La Corte di giustizia dell’Unione europea pone un limite alla discrezionalità del legislatore interno in materia di giurisdizione sui conti collegati al SEC 2010

Note a prima lettura alla sentenza CGUE , Prima Sezione, Cause riunite C‑363/21 e C‑364/21, Ferrovienord, ECLI:EU:C:2023:563

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di Silvia de Paolis

Sommario: 1. L‘ordinanza di remissione; 2. L’accorpamento logico dei quesiti da parte della Corte di giustizia; 3. La pronuncia pregiudiziale; 4. I principi europei e di diritto interno in gioco.

1. La Corte di giustizia dell’Unione europea si è espressa sulle questioni pregiudiziali, sollevate ai sensi dell’art. 267 TFUE, dalle Sezioni riunite in sede giurisdizionale, in speciale composizione, della Corte dei conti con le ordinanze n. 5 del 3 giugno 2021 e n. 6 del 10 giugno 2021, in due giudizi aventi ad oggetto l’accertamento della sussistenza dei presupposti per l’inclusione nell’elenco delle amministrazioni pubbliche, individuate ai sensi dell’art. 1, co. 3, l. n. 196/2009, elaborato annualmente dall’ISTAT – Istituto Nazionale di Statistica. Le Sezioni riunite hanno sottoposto alla Corte di giustizia tre distinti quesiti concernenti la compatibilità con il diritto europeo, in particolare con il principio dell’effetto utile e dello Stato di diritto (clicca qui), con i regolamenti nn. 549/2013 (SEC 2010) e 473/2001 e con la direttiva 2011/85, nonché con l’art. 47 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea (CDFUE), della nuova formulazione dell’art. 11, co. 6, lett. b), del codice di giustizia contabile approvato con d.lgs. n. 174/2016, introdotta dall’art. 23-quater, co. 2, del d.l. n. 137/2020 (l. conv. n. 176/2020), con il quale la cognizione del giudice contabile sui giudizi in materia di ricognizione delle amministrazioni pubbliche operata dall’ISTAT è stata limitata “ai soli fini dell’applicazione della normativa nazionale sul contenimento della spesa pubblica”.

1.1. In merito alla prima questione pregiudiziale, concernente la possibile violazione dell’effetto utile del regolamento n. 549/2013/ (SEC 2010), e della direttiva 2011/85 sui quadri di bilancio, i giudici contabili avevano sottolineato la connessione tra la disciplina comunitaria e la verifica della trasparenza e affidabilità dei saldi di bilancio, tramite cui accertare la convergenza verso l’Obiettivo di Medio Termine (OMT). Lo scopo del SEC 2010, infatti, è quello di garantire un linguaggio contabile e statistico comune, da un lato per rendere confrontabili e verificabili i dati contabili tramite i quali gli Stati membri dimostrano e rendono conto della convergenza delle loro politiche economiche, dall’altro per consentire all’Unione la vigilanza sui saldi di bilancio. In quanto regolamento preposto ad individuare il presupposto soggettivo per l’efficace promozione del coordinamento delle politiche di bilancio e della sostenibilità delle finanze pubbliche nell’area euro, in mancanza di una sua corretta applicazione, non sarebbe possibile realizzare una leale e trasparente collaborazione tra gli Stati membri per attuare tale coordinamento, ai sensi degli artt. 120 e ss. TUE e dell’art. 126 TFUE. La limitazione al sistema giurisdizionale interno introdotta dall’art. 23-quater del d.l. n. 137/2020, nella ricostruzione delle Sezioni riunite remittenti, potrebbe ostacolare la verifica della correttezza o meno dell’inserimento di soggetti nel perimetro delle pubbliche amministrazioni, impedendo un controllo neutrale sulla corretta osservanza da parte dello Stato italiano delle norme europee relative alla perimetrazione del settore delle amministrazioni pubbliche previsto dal SEC 2010 “e conseguentemente dei saldi rilevanti ai sensi dell’art. 126 TFUE, del Protocollo n. 12 e del sistema del Patto di stabilità e crescita[1].

