ricorda che «la ragione per cui il doloso arricchimento osta all’accesso al rito abbreviato non va rinvenuta in un intento punitivo di una condotta massimamente riprovevole (che porterebbe ad escludere tout court chi se ne sia reso responsabile dall’ammissione al rito alternativo), perché non si comprenderebbe allora perché il motivo di inammissibilità non sia stato esteso a tutti i casi in cui il danno per cui si agisce sia l’effetto di una condotta dolosa del presunto responsabile», apparendo, piuttosto, «più verosimile che il legislatore abbia voluto semplicemente escludere in radice la possibilità, che sarebbe stata indubbiamente paradossale, che colui che ha inteso arricchirsi dolosamente a danno dell’erario pubblico potesse opportunisticamente, attraverso la definizione agevolata della propria posizione, conservare parte del profitto illecitamente conseguito».
  7. C. conti, sez. giur. Trentino-Alto Adige, sede di Bolzano, decreto 27 luglio 2022, n. 4, in Riv. C. conti, 2022, fasc. 4, pp. 173-174.
  8. C. conti, sez. giur. Trentino-Alto Adige, sede di Bolzano, 15 settembre 2022, n. 11, in www.corteconti.it.
  9. Il danno erariale da violazione o interruzione del sinallagma, anche detto da lesione del rapporto sinallagmatico, consiste nelle retribuzioni erogate al dipendente per attività non svolte o che esulano da compiti d’ufficio. In altre parole, tale danno si verifica quando il dipendente agisce non in favore ma in pregiudizio dell’ente pubblico, distraendo energie lavorative dai suoi compiti istituzionali, di talché si verifica un’alterazione tra le prestazioni lavorative rese e la retribuzione, che diventa, in tutto o in parte, priva di causa.
  10. Per una panoramica sul danno all’immagine della pubblica amministrazione si rinvia al paragrafo 3 del presente articolo.
  11. Si riporta il testo dell’art. 87 c.g.c. (rubricato «Rapporti tra invito a dedurre e citazione»): «La citazione è altresì nulla, qualora non sussista corrispondenza tra i fatti di cui all’articolo 86 comma 2, lettera e), e gli elementi essenziali del fatto esplicitati nell’invito a dedurre, tenuto conto degli ulteriori elementi di conoscenza acquisiti a seguito delle controdeduzioni».
  12. Sulla nullità della citazione per mancata corrispondenza degli elementi essenziali del fatto esplicitati nell’invito a dedurre, si veda A. Iadecola, Introduzione del giudizio, in A. Canale, F. Freni, M. Smiroldo (a cura di), Il nuovo processo op. cit., pp. 465-494, in particolare pp. 481-484.
  13. Si riporta il testo dell’art. 1-quater della legge n. 20/1994: «Se il fatto dannoso è causato da più persone, la Corte dei conti, valutate le singole responsabilità, condanna ciascuno per la parte che vi ha preso». Il primo periodo del successivo articolo 1-quinquies dispone: «Nel caso di cui al comma 1-quater i soli concorrenti che abbiano conseguito un illecito arricchimento o abbiano agito con dolo sono responsabili solidalmente».
  14. Questo orientamento è pacifico in giurisprudenza sin da C. conti, sez. riun., 16 febbraio 1998, n. 7/QM, in Riv. C. conti, 1998, fasc. 1, pp. 62-66. Seguono alcune sentenze che, successivamente, hanno affrontato il tema: C. conti, sez. II app., 4 febbraio 2022, n. 30, in Riv. C. conti, 2022, fasc. 1, pp. 151-152; C. conti, sez. giur. Lombardia, 9 marzo 2018, n. 49, in Riv. C. conti, 2018, fasc. 1-2, pp. 323-330; C. conti, sez. giur. Veneto, 10 luglio 2017, n. 77, in Riv. C. conti, 2017, fasc. 3-4, pp. 385-396; C. conti, sez. I app., 29 settembre 2017, n. 381, in Riv. C. Conti, 2017, fasc. 5-6, pp. 322-328. Recentemente, il tema è stato affrontato dalle seguenti pronunce: C. conti, sez. II app., 15 marzo 2022, n. 96, in www.corteconti.it; C. conti, sez. giur. Piemonte, 3 maggio 2022, n. 121, ibid.; C. conti, sez. giur. Abruzzo, 7 giugno 2022, n. 77, ibid.; C. conti, sez. giur. Sardegna, 8 giugno 2022, n. 139, ibid.; C. conti, sez. giur. Sardegna, 15 luglio 2022, n. 172, ibid.; C. conti, sez. giur. Lazio, 8 settembre 2022, n. 597, ibid.; C. conti, sez. giur. Friuli-Venezia Giulia, 20 settembre 2022, n. 44, ibid.; C. conti, sez. III app., 21 settembre 2022, n. 320, ibid.; C. conti, sez. giur. Toscana, 4 ottobre 2022, n. 301, ibid.
  15. C. conti, sez. II app., 26 febbraio 2020, n. 45, in www.corteconti.it.
  16. Si vedano C. conti, sez. II app, 6 novembre 2020, n. 258, in www.corteconti.it e id., 7 giugno 2021, n. 193, ibid.
  17. Si riporta il testo dell’art. 4, comma 1, lett. g), dell’allegato 3 al d.lgs. n. 174/2016.: «A decorrere dalla data di entrata in vigore del codice, sono o restano abrogati, in particolare (…) g) l’articolo 7 della legge 27 marzo 2001, n. 97».
  18. Si riporta il testo del secondo periodo dell’art. 17, comma 30-ter, del d.l. n. 78/2009: «Le procure della Corte dei conti esercitano l’azione per il risarcimento del danno all’immagine nei soli casi e nei modi previsti dall’articolo 7 della legge 27 marzo 2001, n. 97».
  19. Si riporta il testo dell’art. 4, comma 2, dell’allegato 3 al d.lgs. n. 174/2016: «Quando disposizioni vigenti richiamano disposizioni abrogate dal comma 1, il riferimento agli istituti previsti da queste ultime si intende operato ai corrispondenti istituti disciplinati nel presente codice».
  20. Si riporta il testo dell’art. 51, comma 7, c.g.c.: «La sentenza irrevocabile di condanna pronunciata nei confronti dei dipendenti delle pubbliche amministrazioni di cui all’articolo 1, comma 2, del decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165, nonché degli organismi e degli enti da esse controllati, per i delitti commessi a danno delle stesse, è comunicata al competente procuratore regionale della Corte dei conti affinché promuova l’eventuale procedimento di responsabilità per danno erariale nei confronti del condannato. Resta salvo quanto disposto dall’articolo 129 delle norme di attuazione, di coordinamento e transitorie del codice di procedura penale, approvate con decreto legislativo 28 luglio 1989, n. 271».
