di Alfonso Torchia
La sanzione inflitta per il “mancato adempimento dell’obbligo di redazione e di pubblicazione, nel sito istituzionale dell’ente, della relazione di fine mandato”, è un precipitato del dovere di trasparenza e disclosure cui sono tenuti coloro che amministrano le risorse pubbliche nel rispetto dei principi costituzionali e in particolare dell’art. 97 Cost. poiché tutela “la tempestività e la correttezza dell’informazione contabile alla comunità amministrata, in vista del futuro esercizio del diritto di voto” (13/2022/DELC) attraverso l’effetto deterrente tipico delle sanzioni.
Le sue caratteristiche principali sono che:
- non oscilla tra un “minimo” ed un “massimo”;
- prescinde dall’analisi in ordine alla gravità del comportamento.
Nel 2019 le Sezioni Riunite in speciale composizione (28/2019/DELC depositata in data 8 ottobre 2019) hanno fornito importanti parametri di riferimento in merito all’applicazione dell’art. 4, c. 6, d.lgs. 6 settembre 2011, n. 149.
La citata sentenza delle Sezioni Riunite in s.c. ha affermato il principio per cui “l’inadempimento di ogni singolo obbligo previsto dalla sequenza procedimentale in esame costituisce il presupposto di applicabilità della sanzione, si da far ritenere che redazione-certificazione-controllo-pubblicazione siano tappe insopprimibili, predisposte al fine di coniugare “buon andamento” e “trasparenza”, entrambi poli del meccanismo disegnato dal legislatore per rendere effettivi, nell’ultima fase delle consiliature locali, i principi di coordinamento della finanza pubblica e di unità economica e giuridica del Paese”.
Le sanzioni per le relazioni di fine mandato peraltro, non sono inflitte dal giudice, ma dall’amministrazione (SS.RR. spec. comp. sentenze n. 5/2021 e n. 13/2022)
L’orientamento in questione continua ad essere perfettamente in linea con le caratteristiche proprie della responsabilità sanzionatoria (nella specie attraverso sanzioni amministrative), la quale anche nella forma amministrativa, trova fondamento nell’art. 23 Cost. (v. F. M. Longavita, Le fattispecie di responsabilità sanzionatoria nell’esperienza dell’attività del controllo e suo raccordo con la giurisdizione, in rivistacorteconti.it), infine, prescinde dalla verificazione di un danno (tra le altre, Corte conti, Sez. Giur. Calabria, 6 aprile 2021, n. 122).
Il costrutto delle Sezioni Riunite (che giudicano della corretta applicazione della sanzione e quindi anche del principio di proporzionalità,) poi, ha l’innegabile pregio di essere slegato dalla considerazione di parametri diversi dal rinvenimento puro e semplice di comportamenti inadempienti rispetto al dettato normativo. In sostanza, o si riscontra un perfetto adempimento (anche temporale) dell’art. 4 cit. o si rinvengono i presupposti di applicazione della sanzione di cui al sesto comma del medesimo articolo.
Questo perché si tratta “di un obbligo di legge a contenuto e procedura di adempimento vincolati, fortemente limitante anche il sindacato del giudice.
La legge, nel disciplinare il programma di adempimento, ha riservato al tempo un ruolo che non può in nessun modo essere considerato ordinatorio, bensì, quello di un elemento fondamentale del valore della relazione di fine mandato, ergo, del disvalore associato alla conseguente sanzione per inadempimento: i termini servono infatti a garantire uno spatium cogendi minimo, a garanzia del consapevole esercizio delle prerogative democratiche da parte dei componenti della comunità amministrata. I termini, in definitiva, sono direttamente strumentali allo scopo per cui l’obbligo è imposto, quindi immediatamente rilevanti per l’esatto adempimento.” Sent. n.5/2021EL
La parola alla Consulta.
A meno di quattro anni dal pronunciamento delle Sezioni Riunite, il 17 marzo 2023, è stata depositata la sentenza n. 46 della Corte Costituzionale, che, seppur non in relazione al caso dell’art. 4, c. 6, cit., offre qualche spunto di riflessione anche in materia di responsabilità sanzionatoria.
