La giurisdizione sull’equilibrio di bilancio in caso di “dissesto”

L’incipiente conflitto di giurisdizione tra Corte dei conti e Giudice amministrativo. Alla ricerca di un centro di gravità permanente

di Emanuele Scatola

Da una recente decisione del Tar Abruzzo (L’Aquila, Sez. I, sentenza 23 aprile 2020, n. 135) nasce l’iniziativa della Procura regionale abruzzese della Corte dei conti con la quale si chiede che il Sindaco del Comune resistente nel giudizio amministrativo “riferisca in merito ad eventuali iniziative (…) per ottenere la riforma della suddetta sentenza”, ritenuta dalla Procura erronea sotto diversi profili. Il decreto può essere letto qui.

Appare utile ricostruire, in estrema sintesi, gli snodi fondamentali della complessa vicenda che è all’origine della sentenza dei giudici amministrativi, considerato che all’iniziativa della Procura si affianca la recente deliberazione n. 131/2020/PRSP della Sezione regionale di controllo per l’Abruzzo, che segna una tappa decisiva nella delimitazione dei confini della giurisdizione amministrativa sugli atti di natura finanziaria.

Giova premettere che la gestione finanziaria dell’Ente in questione è stata oggetto di un costante e puntuale controllo da parte della Sezione abruzzese.

Considerate le condizioni di squilibrio, con deliberazione consiliare n. 27 del 30 agosto 2019, il Comune ha fatto ricorso alla procedura di riequilibrio finanziario pluriennale ex art. 243–bis del Tuel.

Con successiva deliberazione n. 34 del 6 dicembre 2019, adottata dopo la scadenza del termine perentorio previsto dal comma 5 dell’art. 243-bis del Tuel per l’approvazione del piano di riequilibrio, il Comune ha deliberato il dissesto ai sensi dell’art. 244 del Tuel.

Alcuni consiglieri di minoranza, cittadini ed amministratori comunali hanno impugnato la suddetta deliberazione di dissesto dinanzi al Tar Abruzzo, il quale ha accolto il ricorso, annullando il provvedimento de quo.

Con deliberazione n. 79/2020/PRSP del 7 maggio 2020, la Sezione regionale di controllo per l’Abruzzo, attesa la pendenza del contenzioso amministrativo, ha ritenuto di adottare misure cautelative, riservandosi di valutare “il ricorso, appena lo scrutinio di legittimità della dichiarazione di dissesto assuma i tratti della definitività, agli adeguati strumenti di riequilibrio”. Il Collegio ha chiarito che “soltanto l’attuale situazione di incertezza sull’efficacia della deliberazione di dissesto approvata appare precludere, allo stato, l’avvio della procedura di “dissesto guidato”, di cui all’articolo 6, comma 2, del decreto legislativo n. 149 del 2011, onde evitare che nelle more della definizione del contenzioso amministrativo si dia avvio ad una procedura volta alla riedizione di un atto già adottato, dal contenuto necessitato, e la cui legittimità risulta allo stato sub iudice”. Prendendo l’abbrivio da tale premessa – e sulla scia di quanto statuito in un recente arresto della Corte costituzionale (sentenza 23 giugno 2020, n. 115) in ordine alla “tempestiva attivazione” dei “controlli di legittimità-regolarità sui bilanci di natura preventiva, finalizzati ad evitare danni irreparabili all’equilibrio di bilancio” (clicca qui per un commento su questo sito) – la Sezione ha prescritto all’Ente, in attuazione dall’art. 188, comma 1-quater, del Tuel, l’adozione di adeguate misure volte a salvaguardare nell’immediato la gestione finanziaria, riservandosi, in caso contrario, di avviare la procedura di cui all’art. 148-bis del Tuel.

Avverso la pronuncia del Tar Abruzzo di annullamento della deliberazione consiliare di dissesto, l’Ente ha interposto appello al Consiglio di Stato, chiedendo anche la sospensione cautelare degli effetti della sentenza impugnata. Il Consiglio di Stato, con ordinanza n. 4270 del 26 giugno 2020, ha ritenuto che le esigenze cautelari rappresentate dal ricorrente fossero “apprezzabili favorevolmente e tutelabili adeguatamente con la sollecita fissazione dell’udienza di merito ai sensi dell’art. 55, comma 10, Cod. proc. amm., impregiudicata ogni ulteriore valutazione”. Per l’effetto, è stata fissata l’udienza pubblica di discussione della causa del 19 novembre 2020.