  21. C. conti, sez. riun., 23 aprile 2003, n. 10/QM, in Giur. it., 2003, pp. 1710-1719 con nota di M. Poto, Il danno all’immagine della Pubblica Amministrazione al vaglio delle sezioni riunite della Corte dei conti, ivi, pp. 1710-1712.
  22. M. Briccarello, G. Odino, Le limitazioni alla risarcibilità del danno all’immagine della P.A. non sono incostituzionali, in Resp. civ. prev., 2020, fasc. 3, pp. 787-806.
  23. Sulla nozione di danno (erariale) ambientale, si rinvia a E. Lener, Il danno ambientale, in A. Canale, D. Centrone, F. Freni, M. Smiroldo (a cura di), La Corte dei conti: responsabilità, contabilità, controllo, Giuffrè, Milano, 2022, pp. 483-503.
  24. Sulla nozione di danno (erariale) da medical malpractice, si rinvia M. T. D’urso, La responsabilità amministrativa da malpractice medica e l’azione di rivalsa dinanzi alla Corte dei conti secondo la legge 8 marzo 2017, n. 24 (c.d. legge Gelli-Bianco) a tre anni dalla sua entrata in vigore, in Riv. C. conti, 2020, fasc. 4, pp. 22-32.
  25. Si vedano le seguenti opere di dottrina: S. Previti, Le prove civili, CEDAM, Padova, 2014, p. 246, in cui l’autore opera una netta differenziazione tra la nozione di immagine intesa come ritratto e la nozione di immagine intesa come reputazione; A, Musio, Profili civilistici del danno all’immagine delle persone giuridiche, in A. Musio, A. Laino, F. Aversano, Il danno all’immagine delle persone giuridiche, Giappichelli, Torino, 2012, pp. 1-69, in particolare pp. 2-3, in cui l’autore distingue tra una nozione di immagine intesa come rappresentazione della propria fisicità corporea e una nozione di immagine intesa come considerazione che la società ha di ciascun individuo; I. Inglese, Il diritto di critica nei luoghi di lavoro, Giappichelli, Torino, 2014, p. 33, in cui l’autore ritiene esistente un unico concetto di immagine, comprendente un aspetto materiale (il ritratto) e un aspetto virtuale (la reputazione).
  26. In dottrina è pacifica l’opinione secondo cui la nozione di immagine contenuta nel Codice civile coincide con la nozione di ritratto contenuta nella legge sul diritto d’autore. Sul punto, si vedano i seguenti scritti: G. Bertazzi, (a cura di), Diritto d’autore, CEDAM, Padova, 2007, p. 308; R. Caterina, Le persone fisiche, Giappichelli, Torino, 2019, pp. 145 ss.
  27. S. Peron, Cronaca giudiziaria, violazione del diritto all’immagine e criteri di risarcimento dei danni, in Resp. civ. e prev., 2022, fasc. 4, pp. 1142-1151.
  28. Il tema della distinzione, nell’individuazione della nozione di diritto della personalità, tra la tesi monistica e la tesi pluralistica, nelle sue distinte accezioni, è affrontato in A. Ricci, Il diritto alla reputazione nel quadro dei diritti della personalità, Giappichelli, Torino, 2014, pp. 21 ss.
  29. Si veda G. Alpa, G. Resta, Le persone fisiche e i diritti della personalità, UTET, Torino, 2019, pp. 145 ss.
  30. Si veda, ex multis, Cass. civ., sez. III, 11 maggio 2010, n. 11353, in Foro it., 2011, I, pp. 534-539, con nota di G. Pardolesi, Abusivo sfruttamento d’immagine e danni punitivi, ivi, pp. 540 ss.
  31. A. Agate, Il diritto all’immagine, in S. Ruscica, (a cura di), I diritti della personalità, CEDAM, Padova, 2013, pp. 551-594.
  32. Si riporta il testo dell’art. 10 c.c. (rubricato «Abuso dell’immagine altrui»): «Qualora l’immagine di una persona o dei genitori, del coniuge o dei figli sia stata esposta o pubblicata fuori dei casi in cui l’esposizione o la pubblicazione è dalla legge consentita, ovvero con pregiudizio al decoro o alla reputazione della persona stessa o dei detti congiunti, l’autorità giudiziaria, su richiesta dell’interessato, può disporre che cessi l’abuso, salvo il risarcimento dei danni».
  33. Si riporta il testo dell’art. 96 della legge n. 633/1941: «Il ritratto di una persona non può essere esposto, riprodotto o messo in commercio senza il consenso di questa, salve le disposizioni dell’articolo seguente. Dopo la morte della persona ritrattata si applicano le disposizioni del secondo, terzo e quarto comma dell’art. 93». Si riporta anche il testo dell’art. 97 della legge n. 633/1941: «Non occorre il consenso della persona ritrattata quando la riproduzione dell’immagine è giustificata dalla notorietà o dall’ufficio pubblico coperto, da necessità di giustizia o di polizia, da scopi scientifici, didattici o culturali, quando la riproduzione è collegata a fatti, avvenimenti, cerimonie di interesse pubblico o svoltisi in pubblico. Il ritratto non può tuttavia essere esposto o messo in commercio, quando l’esposizione o messa in commercio rechi pregiudizio all’onore, alla reputazione od anche al decoro nella persona ritrattata».
  34. Cass. civ., 29 novembre 1973, n. 3290, in Foro pad., 1975, p. 20-22.
  35. M. De Chiara, Immagini parlanti e diritto di cronaca, in Foro it., 2021, fasc. 7-8, pp. 2448-2452.
  36. Si veda A. Ricci, La reputazione: dal concetto alle declinazioni, Giappichelli, Torino, 2018, pp. 1 ss.
  37. Si veda, ex multis, Trib. Frosinone, 06 ottobre 2020, n. 670, in www.dejure.it.
  38. Si riportano alcune sentenze rappresentative del trend evolutivo della giurisprudenza della Suprema Corte di Cassazione in materia di danno all’immagine della persona giuridica: Cass civ., sez. I, 22 giugno 1985, n. 3769, in Foro it., I, pp. 2214 e 2216; Cass. civ., sez. III, 4 giugno 2007, n. 12929, in Danno e resp., 2007, p. 1236, con nota di R. Foffa, La lesione dell’immagine di una persona giuridica, ivi, pp. 1236-1248; Cass. civ., sez. III, 16 marzo 2021, n. 7384, in www.dejure.it.
  39. Cass. civ., sez. III, 3 marzo 2000, n. 2367, in Danno e resp., 2000, pp. 490-491, con nota di V. Carbone, Il pregiudizio all’immagine e alla credibilità di una s.p.a. costituisce danno non patrimoniale e non danno morale, ivi, pp. 490-496.
  40. L. Mezzasoma, il diritto all’immagine tra codice civile e Costituzione, in Revista internacional de doctrina y jurisprudencia, 2013, fasc. 2.
