La Corte costituzionale si pronuncia sul “salva-Reggio Calabria”

La Corte delinea i limiti all’uso manipolativo del tempo nel risanamento della finanza locale

di Marco Bevilacqua

CORTE COSTITUZIONALEsentenza 23 giugno 2020, n. 115 (Gazzetta ufficiale, 1a serie speciale, 24 giugno 2020, n. 26); Pres. Cartabia, Red. Carosi; interv. Pres. cons. ministri.

1. Premessa. La Corte costituzionale torna sui limiti al ricorso dello strumento del piano di riequilibrio finanziario pluriennale, precisando, tra l’altro, alcuni passi della sentenza n. 18 del 2019. In particolare, nel dichiarare incostituzionale la norma che consente la rimodulazione dei piani di riequilibrio degli enti locali in predissesto, spalmando il debito fino a venti anni, ribadisce la necessità di evitare meccanismi che si sottraggono al controllo puntuale della Corte dei conti e che si risolvono in nuove risorse per la spesa corrente a danno degli accantonamenti annuali programmati dai piani di riequilibrio già approvati. Peraltro, nel 2013 è stato introdotto l’istituto delle anticipazioni di cassa che, in alcuni casi, è stato utilizzato per aumentare il debito dell’ente locale in misura non in linea con i limiti posti dal legislatore. 

Tali meccanismi rischiano di compromettere la fiducia dei cittadini nelle amministrazioni locali, violano il patto intergenerazionale e impediscono le attività di monitoraggio e di controllo del reale perseguimento del pareggio di bilancio da parte della Corte dei conti.

Clicca qui per scaricare il testo della sentenza n. 115/2020

2. La vicenda.  La questione oggetto della pronuncia in commento concerne la facoltà per gli enti di riproporre il piano di riequilibrio finanziario, dilazionando in tal modo il disavanzo fino a un massimo di venti anni. Il PRFP consiste in uno strumento straordinario, previsto per gli enti locali in condizione di grave squilibrio strutturale e volto a prevenire il dissesto in un’ottica di ripristino degli equilibri finanziari.

Come specificato dalle Linee guida per l’esame del piano di riequilibrio finanziario pluriennale, approvate dalla Sezione delle autonomie con delibera n. 5/2018, la procedura ha come presupposto l’impossibilità per l’ente di ripristinare l’equilibrio di bilancio e dare copertura «credibile, sufficientemente sicura, non arbitraria o irrazionale» (ex multis, sent. Corte cost., nn. 68 e 106 del 2011). Ai sensi dell’art. 243-bis, da leggersi in combinato disposto con l’art. 244 TUEL e l’art. 6, comma 2 del D.lgs. n. 149/2011, lo squilibrio si individua, sostanzialmente nell’incapacità di adempiere alle proprie obbligazioni secondo esigibilità a causa della mancanza di risorse effettive a copertura della spesa. 

Al meccanismo del piano di riequilibrio si affianca l’istituto delle anticipazioni di liquidità, che la Corte qualifica come «anticipazioni di cassa a lunga restituzione» allo scopo di eliminare la morosità degli enti pubblici». La giurisprudenza della Corte è ormai consolidata al riguardo: ex multis, v. Corte cost., n. 181/2015, per cui la caratteristica funzionale delle anticipazioni di cassa è quella di fornire la liquidità necessaria a fronteggiare le sfasature temporali tra la realizzazione delle entrate e delle spese. In sostanza, le anticipazioni non servono a supplire alla mancanza o insufficienza di entrate rispetto alle spese da effettuare, hanno invece la funzione di colmare la lentezza con cui è acquisita la liquidità fornita dalle entrate. Il giudice costituzionale sottolinea che corollario essenziale è che «la misura complessiva delle anticipazioni non superi quella dei debiti inevasi al momento dell’ultima anticipazione». 

