La Sez. Controllo Calabria solleva questione di costituzionalità sul “Salva Reggio Calabria”

Breve nota di lettura all’ordinanza 108/2019

La vicenda e le questioni preliminari

Con l’ordinanza n. 108/2019, la Sezione regionale di controllo per la Calabria ha impugnato il c.d. “Decreto Salva Reggio Calabria”, emanato dopo mesi di trattative politiche per evitare a comuni in procedura di riequilibrio finanziario pluriennale, che si erano avvalsi di una rimodulazione del piano di riequilibrio (PRFP) a trent’anni con l’art. 1, comma 714, della L. 208/2015, di evitare le forche caudine del dissesto ai sensi dell’art. 243-quater comma 7 TUEL.

Il caso di Reggio Calabria è stato oggetto di diverse polemiche sulla ribalta nazionale, a valle della pronuncia della Sezione di controllo per la Calabria (cfr. deliberazione SRC Calabria n. 31/2019/PRSP) che accertava che per effetto della sentenza Corte Cost. n. 18/2019, il PRFP tornava alla durata decennale originaria, con il conseguente obbligo di aumentare la quota di disavanzo da applicare sul bilancio di previsione.

La decisione non è stata impugnata dal Comune.

Inoltre il caso era già stato oggetto di considerazione di una pronuncia nomofilattica della Sezione Autonomie (leggi qui).

La lunga vicenda, che aveva visto un primo decreto del Ministero dell’intero (28 marzo 2019, leggi qui) che procrastinava i termini dell’approvazione del bilancio di previsione, si è conclusa con l’emanazione del D.L. n. 34/2019 del 30 aprile 2019, recante “Misure urgenti di crescita economica e per la risoluzione di specifiche situazioni di crisi”.

La norma oggetto d’impugnazione, però, non è stata inserita nella decretazione d’urgenza originaria, ma solo nella legge di conversione.

La Sezione è chiamata a giudicare della legittimità della rimodulazione del piano di Reggio a 20 anni.

L’art. 38, commi 2-bis e 2-ter e 1-terdecies, del D.L. 34 del 2019 (convertito con modificazioni in L. 58 del 2019), infatti, consente ai Comuni, già interessati dalla disposizione di cui all’art. 1, comma 714, L. 208 del 2015 (come modificato dalla L. 232 del 2016, art. 1, comma 434, norma dichiarata incostituzionale con sentenza n. 18/2019) di riproporre il proprio PRFP, già approvato per una durata decennale, estendendolo in un orizzonte che può arrivare fino a 20 anni (per un commento sulla sentenza 18/2019, su Bilancio Comunità Persona, leggi qui, mentre su Diritto&conti  leggi qui)

La Sezione regionale di controllo per la Calabria ha sollevato dubbi di legittimità costituzionale articolati su quattro motivi.

Preliminarmente, la questione della legittimazione viene affrontata con argomenti ormai consueti e noti, dopo le due recenti sentenze della Corte costituzionale che hanno rotto il diaframma tra la Corte e la Consulta in sede di controlli sui bilanci diversi dal giudizio di parifica. Per tale ragione l’ordinanza riproduce i passaggi e gli argomenti principali dei due precedenti: in pratica, sul piano della legittimazione si intuisce che la Sezione si limita a replicare la giurisprudenza costituzionale sul controllo di legittimità-regolarità della Corte dei conti ed in particolare quello “vigilanza-ingerenza” sui piani di riequilibrio (ormai scontata dopo le sentenze n. 18 e 105 del 2019, cfr. in proposito E. Cavasino, su Bilancio Comunità Persona, leggi qui)

Sul piano della rilevanza, invece, la questione viene affrontata con una tecnica particolare, evidenziando immediatamente le ricadute di merito della norma, come impeditiva del giudizio di congruità della Corte: la Sezione evidenzia che la disposizione impugnata circoscrive il parametro, introducendo una “formula aritmetica” per il calcolo dei tempi di rientro dal disavanzo che è fondamentale per valutare la “modulazione” temporale del disavanzo e quindi la sostenibilità del rientro stesso, che è parte essenziale della “congruità” che il giudice deve valutare ai fini dell’approvazione/diniego del piano di riequilibrio.

