Il seguente post rientra tra le pubblicazioni che la redazione accoglie per favorire un’informazione didascalica sulle funzioni della Corte dei conti e sulle questioni sostanziali e processuali principali che scaturiscono dall’esercizio di tali funzioni, in questo caso, con riguardo alle società pubbliche.
Il lavoro qui riportato, inoltre, deve ritenersi una seconda parte, con lo stesso taglio divulgativo, del già pubblicato post intitolato «La tormentata nozione di “controllo pubblico” nel TUSP», dello scorso 9 marzo 2020.
La disamina del Cons. Francesco Sucameli si concentra sui controlli che si svolgono sulle società partecipate degli enti territoriali e viene svolta sulla base della rassegnata esperienza giurisprudenziale che, idealmente, si ricongiunge con quella di cui al primo post del 9 marzo. Il lavoro si sviluppa sulla base del seguente sommario:
3. La spending review tramite i piani di razionalizzazione imposti agli enti dominus;
4. Le funzioni di controllo della Corte dei conti;
Si fornisce sin d’ora al lettore la seguente chiave di lettura dell’excursus: non esiste un potere di controllo specifico sulle società partecipate, ma esso si svolge come appendice dei controlli già esistenti, da classificare secondo la dicotomia “controlli di legittimità/controlli referto” (quest’ultimi anche noti come controlli “collaborativi”).
Buona lettura.
La redazione
Le funzioni di controllo della Corte dei conti in materia di società partecipate dagli enti territoriali. Profili sostanziali e processuali
di Francesco Sucameli
1. Il Testo unico delle società a partecipazione pubblica come surrogato della rottura della “universalità di bilancio”: i vari “statuti” delle società pubbliche
La disciplina del Testo unico delle società partecipate (D.lgs. n. 175/2016, di seguito TUSP) introduce diverse regole normative speciali, talora eccezionali, per le società che sono contrassegnate da una partecipazione pubblica.
L’esigenza che il TUSP vuole in qualche modo soddisfare è evitare l’abuso della forma privatistica da parte delle pubbliche amministrazioni, le quali con lo strumento societario, a causa della “confusione” tra regole pubblicistiche e di diritto comune, si sono trovate, in passato, a potersi sottrarre ai “fondamentali” dei due sistemi di regole, valga per il fallimento, quando si parla di regole civili, valga per l’osservanza delle regole del patto di stabilità, le norme sulle assunzioni e sugli appalti quando di parla di regole pubbliche[1].
Gli anni passati, infatti, hanno visto il diffondersi di prassi orientate a trasformare la flessibilità offerta dalle regole privatistiche per organizzare servizi e funzioni, in un “abuso”, ossia l’utilizzo di una forma per evitare il rispetto di limiti e regole che sono proprie delle pubbliche amministrazioni (si pensi alla regola del concorso pubblico ex art. 97 comma 2 Cost., ora “implementata” attraverso l’art. 19 TUSP).
Il TUSP mira ad ottenere quello che per via giurisprudenziale non è stato possibile realizzare: la certezza del diritto, recte, la “sicurezza giuridica”[2] sullo statuto disciplinare che si deve applicare alle società pubbliche, per evitare abusi in un senso o nell’altro, con l’aggiunta di uno scopo nient’affatto secondario, ovvero, la tutela dell’equilibrio di bilancio dell’ente dominus.
Si può affermare che i due grandi obiettivi del TUSP sono quindi:
a) ri-codifcare ed imporre alle società a partecipazione pubblica limiti sostanziali alla capacità giudica per evitare la stipulazione di negozi “ultra vires” con la rottura dell’effettività di norme fondamentali per il buon funzionamento dell’organizzazione pubblica;
b) garantire un recupero sul terreno del controllo democratico della spesa e della finanza pubblica.
L’uso delle forme privatistiche, infatti, si può facilmente tradurre in una regressione del controllo democratico a favore di burocrazie autoreferenziali, a causa della rottura di uno dei valori fondamentali del bilancio pubblico, ossia, la sua “universalità”[3]: per principio generale dell’ordinamento giuridico, vi è infatti una tendenziale corrispondenza biunivoca tra soggetto di diritto, patrimonio e bilancio (che è lo strumento di rappresentazione e gestione del secondo)[4]; di conseguenza, la creazione di organismi partecipati per lo svolgimento di specifiche funzioni e servizi che ricadono tra gli scopi del bilancio pubblico, produce una rottura dell’universalità del bilancio alla stregua di una contabilità speciale o di una gestione fuori bilancio.
Più prosaicamente, la creazione di un nuovo soggetto di diritto con un patrimonio destinato e riservato alla realizzazione di specifiche funzioni e servizi menoma la capacità autorizzatoria e rendicontativa del bilancio pubblico che non può più limitare, in sede autorizzativa, la spesa degli organismi partecipati: il bilancio pubblico si limita a stabilire quali sono i flussi finanziari posti disposizione degli organismi partecipati, che diventano erogatori di spesa di secondo livello; le decisioni di spesa sono poi assunte liberamente dal management del soggetto partecipato, senza incontrare alcun limite giuridico di scopo e di quantità.
In sede rendicontativa, i risultati negativi dovuti a spesa/costi sovradimensionati rispetto a entrate/ricavi non compaiono nel bilancio pubblico, diminuendo la percezione e la riconoscibilità da parte degli utenti della ragione dell’efficienza o inefficienza del servizio sul terreno della buona amministrazione.
In estrema sintesi: per effetto della esternalizzazione/creazione di organismi partecipati, il bilancio pubblico dell’ente dominus subisce un doppio depotenziamento delle sue funzioni, sia sul versante previsionale-autorizzativo, sia sul versante rendicontativo, con una perdita di un controllo democratico diffuso, soprattutto da parte del cittadino elettore, sulla buona amministrazione delle risorse pubbliche.
Il TUSP costituisce un tentativo di compensare questa perdita di controllo democratico, operando attraverso la “legge”, intesa come espressione democratica della comunità repubblicana.
Lo scopo è “imporre” (anzi “re-imporre”) il rispetto di regole imperative e fondamentali per il buon funzionamento della Repubblica, sia sul versante della sostenibilità della spesa e del debito (il patto di stabilità e l’equilibrio di bilancio), sia sul versante del funzionamento del mercato e delle burocrazie (disciplina dei contratti pubblici e concorso per l’accesso alla pubblica amministrazione).
Del resto, nel medio-lungo periodo, le inefficienze dell’organismo partecipato sono comunque destinate ad avere un impatto negativo su quello stesso bilancio pubblico (da cui la gestione di un servizio e del relativo patrimonio destinato è stato “esternalizzato”).
La sintomatologia di tale fenomeno è ricorrente e può essere così sintetizzata[5].
Inizialmente, la cattiva gestione delle partecipate genera “solo” una “crisi di servizio” a carico degli utenti e dei fornitori. E tuttavia, la riserva patrimoniale di dotazione, alla base della creazione di qualsiasi organismo partecipato, di diritto pubblico o privato, “anestetizza” l’inefficienza sino a quando il peculio pubblico di dotazione (e le erogazioni correnti tramite cui si fiscalizzano in tutto o in parte degli output di prodotto) non è più in grado di sostenere il ciclo finanziario ed economico dell’azienda.
