Il presente lavoro si inserisce nell’ambito di un dossier in due parti, curato dal Cons. Francesco Sucameli, e dedicato ai controlli della Corte dei conti sulle società a partecipazione pubblica.
La prima parte (questa) attiene ai diversi statuti di “partecipazione” degli enti pubblici dominus nelle società di diritto privato.
La seconda parte è dedicata alle ragioni e alle caratteristiche del controllo giudiziario della Magistratura contabile (vai a questo link, clicca qui).
Di seguito, inoltre, la Redazione riporta i link a tutte le pronunce e gli orientamenti interpretativi via via emersi (con l’intento di mantenerli costantemente aggiornati, almeno per il 2020).
Buona lettura
La Redazione
Giurisprudenza
- Sezioni riunite in speciale composizione: sentt. n. 8/2019; 16/2019; n. 17/2019; n. 25/2019; n. 1/2020
- Consiglio di Stato: 578/2019; n. 1564/2020
- TAR: Veneto 363/2018; Marche 695/2019
- Sezioni riunite di controllo: 11/2019
Amministrazione
- MEF: orientamento 15 febbraio 2018
- ANAC: deliberazione n. 1134/2017 (recante le linee guida per l’attuazione della normativa in materia di prevenzione della corruzione e trasparenza, da parte delle società e degli enti di diritto privato controllati e partecipati da pubbliche amministrazioni).
La tormentata nozione di “controllo pubblico” nel TUSP
di Francesco Sucameli
Sommario: 1. Una nozione di diritto singolare: l’art. 2 TUSP; 2. Controllo monocratico, congiunto e disgiunto. Il grado di disgiunzione ammessa; 3. La prova del controllo pubblico disgiunto: ammissibilità di “presunzioni”.
1. Una nozione di diritto singolare: l’art. 2 TUSP
Il TUSP si preoccupa di dare una definizione precisa del concetto di “controllo pubblico”[1] con l’evidente intento di arricchire, specificare o in qualche modo divergere da quella civilistica di “controllo societario” cui all’art. 2359 c.c..
Si definiscono infatti “a controllo pubblico” la società in cui «una o più amministrazioni pubbliche esercitano poteri di controllo ai sensi della lett. b)» (art. 2, c. 1 lett. m) TUSP).
La norma fa così un rimando alla nozione di “controllo” stabilita dall’art. 2, c. 1 lett. b), che a sua volta rinvia alla «situazione descritta nell’art. 2359 c.c».
Quindi, con una tecnica di drafting “singolare”, la legge, dopo avere richiamato la nozione civilistica, con la stessa disposizione, precisa che «Il controllo può sussistere anche quando, in applicazione di norme di legge o statutaria o di patti parasociali, per le decisioni finanziarie e gestionali strategiche relative all’attività sociale è richiesto il consenso unanime di tutte le parti che condividono il controllo».
Pertanto, appare evidente che il Legislatore ha esteso la nozione di controllo a situazioni che si collocano o si possono collocare oltre il dettato dell’art. 2359 c.c., dove, per legge, per statuto o in forza di patti parasociali, per le decisioni finanziarie e gestionali strategiche relative all’attività sociale è richiesto il consenso unanime di tutte le parti che condividono il controllo.
Su questo, gli orientamenti interpretativi che si confrontano – e di cui a breve si dirà sinteticamente – infatti, concordano. Altra questione è se questa “diversione” dalla nozione civilistica possa o meno spingersi al punto da annullare la proteiformità[2] della pubblica amministrazione ed il principio di autonomia che l’attraversa in termini costituzionali, rompendo lo stesso senso fondamentale sotteso all’id quod plerumeque accidit, in relazione a ciò che si intende “controllo”.
2. Controllo monocratico, congiunto e disgiunto. Il grado di disgiunzione ammessa
I problemi interpretativi che la citata norma pone, dunque, sono i seguenti:
a) se l’appartenenza dei soci alla P.A. estesamente considerata, di per sé, implichi un coordinamento rilevante per la “legge, tale da potere considerare tutti i soci egualmente “pubbliche amministrazioni”, realizzando un unitario controllo ai sensi dell’art. 2359 c.c. . In quest’ottica la partecipazione pubblica maggioritaria è di per sé “controllo” di diritto (art. 2359 n.1);
b) in caso contrario, se il coordinamento tra varie partecipazioni pubbliche possa comunque “presumere” da fatti concludenti o debba essere “formalizzato” [3] in accordi in forma scritta.