  41. Il riferimento è da intendersi effettuato a Cass. Civ., 10 luglio 1991, n. 7642, Giur. it., 1992, parte I, sez. 1, pp. 96-104, con nota di L. Caso, Lo Stato come soggetto passivo di danni non patrimoniali, ivi, pp. 95-98.
  42. L’evoluzione storica del danno all’immagine della pubblica amministrazione è contenuta in M. Matassa, Alcune considerazioni sul danno all’immagine della Pubblica Amministrazione, in Dir. econ., 2020, fasc. 3, pp. 733-756.
  43. C. conti, sez. riun., 6 maggio 1988, n. 580/A, in Riv. C. conti, 1988, fasc. 4, pp. 61-63.
  44. Il riferimento è da intendersi effettuato all’art. 1 (rubricato «Sezioni regionali della Corte dei conti») del d.l. 15 novembre 1993, n. 453, conv. con mod. in legge 14 gennaio 1994, n. 19, che dispone: «In tutte le regioni sono istituite ove non già esistenti sezioni giurisdizionali della Corte dei conti con circoscrizione estesa al territorio regionale e con sede nel capoluogo di regione».
  45. C. conti, sez. giur. Umbria, 10 febbraio 1995, n. 20, in Riv. C. conti, 1995, fasc. 1, pp. 186-189; C. conti, sez. giur. Lombardia, 12 gennaio 1996, n. 133, in Riv. C. conti, 1996, fasc. 2, pp. 98-102; C. conti, sez. giur. Lombardia, 17 giugno 1996, n. 1290, in Riv. C. conti, 1996, fasc. 3, p. 117.
  46. Si veda Cass. civ., sez. un., 25 giugno 1997, n. 5668, in Riv. C. Conti, 1997, fasc. 3, pp. 227-228.
  47. Si veda C. conti, Sez. II app., 13 ottobre 1998, n. 207/A, in Foro amm., 1999, p. 1121, in cui si legge: «La non patrimonialità del danno non comporta una deroga ai principi che presiedono al riparto della giurisdizione fra il giudice ordinario e il giudice della responsabilità amministrativa; (…) pertanto giudice naturale del danno non patrimoniale, e nella specie del danno morale, ove l’amministrazione danneggiata non si costituisca parte civile in un processo penale, è la Corte dei conti».
  48. Si veda la già citata C. conti, sez. riun., n. 10/QM/2003.
  49. La tematica della natura giuridica del danno all’immagine della pubblica amministrazione è affrontata approfonditamente in V. Raeli, Lezioni di contabilità pubblica, tomo I, Cacucci, Bari, 2018, pp. 76-105.
  50. In un primo momento, la giurisprudenza di legittimità ha attribuito al danno all’immagine della pubblica amministrazione natura patrimoniale. Si vedano la già citata Cass. civ., sez. un., 25 giugno 1997, n. 5668 e, nello stesso senso, Cass. civ., sez. un., 25 ottobre 1999, n. 744, in Giur. It., 2000, pp. 1053-1055. Successivamente, si è imposto un orientamento che ha qualificato il danno all’immagine come danno patrimoniale “indiretto”, distinto dal danno patrimoniale in senso stretto perché non comportante una diminuzione patrimoniale diretta, ma suscettibile di valutazione patrimoniale, sotto il profilo della spesa necessaria al ripristino del bene giuridico leso. Si vedano Cass. civ., sez. un., 27 settembre 2006, n. 20886, in Foro it., 2007, fasc. 9, p. 2483, e, nello stesso senso, Cass. civ., sez. un., 20 giugno 2007, n. 14297, in Giur. it., 2008, pp. 48-50. Infine, la Corte di legittimità ha riconosciuto al danno all’immagine la natura giuridica di danno non patrimoniale ai sensi dell’art. 2059 c.c., ritenendo che il riferimento alla spesa per il ripristino dell’immagine della pubblica amministrazione vada inteso come inerente alla quantificazione monetaria del pregiudizio subìto e non alla individuazione della natura del danno. Si veda Cass. civ., sez. un., 12 aprile 2012, n. 5756, in Foro it., 2013, I, pp. 281-282.
  51. Il riferimento è da intendersi effettuato a Corte cost., 15 dicembre 2010, n. 355, in Giust. civ., 2011, fasc. 2, pp. 284-297. Si riporta un estratto della sentenza: «Inoltre, per quanto attiene specificamente alla responsabilità per violazione dell’immagine dell’ente pubblico, deve rilevarsi, in linea con quanto affermato dalla Cassazione con la stessa sentenza n. 26972 del 2008, che il relativo danno, in ragione della natura della situazione giuridica lesa, ha valenza non patrimoniale e trova la sua fonte di disciplina nell’art. 2059 cod. civ. D’altra parte, il riferimento, contenuto nella giurisprudenza della Corte dei conti, alla patrimonialità del danno stesso – in ragione della spesa necessaria per il ripristino dell’immagine dell’ente pubblico – deve essere inteso come attinente alla quantificazione monetaria del pregiudizio subito e non alla individuazione della natura giuridica di esso».
  52. Il riferimento è da intendersi effettuato alle seguenti pronunce: la già citata Cass. civ., 4 giugno 2007, n. 12929; C. conti, sez. riun., 18 gennaio 2011, n. 1/QM, in Riv. C. conti, 2011, fasc. 1, pp. 136-139.
  53. Questa è, ancora oggi, la tesi maggioritaria nella giurisprudenza erariale. Si veda, ex multis, C. conti, sez. II app., 3 dicembre 2021, n. 399, in www.corteconti.it. Tuttavia, va dato atto dell’esistenza di un opposto orientamento che continua a qualificare il danno all’immagine come un danno-evento. Si veda, ex multis, C. conti, sez. giur. Lombardia, 25 febbraio 2022, n. 58, ibid.
  54. Per ulteriori approfondimenti sulla tematica del nesso di occasionalità necessaria, si veda A. Napoli, Il rapporto di occasionalità necessaria nella giurisprudenza delle Sezioni unite in sede nomofilattica e di riparto, in Riv. C. conti, 2019, fasc. 3, pp. 278-282. Per un recente caso di assoluzione di un agente pubblico autore di un danno all’immagine alla pubblica amministrazione per l’assenza del rapporto di occasionalità necessaria si veda C. conti, sez. giur. Lombardia, 12 aprile 2022, n. 103, in Riv. C. conti, 2022, fasc. 2, p. 221, con nota di E. Tomassini, Il danno all’immagine dell’amministrazione di appartenenza si configura solo quando vi è un rapporto di occasionalità necessaria tra la condotta del soggetto agente e il danno, ivi, pp. 221-223.
  55. C. Giusti, Danno all’immagine e pubblica amministrazione, in Resp. civ. prev., 2019, fasc. 3, pp. 998-1016.
  56. Sulla nozione di nesso di immedesimazione organica, si veda G. Corso, Manuale di diritto amministrativo, Giappichelli, Torino, 2022, p. 12.
