Il perimetro della giurisdizione contabile per gli incarichi

SSUU Cassazione Ordinanza 14 gennaio 2020, n. 415

Con la pronuncia in commento, la Corte di Cassazione ribadisce l’orientamento da essa già manifestato, da ultimo con la ordinanza 26 giugno 2019, n. 17124, in ordine alla ricostruzione del perimetro della giurisdizione contabile tratteggiato dall’art. 53, commi 7 e 7-bis, D.lgs. n. 165/2001 (TUPI) nel disciplinare le conseguenze dello svolgimento di attività extra-istituzionale da parte dei pubblici dipendenti in difetto di autorizzazione datoriale.

Il contesto dei fatti controversi risulta, invero, in parte diverso da quello che aveva scandito la vicenda scrutinata con la precedente ordinanza del 2019.

In questo caso, i ricorrenti si difendevano da incolpazioni della Procura Regionale emiliana che contestava loro, in costanza del rapporto d’impiego pubblico con le rispettive amministrazioni di appartenenza, lo svolgimento attivo e non occasionale di autentica attività d’impresa, quali amministratori di fatto di una società commerciale operante nel settore edile. Ciò che configurava una frontale trasgressione ai divieti posti per i dipendenti pubblici dall’art. 60, d.P.R. n. 3/1957, di esercitare determinate attività private (l’esercizio del commercio e dell’industria, come pure l’accettazione di cariche in società lucrative, ove non si tratti di nomine riservate allo Stato), ritenute radicalmente incompatibili con lo status di pubblico dipendente e con il dovere di fedeltà istituzionale che innerva il relativo rapporto con la parte pubblica.

La consistenza del danno fatto conseguire alla violazione di tale specifico obbligo di servizio era stata individuata facendo riferimento proprio alla citata disciplina di cui all’art. 53, comma 7 TUPI: invocando, cioè, l’integrale riversamento dei proventi dell’attività extraistituzionale illegittimamente svolta, fatto oggetto di preciso obbligo in capo al soggetto percettore e a quello erogatore, nonché titolo di corrispondente responsabilità erariale ove non realizzatosi, con l’acquisizione alla precisa destinazione vincolata individuata dalla legge (in conto entrata dell’amministrazione, a incremento del fondo di produttività o di fondi equivalenti).

Per tal verso, la censura di difetto di giurisdizione era stata veicolata dai ricorrenti in termini analoghi a quanto prospettato nelle precedenti vicende scrutinate dalla Cassazione: cioè valorizzando quella connotazione “sanzionatoria” dell’obbligo di riversamento, predicata da alcune pronunce di legittimità (in particolare le sentenze Cass. SS.UU. n. 19072/2016 e n. 1415/2018) così da individuare il fondamento della responsabilità per danno erariale azionabile dinanzi al Giudice contabile in titoli diversi e ulteriori rispetto alla mera ripetizione del provento indebitamente percepito dal pubblico dipendente (tra gli altri, la distrazione di energie lavorative, il danno all’immagine).

Nel respingere le prospettazioni dei ricorrenti, il Giudice di legittimità si limita sostanzialmente a ritrascrivere quanto statuito nel precedente arresto del giugno 2019.

Tra i passaggi argomentativi, si leggono nuovamente quelli che in tale ultima pronuncia del 2019, pur non rinunciando a rimarcare la connotazione (almeno funzionalmente) “sanzionatoria” della fattispecie di danno erariale incentrata sul riversamento dei compensi extrafunzionali illegittimi, avevano condotto all’affermazione della giurisdizione contabile.

Il fondamento dell’azione di responsabilità erariale è rinvenuta “nella violazione del dovere di chiedere l’autorizzazione allo svolgimento degli incarichi extralavorativi e del conseguente obbligo di riversare all’Amministrazione i compensi ricevuti, trattandosi di prescrizioni – come detto- volte a garantire il corretto e proficuo svolgimento delle mansioni attraverso il previo controllo dell’Amministrazione sulla possibilità per il dipendente d’impegnarsi in un’ulteriore attività senza pregiudizio dei compiti d’istituto”.

Così definita la violazione dell’obbligo di servizio valevole a caratterizzare la condotta antigiuridica, per la Cassazione ci si trova di fronte a una “ipotesi di responsabilità erariale, che il legislatore ha tipizzato non solo nella condotta ma altresì annettendo valenza sanzionatoria alla predeterminazione legale del danno, al fine di tutelare la compatibilità dell’incarico extraistituzionale in termini di conflitto di interesse, dovendo privilegiarsi il proficuo svolgimento di quello principale e l’adeguata destinazione di energie lavorative al rapporto pubblico”. Di qui, l’affermazione che il disposto del comma 7-bis del citato art. 53, TUPI (come noto introdotto alla L. n. 190/2012) “non riveste carattere innovativo ma si pone in rapporto di continuità con l’orientamento giurisprudenziale in precedenza venuto a delinearsi, essendosi dal legislatore attribuita natura di fonte legale alla precedente regola di diritto effettivo di fonte giurisprudenziale (v. Cass., Sez. Un., 22/12/2015, n. 25769; Cass., Sez. Un., 2/11/2011, n. 22688, e, da ultimo, Cass., Sez. Un., 26/6/2019, n. 17124)”.

