Riflessioni sul decreto Agosto
In occasione delle consultazioni preliminari per la conversione in legge del d.l. 104/2020, noto come ‘decreto agosto’, sono emerse ed emergono progressivamente le varie criticità degli interventi governativi che, seppur con l’alibi dell’emergenza sanitaria, ad oggi necessariamente impongono una riflessione generale e possibilmente sistematica sulla natura e sui contenuti dell’azione interventista governativa de quo; criticità che, peraltro, si sovrappongono visibilmente alle non marginali dinamiche negative del periodo pregresso al Covid-Sars19. Si tratta di un’operazione fondamentale tenuto conto delle scadenze previste per la presentazione dei progetti per l’utilizzo delle risorse europee, ed alla cui razionalità, attuabilità concreta ed incisività in termini di ripresa economica l’erogazione dei fondi è strettamente vincolata.
Tra queste riflessioni si colloca la Memoria scritta della Corte dei Conti inviata al Parlamento e depositata il 4/9/20, che apre uno squarcio sull’intera politica emergenziale, analizzando in modo trasversale i punti principali della decretazione governativa.
Se in apertura la Corte sottolinea che “Come già osservato in occasione delle precedenti manovre finanziarie, in un contesto di emergenza sanitaria quale quello che stiamo attraversando, la politica di bilancio è chiamata a giocare un ruolo indispensabile. La necessità di prevedere un lungo periodo di convivenza con il virus (in attesa degli sviluppi attesi sul fronte delle cure e del vaccino) oltre a richiedere un rafforzamento del sistema sanitario, rende necessari interventi volti da un lato a preservare la capacità produttiva del sistema economico e le sue potenzialità di crescita e dall’altro a garantire l’occupazione senza gravare sui conti delle imprese, attraverso gli strumenti della CIGO e Cassa in deroga e gli altri istituti”; nelle conclusioni evidenzia che “Con l’attuazione delle misure contenute nel decreto la dimensione della manovra finora predisposta per affrontare la crisi ha raggiunto dimensioni senza precedenti, neppure nei pur severi episodi recessivi del dopoguerra. Uno sforzo dalla cui efficacia dipende la possibilità di ripresa dell’economia. Ma perché questo avvenga e sia duraturo è importante concentrare le risorse sulle aree di maggiore criticità, assicurando una più marcata selettività degli interventi ed evitando di disperdere le disponibilità su misure non strettamente necessarie. E’ poi cruciale superare le difficoltà che continuano a derivare dal ricorso ripetuto ad una normativa secondaria, che rallenta il processo di attuazione, procrastinando la piena operatività degli interventi. Ciò specie quando il rinvio ad un ulteriore provvedimento attuativo non appare da ricondurre alla corretta scelta di non appesantire il dettato normativo, ma piuttosto ad una non ancora completa definizione degli obiettivi che si vuole cogliere. E’ necessario, superata la fase più critica, poter inquadrare le singole misure assunte all’interno di una strategia di crescita e leggerle alla luce di quanto già avviato, della sua efficacia e di informazioni adeguate sulla scorta delle quali sarà opportuno disporre eventuali rifinalizzazioni delle somme in precedenza stanziate o rifinanziamenti, ove necessari. Ma soprattutto è necessario, che in occasione della Nota di aggiornamento del DEF e del Documento programmatico di bilancio si arrivi ad una definizione di un quadro chiaro delle riforme su cui si intende puntare per superare i ritardi strutturali del Paese. Infatti, al di là degli effetti moltiplicativi e di sostegno della domanda derivanti dalle misure proposte anche in questo decreto, sarà dal superamento dei ritardi e dagli effetti “di offerta” che le misure varate riusciranno ad esplicare nel medio termine, che dipenderà l’evoluzione del potenziale di crescita e, dunque, la possibilità di assicurare la sostenibilità del debito pubblico. I progetti che saranno individuati come eleggibili al finanziamento dei fondi europei del Recovery Plan giocheranno al riguardo un ruolo decisivo”.
Le criticità messe a fuoco si esauriscono obliquamente in tre punti: la disarticolazione degli interventi normativi, comprensibile limitatamente alla fase acuta dell’emergenza, ma che ad oggi produce da un lato uno scarso coordinamento delle misure previste e dall’altro la loro generale ridotta efficacia in termini di attuazione, principalmente, ma non solo, in ragione della vincolatività alla legiferazione in sede ordinaria; la disomogeneità di alcune misure o dell’individuazione dei contesti applicativi di esse; la parziale irrazionalità di alcune scelte in punto di individuazione del tipo di settore e/o della sua dislocazione territoriale ai fini degli interventi di sostegno.