Venendo ora al caso di specie, il Comune di Reggio Calabria aveva proceduto alla rimodulazione e all’approvazione del PRFP sotto la vigenza dell’art. 1, co. 714, della l. n. 208/2015, come sostituito dall’art. 1, comma 434, della l. n. 232/2016, poi dichiarato incostituzionale con la sentenza n. 18 del 2019

Poiché i piani basati sulla previgente disciplina sono risultati inefficaci, ne è conseguita una riemersione della procedura di riequilibrio precedentemente approvata; di talché, il legislatore è intervenuto nel 2019, con l’art. 38, co. 2-bis del d.l. n. 34, consentendo agli enti locali di riproporre il piano per adeguarlo alla normativa vigente, secondo la procedura dell’art. 1, co. 888 e 889, l. n. 205/2017.

Così, il Comune di Reggio Calabria ha riproposto il PRFP, limitandosi a modificare la durata (il doppio: da dieci a venti anni) e riducendo la corrispondente quota annua destinata al risanamento dei conti.

Secondo la Sezione regionale di controllo per la Calabria, con ordinanza di rimessione n. 108 del 2019, commentata da F. Sucameli, La Sez. Controllo Calabria solleva questione di costituzionalità sul “Salva Reggio Calabria”, in Diritto&Conti, 7 settembre 2019, l’eccessiva dilazione nel tempo del disavanzo originario impedisce la verifica degli obiettivi intermedi e di quelli finali ex art. 243-quater, co. 6, d.lgs. n. 267 del 2000. Per la Sezione, la valutazione di congruità delle misure, sotto il profilo qualitativo, limita la verifica alla misura del disavanzo da applicare ai bilanci di previsione. In sostanza, la norma introduce una «discrasia (tra pianificazione-programmazione decennale e recupero del disavanzo ventennale), quindi, preclude sostanzialmente alla Sezione la funzione di verifica di legalità finanziaria finalizzata ad attestare la correttezza del percorso di risanamento».

3. Il merito della decisione. La Corte costituzionale interviene, dunque, sullo scrutinio di legittimità costituzionale del combinato disposto dell’art. 38, co. 2-bis e 2-ter d.l. n. 34 del 2019, che, come prospettato dalla Sezione rimettente, si porrebbe in contrasto con gli artt. 81, 97, primo comma e 119, sesto comma della Costituzione.

L’occasione si è tradotta in una vera e propria occasione di interpretazione autentica del precedente arresto costituzionale, forse per evitare improvvide interposizioni interpretative e legislative che partono dall’errato presupposto che le sentenze della Corte non generino una normativa di risulta auto-applicativa, considerata dallo stesso Giudice dele legge, costituzionale.

In primo luogo, la Corte ha precisato che con la sentenza n. 18/2019 non è stata censurata una certa durata (che nel caso di specie era di trenta anni) del piano di riequilibrio bensì «il meccanismo di manipolazione del deficit che consente di sottostimare, attraverso la strumentale tenuta di più disavanzi, l’accantonamento annuale finalizzato al risanamento».

È l’uso manipolativo del tempo, volto a rinviare il riequilibrio, che la Corte sanziona: nel caso della pronuncia di incostituzionalità che riguarda la sentenza in commento ciò avviene mediante la creazione, anzi, la moltiplicazione artificiosa di plurimi disavanzi.

Nella pronuncia in discorso, la Corte ha altresì precisato che il meccanismo di cui all’art. 38 cit. comporta un’utilizzazione sviata del PRFP rispetto ai precetti costituzionali e non nella durata in quanto tale del programma. 

Consentendo una simile rimodulazione, la gestione del Comune in predissesto «riparte da un quadro incerto e irrazionalmente indeterminato», evidentemente in violazione dei princìpi di equilibrio di bilancio e buon andamento dell’amministrazione pubblica. In sostanza, si allarga l’entità del disavanzo anziché procedere sulla strada del suo risanamento in contrasto con l’art. 42, d.lgs. 118/2011 che fissa la regola fisiologica di detto rientro (annuale, massimo triennale e comunque non superiore al mandato elettorale).