Dunque, la novella normativa non avrebbe spiegato effetti sostanzialmente innovativi del perimetro della giurisdizione contabile, bensì “ricognitivi” di una fattispecie d’illecito erariale con danno “tipizzato” già enucleata dalla giurisprudenza; col risultato che “l’azione ex art. 53, comma 7, d.lgs. n. 165 del 2001 promossa dal Procuratore della Corte dei Conti nei confronti di dipendente della P.A., che abbia omesso di versare alla propria Amministrazione i corrispettivi percepiti nello svolgimento di un incarico non autorizzato, rimane attratta alla giurisdizione del giudice contabile, anche se la percezione dei compensi si è avuta in epoca precedente”.

Per tal verso, la pronuncia in commento segnala principalmente una continuità d’indirizzo della Corte di Cassazione nel delineare, nella materia in discorso, l’attrazione alla giurisdizione contabile delle azioni che fondino la responsabilità erariale sulla violazione dei doveri di servizio che conformano la posizione del pubblico dipendente nella sua sfera d’iniziativa extraistituzionale; senza, tuttavia una completezza ricostruttiva del tutto appagante con riguardo alle tipologie d’illecito, ai titoli giuridici che vi sono sottesi e ai conseguenti ambiti di cognizione delle diverse giurisdizioni, nel quadro normativo a valle della novella introdotta dalla L. n. 190/2012.

Proprio sotto tale ultimo profilo, rappresentano un riferimento senz’altro più esaustivo e argomentato le indicazioni ricostruttive tracciate dalla sentenza SS.RR. n. 26/2019/QM. In quella sede, si è distinto, da un lato, l’obbligo di versamento del tantundem indebitamente percepito dal dipendente, ovvero versato dall’ente conferente, di natura sanzionatoria della violazione della normativa regolante l’autorizzazione degli incarichi extraistituzionali; violazione che di per sé “non provoca alcun danno”, scaturendo, quest’ultimo da caratterizzazioni o esiti antigiuridici ulteriori delle condotte del pubblico dipendente, per le quali sono enucleabili “svariate ipotesi di danno erariale, quali quello legato, ad esempio, all’indebita percezione, totale o parziale, di indennità incentivanti previste nel caso di svolgimento “a tempo pieno” per il datore di lavoro (indennità di di svolgimento “a tempo pieno” per il datore di lavoro (indennità di esclusività, per esempio, prevista per i medici dipendenti dal S.S.N. o maggiore misura della retribuzione di posizione, differenziale retributivo per i professori universitari a tempo pieno rispetto a quelli a tempo definito), il danno da disservizio ovvero il danno all’immagine, ipotizzabile nel caso di incarichi in conflitto di interesse con l’amministrazione di appartenenza e non autorizzabili.”. D’altro lato, vi è la diversa e ulteriore condotta del mancato versamento obbligatorio, che priva l’Amministrazione di un’entrata tipica e vincolata acclusa ex lege al proprio bilancio, materializzandosi proprio rispetto a tale diminuzione patrimoniale una fattispecie di “responsabilità amministrativa ordinaria di danno, che sarebbe ugualmente ipotizzabile, in base ai principi generali, in assenza dell’interpolazione legislativa dell’art. 53 comma 7 bis”.

Rispetto a tali spunti ricostruttivi, il contributo offerto dalla giurisprudenza della Cassazione qui in esame risulta alquanto limitato; seppure un compiuto assestamento “di sistema” di questo peculiare settore della responsabilità erariale probabilmente dovrà conoscere ancora ulteriori affinamenti interpretativi, tutt’ora in corso nell’ambito della giurisprudenza contabile sempre più sollecitata sull’argomento dalla disamina di fattispecie concrete quanto mai variegate. E’ il caso, in particolare, del differente inquadramento, sotto il profilo del titolo dell’illecito e delle conseguenze lesive risarcibili, delle vicende in cui – come invero avveniva nel caso all’origine del regolamento di giurisdizione deciso dall’ordinanza in commento – si disputi di attività extraistituzionale totalmente incompatibile e vietata ex art. 60, d.P.R. n. 3/1957. Vicende che, in talune pronunce e letture degli interpreti, sono collocate fuori dal regime di cui all’art. 53, comma 7, TUPI, facendo coincidere il danno con l’importo delle retribuzioni percepite dall’ente pubblico di appartenenza o con quella parte di queste destinata a “compensare” il rapporto di esclusività (cfr. sentenze III Sez. Giur. Centr. App., n. 230/2019 e Sez. Giur. App. Reg. Sic., n. 21/A/2020). Come avvenuto per la pronuncia in commento, il Giudice di legittimità per il momento non ha avuto (e probabilmente non avrà) modo di offrire spunti ermeneutici utili sul punto, astretto dai limiti propri delle prospettazioni addotte dalle censure di parte finora giunte al proprio esame e dalla possibile attinenza di siffatti profili ai limiti interni della giurisdizione contabile.

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