In buona sostanza la Sezione implicitamente afferma che la norma, poiché attiene al parametro normativo di giudizio che la Corte deve applicare in sede di controllo, non può non essere rilevante, ed è ex se rilevante.

Allo stesso tempo la Sezione però, già in sede di rilevanza, evidenzia un aspetto di merito: il parametro rende praticamente impossibile, per la Sezione, la valutazione di congruità delle misure, sotto il profilo qualitativo, limitando la verifica alla misura del disavanzo da applicare ai bilanci di previsione. In sostanza, la norma introduce una “discrasia (tra pianificazione-programmazione decennale e recupero del disavanzo ventennale), quindi, preclude sostanzialmente alla Sezione la funzione verifica di legalità finanziaria finalizzata ad attestare la correttezza del percorso di risanamento”.

Viene altresì evidenziato che il tenore letterale della norma non consente una interpretazione conforme a Costituzione, evocando per similitudine il precedente della norma oggetto di declaratoria di incostituzionalità con la sentenza n. 18/2019.

Sotto il profilo di merito (non manifesta infondatezza) i motivi formulati sono sostanzialmente quattro. Di seguito una breve rassegna. Verranno in questa sede riferiti con maggiore dettaglio i primi due.

Primo motivo: violazione degli artt. 81 Cost., 97, primo comma, Cost., 117, primo comma, Cost. per violazione del parametro interposto del Preambolo della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione Europea e dell’art. 3 del Trattato consolidato dell’Unione Europea nonché dell’art. 119, sesto comma, Cost., in combinato disposto con gli artt. 1, 2 e 3 Cost.

La censura viene elevata in relazione alla parte in cui le disposizioni impugnate consentono al Comune di Reggio Calabria di prolungare fino a venti anni la durata del proprio PRFP, precedentemente approvato per una durata decennale.

Dopo avere ricordato il carattere di clausola generale del precetto dell’equilibrio e la sua interconnessione a doppio ordito con il principio della copertura economica delle spese (sent. n. 192/2012 e n. 184/2016 nonché 274/2017), il giudice a quo sottolinea la sua necessaria declinazione nel tempo e nella continuità degli esercizi finanziari (sent. n. 247/2017) ed il connesso obbligo costituzionale – “previo” e “costante” – di evitare un disallineamento tra risorse e impieghi (ovvero la declinazione dell’equilibrio in termini tendenziali e dinamici). Tale obbligo deve essere attuato, in base alla clausola generale, tramite operazioni correttive sul bilancio e altri strumenti di “salvaguardia” (sent. C. Cost. n. 228/2017) che garantiscano “effettività” al precetto.

Il nucleo argomentativo della censura mira a dimostrare che lo spostamento ultra decennale della procedura di risanamento si pone in chiaro contrasto con la declinazione intergenerazionale del precetto dell’equilibrio.

Come è noto, la individuazione di un contenuto ultra-generazionale del precetto dell’equilibrio di bilancio è stata una delle novità più rilevanti della sentenza n. 18/2019 (Cfr. A. Saitta., Dal bilancio quale “bene pubblico” alla “responsabilità costituzionale democratica” e “intergenerazionale”

Commento a C. Cost. n. 18 del 2019, su Giurisprudenza Costituzionale, n. 1/2019).

Per il vero il concetto ed il collegamento non sono una novità assoluta in materia di bilancio, tant’è che la Sezione ricorda che la Corte costituzionale aveva già evidenziato che «Ferma restando la discrezionalità del legislatore nello scegliere i criteri e le modalità per porre riparo a situazioni di emergenza finanziaria come quelle afferenti ai disavanzi sommersi, non può non essere sottolineata la problematicità di soluzioni normative… le quali prescrivono il riassorbimento dei disavanzi in archi temporali lunghi e differenziati, ben oltre il ciclo di bilancio ordinario, con possibili ricadute negative anche in termini di equità intergenerazionale” (sentenza n. 6 del 2017 e, in senso conforme, sentenza n. 107 del 2016)».

Per altro verso, già su questa rivista, in sede editoriale, si evidenziava come la dogmatica del bilancio come “bene pubblico” avrebbe imposto una riflessione su oggetto e soggetti titolari dell’interesse alla sua protezione (leggi qui). In particolare, ci si chiedeva che tipo di relazione si poteva instaurare in termini giuridici e con quale “titolare”.

