La giurisdizione “mobile” della Corte dei Conti: una sindacabile insindacabilità.

Con la sentenza 346/2018 la sez. giurisdizionale della Corte dei Conti del Lazio ha dichiarato il proprio difetto di giurisdizione in relazione alla richiesta avanzata dalla procura di risarcimento del danno erariale derivante da scelte amministrative della dirigenza del MEF inerenti alla conclusione di contratti derivati con un noto istituto di credito.

La Corte ha osservato che il rapporto fra istituto creditizio e amministrazione pubblica non si configura come rapporto di servizio, quale relazione che avrebbe fondato la competenza della Corte, essendo invece il rapporto di natura privatistica e altresì ha sottolineato la generale insindacabilità delle scelte collegate alla gestione amministrativa, confluenti nelle vicende negoziali contestate, una volta accertata la compatibilità di queste con fini pubblici, unico profilo di merito riservato al giudizio della magistratura contabile collegato alla responsabilità amministrativa.

Per questi motivi la Corte ha dichiarato il difetto di giurisdizione e ha rimesso la causa al giudice civile per la determinazione di eventuali responsabilità civili.

La procura ha presentato ricorso contro la decisione di primo grado. La prima sezione giurisdizionale centrale d’appello ha respinto l’appello confermando la mancanza di rapporto di servizio nei confronti dell’istituto di credito e dichiarando il difetto di giurisdizione per insindacabilità delle scelte discrezionali dei dirigenti del MEF (Corte dei Conti sez. giur. app. 10 gennaio 2019).

Commento:

La pronuncia in esame concerne il delicato tema dell’ambito di competenza della giurisdizione contabile che, a tacer d’altro, potremmo definire “oscillante”.

Il codice della giustizia contabile all’art. 1 dispone che la Corte dei conti ha giurisdizione nei giudizi di conto, di responsabilità amministrativa per danno all’erario e negli altri giudizi in materia di contabilità pubblica, in linea con il dettato costituzionale ex art. 103 comma 2; nonchè in base al comma 2 del medesimo articolo anche … “gli altri giudizi nelle materie specificate dalla legge”.

La Cassazione e la Corte costituzionale col tempo hanno precisato che la giurisdizione della Corte dei conti non si configura come esclusiva per tutta le materie rientranti nella contabilità pubblica, e fra queste si fa riferimento ai giudizi di responsabilità amministrativa per danno erariale. Per tale materia è stato espressamente affermato il concorso alternativo di azioni, di responsabilità amministrativa davanti al giudice contabile e di responsabilità civilistica davanti al giudice ordinario (fatto salvo l’accertamento della responsabilità ove l’illecito sia si rilevanza penale) fondandolo sull’indipendenza istituzionale delle due giurisdizioni.

Si tratta di precisare gli ambiti per i quali la giurisdizione contabile possa concorrere con la giurisdizione civile laddove non via sia espressa riserva di esclusività da parte del Legislatore.

Dalla pronuncia in esame emerge in modo significativo che la sezione giurisdizionale della Corte dei conti del Lazio ritiene ancorato il profilo della competenza in tema di responsabilità amministrativa al requisito del rapporto di servizio, elemento fondante dell’impianto normativo relativo alla responsabilità amministrativa ex l. n. 20 del 1994. Un rapporto, peraltro, in più forme declinato dalla giurisprudenza di Cassazione. Quest’ultima soprattutto, quale giudice regolatore della giurisdizione, nel suo elaborare e recepire tale criterio, ha esteso il riparto della giurisdizione sulle azioni di responsabilità dai casi di impiego a tutte le ipotesi in cui sussista un legame con l’amministrazione, che comporti l’esercizio di attività pubblicistiche e l’inserimento del soggetto agente nell’organizzazione dell’ente in modo da porsi in una posizione di immedesimazione organica (Cass. S.U., 16 luglio 2014 n. 16240). Un rapporto, quello di servizio, dai contorni sfumati che assume chiarezza solo a livello di percezione generale nel suo differenziarsi dal rapporto di impiego, per essere caratterizzato dalla triplice concorrenza degli elementi di stabilità, professionalità, retribuzione.