Per rispondere a queste domande, ancora più a monte, occorre chiedersi se già per l’art. 2359 sia ammissibile il c.d. “controllo congiunto”. Per concorde definizione, si ritiene “controllo congiunto” la capacità direzionale che si determina mediante il coordinamento dell’esercizio di voto partecipazioni intestate a più soci , nessuna delle quali idonea a consentire la prevalenza di un socio rispetto agli altri.
L’ammissibilità di una simile forma di controllo è stata in origine negata: secondo una parte della dottrina[4] e della giurisprudenza più risalenti [5], infatti, l’art. 2359 c.c. ammetterebbe esclusivamente il controllo monocratico.
Successivamente, sia sul versante accademico che su quello della prassi giudiziaria, si sono registrate diverse aperture ad una nozione più flessibile di “controllo”, ammettendo il controllo congiunto attraverso un coordinamento negoziale.
Tale coordinamento, ritenuto rilevante ed ammissibile per l’art. 2359, si sarebbe realizzato attraverso i “sindacato di voto”[6]. Dopo le iniziali incertezze, ogni dubbio sull’ammissibilità della figura è stato fugato per via legislativa, con la disciplina dedicata ai patti parasociali (art. 2341-bis e ss.), in particolare con l’art. l’art. 2341-bis c.c. (disposizione che definisce forma, causa e contenuto dei siffatti patti negoziali).
Ai sensi della norma da ultimo richiamata, infatti, i patti parasociali possono essere legittimamente stipulati “al fine di stabilizzare gli assetti proprietari o il governo della società” e possono avere per oggetto “l’esercizio del diritto di voto nelle società per azioni o nelle società che le controllano”.
Appare evidente, che l’art. 2341-bis integra un vero e proprio combinato disposto con dell’art. 2359, che nel definire i presupposti e le forme del controllo societario, evoca il c.d. “controllo di fatto” (n. 2, da parte di minoranze coordinate) ed il “controllo esterno” (n. 3, in forza di particolari vincoli contrattuali).
Tanto premesso, la particolare e non certo adamantina tecnica di drafting dell’art. 2, comma 1, lett. b) ed m) del TUSP, è fonte di notevoli incertezze, perché finisce per allagare ulteriormente la nozione di controllo, con una formulazione incerta, ossia, un doppio rinvio, volto a codificare una nozione “speciale” di “controllo pubblico” che, però, deve fare i conti con stessa con la capacità del significante (la parola normativa) di esprimere un coerente significato in rerum natura (un controllo effettivo, che non finisca per convivere o addirittura contrastare con il controllo in senso civilistico).
L’involuta tecnica di drafting non ha mancato di provocare contrasti interpretativi, tra giudici e tra questi e le pubbliche amministrazioni chiamate ad emettere atti di soft law (in particolare il MEF, nell’esercizio delle sue funzioni di “indirizzo” di cui all’art. 15 TUSP).
Un primo orientamento (orientamento del 15 febbraio 2018 del Ministero dell’economia e delle finanze) non si limita a richiamare e ritenere rilevante il “controllo congiunto”, ma ritiene altresì che esso sussista, per la lettera e la ratio della legge (orientata a introdurre semplicemente una disciplina per la compressione dei costi di gestione delle società partecipate) anche laddove vi sia una maggioranza, assoluta o relativa, determinata dalla mera somma aritmetica delle partecipazioni ascrivibili a diverse e distinte pubbliche amministrazioni.
Secondo questa impostazione, il concetto di “pubblica amministrazione” evocato dall’art. 2 TUSP può e deve essere inteso unitariamente , nel presupposto che la proteiformità della pubblica amministrazione, non sia un ostacolo al controllo pubblico.
Questa impostazione ricorre anche nelle linee guida “anticorruzione” dell’ANAC[7] .
In buona sostanza, per ANAC e MEF, la nozione di “controllo” elaborata per il TUSP è una nozione di diritto singolare elaborata “ai fini” precipui del TUSP medesimo, senza che si debba per forza sovrapporre o farla coincidere con quella di diritto comune.