1.2. La seconda questione pregiudiziale riguardava il dubbio sulla compatibilità della nuova formulazione dell’art. 11, co. 6, lett. b), del codice di giustizia contabile, con il regolamento n. 473/2001 e con la direttiva 2011/85 sui quadri di bilancio (l’insieme di disposizioni, procedure, norme e istituzioni inerenti alla conduzione delle politiche di bilancio dell’amministrazione pubblica), in relazione alla necessità di un controllo indipendente sulle autorità di bilancio e sulla legalità del calcolo dei saldi che servono per la verifica del rispetto dell’OMT. I giudici contabili avevano osservato, infatti, che se non è possibile accertare in modo terzo e indipendente la correttezza della perimetrazione delle pubbliche amministrazioni ai sensi del SEC 2010, viene meno qualsiasi possibilità di verifica sull’individuazione dei soggetti che concorrono alla formazione del conto economico consolidato (peraltro, osservavano, il Pubblico ministero contabile, sarebbe un soggetto legittimato ad agire avverso le illegittime esclusioni di enti dal settore delle amministrazioni pubbliche). 

1.3. Con la terza questione pregiudiziale le Sezioni riunite avevano rappresentato, infine, una possibile violazione del principio generale dello Stato di diritto, artt. 2 e 19 TUE, e dell’art. 47 CDFUE. In primo luogo, i giudici contabili avevano ricordato che il TUE, oltre a porre uno specifico divieto di arbitrarietà del potere esecutivo, stabilisce la giustiziabilità delle violazioni del diritto dell’Unione, attraverso la Corte di giustizia e gli apparati giurisdizionali degli Stati membri, dotati di indipendenza e imparzialità, al fine di garantire la tutela giurisdizionale effettiva dei diritti previsti dalle norme euro-unitarie. Nella stessa ottica, l’art. 47 CDFUE codifica un principio che limita l’autonomia procedurale degli Stati membri in merito alla loro organizzazione giudiziaria, ogni qual volta vengono in gioco diritti e libertà della persona. Nel caso specifico, in cui sussiste il riconoscimento dello status di amministrazione pubblica ai sensi del SEC 2010, si assiste ad una “compressione delle libertà e dei diritti di soggetti che sono estranei alla pubblica amministrazione, ma che svolgono le loro attività economiche a mezzo di unità istituzionali essendo state ricomprese nel settore S.13”. Seguendo le argomentazioni dei giudici remittenti, con il limite posto dalla nuova formulazione dell’art. 11, co. 6, lett. b), del codice di giustizia contabile, il diritto costituito dalla libertà a non essere classificati indebitamente come unità istituzionali della pubblica amministrazione risulterebbe gravemente compromesso, in chiara violazione dei principi affermati dalla giurisprudenza della Corte di giustizia (il principio di equivalenza e il principio di effettività[2]). Non è di poco conto l’affermazione, che si legge nelle ordinanze di remissione, circa la natura esclusiva della giurisdizione del giudice contabile sui saldi e sulla perimetrazione di bilancio, dotata anche di copertura costituzionale: “Non sarebbe possibile ottenere presso un diverso giudice, tutela in ordine agli effetti di cui agli artt. 3 e 4 della L. n. 243/2012, sicché la tutela di uno status comunitario [sarebbe]inferiore rispetto a quella riconosciuta dal diritto interno per gli altri status”, a ciò si aggiunge la concreta riflessione circa la marginalità dei casi in cui sarebbe possibile ricorrere ad altro giudice che vedrebbe riespansa la propria giurisdizione generale di legittimità. 

2. Come riporta la pronuncia del giudice europeo, i quesiti formulati sono infine, sinteticamente, i seguenti tre: 

«1)      Se la regola della diretta applicabilità del SEC 2010 e il principio dell’effetto utile [del regolamento n. 549/2013] e della direttiva 2011/85 ostino ad una normativa nazionale che limita la giurisdizione del giudice nazionale competente sulla corretta applicazione del SEC 2010 soltanto ai fini della legislazione nazionale sul contenimento della spesa pubblica, precludendo il principale effetto utile della disciplina [di diritto dell’Unione], ossia la verifica di trasparenza ed affidabilità dei saldi di bilancio, tramite cui accertare la convergenza [della Repubblica italiana] verso l’[Obiettivo di medio termine].

2)      Se la regola della diretta applicabilità del SEC 2010 e il principio dell’effetto utile del [regolamento n. 549/2013] e della direttiva 2011/85, in punto di separazione organizzativa tra autorità di bilancio e organismi di controllo, ostino ad una normativa nazionale che limita gli effetti della pronunzia del giudice nazionale competente sulla corretta applicazione del SEC 2010 soltanto ai fini della legislazione nazionale sul contenimento della spesa pubblica, precludendo qualsiasi controllo indipendente sulla perimetrazione soggettiva dei conti della pubblica amministrazione italiana (così come qualificata ai fini [del diritto dell’Unione]) tramite la quale verificare la convergenza [della Repubblica italiana] verso l’[Obiettivo di medio termine].