  57. M. Briccarello, G. Odino, Le limitazioni alla risarcibilità op. cit.
  58. Si vedano, da ultimi, D. Bolognino, H. Bonura, A. Canale (a cura di), La responsabilità per danno erariale, Cacucci, Bari, 2022, e S A. Cerrato, L. Grossi, Elementi fondamentali di responsabilità amministrativo-contabile e danno erariale, Giappichelli, Torino, 2022. Con riferimento alla disciplina ante codice, meritano di essere confrontati, S. Cimini, La responsabilità amministrativa e contabile, Giuffrè, Milano, 2003, e A. Police, La disciplina attuale della responsabilità amministrativa, in F. G. Scoca (a cura di), La responsabilità amministrativa ed il suo processo, CEDAM, Padova, 1997, pp. 61-144.
  59. Si vedano le seguenti pronunce del giudice erariale: C. conti, sez. I app., 3 febbraio 2021, n. 22, in www.corteconti.it; C. conti, sez. III app., 4 dicembre 2019, n. 241, in Riv. C. conti, 2019, fasc. 6, pp. 153-157, con nota di C. E. Marrè Brunenghi, Il danno all’immagine della p.a. tra tempus commissi delicti e tempus commissi damni, ivi, pp. 157-160; C. conti, sez. giur. Veneto, 15 settembre 2022, n. 262, in www.corteconti.it; C. conti, sez. giur. Sicilia, 23 febbraio 2012, n. 609, ibid.; C. conti, sez. I app., 14 gennaio 2008, n. 24, ibid.; C. conti, sez. giur. Calabria, 29 settembre 2005, n. 917, ibid.
  60. Si vedano le seguenti pronunce del giudice erariale: C. conti, sez. giur. Piemonte, 17 ottobre 2022, n. 117, in www.corteconti.it; C. conti, sez. I app., 5 agosto 2022, n. 402, ibid.; C. conti, sez. II app., 3 dicembre 2021, n. 399, ibid.; C. conti, sez. III app., 21 aprile 2021, n. 197, ibid.; C. conti, sez. giur. Sicilia, 8 marzo 2007, n. 626, ibid.; C. conti, sez. giur. Lazio, 5 luglio 2005, n. 1323, ibid.
  61. Si vedano le seguenti pronunce del giudice di legittimità: Cass. civ., sez. un., 14 dicembre 2022, n. 36628, in www.dejure.it; Cass. civ., sez. un., 19 maggio 2021, n. 13677, in ibid.; Cass. civ., sez. un., 5 agosto 2020, n. 16722, in Riv. C. conti, 2020, fasc. 6, pp. 259-262; Cass. civ., sez. un., 22 dicembre 2009, n. 27092, in Giur. cost., 2010, pp. 4031-4036, con nota di A. Pace, La Corte di cassazione ignora la storia, disapplica la legge e qualifica la Rai «ente pubblico», ivi, pp. 4036-4042.; Cass. civ., sez. un., 24 marzo 2006, n. 6581, in Foro amm. CdS, 2006, fasc. 6, p. 1742; Cass. civ., sez. un., 23 novembre 1999, n. 822, in Giust. civ. mass., 1999, p. 2326; Cass. civ., sez. un., 3 febbraio 1989, n. 664, in Riv. C. Conti, 1989, fasc. 3, p. 161.
  62. Si riporta il testo dell’art. 24, comma 1, della Costituzione: «Tutti possono agire in giudizio per la tutela dei propri diritti e interessi legittimi».
  63. Si riporta il testo dell’art. 47, comma 1, della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione Europea («Diritto a un ricorso effettivo e a un giudice imparziale»): «Ogni individuo i cui diritti e le cui libertà garantiti dal diritto dell’Unione siano stati violati ha diritto a un ricorso effettivo dinanzi a un giudice, nel rispetto delle condizioni previste nel presente articolo».
  64. Si vedano le seguenti recenti pronunce del giudice erariale: C. conti, sez. giur. Veneto, 21 settembre, 2022, n. 269, in www.corteconti.it; C. conti, sez. giur. Lazio, 13 settembre 2022, n. 611, ibid.; C. conti, sez. I app., 2 maggio 2022, n. 216, ibid.
  65. Si vedano, ex multis, le seguenti pronunce del giudice erariale: C. conti, sez. giur. Lombardia, 18 gennaio 2000, n. 43, in Riv. C. conti, 2000, fasc. 2, pp. 89-91; id., 15 febbraio 2000, n. 296, in Foro amm., 2000, p. 2926; id, 4 novembre 1999, n. 1250, in www.corteconti.it.
  66. Il riferimento è da intendersi effettuato a Cass. civ., sez. un., 31 maggio 2003, nn. 8827 e 8828, in Danno e resp., 2003, pp. 816-825 con note di F. D. Busnelli, Chiaroscuri d’estate. La Corte di cassazione e il danno alla persona, ivi, pp. 826-829, di G. Ponzanelli, Ricomposizione dell’universo non patrimoniale, ivi, pp. 829-831 e di A. Procida Mirabelli di Lauro, L’art. 2059 c.c. va in paradiso, ivi, pp. 831-835.
  67. Il riferimento è da intendersi effettuato a Corte cost., 11 luglio 2003, n. 233, in Giur. cost., 2003, pp. 1981-1990, con nota di G. B. Ferri, Le temps retrouvé dell’art. 2059 c.c., ivi, pp. 1990-2001.
  68. Il più rilevante tra questi è costituito dal combinato disposto degli artt. 22 e 23 del d.P.R. 10 gennaio 1957, n. 3 («Testo unico delle disposizioni concernenti lo statuto degli impiegati civili dello Stato»), che aveva concepito la responsabilità amministrativa per danno erariale “indiretto” in modo tale da poter essere imputata nelle sole ipotesi di colpa “grave”, prevedendo che fosse da considerare come danno ingiusto, agli effetti dell’azione di rivalsa dell’amministrazione, “quello derivante da ogni violazione dei diritti dei terzi che l’impiegato abbia commesso per dolo o per colpa grave”. Ne derivò l’impunità degli agenti pubblici e la responsabilità della sola amministrazione nelle ipotesi in cui il danno all’Erario fosse il risultato di una condotta connotata da colpa lieve.
  69. Il riferimento è da intendersi effettuato agli artt. 81 ss. del r.d. 18 novembre 1923, n. 2440. È opportuno ricordare che, fino alla dichiarazione di incostituzionalità della norma attributiva delle funzioni giurisdizionali ai consigli di prefettura, il primo grado dei giudizi di responsabilità amministrativa degli agenti pubblici alle dipendenze degli enti locali si svolgeva dinanzi ai consigli di prefettura. Si veda C. cost., 3 giugno 1966, n. 55, in Foro it., 1966, I, p. 986.
  70. Si pensi, oltre alla limitazione della responsabilità amministrativa alle fattispecie commesse con dolo o colpa grave e al regime di parziarietà della relativa obbligazione risarcitoria, all’introduzione di nuovi istituti come la c.d. compensatio contabile o la c.d. esimente politica.