In quest’ottica appare interessante l’evidenza che l’ordinanza fa sul concetto di “portatori di interesse” e del bilanciamento che il legislatore è chiamato ad effettuare quando determina la durata massima dell’operazione di risanamento del bilancio, parallelamente a quello del ciclo elettorale: « infatti, è evidente come la durata del mandato elettorale non sia determinata dal legislatore “…in modo arbitrario, bensì bilanciando le esigenze di una tempestiva accountability nei confronti degli elettori e degli altri portatori di interessi e quelle inerenti alla rideterminazione o costruzione degli equilibri […] (sent. n. 49/2018)».

L’ordinanza affronta quindi il tema della violazione dell’equilibrio, sotto il profilo dell’equità intergenerazionale, sul piano dell’argomentazione, con la tecnica sostanziale della ragionevolezza, sul piano del parametro normativo evocando a supporto le fonti comunitarie che hanno integrato l’acquis costituzionale della nostra Carta, specie dopo la L. cost. n. 1/2012.

Infatti, la Sezione sottolinea che «senza pretesa di addentrarsi, in questa sede, in dissertazioni sul concetto sociologico o biologico di “generazione”, appare evidente che un arco temporale di venti anni costituisce un periodo di tempo molto lungo nel ciclo di bilancio e comporta, ictu oculi, la traslazione del debito pregresso da una generazione all’altra

In quest’ottica il calice costituzionale del ragionamento è il concetto di “sostenibilità” degli artt. 81 e 97 Cost.. Il giudice a quo traccia così una sottile linea rossa tra questi due articoli e l’art. 119 Cost che ammette il pareggio meramente finanziario mediante indebitamento, solo in chiave di “arricchimento intergenerazionale” tramite gli investimenti. L’art. 119 comma 6 sul divieto di indebitamento per spesa diversa di investimento (“anche in combinato disposto con gli artt. 1, 2 e 3 Cost..”), recita l’ordinanza, per la finanza degli enti territoriali “chiude il cerchio” del combinato disposto degli artt. 81/97 Cost. (parallelamente a quanto fa l’art. 81, per la finanza statale, collegando equilibrio e principio anticiclico).

Per dare spessore ulteriore alla dimensione ultra-generazionale dell’equilibrio di bilancio viene richiamato il preambolo della Carta dei diritti dell’Unione europea e l’art. 3 della versione consolidata del Trattato dell’unione Europea.

Il primo evidenzia che il godimento di tali diritti “…fa sorgere responsabilità e doveri nei confronti degli altri come pure della comunità umana e delle generazioni future…”, il secondo, con piena efficacia normativa, evidenzia che tra gli scopi dell’Unione, e quindi tra gli scopi che devono essere perseguiti attraverso i suoi vincoli di bilancio, vi è la “promozione della solidarietà tra le generazioni”.

Una volta chiarita la premessa maggiore del sillogismo giuridico-costituzionale, la storicizzazione della fattispecie normativa della norma impugnata mostra, secondo la Sezione, evidenti segni di sproporzione che inducono a ritenere violati gli evocati parametri costituzionali.

Infatti, la Sezione richiama la sentenza C. Cost. n. 18/2019 e così individua i “piatti” del bilanciamento costituzionale. Da un lato, individua la regola costituzionale per cui il risanamento deve essere di durata sintonica con quello del mandato elettorale (equilibrio di bilancio come strumento di democrazia responsabile e consapevole), dall’altro, ammette la possibilità di deroghe, ma, sulla scia della riportata giurisprudenza costituzionale, ricorda che ciò può avvenire in condizione e a per cause straordinarie e per la tutela di valori di “pari dignità” costituzionale: « le deroghe, [infatti], non possono essere “eccentriche”: non possono essere tali, cioè, da produrre “…effetti perturbanti la sana gestione finanziaria e contabile…” (sentenza n. 192 del 2012, sentenza n. 184 del 2016); nel caso di specie, si ritiene che le disposizioni, della cui costituzionalità si dubita, provochino questi “…effetti perturbanti…”, apportando una deroga al principio dell’equilibrio di bilancio non sorretta dalla necessità di tutelare altri principi di pari dignità costituzionale (rectius: di dignità costituzionale)».