3)      Se il principio dello Stato di diritto, sub specie di effettività della tutela giurisdizionale e di equivalenza dei rimedi giurisdizionali osti ad una normativa nazionale che:

a)      impedisce qualsiasi verifica giurisdizionale sull’esatta applicazione del SEC 2010 da parte dell’ISTAT ai fini della perimetrazione del settore S.13 e quindi sulla correttezza, trasparenza ed affidabilità dei saldi di bilancio, tramite cui verificare la convergenza [della Repubblica italiana] verso l’[Obiettivo di medio termine] (violazione del principio di effettività delle tutele);

b)      espone il ricorrente, qualora dovesse ritenersi esatta, anche tramite legge di interpretazione autentica, la lettura della norma proposta dalle amministrazioni resistenti, ad un doppio onere di impugnazione giudiziaria e a conseguenti rischi di contrasto di giudicato sulla sussistenza di uno status di diritto [dell’Unione], rendendo di fatto impossibile la tutela effettiva del suo diritto nel tempo utile richiesto per l’adempimento degli obblighi che ne conseguono (ossia l’esercizio finanziario) e vanificando la certezza del diritto in ordine alla sussistenza dello status di pubblica amministrazione;

c)      sempre ove dovesse ritenersi esatta, anche tramite legge di interpretazione autentica, la lettura della norma proposta dalle amministrazioni resistenti, prevede che a pronunciarsi sulla correttezza della perimetrazione di bilancio sia un giudice diverso da quello al quale la Costituzione italiana riserva la giurisdizione sul diritto del bilancio».

La Corte di giustizia riordina concettualmente tali quesiti, riducendoli, sostanzialmente, a due. 

Il primo ricomprende le questioni pregiudiziali di cui ai nn. 1, 2 e 3 fino al punto a) e si pone nei termini che seguono, se la limitazione della giurisdizione del giudice contabile ai soli fini della legislazione sul contenimento della spesa, senza che sia giustiziabile in sé lo status euro-unitario e gli altri effetti (tra cui quelli in materia di “indebitamento”, che, nella contabilità finanziaria, è una entrata), sia compatibile con il diritto dell’Unione richiamato. Il secondo riguarda l’ipotesi in base alla quale vi sarebbe la riespansione della giurisdizione generale del giudice amministrativo in materia di atti amministrativi. In tal caso, v’è da chiedersi se un simile sdoppiamento di tutela sarebbe compatibile col diritto dell’Unione (quasi a prevenire un conflitto interno di giurisdizione, a tutela del fondamentale principio di certezza del diritto).

3. La Corte di giustizia, con una pronuncia che risulta particolarmente apprezzabile per chiarezza e sinteticità, risponde in modo unitario, confermando il ruolo centrale del giudice contabile italiano nella verifica di garanzia dell’effetto utile dei regolamenti richiamati e della direttiva sui quadri di bilancio, come della effettività della tutela giurisdizionale assicurata ai soggetti interessati alla corretta definizione del perimetro delle amministrazioni pubbliche che concorrono determinazione dei saldi di finanza pubblica del conto economico consolidato.

3.1. In estrema sintesi il percorso motivazionale si può così riassumere. Il primo snodo interpretativo riguarda la natura della situazione giuridica che scaturisce dal regolamento n. 549/2013, noto come SEC 2010: (a) i regolamenti comunitari sono direttamente applicabili e come tali generano una situazione giuridica di status sui soggetti dell’ordinamento euro-unitario (v. punti 62; 68-70), essi infatti generano una “qualificazione”, che scaturisce direttamente dal diritto dell’Unione (punti 66-68)[3].