Tra le cinque aree principali di intervento che la Corte individua e che rappresentano la quasi totalità della manovra rientra l’ ‘area delle entrate’ il cui clou è costituito dalla misure di carattere fiscale contemplate agli articoli da 97 a 113 alle quali si affiancano numerosi provvedimenti di incentivazione fiscale. Nel primo caso, si tratta in prevalenza di minori entrate connesse alla rimodulazione opzionale del pagamento di alcune imposte e contributi sospeso da precedenti provvedimenti, della proroga nel pagamento degli acconti e della proroga della sospensione dei termini di versamenti di carichi fiscali affidati all’agente per la riscossione; nel secondo caso, si tratta di misure che sostanzialmente intervengono per rimodulare precedenti bonus o spese fiscali, o introdurne ex novo.
Tali misure, sulla carta, mirano a sostenere il rilancio dell’economia nel periodo interessato dalla crisi; tuttavia, sottolinea la Corte “l’insieme di dette misure, nonostante l’elevato onere che esse comportano per le casse dell’erario, quantificato in circa 6 miliardi, operano un alleggerimento soltanto momentaneo della pressione fiscale. Anzi il rinvio delle imposte determina inoltre una concentrazione delle scadenze con un possibile aggravio degli adempimenti fiscali nel loro complesso. D’altro canto, non può tacersi l’incertezza riguardo l’effettiva capacità di far fronte alle scadenze concentrate a fine anno, con il rischio di realizzare un gettito inferiore alle aspettative, anche per effetto della chiusura e della contrazione di parte delle attività economiche”.
Tra gli interventi che appaiono più significativi e passati al vaglio del giudice contabile, l’art. 97 che ha inteso ridefinire le scadenze relative al pagamento dei tributi e contributi già sospesi nella fase più acuta dell’emergenza, prevedendo in particolare un’ulteriore modalità di rateizzazione dei versamenti in scadenza nei mesi di marzo, aprile e maggio, già sospesi con i decreti precedenti (decreto “Cura Italia”, decreto “Liquidità” e decreto “Rilancio”). Segue l’art. 98, norma che prevede il differimento al 30 aprile 2021 del secondo acconto IRES, IRPEF e IRAP in scadenza il 30 novembre 2020, a beneficio unicamente di specifici contribuenti che nel primo semestre del 2020 abbiano registrato un calo del fatturato o dei corrispettivi, rispetto al corrispondente semestre del 2019. A tal proposito viene evidenziato “stante il riferimento espresso della norma alle imposte sul reddito e all’IRAP, andrebbe chiarito che il differimento riguarda tutti gli oneri, sia tributari che contributivi, legati alla dichiarazione dei redditi e soggetti all’obbligo del versamento in acconto. Per verificare il presupposto della riduzione del 33 per cento del fatturato o dei corrispettivi occorre fare riferimento, secondo le indicazioni dell’Agenzia delle entrate, ai dati emergenti dalle liquidazioni periodiche IVA desunti rispettivamente dalle fatture emesse ovvero dalla memorizzazione/annotazione dei corrispettivi telematici o delle ricevute o scontrini fiscali”.
L’art. 99 prevede la reiterazione della sospensione della riscossione coattiva e dei pignoramenti di stipendi e pensioni dal 31 agosto al 15 ottobre 2020. La norma di riferimento (art. 68 del d.l. n. 18/2020) dispone che il pagamento delle somme sospese debba essere eseguito entro il mese successivo al termine di sospensione (novembre 2020). È conseguentemente prorogato al 15 ottobre 2020 anche il termine per richiedere una nuova dilazione, mentre si dispone che il venir meno del beneficio della rateazione si verifica in caso di mancato pagamento di dieci rate. A tal fine a detta della Corte “occorre tuttavia considerare che per le dilazioni in corso all’8 marzo 2020, nel mese di novembre si sarà consumata quasi tutta la soglia di tolleranza delle 10 rate e che, una volta decaduti dal beneficio, per essere riammessi al piano di rientro ed evitare le azioni di recupero, occorre pagare tutte le rate scadute”. Un provvedimento che a fortiori offrirebbe una conferma di come la proroga dei versamenti e la concentrazione della scadenza dei pagamenti nello stretto periodo a ridosso della fine dell’anno, si costituiscano quele un rimedio momentaneo, di per sé poco rispondente all’obiettivo di alleviare le difficoltà finanziarie dei contribuenti e sostenere il rilancio delle attività economiche.