La manifestazione della “crisi di servizio” che colpisce prima gli utenti e i fornitori si manifesta poi in termini finanziari sul bilancio dell’ente territoriale, con un naturale notevole ritardo, spesso con il carattere dell’inevitabilità.
Il bilancio dell’ente territoriale, infatti, subisce gli effetti di gestioni squilibrate prima con una latente sovradimensionamento della spesa per organismi partecipati, poi con improvvisi choc finanziari.
Poiché la spesa degli organismi partecipati è sottratta al controllo autorizzativo sulla spesa da parte del Consiglio e della burocrazia dell’ente dominus, essa si palesa nella sua reale dimensione solo quando lo stato di insolvenza o inefficienza dell’organismo partecipato è tale da richiedere interventi di ripiano, con improvvise richieste di ricapitalizzazione o di copertura di disavanzi di gestione in forma di debiti fuori bilancio (art. 73 D.lgs. n. 118/2011) che hanno, spesso, come alternativa, l’interruzione improvvisa di servizi e funzioni essenziali, che di frequente hanno a che fare con prestazioni costituzionalmente necessarie (LEP, cfr. art. 117, lett. m Cost.).
La separazione dal bilancio della funzione o servizio esternalizzato all’organismo partecipato (ed al suo proprio bilancio) non consente all’ente dominus di avere contezza, se non a distanza di tempo, delle conseguenze di tale inefficienza sul piano della spesa complessiva di sistema. A causa di un ciclo economico che sistematicamente supera i vincoli determinati dall’autonoma capacità di ricavo degli organismi partecipati e dal contratto di servizio, la spesa per le funzioni e servizi esternalizzati, medio tempore, è destinata ad aumentare in quanto: a) il sistema delle partecipate finisce per richiedere una fiscalizzazione dei costi ordinari sempre più alta, via via non sostenibile dal bilancio regionale; b) l’erosione per perdite del capitale/fondo di dotazione e la connessa crisi finanziaria, comporta la necessità di trasferimenti straordinari di ricapitalizzazione e/o ripiano delle perdite/disavanzi di gestione, in forma di debiti fuori bilancio (art. 73 D.lgs. n. 118/2011 e 194 TUEL).
Ciò detto, il TUSP prevede due grandi gruppi di norme, alcune, applicabili a società (e pubbliche amministrazioni intestatarie delle quote e azioni) per il semplice fatto della partecipazione, altre in relazione alla riconoscibilità della qualità del “controllo pubblico”.
Infatti, se è vero che il TUSP, in generale, si applica alle società a “partecipazione pubblica” (art. 1 TUSP), mentre per le prime si detta una disciplina volta a stabilire i criteri di dismissione di partecipazioni “inutili” o “irrilevanti” per gli scopi pubblici, solo per le seconde (cioè le società a controllo pubblico, financo nella forma dell’in house) si dettano norme assai più rigorose ed invasive, con una sostanziale sovrapposizione dello statuto pubblico, che diventa prevalente su quello privato.
In questo post ci si occuperà solo della funzione di “controllo”, distinguendo il diverso impatto di tale funzione di “audit” nelle forme del controllo di legittimità-regolarità (D.L. n. 174/2012, conv. L. n. 213/2012) ovvero in quello “collaborativo” di gestione (art. 3 L. n. 20/1994, nonché art. 7, comma 8 della L. n. 131/2003).
2. Profili di diritto sostanziale rilevanti per la funzione di controllo della Corte dei conti e per il monitoraggio amministrativo del MEF
Il Legislatore è quindi intervenuto, su un duplice piano: quello del bilancio dell’ente dominus e quello dei controlli che questi “devono” esercitare sugli organismi partecipati e sulle partecipazioni che essi hanno in società di diritto comune.
Sul primo versante ha introdotto la disciplina sostanziale dei limiti alle partecipazioni e dell’obbligo dei piani di razionalizzazione e, parallelamente, l’obbligo del bilancio consolidato e di un fondo deputato alla copertura del “rischio perdite e ripiano” derivante dalle società partecipate.
Sul secondo versante ha introdotto una funzione di “indirizzo” da parte del MEF, all’art. 15 TUSP, che può emanare circolari applicative delle norme del Testo unico medesimo, incidendo sull’uniforme interpretazione di tali regole emanati con legge statale da parte di autonomie territoriali.
È una funzione peculiare, perché di fatto il TUSP attribuisce ad un organo dello Stato funzioni di indirizzo, sebbene non vincolante, nei confronti di articolazioni organizzative di enti ad autonomia costituzionale (art. 114 Cost.) che decidono di avvalersi delle forme privatistiche per il loro funzionamento.
Del tutto diverso e non assimilabile è il ruolo giocato dalla Corte dei conti, la quale è una magistratura e, come ha più volte sottolineato la Corte costituzionale, un organo dello è organo dello Stato-comunità (sentenza n. 29/1995) e dello Stato-ordinamento (sentenze n. 267/2006; nonché nn. 179/2007, 37/2011, 198/2012).
In estrema sintesi, il TUSP contiene norme stringenti sul piano dell’acquisto, mantenimento e cessione delle partecipazioni, con una costante verifica funzionale della loro computabilità con l’interesse pubblico (artt. 4-8).
Ove ricorra tale seconda e più pregnante qualità soggettiva (controllo pubblico) la società è altresì assoggettabile ad una complessa disciplina derogatoria delle disposizioni del codice civile in materia di società. Tale disciplina, in estrema sintesi, riguarda i seguenti aspetti:
a) disposizioni sulla governance di cui all’art. 11 (vincolo del numero dei componenti del consiglio di amministrazione, definizione di limiti al trattamento economico degli amministratori, regole sulla incompatibilità/inconferibilità degli incarichi);
b) principi fondamentali sull’organizzazione e sulla gestione (art. 6);
c) disciplina delle crisi d’impresa (art. 14, commi 2 e 3);
d) regole sulla gestione dei rapporti di lavoro (art. 19, commi 1-4);
e) criteri in tema di trasparenza (art. 22).
Parallelamente, lo stesso TUSP ha evocato la funzione di una Magistratura speciale (la Corte dei conti) che nella sue duplice forme del controllo e della giurisdizione (cfr. art. 5, comma 4 e art. 12 TUSP) deve verificare il corretto funzionamento delle società pubbliche e l’enforcemnt delle regole richiamate.
Di seguito si illustrano le prerogative che attengono al controllo della Corte dei conti sugli enti territoriali ex art. 114 Cost., previa una breve disamina dell’istituto dei piani di razionalizzazione.
3. La spending review tramite i piani di razionalizzazione imposti agli enti dominus
Sul piano strettamente contabile, il Legislatore (D.lgs. n.118/2011) ha introdotto il bilancio consolidato e parallelamente, sul piano della governance societaria ha imposto: a) un sistema di controlli interni specificamente dedicato alle proprie partecipate (TUEL), b) la periodica ricognizione della “utilitas” delle partecipazioni, attraverso il TUSP.
Il testo unico, infatti, in continuità con la Legge n. 190/2014 (ossia la legge di stabilità del 2015, specificamente, art. 1, comma 611 e ss., costituente parte del c.d. “Piano Cottarelli di Spending Review), ha imposto che ogni pubblica amministrazione adotti: a) effettui una ricognizione delle partecipazioni; b) adotti specifiche e necessarie misure organizzative per valorizzare ovvero liquidare le partecipazioni in società partecipate.