3.2. Il secondo snodo argomentativo, riguardando il legame tra SEC 2010 e la direttiva sui quadri di bilancio (ed in ultimo in Patto di stabilità e crescita), può essere, a sua volta, suddiviso in: (b) la direttiva 2011/85 pur essendo libera nell’attuazione statale, ha un effetto utile che deve essere preservato – obiettivi numerici, trasparenza e possibilità di correzioni vincolanti, nei modi stabiliti dalla legge nazionale, in materia di debito e disavanzo – (v. punti 71, 74-76)[4]; (c) il regolamento del SEC 2010 è indissolubilmente legato alla direttiva sui quadri di bilancio che lo richiama (v. punto 72), l’effetto utile dell’uno e dell’altro, quindi, sono reciprocamente condizionati. Infatti, il regolamento n. 549/2013 e la direttiva 2011/85, “laddove tali testi normativi impongono regole contabili e di bilancio allo Stato membro interessato il cui pieno rispetto deve poter essere preteso da enti, quali le ricorrenti di cui ai procedimenti principali, dinanzi ad un giudice. Orbene, in tali circostanze, le disposizioni della Carta sono applicabili” (punto 87).

3.3. Sulla base di queste premesse, si sviluppa il terzo snodo argomentativo (la prima conclusione sillogistica). Se l’effetto utile del regolamento e della direttiva (v. punti 92 e 93) è strettamente connesso al controllo giurisdizionale (v. punto 68): (d) “Di conseguenza, un’interpretazione della direttiva 2011/85 idonea a preservarne l’effetto utile osta ad una normativa nazionale che escluda qualsiasi possibilità di controllo giurisdizionale della fondatezza della designazione di un ente quale amministrazione pubblica” (punto 78). Ed infatti: Nel caso di specie, alla luce della giurisprudenza citata ai punti 92 e 93 della presente sentenza, qualora il giudice nazionale constatasse che l’entrata in vigore dell’articolo 23 quater del decreto-legge n. 137/2020 determina l’assenza di qualsiasi controllo giurisdizionale delle decisioni dell’ISTAT relative all’iscrizione di enti nel settore delle amministrazioni pubbliche, come definito nel regolamento n. 549/2013, bisognerebbe in tal caso considerare che tale disposizione rende impossibile o eccessivamente difficile l’applicazione del suddetto regolamento e, pertanto, non permette di garantire l’effetto utile della direttiva 2011/85. Infatti, in una simile ipotesi, detti enti non potrebbero adire alcun giudice ai fini del controllo delle misure adottate dall’ISTAT in applicazione del regolamento di cui sopra” (punto 94).

3.4. In sintesi, la Corte risponde al primo quesito logico (cosa accade se viene esclusa la giurisdizione nazionale sullo status di p.a./non p.a.) nei seguenti termini.  L’effetto utile dei regolamenti e della direttiva sui quadri di bilancio si garantisce solo se la “qualificazione” di pubblica amministrazione/non pubblica amministrazione può essere giustiziata, davanti ad una “giurisdizione”. Gli ordinamenti nazionali, quindi, devono assicurare necessariamente un “controllo” che sia giuridico (con il parametro europeo) e giurisdizionale (v. punti 69 e 78). A tale controllo necessario la direttiva richiede sia affiancato un “audit indipendente”, che peraltro può essere anche non giudiziario (v. punti 79-83). Il controllo giurisdizionale, peraltro, non può essere escluso oltre il limite dell’effetto utile della giustiziabilità davanti ad un giudice, che si pronunci con effetto di giudicato, sullo status di “pubblica amministrazione” e sul carattere cogente dei vincoli numerici di bilancio imposti alle pubbliche amministrazioni. 

Poiché resta al giudice del rinvio interpretare il diritto interno, compito che non rientra nella competenza del giudice europeo, sul secondo quesito logico (le conseguenze di due giudici e due giudicati sullo status euro-unitario), ferma restando la competenza del giudice del rinvio nell’avvalorare questa seconda ipotesi, la Corte di giustizia afferma che un concorso di giurisdizione non sarebbe in conflitto con il diritto dell’Unione, purché l’effetto utile resti garantito. Per altro verso sono considerate questioni di diritto interno quelle connesse al contrasto di giudicati o alla violazione della Costituzione italiana, sub specie di violazione dei criteri interni di riparto della giurisdizione (v. punti 95-99).

