La Cassazione conferma la giurisdizione contabile sulle sanzioni per incarichi non autorizzati

Nota all’ordinanza della Corte di Cassazione, Sezioni Unite, 09 marzo 2021, n. 6473

Con la pronuncia in commento, le Sezioni Unite della Corte di Cassazione hanno affermato la giurisdizione della Corte dei conti in materia di danno erariale conseguente all’omesso riversamento dei corrispettivi percepiti dal dipendente pubblico nello svolgimento di incarichi non autorizzati, anche per fatti avvenuti antecedentemente all’introduzione del comma 7 bis nel testo dell’art. 53 del D. Lgs. 165/2001 ad opera della L. 190/2012.

I fatti dedotti in causa riguardavano la contestazione elevata dalla Procura regionale presso la Sezione Giurisdizionale della Corte dei conti dell’Emilia Romagna ad un professore universitario e Preside della Facoltà di Ingegneria dell’Università di Parma per l’espletamento di attività libero professionale non autorizzata nel periodo compreso tra il 2007 ed il 2011, in cui il predetto si trovava in rapporto di impiego a tempo pieno con l’Amministrazione di appartenenza e, pertanto, in regime di incompatibilità.

Con sentenza n. 37/2015, la Sezione Giurisdizionale per la Regione Emilia-Romagna condivideva l’impianto accusatorio della Procura contabile e condannava il professore universitario al risarcimento del danno erariale; la sentenza veniva appellata sostenendo, tra l’altro e per quanto rileva in questa sede, il difetto di giurisdizione della Corte dei conti.

Il giudice contabile di appello (Seconda Sezione Giurisdizionale Centrale, n. 82/2019) confermava la propria giurisdizione, riformando parzialmente la sentenza di primo grado sul quantum addebitabile a titolo di danno.

Avverso detta pronuncia, il professore proponeva ricorso per Cassazione sostenendo il difetto di giurisdizione contabile, in quanto i fatti posti a fondamento della pretesa risarcitoria avanzata dalla Procura della Corte dei conti erano antecedenti all’entrata in vigore della I. 190/2012, che aveva introdotto il comma 7-bis dell’art. 53 d.lgs. 165/2001.

La Corte, rigettando il ricorso, ha ritenuto sussistente nel caso di specie la giurisdizione della corte, affermando che l’azione ex art. 53, comma 7, del d.lgs. n. 165 del 2001 promossa dal Procuratore della Corte dei conti nei confronti di dipendente della P.A. che abbia omesso di versare alla propria Amministrazione i corrispettivi percepiti nello svolgimento di un incarico non autorizzato, rimane attratta alla giurisdizione del giudice contabile, anche se la percezione dei compensi si è avuta in epoca precedente all’introduzione del comma 7-bis del medesimo art. 53, norma che non ha portata innovativa.

 

La fattispecie sottoposta all’esame della Corte regolatrice involge la disciplina delle incompatibilità del cumulo degli impieghi e degli incarichi, regolato dall’art. 53 del d. lgs. 165/2001 ancorato al dovere di esclusività del rapporto del pubblico dipendente con l’amministrazione, discendente dall’art. 98, I comma, della Costituzione nonché nella necessità di evitare che, a seguito dell’assunzione di più incarichi, il pubblico dipendente si venga a trovare in situazioni di conflitto di interessi o di assoluta incompatibilità con l’attività principale svolta presso l’amministrazione di appartenenza.

Che il quadro sia di notevole complessità ermeneutica è confermato tanto dalla giurisprudenza contabile quanto da quella della Corte di Cassazione, che hanno svolto importanti considerazioni sul fondamento dell’obbligo di riversamento e sulla natura della connessa responsabilità nel caso di omissione dello stesso, mutando nel tempo più volte impostazione anche in ragione dell’introduzione del comma 7 bis nel testo dell’art. 53 del d. lgs. 165/2001 ad opera della legge anticorruzione n. 190/2012.

L’originario orientamento della Suprema Corte (cfr. Cass. Sez. Un. 22688/2011 e Sez. Un. 25769/2015) era stato granitico nell’affermare la giurisdizione della Corte dei conti.