La direttrice fondamentale del TUPS, che fornisce i criteri della razionalizzazione (cfr. artt. 20, 24 e 4) è la “razionalità” della gestione della stessa società partecipata, vale a dire l’accertamento e perseguimento dello strutturale equilibrio economico-finanziario dell’organismo partecipato.
All’uopo è stata anche prevista la creazione di un adeguato sistema dei controlli interni (per gli enti locali sono state dettate norme organizzative ad hoc, cfr. art. 147-quater e art. 148 TUEL, mancanti per l’ente regionale ma comunque tenuto a provvedere con un’organizzazione dedicata, per i principio di sana gestione).
I piani di razionalizzazione sono dunque misure organizzative periodiche che verifichino le condizioni di mantenimento di singoli organismi e/o l’esigenza di misure correttive sul sistema delle partecipate, onde evitare che per il bilancio regionale la spesa per tali organismi si riveli di fatto priva di copertura e insostenibile finanziariamente.
Scendendo più nel merito dell’istituto, si può affermare che il piano di razionalizzazione è un “atto ricognitivo” che presuppone non solo una fase formale di accertamento dell’interesse (che deve essere inerente alle funzioni istituzionali e, se strumentale, “strettamente necessario”, cfr. art. 4 TUSP e verificare le condizioni di efficienza della spesa desumibile dai criteri di razionalizzazione ex lege, cfr. art. 20, comma 2 TUSP), ma anche di dispiegamento di tale interesse ai sensi di legge (interesse, infatti, che non è una relazione astratta, ma una relazione concreta tra un soggetto e beni della vita, che deve risultare dalla relazione sull’attuazione del piano).
Per tale ragione, in assenza della fase attuativa, l’atto ricognitivo risulta privo di contenuto effettivo, con le conseguenze automatiche previste dalla legge e, segnatamente, dall’art. 24 comma 5 TUSP. In quest’ottica la relazione sui risultati e l’atto di ricognizione periodica – ex art. 20 TUSP – mirano a verificare che il PSR, che è la base programmatica e attuativa di base, corrisponda a misure e interessi sostanziali, in assenza delle quali scatta il meccanismo previsto dall’art. 24, comma 5 TUSP.
Il monitoraggio sulla sussistenza delle condizioni di legge citate è quindi rimessa al dovere di buona amministrazione dell’ente territoriale, che individua, con la programmazione il parametro concreto dell’interesse ed è tenuto a verificare a valle la permanenza dello stesso, eventualmente programmando azioni suppletive o sostitutive.
In quest’ottica, già con il c.d. “piano Cottarelli”, “al fine di assicurare il coordinamento della finanza pubblica, il contenimento della spesa, il buon andamento dell’azione amministrativa e la tutela della concorrenza e del mercato”, gli enti territoriali hanno dovuto avviare un processo di razionalizzazione delle società e delle partecipazioni societarie, direttamente o indirettamente possedute, in modo da conseguire la riduzione delle stesse già a partire dal 31/12/2015, tramite un apposita pianificazione e programmazione (piano di revisione straordinaria, PSR).
In scia a tale riforma, il TUSP ha confermato l’istituto, mettendolo a sistema, nell’ambito di un ciclo continuo di verifica della sua attuazione. Segnatamente:
- ai sensi dell’art. 24, comma 2, nel ribadire criteri, soggetti e forme del piano di razionalizzazione, si è stabilito che doveva essere effettuata una nuova revisione straordinaria, provvedendo all’aggiornamento della precedente alla data del 30 settembre 2017. Segnatamente: “Per le amministrazioni di cui all’articolo 1, comma 611, della legge 23 dicembre 2014, n. 190, il provvedimento di cui al comma 1 costituisce aggiornamento del piano operativo di razionalizzazione adottato ai sensi del comma 612 dello stesso articolo, fermi restando i termini ivi previsti”;
- ai sensi dell’art. 20, le stesse amministrazioni, per le stesse società, provvedono ad effettuare un aggiornamento periodico del piano (annualmente), sulla base degli stessi criteri (piano di razionalizzazione ordinaria, POR);
- infine, ai sensi dell’art. 20, comma 4, “entro il 31 dicembre dell’anno successivo”, con norma che appare riferibile sia al PSR che al POR, deve redigere ed approvare una relazione sui risultati dell’attuazione. Segnatamente, ai sensi dell’art. 20 comma 4 TUSP, «In caso di adozione del piano di razionalizzazione, entro il 31 dicembre dell’anno successivo le pubbliche amministrazioni approvano una relazione sull’attuazione del piano [straordinario e ordinario], evidenziando i risultati conseguiti, e la trasmettono alla struttura di cui all’articolo 15 e alla sezione di controllo della Corte dei conti competente ai sensi dell’articolo 5, comma 4».
Per tutte le tre fasi della razionalizzazione, è previsto che tali documenti siano inviati alla Corte dei conti, “a fini conoscitivi” (art. 5, comma 4, costantemente richiamato dagli artt. 20 e 24 TUSP).
4. Le funzioni di controllo della Corte dei conti
Come già evidenziato, l’atto deliberativo di costituzione della società o di acquisizione di una partecipazione diretta o indiretta, ai sensi dell’art 5, commi 3 e 4 del TUSP, deve essere inviato alla Corte dei conti “a fini conoscitivi”.
Stessa trasmissione è prevista per i piani di razionalizzazione (art. 20 comma 4).
È altresì prescritta analoga comunicazione alla magistratura contabile anche con riguardo ad altre importanti scelte organizzative/gestionali inerenti alle società pubbliche. Sono infatti oggetto di comunicazione: l’acquisto di partecipazioni in società già costituite (art. 8), la quotazione di società a controllo pubblico nei mercati regolamentati (art. 18), così come l’eventuale piano di risanamento, al verificarsi di una crisi di impresa (art. 14, comma 5, da leggere in combinato disposto con i commi 2 e 3 TUSP).
È, altresì, oggetto di comunicazione la deliberazione del Presidente della Regione di esclusione, totale o parziale, di determinate società dalle prescrizioni dell’art. 4 (art. 4, commi 9, secondo periodo) e la deliberazione dell’assemblea della società a controllo pubblico che disponga la composizione collegiale del Consiglio di amministrazione (di 3 o 5 membri anziché amministratore unico, come di regola), ex art. 11, comma 3, d.lgs. n. 175/2016 e per i piani di risanamento delle società pubbliche in crisi (art. 14 comma 5 in combinato disposto con i commi 2 e 3).
È evidente che la richiamata funzione non può avere natura di controllo preventivo con finalità interdittive dell’efficacia dell’atto di costituzione.
Tuttavia, gli atti amministrativi adottati dagli enti dominus “pubblica amministrazione” e concernenti il bene giuridico “partecipazione” in una società di diritto comune, sono trasmessi “a fini conoscitivi” alle Sezioni di controllo competenti (art. 5, commi 3 e 4 e art. 20 comma 3 TUSP).
La legge non specifica né stabilisce nulla di più sul potere di controllo della Corte dei conti, che, come è noto, come ogni giudice, è comunque sottoposto all’egida del principio di legalità e tipicità (art. 101 Cost.)
Si deve dunque presumere che tali atti siano trasmessi per l’esercizio dei generali poteri che la legge già riconosce, senza aggiungere nuove competenze di controllo.