Secondo il giudice costituzionale, la norma impugnata risulta peraltro in violazione altresì con l’art. 119, sesto comma, Cost. nei termini del rispetto dei diritti delle generazioni future. Già nel 2012, la Corte aveva riconosciuto che il principio della sostenibilità del debito pubblico «implica una responsabilità che, in attuazione di quelli “fondanti” di solidarietà e di eguaglianza, non è solo delle istituzioni ma anche di ciascun cittadino nei confronti degli altri, ivi compresi quelli delle generazioni future» (sent. n. 243). Il principio di equità intergenerazionale è stato successivamente evocato dalla Corte nelle sentenze n. 107/2016 e n. 6/2017, nelle quali è stato ribadita l’esigenza di procedere al riassorbimento dei disavanzi in archi temporali brevi e circoscritti, sottolineando le ricadute negative anche in termini di equità intergenerazionale di quelle operazioni di rientro che vadano ben oltre il ciclo di bilancio ordinario. 

In sostanza, la Corte non nasconde, anche nella pronuncia in commento, la preoccupazione rispetto alla possibilità di dilatare il disavanzo su un arco temporale eccessivamente lungo, col rischio di deresponsabilizzare l’amministratore pubblico atteso che risulterebbe quanto meno complesso individuare le responsabilità dei disavanzi a distanza di venti o trent’anni dagli esercizi in cui si sono formati. Senza contare le evidenti farraginosità che si verrebbero a innestare nelle attività di controllo delle sezioni regionali della Corte dei conti. 

Sempre conseguente alla violazione della predetta disciplina costituzionale dell’equilibrio di bilancio si pone il profilo della responsabilità di mandato. Essa rimanda alla necessaria correlazione tra gli equilibri di bilancio e la responsabilità democratica connessa al mandato degli amministratori degli enti territoriali. La responsabilità politica del mandato elettorale si esercita sia attraverso la presentazione del rendiconto delle opere realizzate, sia con riguardo al consumo delle risorse impiegate. In questo senso, il circuito democratico rappresentativo prevede che gli amministratori eletti ed eligendisi sottopongano al giudizio degli elettori. Con la sentenza n. 18 cit., il giudice costituzionale ha affermato che «il principio dell’equilibrio di bilancio non corrisponde ad un formale pareggio contabile»: esso viene indicato quale strumento e presupposto «di una stabilità economica di media e lunga durata, nell’ambito della quale la responsabilità politica del mandato elettorale si esercita, non solo attraverso il rendiconto del realizzato, ma anche in relazione al consumo delle risorse impiegate». Dunque, la rimozione del disavanzo «non può comunque superare il tempo della programmazione triennale e quello della scadenza del mandato elettorale, affinché gli amministratori possano presentarsi in modo trasparente al giudizio dell’elettorato al termine del loro mandato, senza lasciare ‘eredità’ finanziariamente onerose e indefinite ai loro successori e ai futuri amministrati»; sul punto, v. G. Arconzo, La sostenibilità delle prestazioni previdenziali e la prospettiva della solidarietà intergenerazionale. Al crocevia tra gli art. 38, 81 e 97 Cost., in Osservatorio cost., 2018, 3, 627.

Quanto affermato al giudice costituzionale si giustifica in considerazione del «carattere pubblico degli scopi che il bilancio è chiamato a perseguire, attraverso l’adeguatezza delle risorse e, in ultimo, il suo equilibrio rendono lo stesso bilancio un “bene pubblico”». Esso è pubblico nel senso che la verifica degli equilibri, da un lato, consente la accountability dei funzionari pubblici che sono selezionati attraverso meccanismi diretti o indiretti di responsabilità democratica e, dall’altro, consente «l’uguaglianza sostanziale dei cittadini nella percezione e godimento di prestazioni costituzionalmente necessarie» (Corte cost., sent. n. 10/2016). In dottrina, sotto vari profili, v. C. Buzzacchi, Il controllo di legalità finanziaria a garanzia del principio democratico e della responsabilità di mandato, in Riv. Corte conti, 2019, n. 6, 32.

In conclusione, la Corte costituzionale evidenzia che la normativa di risulta conseguente alla pronuncia è autoapplicativa, tracciando esattamente il percorso interpretativo nel caso concreto è richiesto al giudice contabile nell’esercizio della funzione di controllo, il quale deve essere orientato a preservare l’equilibrio e la sostenibilità del risanamento in perfetta coerenza coi principi sopra richiamati. Nel rimandare a successivi approfondimenti, si rinvia alla lettura delle intense righe finali che riguardano tale ruolo “concreto” ed in particolare la funzione centrale che nel sistema ha l’art. 148-bis TUEL.

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