La Consulta, nel suo recente pronunciamento, conclude rammentando che “…in più occasioni ha precisato, da un lato, che «il principio di proporzionalità della sanzione rispetto alla gravità dell’illecito» è «applicabile anche alla generalità delle sanzioni amministrative» (ex plurimis, sentenza n. 112 del 2019) e, dall’altro, che anche per le sanzioni amministrative si prospetta «l’esigenza che non venga manifestamente meno un rapporto di congruità tra la sanzione e la gravità dell’illecito sanzionato», in particolare dando rilievo «al disvalore concreto di fatti pure ricompresi nella sfera applicativa della norma» (sentenza n. 185 del 2021). Ciò in quanto «il principio di proporzionalità postula l’adeguatezza della sanzione al caso concreto e tale adeguatezza non può essere raggiunta se non attraverso la concreta valutazione degli specifici comportamenti messi in atto nella commissione dell’illecito» (sentenza n. 161 del 2018)”.
Nel momento in cui si scrive, non risulta che vi siano state deliberazioni o sentenze assunte sulla base dei precetti riferiti dalla Corte Costituzionale nella sentenza in questione.
Tale stato di fatto introduce, dunque, un interrogativo: è ancora così solida l’interpretazione fornita dalle Sezioni Riunite in ordine ai presupposti di applicazione delle sanzioni di cui al comma sesto prefato? O è, invece, necessario che le Sezioni Regionali di controllo si pongano anche il problema della “concreta valutazione del comportamento” ai fini dell’accertamento dei presupposti di sanzionabilità?
La casistica, in questa materia, è prodiga di esempi. Si va da casi in cui l’illecito è talmente palese da non essere giustificato nemmeno in sede istruttoria ad altri in cui esso è rappresentato da lievi o addirittura lievissime tardività nella redazione della relazione (a volte anche di sole 24 ore). Altre volte la fase della pubblicazione è meno che perfetta (ad es.: manca la data dell’invio della stessa alla S.R.C., pur essendo, questo adempimento, tempestivo).
Orbene, dinanzi a tali ipotesi in cui l’inadempimento è a stento percepibile (ancorché non giustificato da impedimenti oggettivi e riscontrabili), l’applicazione “meccanica” del percorso indicato dalle SS.RR. potrebbe non apparire del tutto congrua con le indicazioni fornite dalla Consulta.
Soprattutto, dubbi sulla necessità di applicare l’art. 4, c. 6, anzidetto in modo “automatico” possono sorgere tenendo conto del fatto che la sanzione ivi irrogata, come detto, non prevede un minimo ed un massimo edittale: qualunque sia la gravità del comportamento illecito, sempre la stessa è la sanzione irrogata.
Proprio in questo aspetto si coglie un elemento ostativo alla mancata considerazione della concreta lesività: per tornare alla sentenza 46/2023, la norma sottoposta al vaglio della Consulta prevedeva una sanzione pecuniaria oscillante tra un minimo ed un massimo. Eppure, in quel caso la Corte Costituzionale ha ritenuto di dover marcare i confini del “sanzionabile”, richiamandosi al principio di proporzionalità.
Nel caso del d.lgs. 145/2011, dove non è configurata alcuna valutazione discrezionale della gravità dell’illecito e della conseguente sanzione, apparentemente le S.R.C. si trovano vincolate ad un mero accertamento del fatto, pur in assenza di qualsivoglia lesione del bene giuridico protetto.
Non sembra, in conclusione, che un’applicazione “meccanica” della norma in commento sia conforme al ruolo che le S.R.C. assumono in sede di controllo delle relazioni di fine mandato. Le Sezioni, infatti, non limitano la loro analisi all’espletamento delle formalità (rilevanti, ma non unicamente rilevanti); queste devono anche valutare il contenuto delle relazioni e verificare la loro rispondenza ai parametri costituzionali di cui agli artt. 97 e 119 Cost..
Il ruolo delle S.R.C. non è, quindi “notarile”, ma valutativo (giurisdizionale, se è consentito). Di conseguenza, esse dovrebbero esercitare le prerogative proprie della funzione magistratuale esercitata e rilevare la commissione di illeciti solo nella misura in cui il comportamento posto in essere non confligge solo con la norma, ma anche con i principi enucleati in sede costituzionale.