A fianco di tali misure, e in alcuni casi in sovrapposizione, il decreto-legge 104/2020 prevede anche numerosi provvedimenti che intervengono per rimodulare, o in qualche caso introdurre, bonus o spese fiscali. Tra i principali provvedimenti che possono essere classificati come ‘incentivi’ rientra la rimodulazione del bonus baby sitter (art. 21), che è stato ampliato nell’importo per le categorie di lavoratori – sanità e forze dell’ordine – più direttamente coinvolte dall’emergenza Covid. Sottolinea la Corte che “questo tipo di aiuto, che in linea di principio dovrebbe favorire l’aumento dell’offerta di lavoro femminile, ha la finalità di compensare un aggravio di spesa in un momento in cui alle categorie di lavoratori sopramenzionate è richiesto un aumento dell’orario di lavoro. Interessante notare come per la copertura di questo sussidio sia stata ridotta la copertura dell’indennità a favore dei lavoratori domestici che hanno visto ridurre le loro prestazioni lavorative durante il lockdown ma non erano coperti dalla cassa integrazione. Si determina cioè una possibile concorrenza tra due categorie che hanno subito – in modo certamente diverso – gli effetti della pandemia”
Tra i provvedimenti di spesa fiscale merita di essere sottolineato il raddoppio del limite all’importo erogato come welfare aziendale che non costituisce base imponibile IRPEF previsto dall’articolo 112. Se è vero che l’emergenza coronavirus può aver spinto alcune imprese ad intervenire in modo apprezzabile a favore dei dipendenti, il giudice contabile ravvisa un potenziale pericolo di concorrenza e indebolimento del sistema di welfare pubblico.
L’articolo 90 modifica il buono viaggio, consistente di un rimborso del costo degli spostamenti effettuati con servizio di taxi o noleggio con conducente in favore di persone in situazioni di disagio, estendendo sia lo stanziamento (da 5 a 35 milioni) sia la platea dei soggetti ammessi. in tal senso si osserva che stante la crucialità della mobilità con distanziamento occorrebbe ripensare i termini di coinvolgimento del trasporto privato.
Relativamente alle imprese si segnalano, oltre a un aumento dello stanziamento per i crediti di imposta per investimenti pubblicitari nell’editoria (art. 96), ora estesi anche al caso delle società sportive con limite di spesa di novanta milioni (art. 81), un nuovo provvedimento per la rivalutazione dei beni di impresa presenti nel bilancio 2019 con pagamento di imposte sostitutive (art. 110) e alcuni interventi di aiuto al settore del turismo.
Per le imprese del settore turistico, esercenti pubblico esercizio, gravemente danneggiate dall’emergenza epidemiologica, oltre a un prolungamento dell’esenzione delle tasse sull’occupazione del suolo pubblico (Tassa per l’occupazione di spazi ed aree pubbliche –TOSAP e del Canone per l’occupazione di spazi ed aree pubbliche – COSAP) , previsto dall’art. 109 per i mesi di novembre e dicembre, sono previsti due fondi di nuova istituzione: il primo prevede l’erogazione di contributi a fondo perduto – con uno stanziamento di 600 milioni – per le imprese della ristorazione per l’acquisto di materie prime che valorizzino i prodotti e la materia prima di territorio (art. 57), un requisito che secondo la Corte difficilmente potrà tradursi in concreto. Il secondo, ex art. 58, prevede invece un contributo a fondo perduto alle imprese di vendita di beni e servizi localizzate nei centri storici delle città a forte presenza turistica. La condizione per poter accedere al primo contributo è la riduzione del 75 per cento del fatturato dei mesi marzo-giugno 2020 rispetto al corrispondente periodo dell’anno precedente; mentre per l’accesso al secondo fondo si fa riferimento questa volta al solo mese di giugno e in particolare al fatto che il fatturato di giugno 2020 sia inferiore ai due terzi di quello di giugno 2019 e il contributo è parametrato a questa differenza. Non è chiaro, osserva la Corte, perché questi due sussidi, erogati a imprese che operano in ambito di ristorazione e turistico, debbano avere riferimenti temporali e di variazione del fatturato disomogenei.