Con la pronuncia n. 131/2020/PRSP del 6 luglio 2020, considerato l’esito della fase cautelare del giudizio amministrativo di appello, i giudici contabili rilevano come appaia priva di effetti, seppur interinalmente almeno fino alla decisione del merito, la deliberazione del consiglio comunale n. 34 del 6 dicembre 2019, accertativa dello stato di dissesto finanziario. Secondo la Sezione abruzzese “ciò ha determinato, allo stato, il venir meno della situazione di incertezza sull’efficacia della predetta deliberazione di dissesto, che, come ricordato nella richiamata deliberazione di questa Sezione n. 79/2020/PRSP, era stata posta a fondamento del differimento dell’avvio della procedura di dissesto guidato”.

Lungo il filo conduttore della perentorietà del termine per l’approvazione del piano di riequilibrio e delle conseguenze derivanti ope legis dalla mancata osservanza del predetto termine si dipana il percorso motivazionale che consente alla Sezione abruzzese di riappropriarsi di un ambito materiale riservato alla sfera cognitiva della magistratura contabile. Al riguardo, il Collegio richiama la consolidata giurisprudenza contabile a mente della quale “la scadenza del termine perentorio di cui all’art. 243-bis, comma 5, produce ipso iure gli effetti di cui all’art 243-quater, comma 7, del TUEL connessi alla mancata presentazione del piano (…), effetti del tutto sottratti alla disponibilità dell’ente, che al verificarsi della fattispecie ipotizzata non può revocare la delibera di approvazione del piano di riequilibrio, né adottare alcun atto se non quelli preordinati alla dichiarazione di dissesto secondo la disciplina di cui al già richiamato art. 6, comma 2 del d.lgs. 149/2011” (Sezione delle Autonomie, n. 22/2013/QMIG).

A tal proposito, la Sezione regionale precisa come la deliberazione consiliare di ricorso alla procedura di riequilibrio sia ormai cristallizzata, non essendo stata oggetto di impugnazione; con riferimento alla natura perentoria del predetto termine, osserva, altresì, come non possa che trovare conferma il consolidato orientamento della magistratura contabile secondo il quale lo sforamento del termine “implica quale conseguenza ineludibile ex lege l’applicazione dell’articolo 243 quater, comma 7, del Tuel e l’attivazione della procedura prevista dall’articolo 6, comma 2, del decreto legislativo n. 149 del 2011, con l’assegnazione al Consiglio Comunale, da parte del Prefetto, di un termine non superiore ai 20 giorni per la dichiarazione di dissesto”. Sotto il profilo della ragionevolezza di tale regime giuridico, i magistrati contabili richiamano il recente arresto delle Sezioni Riunite in speciale composizione (ordinanza n. 16/2019/EL), nel quale è stato chiarito che “l’art. 243-quater, comma 7, del TUEL, nella parte in cui prevede l’automatismo del passaggio al dissesto per il caso di mancata predisposizione del Piano nei termini perentori da parte dell’Ente, sia coerente con il principio del buon andamento, e proporzionato come conseguenza dello stato di squilibrio strutturale, dichiarato dallo stesso Comune a giustificazione del ricorso alla procedura di riequilibrio (…). Infatti, appare razionale, in considerazione della persistenza dello squilibrio strutturale già riconosciuto dall’Ente, che non può essere sostanzialmente mutato nel breve tempo intercorso, la previsione del dissesto per gli Enti che non siano stati in grado di predisporre nei tempi stabiliti un programma di risanamento”.

Traendo le fila del ragionamento, il Collegio afferma che “dalla deliberazione consiliare di adesione al piano di riequilibrio ex art. 243-bis TUEL dipendono effetti non disponibili per l’ente locale tra i quali, quello per cui la violazione di termini che scansionano i tempi della procedura di riequilibrio pluriennale risulta fonte di un effetto legale di immissione diretta nella diversa procedura di dissesto. Ciò in quanto tale irrevocabilità è funzionale alla tutela del bilancio quale bene pubblico, la cui salvaguardia diventa indisponibile da parte dell’ente medesimo, il quale deve garantire, con ragionevole certezza, la continuità delle funzioni pubbliche e l’erogazione delle prestazioni costituzionalmente necessarie”.

A chiusura del percorso argomentativo, la Sezione precisa che “la valutazione delle misure di salvaguardia richieste con la precedente deliberazione n. 79/2020/PRSP (…) rimane assorbita dalla giuridica necessità della dichiarazione del dissesto dell’Ente”.