In senso conforme a questo orientamento si sono espresse le Sezioni regionali di controllo della Corte dei conti e anche le Sezioni riunite dei controllo[8] che evidenziano un dato testuale che ritengono coerente con tale finalità: l’art. 2, comma 1, lett. b) del TUSP evoca la sussistenza del controllo “anche” quando per le “decisioni finanziarie e gestionali strategiche relative all’attività sociale è richiesto il consenso unanime di tutte le parti che condividono il controllo” .
In buona sostanza, elementi letterali e logico-sistematici (la ratio della riforma, volta principalmente a contenere la spesa delle pubbliche amministrazioni e a garantire l’osservanza delle regole della concorrenza e della finanza pubblica) portano a ritenere che la situazione di condivisione del controllo di riferisca a quella di una partecipazione pubblica maggioritaria, anche diffusa.
Per tale ragione, il “controllo pubblico”, a tali fini, si può “presumere” anche in assenza di qualunque atto formale che sancisca il coordinamento tra le diverse partecipazioni, spesso pulviscolari, che possono interessare una società partecipata.
In estrema sintesi, per questo orientamento:
a) la “pubblica amministrazione” che esercita il controllo va intesa come fosse un soggetto unitario, anche se il controllo di cui all’art. 2359, c. 1, nn. 1), 2) e 3) è frammentato tra più amministrazioni, e l’esercizio “coordinato” non è in nessun modo reso “obbligatorio” da un atto di volontà congiunto;
b) per il coordinamento sarebbero sufficienti meri comportamenti concludenti, a prescindere da accordi formali.
Altro orientamento, avallato anche dagli organi giurisdizionali della Corte dei conti[9] nonché dalla giurisprudenza amministrativa[10], ritiene che la situazione di controllo pubblico non possa prescindere dalle formalità di un accordo espresso in grado di formalizzare il coordinamento.
A sostegno di questa tesi concorrono in sostanza tre argomenti:
- il concetto di controllo presuppone, necessariamente, la capacità di esprimere una linea strategica coordinata da parte di più soci, da soli non in grado di esercitare il controllo sulla società. L’autonomia delle varie pubblica amministrazioni, spesso ad autonomia costituzionale garantita (art. 114 Cost.), non può sfumare per effetto della partecipazione ad una società di diritto comune. Sicché il “coordinamento” deve essere l’effetto di un atto di volontà libero e di diritto comune orientato, ad imprimere una comune linea strategica alla società; non si può presumere dalla mera partecipazione ad una stessa società ;
- l’inserimento della società nel “mercato” presuppone la pubblicità e la riconoscibilità del dominio sulla governance (cfr. art. 2341-ter c.c. sulla pubblicità dei patti parasociali);
- il “controllo pubblico”non può essere presunta in presenza di “comportamenti univoci o concludenti” ma deve risultare esclusivamente da norme di legge, statutarie o da patti parasociali, dunque da atti aventi forma scritta, in ragione della rilevanza della forma scritta nei contratti della pubblica amministrazione.
Con particolare riguardo a quest’ultimo aspetto si osserva che la forma scritta, per riconosciuto principio generale, è la forma prescritta ad substantiam per i contratti della pubblica amministrazione, perché “adeguata” al contenuto e alla causa dei contratti che essa stipula. La forma scritta, si ritiene, è “espressione dei principi costituzionali di buon andamento ed imparzialità della pubblica amministrazione e garanzia del regolare svolgimento dell’attività amministrativa, visto che solo tale forma permette di identificare con precisione l’obbligazione assunta e l’effettivo contenuto negoziale dell’atto”[11]
Tale giurisprudenza si preoccupa anche di superare gli argomenti “letterali” e “logico-sistematici” degli “orientamenti” MEF ed ANAC e della conforme giurisprudenza contabile consultiva.
Quanto all’argomento letterale (il sintagma “anche” contenuto nell’art. 2, comma 1, lett. b) del TUSP) si osserva quanto segue.
In primo luogo, l’art. 2, lettera m), del TUSP, definisce «società a controllo pubblico» le società in cui una o più amministrazioni pubbliche esercitano poteri di controllo ai sensi della lettera b)” e quest’ultima, a sua volta, definisce come “controllo: la situazione descritta nell’articolo 2359 del codice civile”. In buona sostanza, il Legislatore non intende coniare un nuovo concetto di controllo, ma tenere fermo, nella sostanza, il concetto civilistico. Ed infatti, il TUSP si preoccupa di precisare che per tutti gli altri effetti di legge, rimangono ferme le norme di diritto comune (art. 1, comma 3 TUSP).