Sempre per il settore turistico si segnalano, poi, gli articoli 77-79 che prevedono rispettivamente l’estensione agli stabilimenti termali del credito di imposta sulle locazioni, l’esenzione della seconda rata IMU per gli immobili e gli stabilimenti balneari e termali e turistici e la rimodulazione del credito di imposta sulle ristrutturazioni alle strutture ricettive (con incremento di aliquota al 65 per cento). Infine, il decreto 104 è intervenuto con l’articolo 74 anche a modificare il contributo per l’acquisto di autoveicoli a ridotto impatto di emissioni, innalzando lo stanziamento e potenziando gli importi per le autovetture non completamente elettriche.
I principali provvedimenti di incentivo che si sono accumulati a partire dal decreto 18/2020 (“Cura Italia”), dunque, sono distinguibili tra interventi che operano attraverso il sistema fiscale e sussidi operanti attraverso la spesa.
Come già in parte anticipato, in generale i rilievi della Corte si risolvono nella difficoltà di inquadrare in un disegno organico gli interventi, specie quelli minori, anche in rapporto ai precedenti decreti: ad esempio, nell’ambito turistico e della ristorazione, si assiste a una sovrapposizione di misure minori che sembrano nè disegnate in modo organico e nè funzionali alla spinta del settore per una ricollocazione o collocazione su un percorso di sostenibilità; peraltro tali stesse misure sembrerebbo recare in sè il rischio di problemi di target efficiency, ovvero sovracompensando operatori che non hanno subito grosse perdite e non raggiugendo efficacemente altri maggiormente in difficoltà. Gli stessi provvedimenti per migliorare la sostenibilità, in generale, secondo la lettura del giudice contabile, non sembrano disegnare un chiaro percorso organico per un settore strategico per la crescita e per il raggiungimento degli obiettivi green, specie nell’ambito dei trasporti; ciò sia con riguardo agli incentivi auto sia rispetto alla regolamentazione del trasporto privato, stante l’assenza di misure atte ad allegerire la tassazione del servizio.
Quanto al sistema fiscale nel suo complesso la Corte si dichiara costretta a rilevare l’utilizzo di strumenti che continuano a complicarne la struttura, visto che nei decreti “Cura Italia”, “Rilancio” e “Agosto” si contano oltre 30 interventi che comprendono – tra rimodulazioni e nuovi provvedimenti – crediti di imposta, esenzioni, detrazioni con un sistema che si allontana sempre di più dall’auspicato fisco equo, semplice, trasparente e sostenibile.
Tale valutazione si inserisce nel quadro critico più generale che la Corte ha tratteggiato lo scorso giugno quando nel Giudizio sul rendiconto generale dello Stato si esprimeva seccamente tramite le parole del suo Procuratore generale “Appare non più rinviabile un intervento in materia fiscale che riduca, per quanto possibile, le aliquote sui redditi dei dipendenti ed anche dei pensionati che, pur essendo fuori dal circuito produttivo, frequentemente sostengono le generazioni più giovani, oltreché le imposizioni gravanti sulle imprese alle quali sono affidate le concrete speranze di un rilancio del Paese”, sottolineando soprattutto che “l’alleggerimento della fiscalità potrebbe evitare, soprattutto in un momento di crisi globale, la costante erosione del potere d’acquisto delle famiglie e un’ulteriore contrazione del mercato interno”.
A fare da pendant a tale rilievo il Giudizio di parificazione del Rendiconto generale dello Stato di fine agosto, in cui spicca la denuncia relativa all’evasione, perpetrata soprattutto dai grandi contribuenti e secondo il quale: “In linea generale deve ancora una volta rilevarsi come gli strumenti e le modalità operative di gestione del rapporto con i contribuenti di cui attualmente dispone l’Amministrazione fiscale non siano in grado di determinare una significativa riduzione dei livelli di evasione che caratterizzano il settore dell’IVA e dell’imposizione sui redditi. L’effetto degli adempimenti previsti dalla normativa e l’azione dell’amministrazione, infatti, non sono finora riusciti a modificare apprezzabilmente i livelli di adempimento spontaneo, mentre gravi difficoltà si registrano nell’effettivo recupero delle somme evase. Ripetutamente la Corte ha segnalato l’esigenza di attuare una strategia coordinata e costante di contenimento dell’evasione basata sull’uso delle moderne tecnologie informatiche e telematiche, sull’ampliamento dei pagamenti tracciati, sull’applicazione della ritenuta d’acconto, e sull’azione di supporto all’adempimento e di controllo svolta dall’Amministrazione fiscale. Ancora una volta si ribadisce, dunque, l’esigenza di una diversa modalità realizzativa dell’attività di controllo fiscale che dovrebbe costituire il naturale complemento dell’utilizzo preventivo e persuasivo dei dati in possesso del sistema informativo (primi fra tutti quelli relativi alle fatture emesse e ricevute e ai corrispettivi conseguiti), già normativamente in parte previsto, ma ancora non compiutamente realizzato. I risultati finanziari derivanti dall’ordinaria attività di accertamento e controllo sostanziale conseguiti dall’Agenzia delle entrate nel corso dell’ultimo quinquennio, pure fortemente condizionati dalla gestione di adempimenti di carattere straordinario (voluntary disclosure, “rottamazioni” delle cartelle e delle liti), continuano ad essere incoerenti con la gravità del fenomeno evasivo che si registra nel nostro Paese.
