di Camilla Buzzacchi
Con l’ord. n. 79/2021 il giudice delle leggi ha disposto la richiesta di istruttoria al fine di acquisire maggiori elementi in merito ad una duplice questione sollevata dalla Regione Liguria nel 2020. Si tratta di due variazioni di risorse destinate agli enti locali, rispetto alle quali occorre che vadano spiegati criteri di quantificazione e di ripartizione, in considerazione del fatto che la variazione riguarda sfavorevolmente le amministrazioni del territorio. La prima situazione di dubbio inquadramento riguarda la quota ristorativa dell’Imposta unica municipale (IMU) – Tariffa per i servizi indivisibili (TASI), che la legge di stabilità per il 2014 quantificava, per gli anni 2020-2022, nella somma nella somma di euro 625 milioni, e che invece il decreto-legge 6 marzo 2014, n. 16 recante Disposizioni urgenti in materia di finanza locale, nonché misure volte a garantire la funzionalità dei servizi svolti nelle istituzioni scolastiche ha poi ridimensionato, individuando un importo di 300 milioni.
In seconda battuta occorre chiarire perché per il 2020 il Fondo di solidarietà comunale, a carico del bilancio dello Stato, abbia la consistenza di 100 milioni di euro, mentre in origine l’art. 47, comma 8, del decreto-legge 24 aprile 2014, n. 66 che ha introdotto Misure urgenti per la competitività e la giustizia sociale, ne prevedeva 563,4 milioni. Il chiarimento viene invocato anche con riferimento al criterio di ripartizione di risorse che una delle norme emergenziali – il decreto-legge 19 maggio 2020, n. 34 – ha destinato agli enti locali.
La richiesta di relazioni di chiarimento viene rivolta al Ragioniere generale dello Stato, al Presidente dell’Istituto per la finanza e l’economia locale e al Presidente della Corte dei conti. Al primo soggetto la Corte chiede di chiarire se è stata effettuata una verifica di sostenibilità del taglio in relazione al fabbisogno degli enti locali per l’esercizio delle funzioni loro attribuite; dal secondo e dal terzo intende capire l’impatto del taglio in relazione al fabbisogno degli enti locali per l’esercizio delle funzioni loro attribuite.
In attesa che tali istituzioni depositino la propria relazione, e che la Corte possa pronunciarsi sulla questione, può essere interessante inquadrare le argomentazioni del ricorso, sollevato dalla Regione Liguria a seguito di un’istanza approvata dal Consiglio delle autonomie locali e rivolta al Presidente della giunta regionale per l’annullamento delle disposizioni richiamate, che appaiono lesive dell’autonomia finanziaria e della capacità di spesa dei Comuni della Liguria.
Il ricorso è interessante per la ricostruzione che presenta della situazione di prostrazione del comparto delle amministrazioni locali: tale comparto soprattutto nell’ultimo decennio è stato chiamato a concorrere agli obiettivi di risanamento della finanza pubblica. Il suo contributo, che ammonta a oltre 12 miliardi di euro, ha determinato una contrazione della spesa e l’incremento della leva fiscale, necessaria a compensare il venire meno dei trasferimenti dello Stato. Si è inoltre dovuto procedere alla costituzione di nuovi importanti vincoli di parte corrente, primariamente il Fondo crediti dubbi esigibilità, la cui alimentazione impedisce l’impiego di oltre 4 miliardi e mezzo di euro che pure i Comuni avrebbero nei loro bilanci. A tale riguardo si è pronunciato IFEL, che nel documento «La finanza comunale in sintesi, rapporto 2019» ha dato atto che «nel complesso, dal 2010 al 2018 le risorse standard dei comuni (…) si riducono del 35% (…) l’incidenza dei trasferimenti dello Stato scende dal 61% al 15%».
Ha dunque avuto luogo una costante erosione delle entrate a valere sul fondo di solidarietà comunale: i meccanismi di riparto delle risorse tra i Comuni prescindono evidentemente dalla clausola costituzionale che sancisce la garanzia del finanziamento integrale delle funzioni ad essi attribuite dalla legge; ma sono altresì noncuranti della natura verticale degli strumenti delineati dalla Costituzione per la perequazione delle minori capacità fiscali. Tale evoluzione negativa, oltre a minare la stabilità dei bilanci pubblici, incide sulla possibilità di spesa degli enti locali per il mantenimento di servizi fondamentali in favore della cittadinanza: si pone pertanto in conflitto con le disposizioni costituzionali che sanciscono il principio dell’autonomia finanziaria degli enti locali, ma anche con il percorso di attuazione del cosiddetto federalismo fiscale, prefigurato dal legislatore ormai oltre un decennio fa. Ma, come è noto, rimasto ampiamente inattuato nel comparto dei Comuni.