In secondo luogo, quando la norma “estende” tale concetto, lo fa nel presupposto che esista un elemento di coordinamento riconoscibile e formale: “Il controllo può sussistere anche quando, in applicazione di norme di legge o statutarie o di patti parasociali, per le decisioni finanziarie e gestionali strategiche relative all’attività sociale è richiesto il consenso unanime di tutte le parti che condividono il controllo” (enfasi aggiunta).
In terzo luogo, il sintagma “anche”, che dall’opposto orientamento viene eletto come una estensione indiscriminata del concetto di controllo anche a situazione di mera condivisione materiale delle partecipazioni in una stessa società, invero, è la riprova testuale di una diversa situazione che non contraddice e svuota il controllo civilistico, che comunque richiede una e una sola situazione di controllo sulla società: semplicemente, la norma consente di ritenere sufficiente a determinare l’influenza dominante un patto parasociale debole tra più amministrazioni, ma tale patto, sebbene in forma debole è in grado di escludere, laddove attivato, il controllo di altri compagini, ad esempio il controllo di maggioranza relativa da parte di un privato.
Si tratta di una tipologia di sindacato di voto noto in dottrina come patto di controllo plurimo disgiunto[12]. Questi patti non sono sufficienti, nel diritto comune, ad integrare una situazione di dominio e di influenza dominante sulla società ai sensi degli artt. 2341-bis e 2359 c.c. Infatti, in tale particolare forma, il patto di sindacato non funziona secondo logiche maggioritarie, ma conferisce ad ogni socio la possibilità di interporre un potere di veto alla decisione degli altri.
Il TUSP, dunque, in deroga all’art.2359 c.c., consente di ritenere rilevante e determinante di una influenza dominante anche in base a patti siffatti, non solo privi di rilevanza esterna, come gli altri patti parasociali, ma altresì deboli a livello interno, per una diminuita capacità di conformare il comportamento dei singoli soci.
Sul piano sistematico, tale giurisprudenza osserva che in questo modo è garantita la certezza dei traffici e l’ingiustificata estensione di limitazioni pubblicistiche a situazione di controllo esercitate da privati. Si pensi al caso di una società mista, con un controllo privato di minoranza, a cui corrisponde sn maggioranza pulviscolare di partecipazioni pubbliche. La ratio della riforma, infatti, è far prevalere le regole pubbliche dove ci sia un effettivo dominio, anche solo coordinato, della pubblica amministrazione, e non in ogni caso, per effetto di una mera partecipazione pubblica diffusa e maggioritaria.
Il concetto di controllo pubblico che si delinea, dunque, non contraddice il significato comune alla base nella nozione di diritto comune e del senso comune. Vi è controllo quando vi è un’univoca ed esclusiva prevalenza di un indirizzo strategico di una compagine sulla volontà dei singoli soci o di altre compagini. Del resto, il controllo pubblico di cui alla lettera b) ed m) dell’art. 2 TUSP, è e rimane un concetto di relazione, nel senso che si qualifica in connessione alla eventuale assenza o partecipazione ininfluente di soggetti di privati.
Di conseguenza, tanto l’art. 2359 c.c. che l’art. 2 TUSP, presuppongono una direzione e un coordinamento unitari (e unici, non concorrenti con paralleli e avversi controlli di altre compagini). Inoltre tale “controllo” va inteso come capacità di porre un indirizzo omogeneo (un dover essere, un potere) e non può ridursi ad una mera regolarità (coordinamento come mera situazione statistica). L’esistenza di comportamenti coordinati può rilevare solo come post-fatto, nell’ambito di altre fattispecie normative, a carattere sanzionatorio, come per esempio in materia di intese antitrust (art. 2 Legge n. 287/1990, ad esempio con riguardo ai c.d. gentlemen’s agreements anticoncorrenziali).
Aderendo a questa impostazione, la verifica del controllo pubblico, in presenza di partecipazioni pulviscolari, non può portare a due esiti opposti, un controllo pubblico e contemporaneamente un controllo di un soggetto privato.