È questo il terreno su cui insiste il ragionamento che ha indotto la Sezione regionale a disporre, dopo il rituale periodo di sospensione, la trasmissione della pronuncia de quaal Prefetto di L’Aquila ai fini dell’applicazione dell’art. 6, comma 2, del d.lgs. n. 149/2011, che prevede, tra l’altro, l’assegnazione al Consiglio dell’ente di un termine non superiore a venti giorni per la deliberazione del dissesto finanziario”.

Ciò premesso in ordine agli snodi fondamentali del caso in esame, sull’erroneità della sentenza del Tar Abruzzo non sembra necessario soffermarsi. Dalla scarna motivazione della pronuncia de qua si coglie con nitore l’errore in cui sono incorsi i giudici amministrativi, i quali hanno ricavato l’assenza dei presupposti del dissesto dalla circostanza che l’Ente non risultasse strutturalmente deficitario ex art. 242 del Tuel. Come è stato sottolineato dalla Procura regionale, il Tar confonde, in sostanza, i presupposti del dissesto con la condizione di deficitarietà strutturale, mentre è ben possibile che sussista una situazione di dissesto anche in completa assenza di valori deficitari, valori che, peraltro, come è noto, sono calcolati sulla base di dati riferiti al rendiconto dell’esercizio precedente.

Sullo sfondo della vicenda in esame si pone la questione del riparto di giurisdizione tra giudici speciali, segnatamente la questione dell’ambito di cognizione riservato in via esclusiva dalla Costituzione alla Corte dei conti nelle materie di contabilità pubblica. Ed è questo anche il punto toccato dal decreto della Procura Abruzzo.   Anche sotto il profilo del riparto di giurisdizione, gli argomenti utilizzati dalla Procura e dalla Sezione regionale appaiano pienamente condivisibili. L’accertamento dei presupposti per la dichiarazione di dissesto rientra nelle materie di contabilità pubblica, che l’art. 103, comma 2, Cost. e l’art. 1, comma 1, del d. lgs. n. 174/2016 (Codice di giustizia contabile) attribuiscono direttamente, senza necessità di interpositio legislatoris, alla giurisdizione esclusiva della Corte dei conti. Tale accertamento comporta una valutazione sulla situazione di incapacità funzionale o di insolvenza dell’Ente e, quindi, richiede l’esame della situazione finanziaria complessiva dell’Ente e degli equilibri di bilancio. Rilievo dirimente, ai fini del riparto di giurisdizione, assume la considerazione che trattasi di un ambito materiale riconducibile tout court alla contabilità pubblica. Tale criterio di riparto, in tutti i casi in cui occorre procedere ad un accertamento dei presupposti del dissesto, assorbe ogni altra considerazione relativa al sindacato sulla legittimità degli atti di natura finanziaria ed è, di per sé idoneo, ad attrarre nell’orbita della giurisdizione contabile la materia de qua.

Tale argomento vale a fortiori nei casi in cui la dichiarazione di dissesto si innesta in una complessa vicenda che prende l’abbrivio dalla deliberazione di adesione alla procedura di riequilibrio. Nella fattispecie, emerge infatti un ulteriore profilo problematico. Sebbene l’Ente abbia posto a fondamento della dichiarazione di dissesto una serie di argomenti relativi alla incapacità funzionale oltre che all’insolvenza, non sfugge come tale dichiarazione sia intervenuta quando era già scaduto il termine perentorio per la approvazione del piano di riequilibrio. Tale termine perentorio era scaduto senza che l’Ente provvedesse alla presentazione del piano, non ritenendone ex se sussistenti, re melius perpensa, le condizioni di sostenibilità.

Come è stato detto, dalla scadenza del predetto termine deriva ope legis l’attivazione della procedura di cui all’art. 6, comma 2, del d. lgs. n. 149/2011. La mancata presentazione del piano di riequilibrio entro il termine perentorio divisato dal legislatore (ipotesi equiparata dal dettato normativo alla tardiva deliberazione) rientra, infatti, tra le fattispecie legali tipiche cui l’art. 243-quater, comma 7, del Tuel ricollega l’automatismo del dissesto. La Corte dei conti, nelle sue articolazioni di controllo e giurisdizionali, ha da tempo affermato che le ipotesi tassativamente elencate dall’art. 243-quater, comma 7, del Tuel vanno qualificate come “fattispecie legali tipiche” di condizioni di dissesto, che si aggiungono a quelle già previste dall’art 244 del Tuel e comportano l’obbligo della sua dichiarazione (ex multis, Sezione delle autonomie n. 5/2018, n. 22/2013, n. 13/2013, Sez. riunite in speciale composizione n. 32/2018, n. 29/2018, n. 25/2016, n. 58/2015). Tale disciplina è stata, di recente, ritenuta conforme alla Costituzione dalle Sezioni Riunite in speciale composizione (ordinanza n. 16/2019/EL).