Il ricorso si sofferma allora sulla legge n. 42/2009, e in particolare sulla disciplina del cosiddetto federalismo municipale: il decreto legislativo n. 23/2011. Tale normativa aveva previsto un significativo potenziamento dell’autonomia tributaria dei Comuni per sostituire i trasferimenti dello Stato, nella prospettiva di superare il paradigma della finanza derivata in favore di un sistema di finanza autonoma; e aveva istituito il fondo sperimentale di riequilibrio che, per un arco temporale di tre anni, doveva svolgere funzioni di perequazione. Tale fondo avrebbe dovuto essere alimentato con il gettito di tributi relativi alla fiscalità immobiliare dello Stato, nonché con una compartecipazione al gettito dell’IVA, nella logica di un sistema di perequazione verticale. Esso sarebbe poi stato sostituito dal fondo perequativo per i Comuni, che a regime sarebbe stato articolato in due componenti: quella relativa alle funzioni fondamentali e l’altra riferita alle funzioni non fondamentali, ed alimentato con risorse statali.
Si constata come il sistema della finanza locale abbia seguito una direzione diametralmente opposta: più di tutto si lamenta la completa assenza dello Stato nella perequazione. E si richiama il documento di approfondimento del 7 marzo 2018 redatto dal servizio Studi della Camera dei deputati, nel quale si segnala che «la struttura attuale del Fondo di solidarietà comunale è prevalentemente orizzontale, essendo alimentato esclusivamente dai comuni attraverso il gettito dell’imposta municipale propria (IMU), e non anche dalla fiscalità generale, come
invece richiesto dalla legge n. 42 del 2009 (…). Tuttavia tale situazione dipende dal fatto che la componente verticale, finanziata dallo Stato, di fatto è stata annullata dai tagli delle risorse del Fondo, derivanti dalle misure di concorso alla finanza pubblica previste per i comuni sulla base dei principi del coordinamento della finanza pubblica».
Il risultato è che se «nel passato era lo Stato a trasferire risorse ai comuni, oggi sono i comuni che trasferiscono risorse allo Stato, ragion per cui la capacità fiscale dei Comuni (…) è stata in parte asservita al bilancio statale. Nel ricorso si aggiunge che «l’attuale impianto centralistico del sistema di finanziamento dei
comuni si allontana sempre più dal progetto di federalismo municipale avviato con il decreto legislativo n. 23/2011».
Nel giro di pochi anni la finanza locale ha dunque dovuto assorbire la sterilizzazione dei trasferimenti storici dello Stato, sui quali si reggeva la stabilità
del bilancio; e ha accusato la privazione di una cospicua quota di gettito della propria IMU destinata alla solidarietà intercomunale. Lo Stato viene accusato di essersi ritirato dai suoi obblighi perequativi, e di avere in più introdotto crescenti vincoli di finanza pubblica che comprimono la capacità di spesa degli enti locali.
La Regione osserva che se tale tendenza poteva essere giustificata temporaneamente, in presenza dell’emergenza finanziaria, ora un tale assetto di sistematica sottrazione all’applicazione delle norme costituzionali richiamate non è più sostenibile. Proprio le disposizioni oggetto del ricorso attestano la logica esposta: esse si risolvono «in un taglio (illegittimo), ormai consolidato e strutturale, di risorse che erano state previste dallo Stato a ristoro di minori gettiti dei tributi locali generati». Esse rivelano «una singolare modalità di solidarietà che si regge sui bilanci (già esangui) degli enti locali, in una condizione di grave e sistematica carenza di risorse da parte dello Stato che si è sottratto ai suoi chiari obblighi in materia di perequazione, delineati dalle norme costituzionali».
Ben si comprende, alla luce di questi argomenti, l’importanza del passaggio di approfondimento che la Corte costituzionale ha ritenuto di inserire per decidere la questione: che si prospetta suscettibile di essere respinta solo se le istituzioni chiamate a contribuire sul piano informativo riusciranno a dimostrare la coerenza della drastica riduzione delle risorse ad opera delle disposizioni impugnate.