I poteri di controllo esercitabili si devono quindi ricavare per relationem, in base alle sezioni richiamate come “competenti”, dallo stesso TUSP.
Ai sensi dell’art. 5 comma 4 (richiamato poi dall’art. 30 comma 3, dall’art. 20 e dall’art. 14), sono competenti:
- le Sezioni riunite in sede di controllo per gli atti delle amministrazioni dello Stato e degli enti nazionali;
- la Sezione del controllo sugli enti per gli atti degli enti assoggettati a controllo della Corte dei conti ai sensi della legge 21 marzo 1958, n. 259;
- la Sezione regionale di controllo competente per territorio, per gli atti delle regioni e degli enti locali, nonché dei loro enti strumentali, delle università o delle altre istituzioni pubbliche di autonomia aventi sede nella regione,
Sicché, si può affermare che gli atti citati possono costituire materiale istruttorio per l’esercizio delle funzioni di controllo attribuite alle varie Sezioni individuate.
Al riguardo è doveroso precisare che, nel caso delle partecipate pubbliche di competenza della Sezione enti, si tratta di un numero limitato (circa 50) di società partecipate dallo Stato, in cui il controllo si esercita in via diretta sulla società, negli altri casi, in particolare in quelle di competenza delle Sezioni Regionali, il controllo si svolge sull’Ente Locale o sulla Regione e solo in via indiretta sulla società.
La Corte dei conti, quindi, con le Sezioni regionali di controllo, da un lato non effettua un controllo di mera legittimità degli atti trasmessi, ma svolge una verifica di legittimità/regolarità nell’ambito del bilancio dell’Ente partecipante, volta a valutare l’impatto quantitativo che l’eventuale disavanzo della partecipata, può avere sull’equilibrio di bilancio dell’Ente, anche in modo “prospettico”.
Le funzioni di controllo vanno cosi esplicitate:
a) per le Sezioni riunite di controllo, le attività di cognizione svolte nell’ambito del giudizio di parifica, ossia nell’ambito del controllo di legittimità-regolarità, consentono di sindacare la spesa degli erogatori di secondo livello solo attraverso la “relazione allegata” alla decisione di parifica vera e propria (art. 41 R.D. 1214/1934). Analoga rilevanza possono avere tali atti nell’ambito degli ampi controlli “collaborativi” nei confronti delle Amministrazioni centrali, svolti da tale Sezione, attraverso audizioni e referti, elaborati sulla base della programmazione annuale di cui all’art. 3, commi 4 e 5, della legge n. 20 del 14 gennaio 1994);
b) per la Sezione controllo enti, tali atti rilevano nell’ambito dei controlli sui rendiconti che essa svolge su società che sono partecipate da enti o sono inserite esse stesse nell’elenco degli enti cui lo Stato contribuisce in via ordinaria. Si tratta anche in questo caso di poteri che portano all’adozione di “referti” sulla gestione del bilancio e non solo o soltanto sulla legittimità del suo ciclo, in termini di equilibrio;
c) infine, per le Sezioni regionali di controllo, il monitoraggio della Corte sul “gruppo ente territoriale” appartiene alla tipologia dei controlli esterni, controlli che sono stati rafforzati dal D.L. n. 174/2012, mediante disposizioni che si saldano con quelle che attribuiscono alla Corte dei conti il potere di verifica del funzionamento dei controlli interni. In entrambi i casi si tratta di controlli successivi e sulla gestione, in virtù dello statuto di autonomia costituzionalmente garantito agli enti territoriali[6],tali controlli sono stati più volte scrutinati in senso favorevole dalla Corte costituzionale[7].
Con riguardo alla natura vengono in rilevo sia le attività di controllo di legittimità-regolarità che l’attività di controllo sulla gestione, quest’ultima di natura collaborativa[8]. In entrambi i casi i controlli sono svolti sul bilancio degli enti territoriali (artt. 1 e 3 del D.L. n. 174/2012 e art. 7, comma 8, della L. n. 131/2003) valutando le ricadute che su di essi ha la gestione delle partecipate.
Come si è detto, per effetto della rottura dell’universalità di bilancio, difficilmente il mancato rispetto delle regole poste a carico dell’ente dominus o delle società partecipate avrà un impatto diretto sul bilancio del soggetto titolare della partecipazione.
Per impatto diretto, ovviamente, si intende uno squilibrio misurabile perché, sebbene “prospettico”, esso è “attualizzabile”. Così si ricava dall’art. 1 commi 3 e 7 del D.L. n. 174/2012 nonché dall’art. 148-bis TUEL. Una ipotesi di impatto di tal genere, ad esempio, si potrebbe determinare per effetto del mancato rispetto della disciplina del fondo rischi per società partecipate (art. 21 TUSP).
Sicché, la Corte dei conti, con le Sezioni regionali di controllo, da un lato non effettua un controllo di mera legittimità degli atti trasmessi (piano di razionalizzazione e atto di costituzione/partecipazione nella società pubblica) ma effettua solo una verifica di legittimità/regolarità sul bilancio di cui si deve dare prova di un impatto quantitativo in termini di poste che incidono sull’equilibrio di bilancio, anche “prospettico”.
Diversamente, la valutazione di convenienza su cui la legge lascia ampio margine all’ente (cfr. l’art. 4 comma 9 che sostituisce il criterio di legalità ed il vincolo di scopo con la garanzia del procedimento, unitamente all’obbligo di motivazione di cui all’art. 5) in merito al mantenimento della partecipazione, rendono difficilmente sindacabile il mantenimento della partecipazione e anche i criteri sono oggettivi e di stretta interpretazione (cfr. art. 20 comma 2, e artt. 4 e 5 TUSP).
È pur vero che, in teoria, la Corte dei conti può effettuare un controllo di legittimità sull’ente territoriale ovvero ex art. 1, del D.L. n. 174/2012 su enti del servizio sanitario nazionale[9] senza prescrivere misure correttive dell’equilibrio di bilancio, ove questo non sia alterato in modo misurabile, sia pure in senso prospettico.
Si tratterebbe di un controllo su comportamenti e atti di gestione che hanno comunque una influenza “indiretta” e qualitativa sul bilancio, come un rischio di cattiva rappresentazione. Si pensi ad esempio all’area del consolidamento ai fini del bilancio consolidato.
In queste ipotesi la Corte può effettuare un accertamento ai sensi dell’art. 148-bis commi 1 e 2 TUEL, senza contestare un turbamento del bilancio che obbliga a misure correttive nel termine di 60 giorni (comma 3). In tale senso, ad esempio, si sono espresse le Sezioni riunite in speciale composizione che con le sentenze nn. 16, 17 e 25 del 2019 hanno ritenuto che gli accertamenti sul rispetto delle norme del TUSP possa integrare gli estremi di un controllo di legittimità in grado di vincolare i comportamenti dell’ente controllato socio e quindi della società ritenuta a “controllo pubblico”.
La giurisprudenza amministrativa, infatti, ha da tempo affermato che i controlli della Corte dei conti possono generare uno speciale “obbligo di provvedere”: in ossequio a tale costante approdo ermeneutico, l’ente controllato deve porre in essere un procedimento di secondo grado per rimuovere le irregolarità accertate. Si tratta di uno specialissimo caso di “autotutela doverosa” che, come noto, comprende – oltre all’ipotesi di illegittimità dell’atto dichiarata da sentenza passata in giudicato – «quella di illegittimità dell’atto dichiarata da un’autorità di controllo priva del potere di annullamento»[10].