4. Il percorso logico e argomentativo sopra riportato coglie con puntualità quanto affermato delle Sezioni riunite nel passaggio della motivazione in cui, dopo aver ricordato le posizioni della Procura generale e dell’Avvocatura generale dello Stato, sottolineano che secondo il giudice remittente la modifica apportata al codice di giustizia contabile comporterebbe un difetto assoluto di tutela giurisdizionale per gli enti che si trovano in una situazione simile a quella dei ricorrenti di cui ai procedimenti principali. Mancherebbe, infatti, “un giudice in grado di garantire l’osservanza del diritto dell’Unione per quanto concerne la sussistenza dello status di pubblica amministrazione e degli obblighi ad esso connessi, si impedirebbe qualsiasi verifica sulla corretta osservanza, da parte dello Stato italiano, delle norme giuridiche dell’Unione relative a tale status, prevista dal regolamento n. 549/2013, e pertanto dei saldi di finanza pubblica, ai sensi dell’articolo 126 TFUE, del Protocollo n. 12, nonché del Patto di stabilità e di crescita” (punto 36). In ogni caso, la risposta unitaria della Corte di giustizia alle questioni pregiudiziali, dimostra come la questione principale sottoposta al suo esame riguardi essenzialmente se la normativa nazionale che limita la giurisdizione del giudice contabile a statuire sulla fondatezza dell’iscrizione di un ente nell’elenco delle amministrazioni pubbliche, possa pregiudicare l’applicazione effettiva delle norme euro-unitarie relative alla corretta definizione del perimetro delle amministrazioni pubbliche che concorrono alla formazione dei saldi di bilancio, in vista della convergenza delle politiche economiche e della vigilanza dell’Unione sui saldi stessi, sia sotto il profilo della trasparenza sia dell’affidabilità, allo scopo ultimo di accertare la convergenza dell’Italia verso l’OMT. I giudici europei hanno dichiarato che il diritto dell’Unione, così come risultante dalle norme più volte sopra richiamate, non osta ad una normativa nazionale che limiti la competenza del giudice contabile a statuire sulla fondatezza dell’iscrizione di un ente nell’elenco delle amministrazioni pubbliche, “purché siano garantiti l’effetto utile dei regolamenti e della direttiva summenzionati nonché la tutela giurisdizionale effettiva imposta dal diritto dell’Unione”.

4.1. Un passaggio interessante di tale risposta unitaria si ravvisa nel rinvio a quanto affermato dalla Corte di giustizia nella nota sentenza Randstad Italia, in cui si legge che il principio della tutela giurisdizionale effettiva dei diritti riconosciuti ai singoli dal diritto dell’Unione, al quale fa riferimento l’art. 19 TUE, costituisce un principio generale del diritto dell’Unione che discende dalle tradizioni costituzionali comuni agli Stati membri ed è sancito dagli artt. 6 e 13 della Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali, firmata a Roma il 4 novembre 1950, attualmente affermato anche dall’art. 47 CDFUE. La Corte ribadisce che per eliminare il dubbio sulla conformità delle norme nazionali a tale principio è necessario escludere che “non esiste alcun rimedio giurisdizionale tale da permettere, anche solo in via incidentale, di assicurare il rispetto dei diritti riconosciuti ai singoli dal diritto dell’Unione, oppure che l’unico modo per poter adire un giudice da parte di un singolo sia quello di commettere violazioni del diritto” (punto 92; v. Corte di giustizia, sentenza del 21 dicembre 2021, Randstad Italia, C-497/20, punto 62 e la giurisprudenza ivi citata). Nel caso specifico, la sentenza, fermo restando che spetta al giudice nazionale verificare se la disposizione di cui all’art. 23-quater, co. 2, del d.l. n. 137/2020 (l. conv. n. 176/2020), renda impossibile, o eccessivamente difficile, l’applicazione del diritto dell’Unione, ritiene che nel caso in cui all’esito di tale verifica dovesse emergere l’assenza di qualsiasi controllo giurisdizionale delle decisioni dell’ISTAT relative all’iscrizione di enti nel settore delle amministrazioni pubbliche, come definito nel regolamento n. 2013/549, “bisognerebbe in tal caso considerare che tale disposizione rende impossibile o eccessivamente difficile l’applicazione del suddetto regolamento e, pertanto, non permette di garantire l’effetto utile della direttiva 2011/85. Infatti, in una simile ipotesi, detti enti non potrebbero adire alcun giudice ai fini del controllo delle misure adottate dall’ISTAT in applicazione del regolamento di cui sopra” (punto 94). 