Dal combinato disposto dell’art. 53 comma 7 e del 53 comma 7 bis possono, difatti, ravvisarsi due distinte condotte, con correlativi obblighi, a carico del pubblico dipendente: da un lato il dovere di esclusività del rapporto intercorrente con il datore di lavoro pubblico, derogabile esclusivamente mediante l’autorizzazione dell’amministrazione di appartenenza, la quale deve verificare tutti i possibili profili di conflitto di interesse e di incompatibilità prima del rilascio dell’autorizzazione; dall’altro, nel caso di inosservanza del divieto, l’obbligo di riversamento del compenso, alternativamente o da parte dell’ente conferente o da parte del soggetto privato “indebito percettore” nel conto dell’entrata del bilancio dell’amministrazione di appartenenza del dipendente con la destinazione vincolata all’incremento del fondo di produttività.

Si tratta, difatti, di “prescrizioni strumentali al corretto esercizio delle mansioni, in quanto preordinati a garantirne il proficuo svolgimento attraverso il previo controllo dell’Amministrazione” … la cui violazione “può essere pertanto addotta come fonte di responsabilità amministrativa capace di radicare la giurisdizione della Corte dei conti (Cass., Sez. Un, ordinanza n. 25769/2015)”.

Impostazione nettamente diversa è quella seguita dalle Sezioni Unite della Corte di Cassazione a partire dal 2016; nelle ordinanze n. 19072/2016 e n. 1415 del 2018, prendendo le distanze dal richiamato orientamento c.d. “pancontabilistico”, la Corte ricostruisce l’obbligo di versamento delle somme percepite nello svolgimento di attività professionali – in situazione di incompatibilità con lo status di pubblico dipendente – come una “particolare sanzione prevista dalla legge per la violazione del dovere di fedeltà”.

E pertanto, la domanda della Pubblica Amministrazione rivolta ad ottenere dal proprio dipendente il versamento dei corrispettivi percepiti nello svolgimento di incarichi non autorizzati non poteva che appartenere alla giurisdizione del giudice ordinario.

La decisione muove sia dal dato letterale della norma, che fa salve le più gravi “sanzioni” sia dal carattere indubbiamente “disincentivante proprio della sanzione, desumibile dalla coincidenza dell’entità del versamento con quella delle somme indebitamente percepite dal pubblico dipendente, affinché questi sappia in partenza di non poter trarre vantaggio alcuno da prestazioni che si appresti a svolgere in violazione del dovere di fedeltà”.

Per tali ragioni, la giurisprudenza di legittimità concludeva nel senso che la giurisdizione contabile si radicava «solo se alla violazione del dovere di fedeltà e/o all’omesso versamento della somma pari al compenso indebitamente percepito si accompagnino specifici profili di danno».

Tale orientamento è stato ulteriormente rivisitato alla luce della portata del comma 7 bis, inserito nell’art. 53 del d. lgs. 165/2001, dalla legge 190/2012, che ha concretizzato quella interpositio legislatoris richiesta dalla Consulta per radicare la giurisdizione del Giudice contabile in materia di contabilità pubblica.

In tale ottica, ha riassunto nuovo vigore l’orientamento c.d. pancontabilistico (Cass., Sez. Un., ord., 26/06/2019, n. 17124; Cass., Sez. Un., ord., 14/01/2020, n. 415; Cass., Sez. Un., ord. n. 8/07/2020, 14237); pur sottolineando la natura sanzionatoria dell’obbligo di versamento del compenso indebitamente percepito, volto a rafforzare la fedeltà del dipendente pubblico, la Corte ha affermando la giurisdizione contabile, laddove l’azione proposta dal Procuratore erariale nei confronti del pubblico impiegato trova giustificazione nella violazione dello specifico dovere di chiedere l’autorizzazione allo svolgimento di incarichi extra- lavorativi e del conseguente obbligo di riversare sulla P.A. i compensi in tali occasioni ricevuti. Tali obblighi vengono concepiti quali strumentali all’esatto svolgimento delle mansioni, in quanto preordinati a garantirne il proficuo svolgimento attraverso il potere dell’Amministrazione di valutare se l’impiego in ulteriori attività possa pregiudicare i compiti d’istituto.

Motivo per il quale, al comma 7 bis non può essere riconosciuta alcuna portata innovativa, divenendo irrilevante il momento di percezione di tali compensi (se antecedente o successivo alla novella); si verte, infatti, in ipotesi di responsabilità erariale, che il legislatore ha tipizzato nella condotta e nella sanzione, predeterminando il danno ex lege.