Ciò si può verificare anche in assenza di un obbligo di adottare misure correttive sul bilancio e degli effetti di legge connessi alla loro mancata adozione (blocco della spesa, esercizio provvisorio ed eventuale scioglimento dell’ente, cfr. art. 193 TUEL).
Inoltre, la mancata implementazione delle norme sulla razionalizzazione, può rilevare come titolo di illegittimità causativa di un eventuale danno, che andrebbe comunque comprovato, nell’ambito di un’azione di responsabilità erariale (art. 12 TUSP).
Ed infatti, la verifica, da parte della Sezione di controllo, della non puntuale esecuzione degli obblighi posti in tema di revisione straordinaria delle partecipazioni può portare, secondo le regole generali, alla segnalazione di un’ipotesi di responsabilità amministrativa, con conseguente comunicazione della pronuncia di accertamento alla competente Procura regionale della Corte dei conti (art. 52 D.lgs. n. 174 del 2016).
In estrema sintesi, la disciplina del TUSP impone il compimento di atti di cognizione sulle proprie partecipazioni in organi societari (cfr. in particolare gli artt. 4, 5, 6, 7, 8, 20 e 24 TUSP), ma sugli stessi non è previsto un distinto e speciale potere di controllo della Corte dei conti.
Sussistono i poteri generalmente esercitati dalle Sezioni competenti cui tali atti vanno inviati e che sono strumentali ad accertamenti e a funzioni di referti che competono alle Sezioni di cui all’art. 5 comma 4 TUSP.
Il controllo di legittimità-regolarità è esercitato in buona sostanza, per tali atti, indirettamente, solo dalle Sezioni regionali di controllo che pero possono effettuare accertamenti di due tipi: accertamenti di irregolarità che sono strumentali a dare una corretta ricostruzione dei saldi e delle vicende rilevanti per gli stessi, senza che ciò abbia inciso sugli equilibri di bilancio (art. 148-bis commi 1 e 2; art. 1 comma 3 del D.L. n. 174/2012); b) accertamenti di illegittimità incidenti sui saldi di equilibrio.
Sia nel caso di un accertamento strumentale del primo tipo (commi 1 e 2 dell’art. 148-bis TUEL; art. 1 comma 3 del D.L. n. 174/2012) sia del secondo tipo (obbligo di misure correttive, ex comma 3 dell’art. 148-bis TUEL e art. 1 comma 7 degli enti del servizio sanitario nazionale), l’accertamento della Corte può dare certezza all’area di applicazione del TUSP per gli enti, influendo sugli interessi non solo dell’ente controllato, ma anche delle società partecipate e degli altri soci, profili per cui potrebbe attivarsi la speciale giurisdizione delle Sezioni riunite in speciale composizione, ex art. 11, comma 6, lett. e) del Codice di giustizia contabile.
Può per altro verso essere svolto un controllo collaborativo da tutte le Sezioni competenti.
In questo caso, Il controllo può riguardare la complessa attività svolta dall’ente dominus, parametrata allo standard “di fatto” costituito dallo stesso piano di razionalizzazione (e alle sue modifiche) adottato nel corso del tempo, alla stregua delle “varie” misure di razionalizzazione possibili, in presenza dei presupposti di legge, alternativamente ed in aggiunta alle misure di alienazione, fusione, soppressione (cfr. la congiunzione “anche” nell’art. 20, comma 1 TUSP).
Il parametro di valutazione è quindi costituto dallo stesso disegno organizzativo tracciato dall’ente dominus e dai principi di efficienza, efficacia ed economicità declinato alla luce delle best practices dell’economia aziendale che devono orientare la discrezionalità amministrativa dell’ente controllato.
Nella misura in cui le scelte possano produrre una violazione del principio di proporzionalità o in un impatto diretto sul bilancio, le risultanze di tale controllo possono costituire materiale istruttorio dei controlli di legittimità-regolarità sopra indicati , con tutte le garanzie giurisdizionali di legge.
Diversamente, la valutazione di convenienza su cui la legge lascia ampio margine all’ente (cfr. l’art. 4 comma 9 che sostituisce il criterio di legalità ed il vincolo di scopo con la garanzia del procedimento, unitamente all’obbligo di motivazione di cui all’art. 5) in merito al mantenimento della partecipazione, rende difficilmente sindacabile tale profilo se non per criteri oggettivi e di stretta interpretazione (cfr. art. 20, comma 2, e artt. 4 e 5 TUSP).
5. Il giudizio di accertamento sullo “status” del socio e la qualificazione della società: le sezioni regionali di controllo e le Sezioni riunite in speciale composizione
Le Sezioni centrali, dunque, svolgono funzioni, essenzialmente di controllo “collaborativo”. Di contro, quando il controllo sul rispetto delle norme del TUSP è effettuato dalle Sezioni regionali, il controllo che esse di norma[11] mettono in campo si ascrive a quello di legittimità-regolarità[12], sebbene le informazioni e gli atti di cui sopra vengano inizialmente inviati solo “a fini conoscitivi”, per poi essere introiettati quale materiale istruttorio e valutativo nell’ambito dei poteri di giudizio in tema di equilibrio di bilancio, con la capacità di vincolare l’ente controllato (e la società) all’accertamento contenuto nell’atto di controllo.
Infatti, quando l’accertamento contenuto nella pronuncia contabile si ascrive all’ambito dei controlli di legittimità-regolarità, il contenuto della deliberazione (il giudizio logico normativo “dicotomico” in essa espresso) è in grado di diventare “definitivo” (C. cost. sent. n. 18/2019), per ciò stesso, in grado di vincolare l’ente controllato e, per mezzo di esso, capace di incidere su interessi di soggetti non direttamente posti sotto controllo, ma che dall’accertamento possono essere pregiudicati. È questo il caso della società pubblica medesima, la quale potrebbe maturare perciò un interesse ad una tutela giurisdizionale “piena” dinanzi ad un giudice.
In tal caso, è ormai indiscussa la giurisdizione esclusiva delle Sezioni riunite in speciale composizione, ai sensi dell’art. 11, comma 6, lett. e) del Codice di giustizia contabile, le quali giudicano in “unico grado” e con le forme del giudizio ad istanza di parte (art. 123 D.lgs. n. 174/2016)[13].
Secondo la Corte costituzionale, infatti, il sistema costruito dal Legislatore fa del controllo di legittimità-regolarità una fase “giustiziale” (cioè idoneo ad accertare il diritto nel caso concreto, in relazione ad interessi finanziari adespoti, cfr. in questi termini C. cost. n. 18/2019), in cui vengono emesse decisioni che possono diventare “definitive”.
Quella dinanzi alla Sezione regionale di controllo che svolge un controllo di legittimità-regolarità si può definire, per forme, una fase “cautelare”, nel senso che non è ammessa la necessaria rappresentazione di tutti gli interessi coinvolti.