  71. Si pensi all’introduzione del termine di prescrizione quinquennale dell’azione di responsabilità.
  72. Il riferimento è da intendersi effettuato alle seguenti ordinanze: C. conti, sez. I app., 27 novembre 1996, n. 182; id., 29 novembre 1996, n. 185; id., 20 dicembre 1996, n. 639; id., 25 febbraio 1997, n. 500; id., 26 settembre 1997, n. 211.
  73. Il riferimento è da intendersi effettuato a C. conti, sez. giur. Liguria, 15 maggio 1997, n. 881.
  74. Di seguito le violazioni più significative lamentate dai giudici contabili: il contrasto con l’art. 3 Cost., per l’irragionevole livellamento della responsabilità, conseguente all’estensione indifferenziata, a tutte le categorie di dipendenti e amministratori pubblici, della limitazione della responsabilità stessa ai soli casi di dolo o colpa grave; sempre il contrasto con l’art. 3 Cost., per l’assoggettamento di situazioni analoghe a regimi giuridici diversi, a seconda del giudice chiamato a pronunziarsi, come nel caso di costituzione di parte civile della pubblica amministrazione nel giudizio penale, per il reato colposo commesso dal dipendente; il contrasto con gli artt. 97 e 103, comma 2, Cost., per gli effetti di permissività ed incuria che la disposizione stessa può indurre nell’esercizio delle pubbliche funzioni, in palese contrasto con i principi costituzionali volti a realizzare l’efficienza e la regolarità della gestione finanziaria e patrimoniale degli enti pubblici; il contrasto con gli artt. 11 e 81 Cost, per l’effetto di non garantire la tempestività e la completezza dei dati finanziari e patrimoniali generali, con conseguenze negative sul piano delle leggi di bilancio e di riequilibrio della finanza pubblica, nonché su quello della credibilità dei dati dimostrativi del rispetto dei “parametri di Maastricht”.
  75. Il riferimento è da intendersi effettuato a C. conti, sez. giur. Lombardia, 19 febbraio 1997, n. 7.
  76. Corte cost., 20 novembre 1998, n. 371, in Riv. amm. Rep. it., 1998, fasc. 10/11, p. 954, con commento di P. Maddalena, La limitazione della responsabilità amministrativa ai soli casi di dolo o colpa grave dopo la sentenza della Corte Costituzionale n. 371, del 20 novembre 1998, ivi, pp. 954-960.
  77. Corte cost., 30 dicembre 1998, n. 453, in Riv. C. Conti, 1998, fasc. 6, pp. 194-198.
  78. F. G. Scoca, Sul danno all’immagine della pubblica amministrazione, in Giur. cost., 2019, fasc. 4, pp. 2177-2183.
  79. Il riferimento è da intendersi effettuato a C. conti, sez. I app., 17 marzo 2010, n. 162, in www.corteconti.it.
  80. Il riferimento è da intendersi effettuato a C. conti, sez. giur. Umbria, 16 novembre 2009, n. 331, in www.corteconti.it.
  81. Il riferimento è da intendersi effettuato a C. conti, sez. giur. Calabria, 16 novembre 2009, n. 24, in www.corteconti.it.
  82. Il riferimento è da intendersi effettuato alle seguenti pronunce: C. conti, sez. giur. Campania, 14 ottobre 2009, n. 25, in www.corteconti.it; id., 27 ottobre 2009, n. 26, ibid.; id., 9 dicembre 2009, n. 27, ibid.
  83. Il riferimento è da intendersi effettuato a C. conti, sez. giur. Sicilia, 14 ottobre 2009, n. 44, in www.corteconti.it.
  84. Il riferimento è da intendersi effettuato a C. conti, sez. giur. Lombardia, 29 dicembre 2009, n. 125, in www.corteconti.it.
  85. Il riferimento è da intendersi effettuato a C. conti, sez. giur. Toscana, 10 dicembre 2009, n. 145, in www.corteconti.it.
  86. Tra le censure più significative lamentate dai giudici contabili, si segnala il contrasto con l’art. 3 Cost., per aver creato una irragionevole ed illogica disparità di trattamento tra la tutela all’immagine assicurata alle persone giuridiche private, per le quali non varrebbe alcun limite, e quella garantita alle persone giuridiche pubbliche, per le quali varrebbero i limiti in esame.
  87. Corte cost., 1 dicembre 2010, n. 355, in Giur. cost., 2010, fasc. 6, pp. 4948-4996, con nota di G. Bottino, Il «danno all’immagine»: dell’Amministrazione pubblica, o del Legislatore?, ivi, pp. 4996-5003, e di A. Oddi, Il «lodo Bernando» supera il vaglio della Corte costituzionale, ivi, pp. 5003-5012.
  88. Tra queste, particolare rilevanza ricoprono l’esclusione della gravità della colpa quando il fatto dannoso tragga origine dall’emanazione di un atto vistato e registrato in sede di controllo preventivo di legittimità, limitatamente ai profili presi in considerazione nell’esercizio del controllo, inserita nell’art. 1, comma 1, della legge n. 20/1994, e l’istituto della c.d. compensatio contabile obliqua, contenuto in una modifica dell’art. 1, comma 1-bis, della medesima legge.
  89. Tali orientamenti sono approfonditi in A. Abbate, Il danno erariale: in particolare il danno all’immagine della pubblica amministrazione, Key, Milano, 2022.
  90. Si veda, ex multis, C. conti, sez. giur. Lazio, 1 marzo 2012, n. 254, in www.corteconti.it.
  91. C. conti, sez. giur. Toscana, 21 giugno 2012, n. 332, in www.corteconti.it.
  92. Si riporta il testo dell’art. 1-sexies, della legge n. 20/1994: «Nel giudizio di responsabilità, l’entità del danno all’immagine della pubblica amministrazione derivante dalla commissione di un reato contro la stessa pubblica amministrazione accertato con sentenza passata in giudicato si presume, salva prova contraria, pari al doppio della somma di denaro o del valore patrimoniale di altra utilità illecitamente percepita dal dipendente».
  93. C. conti, sez. riun., 19 marzo 2015, n. 8/QM, in Riv. C. conti, 2015, 3-4, pp. 264-274.
  94. Si riporta il testo dell’art. 51, comma 6, c.g.c.: «La nullità per violazione delle norme sui presupposti di proponibilità dell’azione per danno all’immagine è rilevabile anche d’ufficio».
  95. Tali orientamenti sono approfonditi in B. Cucchi, Il danno all’immagine della pubblica amministrazione, in B. Cucchi, F. Simonelli, C. Domenichini, E. Cucchi, Il processo contabile di responsabilità per danno erariale, Pacini giuridica, Pisa, 2021, pp. 31-47.