La Sezione evidenzia tre “concordanti” indici di “eccentricità”.

Il primo indice è che la norma impugnata consente di estendere il PRFP verso un “tempo doppio rispetto a quello – già non breve, in quanto decennale – originariamente prospettato, in assenza di qualsivoglia giustificazione se non quella riconducibile alla insostenibilità del progetto di risanamento”.

In pratica, come già evidenziato in sede di “rilevanza”, si passa da un arco temporale di pianificazione già lungo, “di media durata” (decennale), ad uno di “lunga durata” (ventennale) pur rimanendo fisso l’obbligo di rispettare i concordati tempi di pagamento dei creditori nella fattispecie decennale. La capacità di mantenere fede a tale impegno è incongrua con la espansione del potere di spesa che si consente mediante la riduzione del disavanzo applicabile ad ogni successivo bilancio di previsione, per effetto della “rimodulazione”.

A fronte di questa già evidente forzatura, il secondo indice è la deviazione della regola generale di calcolo dei 20 anni oggi prevista dall’art. 243-bis comma 5 TUEL. Tramite un confronto di tabelle, l’ordinanza dimostra che è stato elaborato un indice di sostenibilità del tutto speciale a solo favore degli territoriali che:

  • sono stati incisi dagli effetti conformativi della sentenza della Corte costituzionale n. 18/2019. È una norma quindi non generale, ma eccezionale e limitata a situazioni singolari;
  • hanno un rapporto passività impegni calcolato secondo indici disomogenei in termini temporali, sulla base di indici di dimensione demografica che favorisce gli stessi enti in modo ingiustificatamente favorevole rispetto alla generalità degli enti.

Infatti, il combinato disposto dell’art. 38, comma 2-ter, D.L. 34 del 2019 e dell’art. 38, comma 1-terdecies, del medesimo D.L. impone« un improbabile raffronto tra un dato del passato (il disavanzo da PRFP, che, nel caso del Comune di Reggio Calabria, è stato accertato nel 2012) e un dato del presente (gli impegni del Titolo I della spesa dell’ultimo rendiconto approvato, nel caso del Comune di Reggio Calabria quello al 31.12.2018); ciò, al solo scopo di “allungare” (nel caso di Reggio Calabria di ben n. 14nannualità) il ripiano di un deficit che, pur originato nel passato, non è più lo stesso del PRFP un tempo approvato (in virtù dei recuperi nel frattempo intervenuti)».

Senza l’eccezione demografica, introdotta nelle nuove tabelle, che consente ai comuni con popolazione superiore ai 60.000 abitanti di accedere ad un tempo di rimodulazione più lungo, applicando la regola vigente nel TUEL, il Comune di Reggio Calabria avrebbe avuto accesso solo al tempo massimo di 15 anni.

In secondo luogo, il rapporto di “sostenibilità” si struttura attorno ad una sorta di “fictio iuris”. La legge impone di calcolare il rapporto «andando a ritroso nel tempo, ossia utilizzando, come base di calcolo, le passività incluse nel piano originario decennale [ovvero il disavanzo oggetto del PRFP rimodulato e parallelamente] un dato del presente (gli impegni del Titolo I della spesa dell’ultimo rendiconto approvato, nel caso del Comune di Reggio Calabria quello al 31.12.2018)».

Si tratta di indici che fanno del decreto legge, in pratica, una norma provvedimento (cfr. 4° motivo) a favore del Comune di Reggio Calabria che, non solo appare irragionevole in sé, per lo scopo perseguito (ad avviso della Sezione, una mera dilazione senza cura di un risanamento effettivo), ma anche irragionevole ab extra, per effetto del conflitto che innesta con l’esercizio della funzione para-giurisdizionale della Corte dei conti (cfr. 2° motivo).

Infatti, «l’art. 38, comma 2 bis consente ad una platea molto ristretta di Comuni di “riproporre” il proprio piano di riequilibrio; la citata platea si restringe ulteriormente ove si considerino i soli Comuni “incisi” da provvedimenti della Corte dei conti conformativi rispetto alla sentenza Corte cost. n. 18/2019: per quanto consta, si tratta di soli due enti nel panorama nazionale (ossia il Comune di Pagani, su cui è intervenuta la deliberazione della Sezione regionale di controllo per la Campania n. 46/2019/PRSP, e il Comune di Reggio Calabria, interessato dalla deliberazione della Sezione regionale di controllo per la Calabria n. 31/2019/PRSP).