Da sottolineare che il riferimento della Corte va oltre l’evasione stimata dallo stesso Governo: su più di mille miliardi circa accertati di tasse imposte e contributi evasi e affidati agli agenti della riscossione tra il 2000 e il 2019 ne sono stati incassati poco più del 13 %: dice la suprema magistratura contabile che : “I ridotti indici di riscossione mettono bene in evidenza i limiti dell’attuale sistema”. Osservando la scarsa efficacia dello strumento delle sanatorie su cui il giudizio è tranchant: “Si fa notare come l’ampia facoltà riconosciuta ai contribuenti di assolvere ratealmente i debiti iscritti a ruolo, nonostante le ottimistiche previsioni, non abbia contribuito ad incrementare il tasso di riscossione”. D’altra parte, una quota rilevante dell’attività di controllo sostanziale continua a indirizzarsi verso posizioni sostanzialmente patologiche (irreperibili, falliti, ecc.), che non hanno interesse né a definire bonariamente l’accertamento, usufruendo della riduzione delle sanzioni prevista dalla legge, né a contestarlo nella sede contenziosa: “Tutto ciò comporta un giudizio prognostico alquanto negativo sull’esito delle relative procedure di riscossione e dovrebbe imporre un profondo mutamento delle tradizionali strategie di contrasto dell’evasione, sia attraverso una più selettiva programmazione dell’azione di controllo fiscale, evitando per quanto possibile di impegnarla su posizioni prevedibilmente non proficue in termini di esigibilità del credito erariale, sia sviluppando – come ripetutamente suggerito dalla Corte – strumenti di controllo preventivo quali, ad esempio, l’obbligo di pagamento tracciato con effettuazione della ritenuta a cura dell’intermediario finanziario, ovvero l’adozione di sanzioni amministrative diverse e più efficaci di quelle meramente pecuniarie”.
La necessità di una riforma fiscale, da più parti invocata nel tempo, si fa stringente in un contesto come quello attuale, in cui è vitale da un lato sostenere non solo la ripartenza, ma per certi versi la sopravvivenza, della produttività, dall’altro lato garantire allo stato le entrate attraverso un sistema di riscossione adeguato e funzionale. Ciò implica rimodellare l’imposizione fiscale e al contempo ripensare le procedure di controllo e in generale l’azione di contrasto all’evasione.
Quanto al primo profilo le misure varate dal governo in tempo di emergenza meritano forse un giudizio meno rigido: la temporaneità dell’efficacia, determinata dalla rimodulazione dei termini di pagamento e dalla proroga delle scadenza, rappresenta l’ineluttabile conseguenza di interventi volti al congelamento del prelievo fiscale. Circa il rischio relativo alla reale capacità di far fronte alla scadenze rifissate, molto dipende dalle politiche di incentivazione e dalle operazioni di investimento volte alla ripresa economica, su cui verosimilmente la decretazione governativa in prospettiva fa affidamento ai fini di dalla futura capacità contributiva concreta.
Anche la scelta dei soggetti beneficiari, che nel corso dell’attività normativa emergenziale ha subìto diversi assestamenti, è stata evidentemente condizionata da valutazioni di carattere empirico rispetto al contesto critico in cui la pandemia ha rapidamente proiettato il Paese.
Neppure può separarsi dal tema dell’emergenza anche l’attesa riforma fiscale, attualmente in discussione: i moniti della Corte potrebbero costituire la base di partenza di una riflessione orientata anzitutto alla repressione dell’evasione fiscale, evidentemente misura prioritaria e funzionalmente preliminare rispetto a qualunque tipo di ridisegno del quadro dell’imposizione tributaria che voglia dirsi equa per i cittadini ed efficace per il buon andamento dello azione dello Stato e della PA a cominciare dall’ambito assistenziale e sanitario.