Inoltre porta a soluzioni coerenti con altre prescrizioni del TUSP: o si rileva un “controllo pubblico” istituzionalizzato attraverso forme sindacali, sia pure deboli (o altre forme di coordinamento rilavanti ai sensi dell’art. 2359 c.c), ovvero si può configurare una situazione rilevante ai fini della razionalizzazione della partecipazione dell’ente dominus ai sensi degli artt. 20 e 24 TUSP, per cui occorre dismettere la partecipazione.
Infatti, in assenza di patti parasociali o di altre forme di coordinamento istituzionalizzato, difficilmente sarà configurabile un interesse al mantenimento di una partecipazione pulviscolare (art. 20 e 24 TUSP).
In definitiva, il concetto “logico” di controllo societario non può essere frammentato al punto da snaturane la nozione pratica (individuare chi comanda), pena la irragionevolezza della legge stessa.
3. La prova del controllo pubblico disgiunto: ammissibilità di “presunzioni”
Inoltre, per l’importanza delle conseguenze di legge che discendono dalla ricognizione o meno della situazione di controllo pubblico, occorre vi sia ragionevole certezza probatoria che la partecipazione pubblica maggioritaria si sia tradotta anche in un dominio sui comportamenti strategici e gestionali della società.
Tale prova, si osserva, non si può raggiungere per presunzioni ex lege (art. 2728 c.c.): le presunzioni legali sono infatti governate dal principio di tassatività e costituiscono quindi un numerus clausus, in quanto costituiscono una compressione della regola generale del libero convincimento del giudice.
Si può peraltro affermare che sebbene la mera partecipazione maggioritaria e proteiforme di soci pubblici disorganizzati non sia indice sufficiente a presumerne legalmente un controllo pubblico, in assenza di soci privati, o di prove della loro influenza dominante, tale partecipazione diffusa, unita ad altri indici di prova, possa integrare una presunzione semplice, ai sensi dell’art. 2729 c.c.
In estrema sintesi, la situazione di controllo pubblico, per tale orientamento giurisprudenziale e dottrinale, deve quindi risultare esclusivamente da norme di legge, statutarie o da patti parasociali (la cui esistenza può in determinate circostanze desumersi da comportamenti concludenti) che, richiedendo il consenso unanime o maggioritario di alcune delle pubbliche amministrazioni partecipanti, determina la capacità di tali pubbliche amministrazioni di incidere sulle decisioni finanziarie e strategiche della società.
Inoltre e per le stesse ragioni, la partecipazione pubblica diffusa, frammentata e maggioritaria non costituisce ex se prova o presunzione legale dell’esistenza di coordinamento tra i soci pubblici, che deve invece essere accertato in concreto; può, invece costituire una presunzione semplice, la cui valutazione ex art. 2729 c.c. è rimessa al prudente apprezzamento del giudice, che ammetterà solo quelle gravi, precise e concordanti ed in mancanza di prova contraria diretta.
NOTE
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R. Ranucci, Le società a controllo pubblico: forme e modalità di controllo da parte di una pluralità di soci pubblici, in Rivista della corte dei conti, n.3/2019, p. 179 e ss. ↑
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Cfr. E. Casetta – S. Foa’, (voce) Pubblica amministrazione, in Dig. disc. pubbl., vol. I agg., 2000, p. 436 ss. Sulla nozione generale di interesse pubblico, cfr.: E. Cannada Bartoli, (voce) Interesse (diritto amministrativo), in Enc. dir., vol. XXII, 1972, p. 1 ss; M.S. Giannini, Diritto amministrativo, vol. I, Milano, 1993, p. 113 ss., sulla distinzione tra “interesse pubblico”, “interesse legittimo” e “interesse diffuso”; nonché specificamente M. Nigro, Giustizia amministrativa, Bologna, (V ed. a cura di E. Cardi – A. Nigro), 2000, p. 98, secondo cui l’interesse pubblico ovverosia l’interesse collettivo istituzionalmente tutelato dalla pubblica Amministrazione: “non è un interesse che incorpora o nega gli interessi privati, ma che convive con essi, di volta in volta sacrificandoli o soddisfacendoli”; nello stesso senso è V. Caianiello, Manuale di diritto processuale amministrativo, Torino, II ed., 1994, p. 189. ↑