In tal senso, appare non del tutto agevole nel caso in esame individuare l’elemento qualificante la posizione di dell’istituto bancario come contraente, portatore di un interesse negoziale autonomo e quella del medesimo istituto come soggetto stabilmente inserito nella attività pubblica, e dunque funzionalmente collegato al MEF.

L’adozione dell’accordo-quadro, quale fonte dell’intera vicenda, potrebbe dare indicazioni utili ad inquadrare il rapporto fra i due convenuti nel modo corretto. Ciò anche considerato che la stipula dei contratti come gli swaps prevedono un affidamento ai promotori finanziari interni all’istituto di credito, che potrebbe indurre ad individuare un rapporto di consulenza de facto fra l’amministrazione e la banca, per il tramite del promotore, anche tenuto conto del lungo periodo su cui si sviluppa la vicenda (1994-2012)[1] e che parrebbe integrare l’elemento della stabilità oltre che le più evidenti professionalità, e retribuzione.

Ciò osservato altra questione da approfondirsi è quella relativa al giudizio di responsabilità amministrativa e soprattutto all’insindacabilità nel merito delle scelte discrezionali stabilito dalla legge n. 20 del 1994, quale limite al sindacato del giudice contabile sulle scelte compiute dagli amministratori.

Sul punto infatti si registrano quelle frequenti e rilevanti oscillazioni di cui si riferiva, che, tuttavia alla luce del nuovo panorama in cui si colloca la finanza pubblica, sembravano essere, fino ad oggi, in una evidente fase di superamento.

Già nella decisione del 3 giugno 1996, n. 30/J le sezioni unite della Corte dei conti, partendo dalla premessa che va riconosciuto al giudice contabile un potere sindacatorio delle scelte discrezionali dei pubblici operatori, per impedire effetti dirompenti e lesivi dei principi di imparzialità e di buon andamento dell’azione amministrativa – dovendosi comunque evitare che il giudice, nello svolgimento delle proprie valutazioni, sostituisca le sue scelte a quelle operate dall’autorità amministrativa in sede di esercizio del potere discrezionale, poiché così facendo, egli cesserebbe di essere “operatore di giustizia” per divenire “amministratore”- hanno concluso affermando che nel sindacare le scelte discrezionali della pubblica amministrazione, la valutazione del giudice contabile, al fine di riscontrare comportamenti perseguibili, va svolta nei limiti ben circoscritti. In tal senso, questa deve essere compiuta con giudizio ex ante e con il parametro del limite della irragionevolezza in presenza del quale soltanto il comportamento psicologico del soggetto decidente può configurarsi come colpa, limitandosi, in ipotesi di discrezionalità piena e non tecnica, ad una valutazione sulla razionalità e congruità dei comportamenti, che va effettuata in relazione al momento in cui concretamente gli amministratori hanno operato ed alla esigenza concreta da perseguire.

A seguire la giurisprudenza di legittimità (Cass., sez. un., 6.5.2003 n.6851; id.29.1.2001 n.33) ha precisato che la Corte dei conti, in sede di giudizio di responsabilità, può e deve verificare la compatibilità delle scelte amministrative con i fini pubblici dell’ente pubblico, ma, per non travalicare i limiti esterni del suo potere giurisdizionale, una volta accertata tale compatibilità, non può estendere il suo sindacato all’articolazione concreta e minuta dell’iniziativa intrapresa dal pubblico amministratore, la quale rientra nell’ambito di quelle scelte discrezionali di cui la legge stabilisce l’insindacabilità (art. 1, co.1, l. 14 gennaio 1994 n. 20), e può dare rilievo alla non adeguatezza dei mezzi prescelti dal pubblico amministratore solo nell’ipotesi di assoluta ed incontrovertibile estraneità dei mezzi stessi rispetto ai fini: pertanto la Corte, al fine di non travalicare competenze decisorie ex lege (v. art.1, co.1. l. n. 20 cit.) attribuite alla pubblica amministrazione e, dunque, i limiti esterni della sua giurisdizione, deve limitarsi ad apprezzare, in astratto ed ex ante (ovvero al momento della scelta e non già in base ai risultati, positivi o negativi, ex post acclarati), la compatibilità della scelta discrezionale (….) con i fini istituzionali dell’ente territoriale, senza poterne valutare in concreto e in base ad una valutazione postuma la congruenza e razionalità, entrando nel merito delle scelte con le quali, in concreto, quel fine è stato perseguito (….).