Da ciò deriva che, in disparte ogni considerazione in ordine alle valutazioni effettuate dall’Ente nella deliberazione ex art. 244 del Tuel, nella fattispecie la dichiarazione di dissesto è la conseguenza, sottratta alla disponibilità dell’Ente, della realizzazione della fattispecie legale tipica di cui al citato comma 7. La scadenza del termine perentorio per la deliberazione del piano realizza la fattispecie tipica di dissesto a formazione progressiva prevista dal legislatore in aggiunta a quella contenuta nell’art. 244 del Tuel. Il ricorso alla procedura di riequilibrio da parte dell’Ente, con deliberazione di adesione non impugnata e come tale divenuta inoppugnabile, contiene già la valutazione in ordine alla sussistenza di “squilibri strutturali del bilancio in grado di provocare il dissesto”. Tale valutazione, quando si abbina alla mancata presentazione del piano nel termine perentorio divisato dalla legge, integra la fattispecie legale tipica di dissesto di cui all’art. 243-quater, comma 7, del Tuel, diversa da quella contemplata dall’art. 244. La circostanza che l’Ente abbia dichiarato il dissesto motu proprio – senza attendere la pronuncia della Sezione regionale di controllo di accertamento dello sforamento del termine e la successiva assegnazione al Consiglio comunale, da parte del Prefetto, di un termine per la deliberazione del dissesto – non oblitera l’ormai intervenuto perfezionamento della fattispecie legale tipica che comporta l’applicazione dell’art. 6, comma 2, del d. lgs. n. 149/2011. Altre ed eventuali argomentazioni che l’Ente possa aver posto a fondamento della dichiarazione de qua non possono incidere su una fattispecie che si è già perfezionata e su effetto che deriva ope legis da tale perfezionamento, né possono essere utilizzate per sottrarsi a tale effetto. Si tratta di meri argomenti ad abundantiam che nulla aggiungono al dato dello sforamento del termine di per sé sufficiente, in base alla fattispecie legate tipica, a giustificare la dichiarazione di dissesto.

Nell’ipotesi in cui, poi, come nel caso di specie, la deliberazione di dissesto sia annullata dal giudice amministrativo, non sembra revocabile in dubbio che la caducazione in sede giurisdizionale, sia pure con pronuncia non assistita ancora dal crisma del giudicato, della deliberazione de qua determini la reviviscenza del potere della Sezione regionale di accertare la mancata presentazione del piano nei termini perentori divisati dalla legge e il conseguente avvio della l’avvio della procedura di cui all’art. 6, comma 2, del d. lgs. 149/2011.

Non è dato sapere se le parti del giudizio amministrativo che si è svolto dinanzi al Tar Abruzzo abbiano assolto all’onere di allegazione di tali fatti. Resta il dato che la sentenza del Tar non contiene alcun riferimento alla mancata presentazione del piano nei termini fissati dalla legge, sebbene essa assuma rilievo dirimente in ordine alla indefettibilità del dissesto. Al di là degli errori in punto di accertamento dei presupposti del dissesto (la cui insussistenza, come è stato detto, viene ricavata dai parametri di deficitarietà strutturale), il Tar avrebbe dovuto declinare la giurisdizione, vertendosi in una materia – l’accertamento dei presupposti dello stato di decozione – sussumibile nell’alveo della contabilità pubblica, e dunque riservata dalla Costituzione alla Corte dei conti senza necessità di interpositio legislatoris. A ciò si aggiunga che tale ragionamento vale, a fortiori, nei casi in cui la dichiarazione di dissesto si inserisce nell’ambito della procedura di esame del piano di riequilibrio in cui si è già perfezionata la suddetta fattispecie legale tipica. In tale caso, infatti, la legge attribuisce alla Sezione regionale di controllo il potere di accertare la mancata approvazione della manovra di risanamento nei termini perentori, con il conseguente automatismo del dissesto. Come è stato sottolineato dalla Sezione abruzzese, tale profilo assume rilievo assorbente.

Non sembra peregrino affermare che la pronuncia della Sezione regionale dell’Abruzzo segna una tappa decisiva nel percorso che punta a trovare un assetto stabile ai confini tra la giurisdizione amministrativa e quella contabile in materia di equilibrio dei bilanci, in un ambito materiale che non può non includere anche le ipotesi patologiche di squilibri strutturali idonei a provocare il dissesto.

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