Il blocco delle assunzioni conseguente alla violazione del patto di stabilità interno non determina la risoluzione del contratto di lavoro stipulato se la procedura concorsuale è dell’anno precedente
Il patto di stabilità interno, oggi sostituito dal pareggio di bilancio, è stato lo strumento che dal 1999, per 17 anni, ha fissato gli obiettivi di finanza pubblica che annualmente gli enti decentrati erano obbligati a perseguire. Il mancato rispetto dei parametri del patto di stabilità interno da parte dell’ente determinava, per l’anno successivo alla violazione, conseguenze in termini di vincoli di spesa tra i quali, come nel caso dell’ordinanza Cass. 31757/2018 (riportata in calce), il blocco delle assunzioni (art. 1 c. 33 e 34 l. 311/2004).
Tale sanzione, però, non travolge quei contratti che, pur stipulati nell’arco di un esercizio di bilancio sottoposto al divieto di nuove assunzioni, traggono origine da un bando di concorso con conseguente graduatoria relativi ad annualità precedenti ed in cui l’ente non risultava vincolato dalla violazione del patto di stabilità interno.
Nella fattispecie oggetto dell’ordinanza 32757/2018 il comune di Pontinia aveva indetto una procedura concorsuale nel 2004 (determinazione 55/1 del 6 luglio 2004) per un posto di assistente sociale a seguito della quale la vincitrice aveva stipulato con il Comune un contratto individuale di lavoro a tempo indeterminato il 26 Aprile 2005. Il Comune, a seguito della constatazione del mancato rispetto del patto di stabilità interno, aveva unilateralmente risolto il suddetto contratto in data 11 maggio 2005 e la risoluzione del rapporto di lavoro era stata impugnata dalla lavoratrice.
Le pronunce del Tribunale di Latina e della Corte d’Appello di Roma (sent. 3141/2013) avevano evidenziato l’obbligo dell’ente di procedere all’assunzione della lavoratrice e di corrisponderle il pagamento delle retribuzioni maturate a far data dall’offerta della prestazione lavorativa (18 dicembre 2007). Nel confermare la sentenza di Appello, la Corte di Cassazione ribadisce che il contratto di lavoro non poteva essere risolto dal Comune, in quanto il diritto all’assunzione della lavoratrice risulta preesistente rispetto alla normativa in base alla quale l’ente aveva adottato in autotutela il provvedimento di risoluzione contrattuale.
Difatti, tale diritto sorge al momento dell’approvazione della graduatoria e di conseguenza il contratto, pur stipulato in un esercizio di bilancio sottoposto alle sanzioni ex art. 1 c. 33 e 34 L. 311/2004, non può essere travolto dal divieto di nuove assunzioni stabilito da una norma cronologicamente posteriore.
La presente ordinanza, inoltre, costituisce un revirement interpretativo rispetto al precedente orientamento della Corte “in base al quale il diritto soggettivo del vincitore di pubblico concorso per il reclutamento di personale in regime contrattualizzato, è subordinato alla permanenza, all’atto del provvedimento di nomina, dell’assetto organizzativo degli uffici in forza del quale il bando è stato emesso. Che nel caso in cui detto assetto sia mutato a causa dello “jus superveniens”, l’Amministrazione ha il potere-dovere di bloccare i provvedimenti dai quali possano derivare nuove assunzioni che non corrispondano più alle oggettive necessità di incremento del personale, quali valutate prima della modifica del quadro normativo, in base all’art. 97 Cost” (Cass. 12679/2016, ribadito in Cass. 30238/2017).
ORDINANZA
sul ricorso 19142-2013 proposto da:
COMUNE DI PONTINIA, elettivamente domiciliato in ROMA, VIA PAVIA 30, presso lo studio dell’avvocato FABRIZIO PROIETTI, che lo rappresenta e difende;
– ricorrente –
contro
omissis;
– controricorrente –
Nonché da:
omissis;
– ricorrente incidentale –
contro
COMUNE PONTINIA;
– intimato –
avverso la sentenza n. 3141/2013 della CORTE D’APPELLO di ROMA, depositata il 06/05/2013, R.G.N. 9908/2011.
SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
1. La Corte d’Appello di Roma, con la sentenza n. 3141 del 2013, in parziale accoglimento dell’appello proposto dal Comune di Pontinia nei confronti di MA, e in parziale riforma della sentenza impugnata, confermata nel resto, fissava al 18 dicembre 2007 la decorrenza del diritto al risarcimento del danno di cui alla medesima sentenza.
2. 11 Tribunale di Latina, in parziale accoglimento della domanda della lavoratrice, aveva dichiarato il diritto della M ad essere assunta dal Comune di Pontinia a tempo pieno ed indeterminato quale appartenente alla categoria DI, profilo professionale assistente sociale, a far data dal 6 luglio 2004, con condanna del Comune medesimo al pagamento di tutte le retribuzioni maturate dal giorno del diritto all’assunzione all’effettivo inquadramento della ricorrente nell’organico del Comune, detratto quanto già percepito in forza del contratto di lavoro a tempo determinato in data 18 aprile 2006, e al rimborso delle spese di lite.
3. La Corte d’Appello assumeva che la lavoratrice, a seguito della partecipazione al concorso e della approvazione della relativa graduatoria vantava un diritto e non solo una legittima aspettativa all’assunzione. Rispetto a ciò erano ininfluenti le deduzioni dell’appellante circa la sussistenza di un « factum principis, costituito dall’art. 1, commi 33 e 34, della legge n. 311 del 2004. Riteneva non fondata la censura relativa alla quantificazione dell’aliunde perceptum e sulla determinazione del danno. Accoglieva la doglianza relativa all’errata liquidazione del danno risarcibile, atteso che in mancanza di prestazione lavorativa, tale diritto si determinava dall’offerta della prestazione lavorativa, che era intervenuta il 18 dicembre 2007.
4. Per la cassazione della sentenza di appello ricorre il Comune di Pontinia prospettando due motivi di ricorso.
5. Resiste con controricorso e ricorso incidentale articolato in un motivo la lavoratrice; quest’ultima, in prossimità dell’udienza pubblica, ha depositato memoria.
MOTIVI DELLA DECISIONE
1. Occorre premettere che MA risultava vincitrice di un concorso pubblico a titoli ed esami ad un posto di assistente sociale, indetto dal Comune dì Pontinia con determinazione 55/1 del 6 luglio 2004.
La M, quindi, aveva firmato un contratto individuale di lavoro a tempo indeterminato il 26 aprile 2005. Il Comune, successivamente, con comunicazione dell’ Il maggio 2005, aveva comunicato la nullità del contratto in ragione del divieto di assunzione stabilito dall’art. I. commi 33 e 34 della legge n. 311 del 2004.
La risoluzione del rapporto di lavoro era stato impugnata dalla M.
2. Tanto premesso può passarsi ad esaminare i motivi del ricorso principale.
3. Con il primo motivo del ricorso principale è dedotto omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio (rappresentato e sostanziato dal documento sub. all. 1 memoria difensiva del Comune di Pontinia fascicolo di primo grado – provvedimento n. 483 dell’ 11 maggio 2005 del segretariato generale del Comune di Pontinia di risoluzione del contratto di lavoro).
La Corte d’Appello aveva omesso di esaminare detto provvedimento, con conseguente errata e illogica valutazione circa la sua rilevanza ai fini decisori, con particolare riferimento alla sua autonoma qualificazione in ordine alla idoneità a costituire valida espressione del potere /dovere di recesso dal rapporto di lavoro in capo alla pubblica amministrazione. A sostegno della censura, il ricorrente riporta le difese proposte alla Corte d’Appello e assume che, in ragione della risoluzione contrattuale, non era ravvisabile più alcun diritto in capo alla lavoratrice. Pertanto, la Corte avrebbe dovuto esaminare la legittimità dell’atto di risoluzione contrattuale adottato in autotutela dall’amministrazione. Invece la Corte d’Appello aveva ritenuto ininfluenti le deduzioni del Comune, in ragione del diritto della lavoratrice e del relativo obbligo di assunzione. La Corte d’Appello avrebbe dovuto valutare se l’Amministrazione, nell’esercizio dell’autotutela di cui all’art. 21-nonies della legge n. 241 del 1990, con l’adozione dell’atto di risoluzione, avesse optato per la soluzione che meglio contemperava la necessità del ripristino della legittimità e la salvezza dei diritti della M, potendosi al più pervenire non alla ricostituzione del rapporto di lavoro ma a una misura risarcitoria.