Altresì, ancora le sezioni riunite della Suprema Corte Cass., con la sentenza del 29 settembre 2003, n. 14488) hanno stabilito che la Corte dei conti, in sede di giudizio di responsabilità, può e deve verificare la compatibilità delle scelte amministrative con i fini dell’ente pubblico, in quanto se da un lato, in base all’art. 1, co.1, l. n.20 del 1994, l’esercizio in concreto del potere discrezionale dei pubblici amministratori costituisce espressione di una sfera di autonomia che il legislatore ha inteso salvaguardare dal sindacato della Corte dei conti, dall’altro lato, l’art. 1, co.1, della legge n. 241 del 1990 stabilisce che l’esercizio dell’attività amministrativa deve ispirarsi ai criteri di “economicità” e di “efficacia”, che costituiscono specificazione del più generale principio sancito dall’art. 97 Cost. e assumono rilevanza sul piano della legittimità (non della mera opportunità) dell’azione amministrativa. Pertanto, la verifica della legittimità dell’attività amministrativa non può prescindere dalla valutazione del rapporto tra gli obbiettivi conseguiti e i costi sostenuti (fattispecie relativa ad iniziative promozionali all’estero da parte di amministratori comunali relative ad imprese mobiliere operanti nel Comune e ad attività di aggiornamento e formative su attività istituzionali dell’ente locale).

La giurisprudenza contabile, si è poi andata assestando sulla posizione di ritenere possibile il sindacato sulle scelte discrezionali relativamente all’osservanza dei parametri di razionalità e di congruenza della scelta, sotto il generale profilo dell’utilità per l’ente pubblico.

La recente pronuncia della Corte contemporanea alla pronuncia in esame, ha ben chiarito che la discrezionalità riconosciuta agli amministratori pubblici nell’individuazione della soluzione più idonea nel singolo caso concreto a realizzare l’interesse pubblico perseguito (causa e limite intrinseco e funzionale della P.A.) è legittimamente esercitata in quanto risultino osservati i criteri giuridici informatori dell’agire della P.A. dettati dalla Costituzione (art. 97) e codificati dall’art. 1. comma 1 della L. n.20 del 1994 e ribaditi dall’art. 1 comma 1 della legge 286 del 1999 (Le pubbliche amministrazioni devo a) garantire la legittimità, regolarità e correttezza dell’azione ammnistrativa; b) verificare l’efficacia, efficienza ed economicità dell’azione amministrativa al fine di ottimizzare anche mediante tempestivi interventi di correzione, il rapporto tra costi e risultati). Pertanto le scelte elettive degli amministratori, dovendo conformarsi ai suddetti criteri di legalità e di a quelli giuridici di economicità e di efficacia e di buon andamento, sono soggette al controllo della Corte dei conti in quando assumono rilevanza sul piano della legittimità e non della mera opportunità dell’azione amministrativa. A tale stregua, non eccede la giurisdizione contabile non solo la verifica se l’amministratore abbia compiuto l’attività per il perseguimento di finalità istituzionali dell’ente, ma anche se nell’agire amministrativo abbia rispettato tali norme e principi giuridici; sicchè la Corte non viola il limite giuridico della riserva di amministrazione (da intendere come preferenza tra alternative, nell’ambito della ragionevolezza , per il soddisfacimento dell’interesse pubblico) nel controllare anche la giuridicità sostanziale (e cioè l’osservanza dei criteri di razionalità, nel senso di correttezza e adeguatezza dell’agire, logicità e proporzionalità dei costi affrontati e obbiettivi conseguiti, costituenti al contempo indici di misura del potere amministrativo e confini del sindacato giurisdizionale) dell’esercizio del potere discrezionale (Corte dei conti, sez. un. n. 1712 del 10 luglio 2018).