  96. R. Guastini, Le fonti del diritto. Fondamenti teorici, Giuffrè, Milano, 2010, p. 222.
  97. Si veda, ex multis, F. Sorrentino, G. Pino, Le fonti in generale e l’interpretazione, in S. Mazzamuto (a cura di), Trattato di diritto privato, Vol. I, Tomo I, p. 30. Per un approfondimento sul rinvio come tecnica di produzione normativa, si veda M. Atripaldi, Il rinvio “intraistituzionale”. una tecnica per la produzione di norme giuridiche nella forma di stato a tendenza sociocentrica, in Nomos, 2018, fasc. 2, pp. 1-57.
  98. Cass. pen., sez. VI, 19 ottobre 2010, n. 37471, in www.dejure.it, ove si legge che «il rinvio è sempre mobile, salvo espressa volontà del legislatore».
  99. Si sono pronunciate in questi termini Corte cost., 9 luglio 1993, n. 311, in Giur. cost., 1993, pp. 2547-2552 e Cass. pen., sez. III, 23 febbraio 2018, n. 23848, in www.dejure.it.
  100. Si sono pronunciate in questi termini Corte cost., 3 maggio 2013, n. 80, in www.cortecostituzionale.it e id., 18 aprile 2019, n. 93, ibid.
  101. Si vedano, ex multis, T.A.R. Campania, sez. IV – Napoli, 19 settembre 2017, n. 4445, in www.dejure.it e T.A.R. Emilia-Romagna, sez. I – Bologna, 1 aprile 2019, n. 315, ibid.
  102. Sul punto, si veda T.A.R. Lombardia, sez. II – Milano, 30 maggio 2017, n. 1219, in Foro Amm., 2017, fasc. 5, pp. 1105-1106.
  103. Si veda, ex multis, C. Conti, sez. giur. Toscana, 10 luglio 2018, n. 174, in Riv. C. conti, 2018, fasc. 3-4, pp. 302-303.
  104. Si vedano le seguenti pronunce del giudice erariale: C. conti, sez. giur. Lombardia, 1 dicembre 2016, n. 201, in www.corteconti.it; id., 12 luglio 2017, n. 113, ibid.; C. conti, sez. I app., 19 marzo 2018, n. 121, ibid.; C. conti, sez. giur. Sicilia, 22 maggio 2018, n. 449, ibid.; id., 27 marzo 2018, n. 280, ibid.; C. conti, sez. app. Sicilia, 28 novembre 2016, n. 183, ibid.; C. conti, sez. giur. Piemonte, 22 febbraio 2018, n. 14, ibid.; C. conti, sez. giur. Liguria, 25 gennaio 2018, n. 16, ibid.; C. conti, sez. giur. Friuli-Venezia Giulia, 11 aprile 2017, n. 22, ibid.; C. conti, sez. giur. Emilia-Romagna, 16 novembre 2017, n. 225, ibid.
  105. Il riferimento è da intendersi effettuato a Cass. pen., sez. V, 10 settembre 2013, n. 37088, in www.dejure.it.
  106. Il riferimento è da intendersi effettuato a C. conti, sez. giur. Liguria, 28 maggio 2018, n. 164, n. 175, in www.corteconti.it e id., 8 agosto 2018, ibid.
  107. Il riferimento è da intendersi effettuato a Corte cost., 9 luglio 2019, n. 167, in Riv. C. conti, 2019, fasc. 4, pp. 251-253, con nota di A. Iadecola, La Corte costituzionale e il danno all’immagine dell’amministrazione prima e dopo il codice di giustizia contabile, ivi, pp. 255-263 e Corte cost., 9 luglio 2019, n. 168, in Giur. cost., 2019, fasc. 4, pp. 1989-1994, con nota di F. G. Scoca, Responsabilità amministrativa e danno all’immagine, ivi., pp. 1995-1997.
  108. Il riferimento è da intendersi effettuato a C. conti, sez. giur. Liguria, ordinanza del 29 maggio 2018, n. 165, in www.corteconti.it.
  109. In particolare, il giudice contabile remittente ha sollevato le seguenti censure di costituzionalità: violazione dell’art. 3 Cost., per via dell’esclusione in modo irragionevole dell’esercizio dell’azione risarcitoria, pur a fronte di un danno conseguente a condotte delittuose accertate in giudizio ed in base a un fattore, il mero decorso del tempo, completamente estraneo alla loro efficacia lesiva; violazione dell’art. 3 Cost., sotto il profilo del principio di eguaglianza sostanziale, poiché, «in forza dei limiti imposti alla tutela risarcitoria, l’amministrazione riceve un trattamento diverso rispetto a quello riservato ai privati cittadini, i quali – in relazione ai medesimi fatti storici – possono ottenere il risarcimento di tutti i danni patiti anche a fronte di una declaratoria di prescrizione del reato; violazione dell’art. 97 Cost., sotto il profilo dell’efficacia e del buon andamento; violazione dell’art. 103, comma 2, Cost., perché la norma impugnata, impedendo l’esercizio dell’azione risarcitoria pur a fronte di accertate condotte lesive, sarebbe contraria al principio di effettività della tutela giudiziaria in sede contabile; violazione dell’art. 76 Cost., perché la legge delega prodromica all’emanazione del cod. giust. contabile prescriveva l’adozione di norme idonee a garantire il rispetto dei principi di concentrazione ed effettività della tutela».
  110. Corte cost., 4 luglio 2019, n. 191, in Giur. cost., 2019, fasc. 4, 2168-2176, con nota di F. G. Scoca, Sul danno all’immagine op cit.
  111. Hanno sostenuto la tesi del rinvio “fisso” le seguenti pronunce: C. conti, sez. giur. Abruzzo, 14 settembre 2022, n. 104, in www.corteconti.it; C. conti, sez. giur. Puglia, 2 dicembre 2021, n. 1018, ibid.; C. conti, sez. giur. Molise, 30 dicembre 2021, n. 79, ibid.; C. conti, Sez. III app., 31 marzo 2020, n. 66, in Riv. C. conti, 2020, fasc. 2, pp. 230-233, con nota di I. Chesta, Dal confronto maieutico con il giudice delle leggi riprende vigore nella giurisprudenza contabile d’appello l’Araba Fenice del danno all’immagine, nella configurazione del “Lodo Bernardo”, ivi, pp. 233-239; C. conti, sez. giur. Toscana, 24 ottobre 2019, n. 393, in www.corteconti.it. Hanno sostenuto la tesi del rinvio “mobile” le seguenti pronunce: C. conti, sez. giur. Lombardia, 11 ottobre 2021, n. 282, in www.corteconti.it; C. conti, sez. giur. Emilia-Romagna, 6 maggio 2021, n. 151, ibid.; C. conti, sez. giur. Liguria, 14 dicembre 2020, n. 110, in Riv. C. conti, 2020, fasc. 6, pp. 219-221, con nota di C. E. Marrè Brunenghi, Il danno all’immagine della pubblica amministrazione dopo la sentenza della Corte costituzionale 19 luglio 2019, n. 191, ivi, pp. 221-226.