4.2. Proprio perché svolta dal giudice nazionale, tale verifica è condotta all’interno del sistema ordinamentale dello Stato membro, considerando la specifica procedura e “i principi che sono alla base del sistema giurisdizionale nazionale, come la tutela dei diritti della difesa, il principio della certezza del diritto e il corretto svolgimento del procedimento” (punto 93; v. Corte di giustizia, sentenza del 17 novembre 2022, Harman International Industries, C-175/21, punto 68 e la giurisprudenza ivi citata). Diversamente, qualora il giudice del rinvio dovesse accogliere l’interpretazione secondo cui soltanto il giudice amministrativo è competente ad annullare l’iscrizione di un ente nell’elenco ISTAT ed il giudice contabile può controllare unicamente la legittimità di tale iscrizione in maniera incidentale – allorché statuisce sull’applicazione della normativa nazionale sul contenimento della spesa pubblica -, il citato art. 23-quater, co. 2, non lederebbe il principio di effettività della tutela giurisdizionale, poiché esisterebbe comunque un mezzo di ricorso giurisdizionale volto al controllo sulle misure adottate dall’ISTAT in applicazione del regolamento n. 549/2013 e della direttiva 2011/85. 

4.3. Nell’ipotesi prospettata dai resistenti, con due distinti ricorsi l’ente potrebbe, infatti, chiedere al giudice amministrativo l’annullamento erga omnes della decisione che lo ha iscritto nell’elenco ISTAT e contestare innanzi alla Corte dei conti le conseguenze dell’iscrizione, ottenendone, eventualmente e in maniera incidentale, la disapplicazione. 

4.4. Il punto è che la Corte di giustizia parte dal presupposto, non negato dal giudice del rinvio (che però vi opta in modo subordinato rispetto alla tesi dell’esclusività della giurisdizione del solo giudice contabile), dell’esistenza di giurisdizioni concorrenti. In tale ipotesi, la cui verifica è comunque rimessa al giudice del rinvio, dovrebbero essere vere tre circostanze : (a) che ci possa essere un giudice “generale” della giurisdizione sugli atti amministrativi, in forza di una norma costituzionale, nonostante una interposizione legislativa nel senso della esclusività; (b) che ci possa essere un “accertamento incidentale” dello status, dinanzi a due giudici, tant’è che si prospetta il conflitto tra giudicati  (c) che il giudice amministrativo abbia il potere di annullare l’elenco ISTAT.

4.5. La ricorrenza di ciascuna delle circostanze appare quanto meno ardita. Nell’ordinamento italiano, infatti, in forza degli artt. 111 e 25 Cost., le norme della giurisdizione devono essere definite con una interpositio legislatoris che deve essere tassativa e di carattere affermativo/positivo. Non è possibile ricavare la giurisdizione, in caso di interposizione legislativa, direttamente dalle norme costituzionali, tanto più se l’interposizione legislativa è nel senso della esclusività della giurisdizione di dato giudice, sebbene a determinati effetti. Come risulta da giurisprudenza costituzionale consolidata “l’art. 25, primo comma, della Costituzione esige, secondo i principi numerose volte affermati da questa Corte, che la legge predetermini i criteri di individuazione del giudice competente e circoscriva con limiti adeguati le ipotesi nelle quali, a regiudicanda già insorta, si possa spostare la competenza da uno ad altro giudice. Ed è proprio sulla base della copiosa giurisprudenza costituzionale in materia che la disposizione in esame risulta illegittima […] Ma quel che conta ai fini della presente decisione è che questi organi non trovano nella disposizione impugnata una descrizione della fattispecie delimitata in modo da consentire che possa valutarsi a quale situazione obiettiva debba seguire l’attribuzione del procedimento ad un giudice diverso da quello che dovrebbe conoscerne in base alle norme che in via generale disciplinano le competenze” (Corte cost., sentenza del 21 aprile 1971 n. 82).

4.6.  La seconda e la terza circostanza, che la giurisdizione generale di legittimità del giudice amministrativo riguardi lo status di pubblica amministrazione e che lo stesso giudice amministrativo abbia un connesso potere di annullamento, appaiono, parimenti, poco credibili. Il fatto che l’art. 11 comma 6 c.g.c. stabilisca la giurisdizione esclusiva della Corte dei conti a “determinati effetti”, significa che, ove vi fosse altro giudice, questo vi potrebbe essere solo “ad altri effetti” e che non potrebbe essere dotato di un potere generale di annullamento[5]. La struttura della norma in questione impedisce che altri giudici possano travolgere il giudicato “sugli effetti di spesa”, sui quali la decisione spetta solo al giudice contabile. Lo stesso giudice amministrativo, quindi, non avrebbe alcun potere di annullamento né potrebbe accertare con effetto di giudicato lo status, con effetti anche di carattere euro-unitario, di amministrazione pubblica; egli potrebbe solamente disapplicare l’iscrizione nell’elenco ISTAT, “ad altri effetti”, diversi da quello sulla spesa. In ultima analisi, né il giudice contabile né il giudice amministrativo sarebbero provvisti del potere di compiere un “accertamento incidentale” (artt. 34 e 295 c.p.c.) con effetto di giudicato sullo status di p.a./non p.a., con la conseguenza che l’elenco ISTAT diventerebbe, di fatto, insindacabile – alla stregua di un atto politico – se non per i suoi effetti.