Ciò in linea con quanto già in precedenza affermato con riguardo ai criteri di valutazione dell’operato degli amministratori in termini di responsabilità : Larticolo 1 c. 1 della legge 20/94 – come modificato dalla legge 639/96 – prevede espressamente che “… la responsabilità dei soggetti sottoposti alla giurisdizione della Corte dei conti in materia di contabilità pubblica è personale e limitata agli atti ed alle omissioni commesse con dolo o colpa grave, ferma restando l’insindacabilità nel merito delle scelte discrezionali”. E’ dunque consentito il vaglio dell’attività discrezionale degli amministratori, limitatamente alla rispondenza della stessa a criteri di razionalità e congruità rilevabili dalla comune esperienza amministrativa, al fine di stabilire se la scelta risponda a quei criteri di prudente apprezzamento cui deve sempre ispirarsi l’azione dei pubblici apparati. L’ insindacabilità delle scelte amministrative non esclude cioè la verifica giudiziale sul corretto esercizio del potere discrezionale stesso; verifica che si avvale di parametri esterni (quali la competenza, il termine e la materia) ed interni (rapporto fra fine istituzionale e fine concreto; congruità e proporzionalità delle scelte; princìpi di razionalità, imparzialità e buona amministrazione).” (Corte dei conti, sez. III, 28 settembre 2004, n. 510).

A questo proposito è opportuno segnalare quanto statuito circa i limiti del giudizio in merito alle scelte discrezionali: richiamando il trend della giurisprudenza contabile (ex pluribus Corte dei conti, sez. giurisd. Lombardia, 30 giugno 2005, n. 467, Corte Conti, sez. III, 17 marzo 2004, n. 192/A; id., sez. III, 21 gennaio 2004, n. 30/A; id., sez. I, 1 aprile 2003, n. 115/A; id., sez. III, 7 gennaio 2003, n. 2/A) si è precisato che nel giudizio contabile sono valutabili le scelte discrezionali di pubblici amministratori e dipendenti che, eccedendo i limiti della ragionevolezza, sconfinino nell’arbitrio e siano, perciò, viziate d’illegittimità per eccesso di potere, risultando così giudicabili in ragione della incongruità, illogicità ed irrazionalità della scelta dei mezzi rispetto ai fini, raffrontandoli con parametri obbiettivi, valutabili “ex ante” e rilevabili anche dalla comune esperienza.

E soprattutto che va esclusa la insindacabilità delle scelte discrezionali laddove il comportamento contestato costituisca violazione di precise disposizioni di legge Corte Conti, sez. III, 16 dicembre 2003, n. 569).

Proprio in relazione a tale ultimo rilievo, finanche ammessa l’assenza di un rapporto di servizio tra l’istituto di credito e il MEF, non risulta verosimile, anche in funzione delle competenze tecniche riconoscibili e riconosciute alla dirigenza convenuta, una mancata consapevolezza della spiccata aleatorietà di determinate prassi negoziali e soprattutto delle clausole inserite nell’arco dello sviluppo della vicenda negoziale in esame. Le contemporanee vicende riguardanti l’altissima esposizione debitoria degli enti locali, proprio a seguito della sottoscrizione di contratti di swaps, che ha costretto ad un intervento di regolamentazione in materia (tramite la legge finanziaria del 2009 i titoli derivati sono divenuti sottoscrivibili dagli enti locali solo a certe condizioni), già di per sè consiste in un elemento di valutazione ex ante della “incongruità e proporzionalità delle scelte” per citare la giurisprudenza di legittimità, in relazione al rapporto tra la necessità di un rapido conseguimento del premio e le conseguenze sul lungo termine in termini di debito, che tali scelte ha generato.

Peraltro, la condotta della dirigenza non evidenzia quella volontà di intervento tempestivo di correzione in ragione dello squilibrio fra costi e risultati che la legge richiede in base al principio dell’efficienza.

Allo stato attuale, peraltro, proprio riguardo al giudizio aprioristico della compatibilità generale fra il ricorso agli strumenti derivati e il fine pubblico che deve guidare l’azione della P.A., le recenti vicende di rischio di default che hanno coinvolto le amministrazioni dello Stato imporrebbero un ripensamento delle precedenti linee valutative, nel rispetto dei limiti fissati dalla giurisprudenza di legittimità e dalla giurisprudenza contabile, soprattutto tenuto conto del criterio della congruità teleologica e funzionale dell’azione amministrativa rispetto all’interesse pubblico.

Aspetto che, peraltro, in sede civile varrebbe come palese conflitto di interesse, sfocianti in comportamenti pericolosamente opportunistici, fondati essenzialmente sullo sfruttamento a vantaggio della banca dell’asimmetria informativa.

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