  112. Tra gli scritti in sostegno della tesi del rinvio “fisso” si segnala A. Sola, considerazioni sul danno erariale: la fattispecie del danno all’immagine a margine dei recenti interventi della Corte costituzionale, in Riv. C. conti, 2019, fasc. 5, pp. 78-89, ove si legge che «attualmente, però, anche alla luce della recente ordinanza n. 167/2019 della Corte costituzionale, può dirsi ampiamente ridimensionato e circoscritto alle solte ipotesi contemplate nel capo I del titolo II del libro II del codice penale»; Tra gli scritti in sostegno della tesi del rinvio “mobile” si segnala M. Nicolosi, Danno all’immagine della P.A., lotta all’assenteismo e potere disciplinare, in Lav. giur., 2021, fasc. 1, pp. 57-67, in cui si legge quanto segue: «La tassatività degli specifici reati contro la P.A., accertati con sentenza passata in giudicato, è comunque venuta meno con l’entrata in vigore del Codice di giustizia contabile».
  113. Il riferimento è da intendersi effettuato a C. conti, sez. giur. Liguria, 3 dicembre 2021, n. 208, in www.corteconti.it, con nota di R. Tuzzi, Per una nozione di condanna in senso sostanziale in tema di prescrizione del reato e danno all’immagine, ivi, 2021, fasc. 6, p. 216 e a C. conti, sez. giur. Emilia-Romagna, 13 gennaio 2021, n. 1, in www.corteconti.it.
  114. Il riferimento è da intendersi effettuato a C. conti, sez. giur. Lombardia, 21 luglio 2021, n. 233 in www.corteconti.it e a id., 17 maggio 2021 n. 165, ibid.
  115. Il riferimento è da intendersi effettuato a Corte cost., 21 giugno 2017, n. 145, in www.dejure.it.
  116. Il riferimento è da intendersi effettuato a Cass. pen., sez. VI, 20 maggio 2021, n. 5534, in www.dejure.it.
  117. Il riferimento è da intendersi effettuato a F. G. Scoca, Sul danno all’immagine op. cit., in particolare p. 2180.
  118. V. Tenore, La responsabilità amministrativo-contabile: profili sostanziali, in V. Tenore (a cura di), La nuova Corte dei conti. Responsabilità, pensioni, controlli, Giuffrè, Milano, 2022, pp. 26-512, in particolare p. 348.
  119. Si riporta un estratto della sentenza, dal quale è possibile comprendere la posizione della Corte costituzionale sul sistema del c.d. doppio binario: «Non vi è dubbio che la formulazione della disposizione non consente di ritenere che, in presenza di fattispecie distinte da quelle espressamente contemplate dalla norma impugnata, la domanda di risarcimento del danno per lesione dell’immagine dell’amministrazione possa essere proposta innanzi ad un organo giurisdizionale diverso dalla Corte dei conti, adita in sede di giudizio per responsabilità amministrativa ai sensi dell’art. 103 Cost. Deve, quindi, ritenersi che il legislatore non abbia inteso prevedere una limitazione della giurisdizione contabile a favore di altra giurisdizione, e segnatamente di quella ordinaria, bensì circoscrivere oggettivamente i casi in cui è possibile, sul piano sostanziale e processuale, chiedere il risarcimento del danno in presenza della lesione dell’immagine dell’amministrazione imputabile a un dipendente di questa. In altri termini, non è condivisibile una interpretazione della normativa censurata nel senso che il legislatore abbia voluto prevedere una responsabilità nei confronti dell’amministrazione diversamente modulata a seconda dell’autorità giudiziaria competente a pronunciarsi in ordine alla domanda risarcitoria. La norma deve essere univocamente interpretata, invece, nel senso che, al di fuori delle ipotesi tassativamente previste di responsabilità per danni all’immagine dell’ente pubblico di appartenenza, non è configurabile siffatto tipo di tutela risarcitoria. Del resto, costituisce dato pacifico, come riconosciuto anche da questa Corte con la sentenza n. 371 del 1998, sulla quale si ritornerà nel prosieguo, che la limitazione della responsabilità amministrativa, sul piano soggettivo, al dolo o alla colpa grave, non implica che il dipendente pubblico, qualora la sua condotta si caratterizzi per la presenza di un minore grado di colpa, possa essere evocato in giudizio innanzi ad una autorità giudiziaria diversa dal giudice contabile».
  120. Si vedano le seguenti pronunce del giudice di legittimità: la già citata Cass. pen., n. 5534/2021, in cui si legge che la condizione di proponibilità sostanziale del danno all’immagine della pubblica amministrazione, ossia la presenza di una condanna per i reati contenuti nel Libro II, titolo II, capo I del Codice penale, non trova applicazione nella diversa sede della giurisdizione ordinaria; Cass. pen, sez. II, 20 giugno 2018, n. 41012, in www.dejure.it, ove si legge che la condizione di proponibilità processuale dell’azione di responsabilità per danno all’immagine della pubblica amministrazione, ossia la presenza di un giudicato penale di condanna, è valida solo innanzi alla giurisdizione contabile e non impedisce di azionare l’azione di responsabiltà innanzi alla giurisdizione ordinaria, se del caso, attraverso la costituzione di parte civile; Cass. pen, sez. II, 7 febbraio 2017, n. 29480, ibid.
  121. Si vedano le seguenti pronunce del giudice di legittimità: Cass. pen., sez.II, 21 ottobre 2020, n. 35477, in www.iusexplorer.it e id., 12 marzo 2014 n. 14605, ibid., in cui, con riferimento all’applicabilità delle condizioni di proponibilità contenute nell’art. 17, comma 30-ter, del d.l. n. 78/2009 all’azione risarcitoria per danno all’immagine della pubblica amministrazione esercitata dinanzi al giudice ordinario, si legge quanto segue: «Non vi è dubbio che la formulazione della disposizione non consente di ritenere che, in presenza di fattispecie distinte da quelle espressamente contemplate dalla norma impugnata, la domanda di risarcimento del danno per lesione dell’immagine dell’amministrazione possa essere proposta innanzi ad un organo giurisdizionale diverso dalla Corte dei conti, adita in sede di giudizio per responsabilità amministrativa ai sensi dell’art. 103 Cost. Deve, quindi, ritenersi che il legislatore non abbia inteso prevedere una limitazione della giurisdizione contabile a favore di altra giurisdizione, e segnatamente di quella ordinaria, bensì circoscrivere oggettivamente i casi in cui è possibile, sul piano sostanziale e processuale, chiedere il risarcimento del danno in presenza della lesione dell’immagine dell’amministrazione imputabile a un dipendente di questa».