4.7. La Corte di giustizia invece questo effetto di giudicato lo presuppone, tant’è che precisa che la possibilità che si verifichi un contrasto di giudicati non è sufficiente a configurare una violazione dell’art. 19 TUE, letto alla luce dell’art. 47 CDFUE e del principio di effettività, purché un ente che contesti la decisione di qualificazione adottata nei suoi confronti dall’ISTAT possa limitarsi a proporre un unico ricorso per veder esaminata la propria domanda. Particolarmente significativa, al riguardo, la successiva affermazione della Corte di giustizia, circa la necessaria previsione di modalità concrete di esercizio dei mezzi di ricorso, in modo tale da non pregiudicare in maniera sproporzionata il diritto ad un ricorso effettivo, che presuppone non solo lo svolgimento di un procedimento giurisdizionale – con la garanza di terzietà ed imparzialità del giudice – ma anche la possibilità che il diritto fatto valere trovi piena attuazione (v. punto 98; si veda anche Corte di giustizia, sentenza del 12 gennaio 2023, Nemzeti Adatvédelmi és Informàciószabadsàg Hatósàg, C-132/21, punto 51 e la giurisprudenza ivi citata).

4.8. In definitiva, nel ribadire che spetta al giudice del rinvio la verifica della sussistenza di procedure di ricorso dinanzi ad un giudice indipendente per statuire sulla ricognizione delle amministrazioni pubbliche operata dall’ISTAT, la Corte di giustizia chiarisce che il fatto che il giudice competente non sia “quello designato dalla Costituzione della Repubblica italiana quale giudice competente in materia di bilancio è privo di rilevanza dal punto di vista del diritto dell’Unione” (punto 99). Spetterà, dunque, alle Sezioni riunite in sede giurisdizionale della Corte dei conti, nella loro speciale composizione, valutare se la normativa nazionale che limita la giurisdizione del giudice contabile a statuire sulla fondatezza dell’iscrizione di un ente nell’elenco delle amministrazioni pubbliche ai soli fini dell’applicazione della normativa nazionale sul contenimento della spesa pubblica, alla quale di per sé non osta il diritto euro-unitario richiamato (regolamenti nn. 549/2013 – SEC 2010 e 473/2001, la direttiva 2011/85, nonché l’art. 47 CDFUE), garantisca comunque l’effetto utile di tale diritto e una tutela giurisdizionale effettiva, così come imposta dal diritto dell’Unione. 

Ma questa interpretazione è caratterizzata da un doppio vincolo, quello della interpretazione conforme al diritto dell’Unione[6] e quello della interpretazione conforme alla Costituzione[7] .

Note_______________________________________________________________________________________________________________________________________________________________________________________________________________________________________________________________________________________________________________________


[1] Il settore delle amministrazioni pubbliche (S.13) è costituito dalle “unità istituzionali che agiscono da produttori di beni e servizi non destinabili alla vendita, la cui produzione è destinata a consumi collettivi e individuali e sono finanziate da versamenti obbligatori effettuati da unità appartenenti ad altri settori, nonché dalle unità istituzionali la cui funzione principale consiste nella redistribuzione del reddito e della ricchezza del paese” (SEC 2010 – paragrafo 2.111)

[2] Si vedano, fra le altre, Corte di giustizia, sentenza del 10 luglio 1997, Palmisani, causa C-261/95, punto 27, ma ancora prima, la nota sentenza del 19 novembre 1991, Francovich, cause riunite C-6/90 e C-9/90, punto 43; Corte di giustizia, sentenza del 28 marzo 2017, PJSC Rosneft Oil Company, causa C-72/15, punto 73 e la giurisprudenza diffusamente citata nelle ordinanze di remissione.