In tale fase, è prevista solo la partecipazione necessaria degli organi di rappresentanza dell’ente controllato. In altre parole, i dicta emessi in questa fase tendono a corrispondere a provvedimenti giudiziari messi “inaudita altera parte”; “altra parte” che altro non è che il pubblico ministero contabile, aggregatore degli interessi della finanza pubblica allargata nonché i terzi “controinteressati” che possono essere indirettamente pregiudicati dagli obblighi di agire che scaturiscono sul soggetto controllato.
In buona sostanza, il sistema della cointestazione delle funzioni la loro giustiziabilità all’interno dello stesso plesso magistratuale ha portato a costruire un sistema di cognizione piena ed esclusiva sul bilancio che si articola in una fase cautelare “necessaria” dinanzi alla Sezione regionale di controllo – ossia quella del controllo di legittimità-regolarità che si instaura nel normale ciclo di bilancio e che genera “pronunce di accertamento” – ed una eventuale, di merito, che ha lo stesso oggetto di accertamento (thema decidendum), che si traduce in un novum iudicium, in unico grado, dinanzi alle Sezioni riunite in speciale composizione, nella pienezza delle forme giurisdizionali e di difesa[14].
5.1. La questione della legittimazione e dell’interesse a ricorrere della società pubblica dinanzi alle Sezioni riunite
Tale fase eventuale si radica per effetto del ricorso di chi vi abbia un interesse giuridico qualificato. Questo comporta, in primo luogo, una generale legittimazione al ricorso anche da parte di soggetti diversi dal controllato, che siano portatori di interessi giuridicamente rilevanti, in grado di incidere sulla loro sfera giuridica.
Del resto, il richiamo, da parte del Codice di giustizia contabile, alla giurisdizione esclusiva, piena ed in unico grado in materia di contabilità pubblica, è una forma di riaffermazione della non sindacabilità “esterna” degli atti di controllo. Essa comporta che le pronunce di accertamento adottate dalle Sezioni regionali di controllo, in quanto atti emessi nell’effettivo esercizio del relativo potere attribuito alla Corte dei conti, sono “non sindacabili da parte di altro giudice diverso dalle Sezioni riunite della stessa Corte in speciale composizione” (SS.RR. sentt. 12/2016/EL, 2/2013/EL, 6/2013/EL).
La cointestazione della funzione, infatti, risponde all’esigenza che non venga in alcun modo meno la piena garanzia di indipendenza e terzietà della funzione di controllo “che risulterebbe inevitabilmente lesa laddove la funzione del controllo dovesse abdicare ad un Giudice diverso, al quale, in buona sostanza, resterebbe affidata ogni decisione finale in ordine alla tutela delle legittimità e della corretta gestione finanziaria che, invece, la Costituzione intesta alla Corte dei conti” (SS.RR. sent. 25/2014/EL).
In buona sostanza, dall’impossibilità che le deliberazioni delle Sezioni regionali di controllo possano essere sindacate da un giudice diverso dalla stessa Corte dei conti, ai sensi del combinato disposto dell’art. 100 comma 2 e 103 comma 2 Cost. (di cui la competenza indicata dall’art. 11 comma 6 lett. e) D.lgs. n. 174/2016 è una riaffermazione), discende che deve ammettersi la legittimazione anche di soggetti diversi dal controllato, ad esempio, da parte delle società partecipate da questo (SS.RR. n. 8/2019/EL).)
Le società partecipate sono perciò legittimate attivamente «a ricorrere avverso un asserito non corretto esercizio della funzione di controllo, anche da parte di tutti coloro che, pur non avendo partecipato al relativo procedimento, dall’esito dello stesso fanno discendere lesioni di situazione giuridiche soggettive di cui sono titolari, a meno che tali lesioni conseguano a vizi propri dei conseguenziali atti dell’autorità amministrativa». Ossia la stessa società partecipata dalla pubblica amministrazione (SS.RR. n. 8/2019/EL).
Altra questione è verificare la sussistenza dell’interesse a ricorrere: deve infatti sempre sussistere “un giudice a Berlino”, quando la decisione può determinare un effetto pregiudizievole per un soggetto che non sia stato coinvolto nella fase “cautelare” del controllo, altrimenti violandosi l’art. 24 Cost. Ciò presuppone, a sua volta, che la pronuncia di controllo non sia meramente “collaborativa”, ma espressione di un controllo di “legittimità-regolarità”.
La società partecipate, dunque, non solo può essere un soggetto legittimato al ricorso, ma vi ha “interesse” nella misura in cui la delibera della sezione regionale integri tutte le caratteristiche del controllo di legittimità-regolarità secondo la griglia identificativa che più sopra è stata elaborata. Non è infatti possibile che un accertamento possa avere effetti pregiudizievoli pretercludendo la possibilità di difesa giurisdizionale e l’accesso ad un giudice (C. cost. sent. n. 39/2014, § 6.3.4.3.3 cons. in diritto).
Come si è detto, quando le Sezioni regionali di controllo accertano in “forma sentenza” il rispetto del TUSP da parte di una pubblica amministrazione controllata, adottano non una pronuncia “collaborativa” (come si è ritenuto con SS.RR. sent. n. 8/2019/EL) ma un controllo di legittimità-regolarità (sentt. 16, 17, 25/2019/EL, nonché n. 1/2020/RIS).
Si può infine discutere a chi appartenga la giurisdizione nel caso in cui, invece, l’ente dominus non esegua i dicta di accertamento.
In tali casi, per le stesse ragioni sopra esposte, la giurisdizione del giudice amministrativo per il silenzio inadempimento dovrebbe essere recessiva, di fronte a quella piena ed esclusiva della Corte dei conti (art. 103, comma 2 Cost.), esercitabile nelle forme del giudizio ad istanza di parte, promosso, innanzi alle Sezioni riunite, dal P.M. contabile ai sensi e per gli effetti di cui all’art. 11, comma 6, lett. e) del Codice di giustizia contabile: la materia del sindacato del bilancio, infatti, è l’unica materia di contabilità pubblica espressamente codificata dal Costituente con l’art. 100, comma 2, Cost.
Tuttavia, l’attivazione di questo particolare rimedio di “ottemperanza” si scontra con la debolezza degli interessi che in questo caso vengono in gioco, di norma solo diffusi e non legittimi: manca infatti un portatore qualificato di interesse diffuso, che, nel caso del bilancio, spesso manca. Sicché, appare evidente la necessità di valorizzare, anche in sede di controllo, la funzione del P.M. contabile[15].
Note
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Cfr. SRC Lombardia, pronuncia di accertamento n. 515/2013/PRSP. ↑
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Cfr. G. Severini, La sicurezza giuridica e le nuove implicazioni della nomofilachia. Editoriale, in Federalismi, n. 19/2018. ↑
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Il principio dell’universalità del bilancio (cfr. art 24 della L. n. 196/2009 e All. 1 del D.lgs. n. 118/2011) stabilisce che tutte le entrate e tutte le spese dello Stato e delle pubbliche amministrazioni in generale devono trovare adeguata collocazione nel bilancio pubblico, nell’intento di fornire un quadro fedele e completo, universale appunto, dell’attività concernente la provvista finanziaria complessivamente disponibile per la realizzazione degli scopi pubblici. Sono pertanto vietate, in via di principio, le c.d. gestioni extra-bilancio, cioè̀ quelle costituite con fondi dello pubblici, ma amministrati al di fuori del bilancio e delle norme che ne regolano l’esecuzione, cfr. D. Da Empoli – P. De Ioanna – G. Vegas, Il bilancio dello Stato. La finanza pubblica tra Governo e Parlamento, Milano, 2005. Cfr. altresì G. Lo Conte, Equilibrio di bilancio, vincoli sovranazionali e riforma costituzionale, Torino, 2016. Sul collegamento tra universalità e democrazia cfr. M. Laze, decisione di bilancio, principio democratico e revisione della costituzione repubblicana, in Gruppo di Pisa. La Rivista, n. 3/2013. ↑
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Su tale corrispondenza biunivoca (sul terreno della circolazione del patrimonio come universitas, non della necessaria corrispondenza tra autonomie e soggettività) cfr. F. Fimmanò, La Cassazione scivola sulla revocatoria “selettiva” della scissione, in Giustizia civile.com, 8 gennaio 2020, su http://giustiziacivile.com/societa-e-concorrenza/approfondimenti/la-cassazione-scivola-sulla-revocatoria-selettiva-della .