3.1. Il motivo è inammissibile.
3.2. Occorre ricordare che l’art. 360, comma 1, n. 5, cod. proc. civ., riformulato dall’art. 54 del d.l. n. 83 del 2012 (conv., con modif., dalla 1. n. 134 del 2012), ha introdotto nell’ordinamento un vizio specifico denunciabile per cassazione, relativo all’omesso esame di un fatto storico, principale o secondario, la cui esistenza risulti dal testo della sentenza o dagli atti processuali, che abbia costituito oggetto di discussione tra le parti ed abbia carattere decisivo, ossia idoneo a determinare un esito diverso della controversia (v. Cass., n. 16703 del 2018, n. 23238 del 2017).
Tanto premesso, va osservato che la ratio decidendi della sentenza di appello, quanto all’accertamento del diritto all’assunzione della Maiello, va ravvisata nella affermata preesistenza del diritto all’assunzione da parte della stessa (in ragione dell’approvazione della graduatoria in data 6 luglio 2004), rispetto alla normativa in base alla quale l’Amministrazione aveva adottato il provvedimento di nullità/risoluzione in autotutela (art. 1, commi 33 e 34, della legge 30 dicembre 2004, n. 311).
Tale precedenza, afferma la Corte d’appello, impediva di opporre il divieto di assunzione nei confronti della lavoratrice, come fatto dal Comune con il provvedimento dell’Il maggio 2005. 3.3. Dunque, la Corte d’Appello non omette di considerare tale atto, ma lo prende in considerazione e lo ritiene non dirimente nella soluzione della questione, in ragione della sopravvenienza della disciplina di cui lo stesso faceva applicazione, rispetto al sorgere del diritto della lavoratrice all’assunzione.
Né, il vizio di omesso esame può riguardare il vaglio delle ragioni dell’atto adottato dal Comune, in relazione al diritto azionato dalla lavoratrice, atteso che tale vaglio, in modo analogo all’interpretazione del contratto, non costituendo “fatto decisivo” del giudizio, e, dunque, non è riconducibile al vizio di cui all’art. 360, comma 1, n. 5, cod. proc. civ., tenuto conto che rientrano in tale nozione gli elementi fattuali e non quelli meramente interpretativi (cfr., Cass., n. 20718 del 2018).
4. Con il secondo motivo di ricorso è dedotta violazione e falsa applicazione degli artt. 1218 e 1227 cod. civ., in ordine ai limiti di operatività in tema di aliunde perceptum/percipiendum, nonché di rilevanza del comportamento inerte della lavoratrice alla ricerca di una nuova occupazione. Si censura la statuizione che ha rigettato il motivo sull’aliunde perceptum ritenendolo non fondato atteso che il Tribunale aveva già provveduto a detrarre, pur in assenza di eccezione del Comune, l’aliunde perceptum risultante dagli atti come dall’appellante stesso riconosciuto.
Erroneamente, la Corte d’Appello non aveva dato corso alle richieste istruttorie, oggetto di eccezione in senso lato e cioè rilevabile d’ufficio, in ordine all’acquisizione di documentazione fiscale detenuta dalla lavoratrice o dall’Agenzia delle entrate.