La disposizione, quindi, sembra avere una portata “ad personam” (…anzi, più precisamente….si passi il termine…., “ad comunem”…); pertanto, appare qualificabile come “norma-provvedimento”, in quanto incide su un numero determinato e molto limitato di destinatari e finisce per l’avere contenuto particolare e concreto» (cfr. 4° motivo)

Sebbene «non sussiste un divieto di adozione di leggi a contenuto particolare e concreto, ossia di leggi-provvedimento (sentenza n. 347 del 1995). Tuttavia, queste leggi sono ammissibili entro limiti sia specifici, qual è quello del rispetto della funzione giurisdizionale in ordine alla decisione delle cause in corso, sia generali, e cioè del principio della ragionevolezza e non arbitrarietà (sentenze n. 492 del 1995, n. 346 del 1991, n. 143 del 1989); la conformità alla Costituzione di questo tipo di leggi deve, quindi, essere valutata in relazione al loro specifico contenuto» (2° motivo).

Secondo motivo: violazione degli gli artt. 3, 70, 100, 102, comma 1, 103, 113 Cost. nonché degli artt. 24 e 111 Cost

La censura si dipana sotto il profilo della violazione del principio della separazione dei poteri (artt.70, 100, 102, 103 e 113) nonché del principio di ragionevolezza e di certezza del diritto (artt. 3, 14, 111)

Essa viene mossa verso quella parte della norma che recita che la stessa è applicabile anche se si tratta di ente “inciso da provvedimenti conformativi alla predetta sentenza della sezione regionale competente”.

Infatti, nel caso del Comune di Reggio Calabria, la Sezione calabra aveva emanato la pronuncia n. 31/ 2019/PRSP, con cui accertava la riviviscenza – dopo la pronuncia della Corte costituzionale n. 18 del 2019 – del PRFP (di durata decennale), adottato in precedenza alla rimodulazione effettuato con la norma dichiarata incostituzionale con la sentenza n. 18/2019 (che consentivo un ripiano trentennale)

La medesima decisione non è stata mai impugnata dal Comune nelle sedi competenti (ossia le Sezioni riunite di questa Corte in speciale composizione, unico giudice che ha potere di cognizione in materia, nei termini fissati dall’art. 243 quater, comma 5, T.U.E.L.), assumendo così il carattere della “definitività”.

Come è noto, infatti, costituisce ormai giurisprudenza consolidata l’assunzione che le pronunce di legittimità/regolarità delle Sezioni di controllo non impugnate (o quelle confermate, mediante la reiezione del ricorso proposto avverso le stesse) assumono un carattere di definitività ed incontrovertibilità dell’accertamento, in esse contenuto.

Sia le Sezioni riunite della Corte dei conti che la Corte di Cassazione, prima della sentenza C. Cost. n. 18/2019, hanno stressato questo concetto, evidenziando l’emersione, nell’ordinamento di un giudicato peculiare come il “giudicato” contabile in materia di bilancio.

Per la prima, la «pronuncia della Sezione regionale di controllo non impugnata (o quella impugnata, ma confermata, dopo il giudizio delle Sezioni riunite), assume carattere di “…giuridica stabilità…” con effetti analoghi a quelli di un decisum giudiziale poiché che appare del tutto sovrapponibile a quello del passaggio in giudicato di qualunque provvedimento giurisdizionale; […] le deliberazioni che concludono il procedimento stesso non possono qualificarsi atti amministrativi, pur non essendo “sentenze” in senso stretto. Trattasi infatti di atti atipici promananti da Organo appartenente all’Ordine giudiziario, in posizione di indipendenza e terzietà…» (SS.RR. n. 15/2017/EL) e che “…intervengono all’esito di un’apposita fase di contraddittorio penetrante e pregnante instaurato con le amministrazioni territoriali in seguito alla contestazione di specifici parametri normativi…” (SS.RR. n. 19/2017/EL)», ma cfr. altresì SS.RR. sentenze nn. 64/2015/EL, 15/2017/EL e 7/2018/EL e n. 23/2019.