Cfr. altresì P. Iamiceli, Unità e separazione di patrimoni, Padova, 2003, 13 ss.; F. Ferrara, La teoria della persona giuridica, in Riv. dir. civ., 1911, p. 669, L. Bigliazzi Geri, A proposito di patrimonio autonomo e separato, in Rapporti giuridici e dinamiche sociali. Principi, norme interessi emergenti. Scritti giuridici, Milano, 1998, nonché P.G. Jaeger, La separazione del patrimonio fiduciario nel fallimento, Milano, 1968. ↑
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Cfr. le conclusioni della Relazione della Corte dei conti sui piani di razionalizzazione della Regione Campania e del Comune di Napoli, SRC Campania, nn. 119 e 120/2019/COMP. ↑
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Si rammenta che, nel sistema dei controlli riformato dal DL. n. 174/2012, sono state sì disciplinate misure di tipo impeditivo, a norma dell’art. 148-bis, D.lgs. n. 267/2000, in conseguenza dell’esito delle verifiche di sana gestione finanziaria di cui alla l. n. 266/2005. È, infatti “preclusa l’attuazione dei programmi di spesa per i quali è stata accertata la mancata copertura o l’insussistenza della relativa sostenibilità finanziaria” se l’ente locale non adotta, nel termine prefissato, i “provvedimenti idonei a rimuovere le irregolarità e a ripristinare gli equilibri di bilancio”. In ogni caso, l’effetto impeditivo consegue ad una valutazione complessiva dei bilanci degli enti inquadrabile nel controllo sulla gestione, escluso ogni accertamento della legittimità di singoli atti. ↑
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La Consulta, con sent. cost. 10 marzo 2014, n. 40 ha affermato che, in presenza di (cogenti) vincoli europei di finanza pubblica (patto di stabilità esterno e interno), i controlli «hanno assunto progressivamente caratteri cogenti nei confronti dei destinatari (sent. cost. n. 60/2013), proprio per prevenire o contrastare gestioni contabili non corrette, suscettibili di alterare l’equilibrio del bilancio (art. 81 Cost.) e di riverberare tali disfunzioni sul conto consolidato delle pubbliche amministrazioni, vanificando conseguentemente la funzione di coordinamento dello Stato finalizzata al rispetto degli obblighi comunitari». Al riguardo, la Corte, con la stessa sent. cost. n. 40/2014, ha osservato che «il controllo di legittimità e regolarità contabile attribuito alla Corte dei conti per questi particolari obiettivi si risolve in un esito dicotomico (sentenze n. 179 del 2007 e n. 60 del 2013), nel senso che ad esso è affidato il giudizio se i bilanci preventivi e successivi siano o meno rispettosi del patto di stabilità, siano deliberati in equilibrio e non presentino violazioni delle regole espressamente previste per dette finalità».
Infine, la Corte costituzionale ha ritenuto che le disposizioni sulle rinnovate funzioni della Corte dei conti siano «ascrivibili all’ambito materiale dell’armonizzazione di bilanci pubblici e coordinamento della finanza pubblica (sent. cost. 6 marzo 2014, n. 39)» e che le verifiche svolte dalle Sezioni regionali di controllo mediante le relazioni del Collegio dei revisori diano luogo a «controlli di natura preventiva finalizzati ad evitare danni irreparabili all’equilibrio di bilancio» (sent. cost. 5 aprile 2013, n. 60). ↑
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Come è noto, fronte di una unitaria funzione, è ormai ius recptum la classificazione di tali controlli in due grandi categorie, che ormai costituiscono una vera e propria summa divisio: ossia la distinzione tra controlli “collaborativi” e controlli di legittimità-regolarità.
La chiara distinzione tra le due forme di controllo e l’indicazione della necessità della “forma sentenza”, in ragione del tipo di parametro utilizzato, è contenuta nella sentenza C. cost. 14 febbraio 2019, n. 18 e già “evocata” sentenze C. cost. 5 aprile 2013, n. 60, 6 marzo 2014, n. 39 e 10 marzo 2014, n. 40 che parlano di giudizio “dicotomico”.
Nel caso del bilancio, l’effetto minimo e comune, a fronte dell’accertamento di uno squilibrio nelle poste
Il discrimen tra le due funzioni di controllo si può tracciare su tre versanti: (cfr. C. cost. sent. 60/2013 nonché 39 e 40 del 2014):
a) il parametro, (rigorosamente normativo nel caso del controllo di legittimità -regolarità, aperto alle best practice e al merito amministrativo nel caso del controllo “gestionale” in senso ampio);
b) la forma della decisione (forma-sentenza anziché forma referto);
c) gli effetti di legge collegati all’accertamento (cfr. sentenze n. 228/2017, n. 89/2017, n. 18/2019 e n. 4/2020), che sono definiti dalla legge e sono suscettibili di forme di esecuzione che bypassano la collaborazione dell’ente controllato.
Nel caso del controllo di gestione, l’estensione del parametro a criteri di efficacia-efficienza-economicità a largo spettro, anche fuori del limite legale di ragionevolezza e proporzionalità, è effetto e causa della forma (il referto).
Nel caso della del controllo di legittimità, invece si procede ed emanare una vera e propria “decisione” su un oggetto di indagine definito (il bilancio) ed un caso specifico, sulla base di norme di legge. In buona sostanza, l’esito del controllo è il prodotto sillogistico e dicotomico dell’applicazione della legge ad un caso. Il contenuto si tale decisione è dunque un “accertamento” a cui la legge ricollega effetti determinati.