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Per un quadro completo ed esaustivo del contrasto e delle vicende giurisprudenziali sottostanti, cfr. V. Occorsio – R. Ranucci, Società pluripartecipate: controllo pubblico, controllo analogo congiunto e partecipazioni “pulviscolari”, in Rivista della Corte dei conti, n. 5/2019 e O. Caleo, La giustiziabilità delle delibere di controllo della Corte dei conti: evoluzione normativa e orientamenti giurisprudenziali (2a parte), in Azienditalia, n. 11/2019. ↑
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Cfr. R. Costi, I sindacati di voto nella legislazione più recente, in Giur. comm., 1992, I, p 25; R. Costi – G. Minervini, Due pareri su come vada inteso il “rapporto di controllo” in presenza di sindacati di voto (art. 4, comma 3, legge n. 1/1991), in Contratto e impr., 1991, 1020; M.S. Spolidoro, Il concetto di controllo nel codice civile e nella legge antitrust, in Riv. società, 1995, p. 470; M. Notari, La nozione di “controllo” nella disciplina antitrust, Milano, 1996, p. 247 ss. e p. 266 ss.; M. Notari – J. Bertone, Sub art. 2359 c.c., in P. Marchetti et al. (diretto da), Commentario alla riforma delle società, Milano, 2008, p. 682.↑
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Trib. Milano 19 dicembre 1986, in Foro it., 1987, I, 3162; v. anche Cons. Stato 2 settembre 2011, n. 4923, in Foro amm-CdS, 2011, p. 2812 e ss. ↑
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In questo senso cfr. F. Galgano, I gruppi di società, in F. Galgano (diretto da), Le società. Trattato di diritto civile, Torino, 2001, p. 26. ↑
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Sintonico anche l’orientamento ANAC fornito con la deliberazione n. 1134/2017 (recante le linee guida per l’attuazione della normativa in materia di prevenzione della corruzione e trasparenza, da parte delle società e degli enti di diritto privato controllati e partecipati da pubbliche amministrazioni). ↑
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Si tratta di pronunciamenti effettuati in sede consultiva, segnatamente SRC Liguria, n. 3/2018/PAR ; SRC Piemonte n. 42/2018/PAR; SRC Trentino-Alto Adige/Südtirol, sede di Bolzano, n. 8/2018/PAR, SRC Umbria n. 5/2019/QMIG. Infine SS.RR. controllo, n. 11/2019/QMIG. Cfr. anche SRC Liguria, pronuncia di accertamento n. 60/2019/PRSP. ↑
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Corte dei conti, Sezioni riunite in speciale composizione, sentenza 22 maggio 2019, n. 16; sentenza 4 luglio 2019, n. 17; sentenza 29 luglio 2019, n. 25.
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Consiglio di Stato, sentenza 23 gennaio 2019 n 578; Tar Veneto 5 aprile 2018, n. 363, in Foro amm, 2018, 4, 689 e Tar Marche, sez. I, 11 novembre 2019, su ai link di apertura ↑
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V., da ultimo, Cass., S.U., 9 agosto 2018, n. 20684, in Foro it., 2019, I, 1392. ↑
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La non configurabilità di tale forma di controllo ai sensi dell’art. 2359 è negata dalla dottrina maggioritaria. Cfr. B.G. Donvito, Art. 2359: società controllate e società collegate, in G. Grippo (cura di) Commentario delle società, I, Torino, 2009, p. 396; A. Maffei Alberti, Art. 2359, Commentario breve al diritto delle società, Padova, 2017, p. 495 s.; M. Notari – J. Bertone, Art. 2359, in M. Notari (a cura di) Commentario alla riforma delle società, Milano, 2008, p. 683 . Si rinvia ai riferimenti e agli argomenti in tema sostenuti da V. Donativi, “Società a controllo pubblico” e società a partecipazione pubblica maggioritaria, in Giur. comm., n. 5/2018, p. 761. Sulla differenza tra controllo congiunto e controllo plurimo disgiunto (ove ciascuno dei soggetti il cui consenso sia necessario per l’adozione di determinate decisioni condivide con gli altri una posizione di “influenza determinante”, ma non anche “dominante”) cfr. ancora V. Dontativi, Le società a partecipazione pubblica, Milano, 2016, (nt. 25), p. 582 ss. ↑