La Corte di Cassazione (Corte di cassazione, sezioni unite, ordinanza 13 marzo 2014 n. 5805) si è mossa nello stesso senso quando ha cristallinamente evidenziato la interconnessione tra funzione di controllo giurisdizionale in senso stretto. La Suprema Corte ha osservato che impugnabilità delle decisioni di controllo in materia di PRFP (art. 243-quater, comma 5, del T.U. enti locali, introdotto dall’art. 3, comma 1, lettera r, del d.l. n. 174 del 2012, noché art. 11, comma 2, lett. e) del Codice di giustizia contabile, D.lgs. n. 174/2016) «assegna alle sezioni riunite della stessa Corte dei conti la giurisdizione esclusiva in tema d’impugnazione avverso la delibera di approvazione o di diniego del piano, nelle forme del giudizio ad istanza di parte, espressamente richiamando a tal proposito l’articolo 103, secondo comma, della Costituzione, con un’ulteriore analoga previsione di giurisdizione esclusiva anche sui ricorsi avverso i provvedimenti di ammissione al Fondo di rotazione di cui al precedente articolo 243-ter; da tali disposizioni chiaramente si evince l’intento del legislatore di collegare strettamente, in questa materia, la funzione di controllo della Corte dei conti a quella giurisdizionale ad essa attribuita dal citato art. 103, terzo comma, Cost».

La tesi qui spesa è estendibile a tute le pronunce di controllo delle sezioni regionali, emanate secondo lo schema della legittimità-regolarità (sentenze Corte costituzionale n. 228/2017, n. 40/2014, n. 60/2013 e di recente Corte dei conti SS.RR. in speciale composizione n. 23/2019).

Partendo da questa premessa, la Sezione calabra rimarca che lo scopo della norma è quello di rendere inapplicabile una pronuncia giudiziale della Sezione di controllo competente (che abbia affermato l’obbligo dell’Ente di conformare il piano di riequilibrio alla sentenza n. 18/2019). Si paventa così impliciter, una violazione non solo del principio dell’intangibilità del giudicato quale precitato del principio della separazione dei poteri, ma altresì dello stesso art. 136 Cost, per violazione di un giudicato costituzionale. Va infatti rammentato che con la deliberazione n. 31/2019/PRSP la Sezione di controllo Calabria, valutata la natura “di durata” del piano di riequilibrio finanziario, aveva – nella sua qualità di giudice che in concreto (ossia in sede di “monitoraggio” ex art. 243 quater, commi 3 e 6 T.U.E.L.) deve dare applicazione ai principi espressi dalla Corte costituzionale con la sentenza n. 18 del 2019 – tracciato, per così dire, il “perimetro di regole” a cui il Comune si sarebbe dovuto attenere a partire dal bilancio di previsione 2019. Pertanto, la predetta deliberazione altro non era che atto attuativo del dictum costituzionale.

Ciò posto, al legislatore “è precluso intervenire, con norme aventi portata retroattiva, «per annullare gli effetti del giudicato» (sentenza n. 525 del 2000)” (sent. n. 282/2005), e non sussistono, contemporaneamente «giustificazioni (ossia necessità di tutela di pari valori costituzionali) che [rendano ammissibile una] flessione dell’intangibilità del giudicato, che la legge prevede nei casi in cui sul valore costituzionale ad esso intrinseco si debbano ritenere prevalenti opposti valori, ugualmente di dignità costituzionale, ai quali il legislatore intende assicurare un primato…” (Corte Cost. sentenza n. 210 del 2013; in termini, sentenza n. 25 del 2019).

In definitiva, essendo evidente che l’unico scopo, secondo la Sezione, è solo un alleggerimento finanziario degli obblighi di rientro senza che si individui una esigenza di tutela in termini di finanza allargata o di tutela di pari valori costituzionali (erogazione di servizi strumentali e/o diritti fondamenti), il provvedimento è ulteriormente ingiustificato ab externo nella misura in cui deroga al principio supremo del riparto e separazione dei poteri, incidendo sulla certezza del diritto e sulla effettività di pronunce giudiziarie.

Terzo motivo: instabilità normativa e violazione in ragione di ciò degli artt. 3, 24, art. 111 Cost. e dell’art. 117, comma 1 Cost., per violazione del parametro interposto dell’art. 1, Protocollo 1, nonché art. 6 CEDU.