La pronuncia in commento ha ritenuto di dare continuità a tale ultimo orientamento, ribadendo la correttezza delle statuizioni della sentenza impugnata che aveva correttamente affermato la giurisdizione contabile anche per quelle fattispecie in cui la percezione dei compensi si è avuta in epoca precedente all’introduzione del comma 7 bis dell’art. 53.

Giova ricordare che nella stessa direttrice interpretativa dell’ordinanza nr. 6473/2021 si era posta la pronuncia n. 26/2019/QM delle Sezioni Riunite in sede giurisdizionale della Corte dei conti, chiamate a risolvere la questione di massima deferita in relazione alla qualificazione della natura, sanzionatoria o risarcitoria, della responsabilità di cui all’art. 53, commi 7 e 7 bis, del d. lgs. 165/2001, e delle conseguenze in materia di determinazione del rito applicabile.

Anche con riguardo alla giurisprudenza contabile, difatti, il panorama interpretativo sullo specifico argomento è sempre apparso particolarmente variegato; e difatti, al gruppo di decisioni a favore della natura risarcitoria della responsabilità da omesso riversamento dell’importo indebitamente percepito dal pubblico dipendente in assenza di autorizzazione (Sez. giur. Lombardia n. 216 del 2017; Sez. Marche n. 60 del 2015; Sez. Toscana n. 159 del 2014) si contrapponevano quelle per le quali la norma, indipendentemente da un pregiudizio subito dall’amministrazione, punisce la violazione del dovere primario di esclusività del servizio prestato dal pubblico dipendente, salvo autorizzazione, con una sanzione predeterminata nel quantum e vincolante per il giudice (Sez. giur. Lombardia, sentenza n. 90 del 2017, pronunciata non a seguito di atto di citazione del P.R. ma su istanza di parte dell’amministrazione di appartenenza del dipendente e riformata dalla I Sezione giur. di appello n. 255 del 2018; Id., n. 216 del 2014; Sezione giur. reg. Campania n. 482 del 2016; Sezione giur. reg. Veneto n. 30 del 2017).

Le Sezioni riunite, proprio con riferimento alla condotta, tipizzata dal comma 7 bis dell’art. 53, dell’omissione di versamento del compenso all’amministrazione di appartenenza, e scindendo tale condotta dall’obbligo stabilito dal comma precedente, hanno affermato la natura pienamente risarcitoria e restitutoria della responsabilità in argomento.

In tale contesto, dunque, il versamento obbligatorio in conto entrata dell’amministrazione di appartenenza costituisce una reintegrazione non per la violazione del divieto di svolgimento dell’incarico non autorizzato da parte dell’amministrazione, ma per una mancata entrata, per una reale diminuzione patrimoniale per l’amministrazione di appartenenza del dipendente, la quale viene privata di un’entrata vincolata e da imputarsi al fondo perequativo per i dipendenti.

Trattasi, dunque, di una responsabilità amministrativa ordinaria di danno che sarebbe ugualmente ipotizzabile, in base ai principi generali, in assenza dell’interpolazione legislativa dell’art. 53 comma 7 bis, ed in relazione alla quale trovano applicazione gli ordinari canoni sostanziali e processuali della responsabilità, con rito ordinario.

L’ordinanza nr. 6473/2021 in commento offre, infine, un ulteriore profilo di interesse in merito alla definizione del rapporto tra l’azione della Procura contabile e quella dell’Amministrazione volta ad ottenere la restituzione delle somme percepite in assenza di autorizzazione.

Le Sezioni Unite tornano a ribadire l’alternatività delle due azioni: così la legittimazione del Procuratore contabile sorge di fronte all’inerzia dell’Amministrazione e, viceversa, l’esercizio dell’azione contabile determina l’impossibilità da parte della medesima Amministrazione di promuovere azione per ottenere il riversamento. Ciò allo scopo di evitare un conflitto di giudicati.

Fermo restando che, come confermato da una recente pronuncia dalla Terza Sezione Giurisdizionale di appello della Corte dei conti (sentenza n. 3/2020), sembra oramai consolidato l’orientamento che nega l’ammissibilità dell’azione di accertamento negativo della responsabilità amministrativo-contabile proposta dal pubblico dipendente avanti alla Corte dei Conti attraverso il cd. “giudizio a istanza di parte”, nella previsione residuale di cui all’art. 172, lett. d), del Codice di giustizia contabile.

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