[3] “ogni unità istituzionale – definita come un’entità economica che può essere proprietaria di beni e attività, può assumere passività, nonché esercitare attività economiche e intervenire in operazioni con altre unità per conto proprio – deve essere ricondotta ad uno dei sei settori principali identificati dal SEC 2010, vale a dire le società non finanziarie, le società finanziarie, le amministrazioni pubbliche, le famiglie, le istituzioni senza scopo di lucro al servizio delle famiglie e il resto del mondo” (punto 66).

[4] Peraltro, se ai sensi dell’art. 5 della direttiva 2011/85, ciascuno Stato membro deve disporre di proprie specifiche regole di bilancio numeriche che promuovano effettivamente l’osservanza dei suoi obblighi derivanti dal TFUE nel settore delle politiche di bilancio (come il rispetto dei valori di riferimento relativi al disavanzo pubblico e al debito pubblico, nonché l’adozione di un orizzonte di programmazione di bilancio pluriennale, che comprende il rispetto dell’obiettivo di bilancio a medio termine dello Stato membro), allora le regole di bilancio numeriche afferenti alle amministrazioni pubbliche concorrono alla disciplina del bilancio dello Stato membro da cui tali amministrazioni dipendono. In quest’ottica, l’affidabilità e l’aggiornamento dei dati di bilancio è indispensabile per effettuare un monitoraggio corretto e tempestivo, soprattutto nei casi in cui si presenti la necessità di adottare provvedimenti per fronteggiare andamenti imprevisti del bilancio. Tutto ciò non sarebbe possibile nel caso in cui dovesse mancare un controllo giurisdizionale sulla qualità di amministrazione pubblica, finalizzato ad evitare che la trasmissione dei dati per gli enti che non dovrebbero possedere tale status (v. punto 77). Anche l’effetto utile della direttiva sui quadri di bilancio, dunque, non sarebbe garantito da una normativa nazionale che escluda qualsiasi possibilità di controllo giurisdizionale della fondatezza della designazione di un ente quale amministrazione pubblica. L’effetto utile della direttiva 2011/85, e del regolamento n. 473/2013, non sarebbe garantito, inoltre, nemmeno se non vi fosse un controllo indipendente sulle autorità di bilancio degli Stati membri, pur nella libertà di ciascuno Stato di individuare gli organismi indipendenti, incaricati di sorvegliare i sistemi nazionali di contabilità pubblica o il rispetto effettivo della disciplina di bilancio. In conformità all’art. 3, par. 1, della direttiva 2011/85, in combinato disposto con il considerando n. 3 di quest’ultima, i sistemi nazionali devono essere assoggettati ad un controllo interno e ad un audit indipendente rispetto alle autorità di bilancio degli Stati membri, laddove l’audit può essere svolto da una o più istituzioni pubbliche, come ad esempio le corti dei conti, oppure da organismi privati, con un elevato livello di autonomia funzionale e di responsabilità (v. anche artt. 2 e 5 del regolamento 2013/473; punti 79-82). In ogni caso, la normativa richiamata lascia gli Stati membri liberi di limitare la portata del controllo giurisdizionale delle loro corti dei conti circa l’applicazione del regolamento n. 549/2013 (al riguardo, la sentenza richiama quanto affermato nelle conclusioni dell’Avvocato Generale al par. 85).

[5] Anche il potere di annullamento del giudice amministrativo deve essere espressamente previsto dal legislatore per “casi” e per “effetti” (art. 113, co. 3, Cost.).

[6] Per la giurisprudenza sull’obbligo di interpretazione conforme del diritto interno al diritto comunitario, cfr. Corte di giustizia, sentenza del 10 aprile 1984, Von Colson, causa C-14/83; sentenza del 4 febbraio 1988, Murphy 1988, causa C-157/86; sentenza del 13 novembre 1990, Marleasing, causa C-106/89. Per il riconoscimento dell’obbligo di interpretazione conforme al diritto comunitario a livello interno cfr. Corte cost., sentenze n. 190/2000 e n. 86/2004. In dottrina, G. Pistorio, Interpretazioni e Giudici. Il caso dell’interpretazione conforme al diritto dell’Unione europea, Editoriale Scientifica, Napoli, 2012.

[7] Cfr. per tutti, M. Luciani, (voce) Interpretazione conforme a Costituzione, in Enc. dir., Annali IX, Milano, 2016, p. 391 e ss.; in giurisprudenza Corte cost., ex plurimis, sentenze n. 356/1996, n. 219/2008 e n. 1/2013.

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