Risultava pacifico, ad avviso del ricorrente, attraverso la documentazione prodotta in primo grado dalla stessa ricorrente originaria, che la medesima avesse prestato attività lavorativa a favore di cooperative e società, con conseguente percezione di redditi da lavoro. La Corte d’Appello di Roma in presenza di un’accertata occupazione (contratti di lavoro allegati al ricorso ex art. 414 cod. proc. civ.), successiva al licenziamento, dalla quale la lavoratrice aveva ricavato una retribuzione, doveva, anche d’ufficio, decurtare la misura del risarcimento del danno causato dal recesso illegittimo; ciò anche se l’eccezione dell’aliunde perceptum non era stata proposta dal datore di lavoro.
4.1. Il motivo non è fondato.
L’ accertamento dell’aliunde perceptum è devoluto al giudice di merito ed è insindacabile in sede di legittimità se, come nella specie, adeguatamente motivato. Nella specie la Corte d’Appello confermava la quantificazione del Tribunale — che aveva provveduto a detrarre l’aliunde perceptum risultante agli atti come riconosciuto dal Comune stesso — e rilevava la genericità delle affermazioni del Comune che non chiarivano in alcun modo nemmeno quali attività lavorativa retribuita e quando avrebbe svolte la lavoratrice, con conseguente inammissibilità delle richieste istruttorie di acquisizione documentale ex ara. 210 e 213 cod. proc. civ. e prova testimoniale. Tale statuizione si sottrae alle censure mosse, atteso che l’esibizione di documenti (nella specie, dichiarazioni dei redditi della lavoratrice) non può essere chiesta a fini meramente esplorativi, allorquando neppure la parte istante deduca elementi sulla effettiva esistenza del documento e sul suo contenuto, per verificarne la rilevanza in giudizio; ciò in quanto potrebbe determinarsi una protrazione della fase istruttoria priva di qualsiasi utilità, anche per la stessa parte istante, a danno del principio di ragionevole durata del processo (Cass., n. 26943 del 2007). Peraltro, generico è il riferimento alla prova per testi che sarebbe stata richiesta e disattesa, nonché ai contratti, di cui non è riportato il contenuto, che avrebbero documentato lo svolgimento dell’attività lavorativa.
5. Il ricorso principale deve essere rigettato.
6. Con l’unico motivo del ricorso incidentale è dedotta, ai sensi dell’art. 360, n. 3, cod. proc. civ., la violazione e falsa applicazione degli artt. 1206, 1207, 1217, 1218 e 1219 cod. civ., in relazione alla errata affermazione della necessità della offerta della prestazione lavorative.
È censurata la statuizione secondo cui, in mancanza di attività lavorativa il diritto al risarcimento, per effetto degli artt. 1206, 1207 e 1217 cod., civ. si determina dal momento dell’offerta della prestazione.
La Corte, espone la lavoratrice, ha omesso di considerare le peculiarità del caso, e cioè che al momento della proclamazione della graduatoria si trovava al lavoro presso il Comune di Pontinia con la qualifica di assistente sociale, in ragione di un incarico a termine.
Pertanto, non vi era la necessità di mettere in mora il Comune offrendo la propria prestazione lavorativa.
6.1. Il motivo non è fondato.
La stessa ricorrente incidentale espone di aver lavorato presso il Comune di Pontinia come assistente sociale, ma in virtù di incarichi temporanei diretti e successivamente di contratti di somministrazione con le società omissis
Nella specie, viene in rilievo il diverso rapporto di lavoro a tempo indeterminato di cui al contratto individuale di lavoro del 26 aprile 2005, che il Comune dichiarava nullo I’ il maggio 2005.
Pertanto, ai fini del risarcimento del danno, attesa la natura sinallagmatica del rapporto, era necessaria, come affermato dalla Corte d’Appello, la previa offerta della prestazione lavorativa oggetto del relativo contratto.
7. Il ricorso incidentale deve essere rigettato.
8. Le spese del presente giudizio sono compensate tra le parti in ragione della reciproca soccombenza.
9. Ai sensi dell’art. 13, comma 1-guater, del d.P.R. n. 115 del 2002, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente principale e della ricorrente incidentale, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso principale e per quello incidentale, a norma del comma I-bis, dello stesso art. 13.
PQM
La Corte rigetta entrambi i ricorsi. Compensa tra le parti le spese di giudizio.