Nel caso del referto, invece, il contenuto della deliberazione non è comunque una decisione, perché la legge non affida alla Corte né la cura di un interesse specifico, né di accertare la conformità a solo diritto del ciclo di bilancio. In pratica, il controllo collaborativo di gestione affida alla Magistratura contabile il compito esprimere un giudizio aperto a criteri di buona pratica. Di qui, la forma “referto” e l’affidamento del risultato del giudizio all’“autocorrezione”. ↑
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Cfr., per esempio, SRC Veneto, deliberazioni n. 26/2017/PRSE; SRC Lombardia, deliberazioni n. 17 e 79/2016/VSG; SRC Marche, deliberazioni n. 54/2017/VSG, n. 56/2017/VSG, n. 62/2017/VSG) ↑
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T.A.R. Campania, Napoli, Sez. IV, sentenza 3 aprile 2012, n. 1527. Prosegue la sentenza: «È, peraltro, pacifico in giurisprudenza che per gli atti che esplicano effetti giuridici ripetuti nel tempo il principio di legalità impone all’Amministrazione il loro adeguamento in ogni momento al quadro normativo di riferimento. In tali ipotesi l’interesse pubblico all’esercizio dell’autotutela è “in re ipsa” e si identifica nella cessazione di ulteriori effetti “contra legem”, cfr. Consiglio di Stato VI, sentenza 17 gennaio 2008, n. 106»). ↑
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Non così le deliberazioni nn. 119 e n. 120/2019 della Sezione regionale di controllo campana, che si ascrive al controllo collaborativo, esercitato ai sensi dell’art. 7 comma 8 della Legge La Loggia. ↑
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Nel caso della del controllo di legittimità, invece si procede ed emanare una vera e propria “decisione” su un oggetto di indagine definito (il bilancio) ed un caso specifico, sulla base di norme di legge. In buona sostanza, l’esito del controllo è il prodotto sillogistico e dicotomico dell’applicazione della legge ad un caso. Il contenuto si tale decisione è dunque un “accertamento” a cui la legge ricollega effetti determinati.
Nel caso del referto, invece, il contenuto della deliberazione non è comunque una decisione, perché la legge non affida alla Corte né la cura di un interesse specifico, né di accertare la conformità a solo diritto del ciclo di bilancio. In pratica, il controllo collaborativo di gestione affida alla Magistratura contabile il compito esprimere un giudizio aperto a criteri di buona pratica. Di qui, la forma “referto” e l’affidamento del risultato del giudizio all’“autocorrezione”.
Di seguito, il modello è stato arricchito con l’ulteriore introduzione di altri controllo-referto quali: il controllo sulla copertura finanziaria delle leggi di spesa (art. 11-ter L. n. 468/1978); il referto sul costo del lavoro pubblico (art 65 D.lgs. n. 29/1993, ora riprodotto dall’art. 60 del D.lgs. n. 165/2001); la certificazione finanziaria dei contratti collettivi di lavoro (art. 51 D.lgs. n. 29/1993, oggi riprodotto nell’art. 47 del D.lgs. n. 165/2001).
Il recupero e l’aggancio del controllo a parametri di natura esclusivamente normativa nonché la conseguente della forma “sentenza” delle pronunce che vengono adottate in esecuzione di tale controllo – è stato, peraltro, il precipitato immediato del ritorno ad un giudizio agganciato a parametri esclusivamente normativi, come imposto dal D.L. n. 174/2012.
Il D.L. n. 174/2012, convertito nella L. n. 213/2012, la L. cost. n. 1/2012 nonché, infine, la L. n. 243/2012, hanno mutato il contesto normativo di riferimento e la finalità stessa del controllo: lo scopo non è più sorreggere mutamenti “autocorrettivi” da parte dell’amministrazione, ma l’enforcement del principio di legalità, rispetto al c.d. “bene pubblico”, bilancio (Corte Cost., sentenze n. 184/2016, n. 228/2017 e n. 274/2017, n. 80/2017). Con riferimento al dibattito parlamentare in corso prima dell’approvazione della revisione costituzionale del 2011, ancora, da G. Bognetti, Il pareggio del bilancio nella carta costituzionale, in Rivista AIC, 4/2011, reperibile alla pagina web http://www.rivistaaic.it/il-pareggio-del-bilancio-nella-carta-costituzionale.html ; A. Morrone, Pareggio di bilancio e stato costituzionale, in Rivista AIC, 1/2014, paragrafo 6, reperibile alla pagina web http://www.rivistaaic.it/pareggio-di-bilancio-e-stato-costituzionale.htm l; A. Brancasi, (voce) Bilancio (equilibrio di), in Enc. dir., Milano, 2014, Annali VII.
Il concetto di “bene giuridico” e la sua elaborazione dogmatica si deve principalmente alla dottrina civilistica. Il bene della vita, in buona sostanza, è un’utilità che può soddisfare un bisogno di un soggetto, il quale, rispetto ad esso ha, quindi, un “interesse”. Tale interesse si può sviluppare in concreto secondo la nota dicotomia “interesse a conseguire”/“interesse a conservare”, cfr. R. Nicolò, Istituzioni di diritto privato, I, Milano, 1962, p. 11. Il bene della vita verrà col tempo indentificato con utilità che possono non avere un contenuto patrimoniale, P. Perlingieri, Profili del diritto civile , Napoli, 1994, p. 36, indicando in generale «la tensione della volontà di un soggetto verso la conservazione o il conseguimento di un bene patrimoniale (interesse patrimoniale o economico) ovvero di una situazione esistenziale da cui dipende il benessere del suo titolare (interesse non patrimoniale o non economico) è necessario tenere conto delle conseguenze che la realizzazione dell’interesse può produrre nel mondo giuridico». L’interesse, per contro, non è il bene, ma «il valore relativo che un determinato bene ha per un certo soggetto», F. Santoro-Passarelli, Dottrine generali di diritto civile, Milano, 2002 (1966), p. 70. ↑
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Tale tipo di giudizio, prevede procedimenti tipizzati, individuati dall’art. 172, comma 1, lettere da a) a c), del D.lgs. n. 174 del 2016 (Codice della giustizia contabile, c.g.c.), accanto ad altri, per così dire “innominati”. Quest’ultimi sono definiti o in via generale dall’art. 172, comma 1, lettera d), del c.g.c., il quale prevede che la Corte giudica «su altri giudizi ad istanza di parte, previsti dalla legge e comunque nelle materie di contabilità pubblica, nei quali siano interessati anche persone o enti diversi dallo Stato». Sul tema cfr. A Carosi, Il sindacato sugli atti di natura finanziaria tra Corte costituzionale e magistrature superiori, dal volume sugli atti del convegno del 16-17 marzo dedicato alla Magistratura contabile sul tema: Il diritto del Bilancio e il Sindacato sugli atti di natura finanziaria, Milano, 2019, p. 65 e ss. ↑
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Per questa ricostruzione dogmatica, in senso conforme cfr. Sezioni riunite in speciale composizione, sent. n. 23/2019/EL (dove si parla di giurisdizione di diritto obiettiva sul ciclo di bilancio) e SRC Campania, pronuncia di accertamento n. 11/2020/PRSP (che disapplica regolamenti ministeriali nell’esercizio dei poteri dell’autorità giudiziaria ex artt. 4 e 5 L. n. 2248/1865, allegato E). Per quanto attiene invece alle vicende giurisprudenziali scaturite sul tema del “controllo pubblico“, cfr. V. Occorsio – R. Ranucci, Società pluripartecipate: controllo pubblico, controllo analogo congiunto e partecipazioni “pulviscolari”, in Rivista della Corte dei conti, n. 5/2019 e O. Caleo, La giustiziabilità delle delibere di controllo della Corte dei conti: evoluzione normativa e orientamenti giurisprudenziali (2a parte), in Azienditalia, n. 11/2019.↑
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Sul tema, amplius, si permetta di rinviare a F. Sucameli, La “iurisdictio” contabile e la tutela degli interessi diffusi nell’ottica dell’attuazione “domestica” del principio costituzionale dell’equilibrio di bilancio, in Federalismi.it, n. 21/2017.↑