  122. L’art. 21, comma 2, del d.l. 16 luglio 2020, n. 76, convertito in legge 11 settembre 2020, n. 120 (c.d. decreto semplificazioni), così come modificato dall’art. 51, comma 1, lett. a), del d.l. 31 maggio 2021, n. 77 (c.d. decreto semplificazioni bis), conv. con mod. dalla legge 29 luglio 2021, n. 108, dispone in tal senso: «Limitatamente ai fatti commessi dalla data di entrata in vigore del presente decreto e fino al 30 giugno 2023, la responsabilità dei soggetti sottoposti alla giurisdizione della Corte dei conti in materia di contabilità pubblica per l’azione di responsabilità di cui all’articolo 1 della legge 14 gennaio 1994, n. 20, è limitata ai casi in cui la produzione del danno conseguente alla condotta del soggetto agente è da lui dolosamente voluta. La limitazione di responsabilità prevista dal primo periodo non si applica per i danni cagionati da omissione o inerzia del soggetto agente». Sul limite introdotto dal legislatore all’azione di responsabilità amministrativa attraverso il c.d. decreto semplificazioni, si veda A. Giordano, La responsabilità amministrativa tra legge e necessità. Note sull’art. 21 d.l. n. 76/2020, in Riv. C. conti, 2021, fasc. 1, pp. 14-21.
  123. Una completa analisi della legge n. 24/2017 e, più in generale, della responsabilità del personale sanitario, è contenuta in V. Tenore, (a cura di), Studio sulla responsabilità disciplinare, civile, penale e amministrativo-contabile del personale sanitario, Anicia, Roma, 2019.
  124. L’art. 9, comma 1, della legge n. 24/2017, disponendo che «l’azione di rivalsa nei confronti dell’esercente la professione sanitaria può essere esercitata solo in caso di dolo o colpa grave», equipara la responsabilità civile alla responsabilità amministrativa sotto il profilo dell’elemento psicologico.
  125. L’art. 9, comma 7, consente ai giudici di entrambe le giurisdizioni di desumere argomenti di prova dalle prove assunte nel giudizio innescato dal danneggiato nei riguardi della struttura sanitaria o sociosanitaria ovvero dell’impresa di assicurazione.
  126. L’art. 9, comma 5, dispone che sia i giudici civili sia i giudici erariali sono tenuti a considerare, nel corso della liquidazione dell’importo risarcibile, il contesto organizzativo in cui il danno è stato provocato, così come entrambi, con riferimento esclusivo a quelle ipotesi in cui la condotta sia sorretta da colpa grave, possono valutare l’entità del pregiudizio economico entro un tetto massimo, pari a un multiplo della retribuzione del sanitario («una somma pari al triplo del valore maggiore della retribuzione lorda o del corrispettivo convenzionale conseguiti nell’anno di inizio della condotta causa dell’evento o nell’anno immediatamente precedente o successivo»).
  127. Si veda E. F. Schlitzer, La responsabilità medica, in C. Mirabelli, E. F. schlitzer (a cura di), Trattato sulla nuova configurazione della giustizia contabile, Editoriale Scientifica, Napoli, 2018, pp. 355-368, in particolare p. 357. Secondo l’autore, «il nuovo regime della responsabilità sanitaria, all’art. 9 nei commi da 1 a 4 e 6 prevede una disciplina specifica dell’azione di rivalsa summenzionata [civilistica], mentre il comma 5 è per l’azione di responsabilità amministrativa e l’ultimo interessa entrambe le fattispecie».
  128. Si riporta il testo dell’articolo 18 del d.P.R. n. 3/1957 («Responsabilità dell’impiegato verso l’Amministrazione»): «L’impiegato delle amministrazioni dello Stato, anche ad ordinamento autonomo, è tenuto a risarcire alle amministrazioni stesse i danni derivanti da violazioni di obblighi di servizio. Se l’impiegato ha agito per un ordine che era obbligato ad eseguire va esente da responsabilità, salva la responsabilità del superiore che ha impartito l’ordine. L’impiegato, invece, è responsabile se ha agito per delega del superiore».
  129. Si riporta il testo dell’articolo 19 del d.P.R. n. 3/1957 («Giurisdizione della Corte dei conti»): «L’impiegato, per la responsabilità di cui al precedente articolo, è sottoposto alla giurisdizione della Corte dei conti nei modi previsti dalle leggi in materia. La Corte, valutate le singole responsabilità, può porre a carico dei responsabili tutto il danno accertato o parte di esso. Il diritto al risarcimento si estingue con il decorso del termine di prescrizione ordinario previsto dal Codice civile».
  130. Si riporta il testo dell’articolo 21 del d.P.R. n. 3/1957 («Responsabilità verso i terzi»): «L’impiegato che, nell’esercizio delle attribuzioni ad esso conferite dalle leggi o dai regolamenti, cagioni ad altri un danno ingiusto ai sensi dell’art. 23 è personalmente obbligato a risarcirlo. L’azione di risarcimento nei suoi confronti può essere esercitata congiuntamente con l’azione diretta nei confronti dell’Amministrazione qualora, in base alle norme ed ai principi vigenti dell’ordinamento giuridico, sussista anche la responsabilità dello Stato. L’amministrazione che abbia risarcito il terzo del danno cagionato dal dipendente si rivale agendo contro quest’ultimo a norma degli articoli 18 e 19. Contro l’impiegato addetto alla conduzione di autoveicoli o di altri mezzi meccanici l’azione dell’Amministrazione è ammessa solo nel caso di danni arrecati per dolo o colpa grave».
  131. Si riporta il testo dell’articolo 22 del d.P.R. n. 3/1957 («Danno ingiusto»): «È danno ingiusto, agli effetti previsti dall’art. 22, quello derivante da ogni violazione dei diritti dei terzi che l’impiegato abbia commesso per dolo o per colpa grave; restano salve le responsabilità più gravi previste dalle leggi vigenti. La responsabilità personale dell’impiegato sussiste tanto se la violazione del diritto del terzo sia cagionata dal compimento di atti od operazioni, quanto se la detta violazione consista nella omissione o nel ritardo ingiustificato di atti od operazioni al cui compimento l’impiegato sia obbligato per legge o per regolamento».
  132. Si vedano, ex multis, i seguenti recenti scritti: Romani, Il sistema del doppio binario civile e contabile in materia di responsabilità, tra giurisdizione esclusiva della Corte dei conti e diritto di difesa dell’amministrazione danneggiata, in Federalismi.it, 2021, fasc. 15, pp. 217-251; V. Tenore, Lo stato della giurisdizione della Corte dei conti tra “doppio binario”, “ne bis in idem” e questioni varie in materia di responsabilità e pensioni, in Riv. C. conti, 2021, fasc. 3, pp. 3-25; L. Iocca, la Corte di cassazione e il doppio binario giurisdizionale, in Riv. C. conti, 2021, fasc. 2, pp. 68-71.
  133. Si veda F. Pinto, Per un nuovo modello del giudizio contabile: riflessioni in tema di doppio binario e ruolo delle amministrazioni non statali, in Riv. C. conti, 2022, fasc. 1, pp. 32-45.

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