La Sezione regionale di controllo per la Calabria ripercorre i contenuti delle già note ordinanze della Sezione campana e siciliana (rispettivamente n. 19/2018/PRSP e n. 108/2018/PRSP alla base delle sentenze C. cost. nn. 18/2019 e 105/2019), che evocavano la lesione dl diritto alla certezza del diritto mediante la stabilità del giudicato e delle leggi, diritto alla certezza riconosciuto anche dalla CEDU.

Tale diritto alla certezza spetterebbe non solo ai creditori, ma anche ai cittadini, anche per l’esercizio delle loro prerogative democratiche.

Secondo la Sezione calabra, ammettere la possibilità di un continuo ed illimitato procrastinarsi di tentativi di riequilibrio, lasciando una evidente incertezza sui tempi e sull’idoneità delle misure di volta in volta ideate per il risanamento, finisce per compromettere irreversibilmente la trasparenza di un bene di rango costituzionale, quale il bilancio (Corte Cost., sentenze n. 184/2016, n. 228/2017 e n. 274/2017, nonché Consiglio di Stato, sez. IV, sentenze 2200 e 2201/2018) e la sua effettività.

Emerge la concezione ciclica del bilancio come bene pubblico, secondo cui poiché il bilancio è un processo, che si articola nella continuità delle scritture, dei rendiconti e dei loro effetti sulla programmazione (SS.RR. n. 23/2019, già citata supra).

La Sezione ritiene perciò che l’art. 38, comma 2 bis, sia in contrasto con l’art. 3 Cost., su cui si fonda l’esigenza di un diritto “certo” (alla base dell’uguaglianza fra cittadini: cfr. Corte costituzionale, sentenza n. 78 del 2012) e, inoltre, depotenzi, in maniera non conforme alla Costituzione, l’azione della magistratura contabile e l’efficacia delle sue pronunce.

Quarto motivo: abuso della decretazione di urgenza. Violazione degli artt. 3 e 77

La Sezione si sofferma sulla natura provvedimentale della disposizione (aspetto già affrontato supra) per poi osservare la mancanza dei requisiti di omogeneità col provvedimento adottato per far fronte ad esigenza di “crescita” e “crisi”. La norma peraltro è stata inserita in sede di conversione, per definizione mostrandosi un elemento estraneo rispetto alle ragioni di urgenza originarie.

Fra l’altro, la Sezione rammenta che, con sentenza n. 267 del 2007, la Corte costituzionale ha giudicato illegittima una disposizione finalizzata ad eludere un giudicato amministrativo in materia di dismissione di beni immobiliari introdotta, dopo la pubblicazione della sentenza del Giudice Amministrativo, nella legge di conversione di un decreto legge finalizzato ad introdurre misure di contrasto all’evasione fiscale, nonché disposizioni in tema di riscossione delle imposte, perequazione delle basi imponibili, previdenza e sanità; in questo caso, i Giudici di Palazzo della Consulta hanno, infatti, ritenuto che la tempistica della legge-provvedimento e la considerazione che il decreto-legge, nel quale la norma è stata inserita, concerneva materia diversa, evidenziassero un chiaro intento elusivo del decisum del Giudice amministrativo. Secondo il giudice remittente, l’art. 38 comma 2 bis D.L. 34/2019 presenterebbe gli stessi margini di irrazionalità: la disposizione, infatti, è volta a regolare casi molto specifici, già interessati da pronunce del Giudice contabile ormai consolidate, ed è stata inserita solo in sede di conversione in legge nell’ambito di un decreto finalizzato a misure di “crescita” e di “crisi” (queste ultime relative, ab origine, alla sola Roma Capitale). A giudizio del giudice a quo, il fatto che tra la entrata in vigore del decreto legge (fine aprile 2019) e la legge di conversione (giugno 2019) sia stata deposita (in data 7 maggio 2019) la pronuncia n. 8/2019/SEZAUT, di fatto confermativa dei principi espressi dalla decisione SRC Calabria n. 31/2019/PRSP, è ulteriore elemento che corrobora la voluntas legis non di regolare razionalmente ed equamente la materia dei PRFP, ma di concedere arbitrarie possibilità di risanamento ad hoc.

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