Frodi e Pnrr

Chi ha lavorato sui fondi comunitari detti “strutturali” sa che il tema delle frodi e irregolarità è particolarmente disciplinato: esistono criteri per definire cos’è una frode comunitaria e una dettagliata normativa per il controllo della spesa da parte delle Amministrazioni eroganti al fine di individuare i casi di “spreco” di risorse comunitarie. In caso di frode, ovviamente, il contributo eventualmente erogato deve essere restituito alla UE. Lo Stato è obbligato alla restituzione anche se non riesce a recuperare dal soggetto frodatore il dovuto. E’ in questo specifico contesto che la Corte dei conti interviene, sia con azioni dirette verso il soggetto beneficiario (ad esempio, numerose sentenze riguardano il recupero di contributi relativi alla Politica Agricola Comunitaria a soggetti che non avevano diritto di riceverli) sia, più raramente per la verità, per l’individuazione delle responsabilità di chi ha illegittimamente erogato contributi o non controllato adeguatamente e diligentemente la spesa comunitaria. Nel caso del funzionario pubblico l’elemento soggettivo deve essere almeno quello della colpa grave, mentre per quanto riguarda il soggetto beneficiario di contribuzione ai fini del recupero delle risorse erogate è sufficiente che le stesse fossero state acquisite senza titolo o spese in modo non coerente con il progetto anche in ragione di un’ordinaria negligenza (senza cioè il requisito della gravità della colpa).

Nell’era del PNRR questa sintetica descrizione non è più applicabile almeno ai fondi di Next Generation EU.

Infatti, con il dichiarato intento di rendere più semplice l’operatività delle Amministrazioni e rifuggire la cd “paura della firma” – che impedirebbe ai funzionari pubblici di spendere per non correre il rischio di essere imputabili di negligenza – il legislatore è intervenuto su molteplici fronti. In primo luogo, è stata sospesa la responsabilità erariale da colpa grave (art. 21, d.l. n. 76 del 2020, convertito nella legge n. 120 del 2020), inoltre è stata introdotta una responsabilità per omissione (cioè per l’inazione) e, infine, si è qualificato il dolo necessario per rispondere di danno erariale in modo più stringente. Una parte di queste novità sono limitate nella loro applicazione fino al 2023.

Il punto è stato ampiamente trattato nella rivista Bilancio Comunità Persona (si veda, ad esempio, Gabriele Bottino Le azioni e le omissioni nella responsabilità erariale, BCP 1/2021e anche Francsco Albo La limitazione della responsabilità amminsitrativa: il PNRR è adeguatametne protetto? qui) anche con toni decisamente critici anche dall’Associazione Magistrati della Corte dei conti (il comunicato qui).

Basti in questa sede ricordare che, per come è qualificata la responsabilità omissiva, purchè si effettui una gara, anche con un bando scadente e contenente errori giuridici è probabile che i funzionari vadano indenni da responsabilità (non hanno omesso, anzi hanno agito) non rispondendo più della “grave negligenza, disprezzo delle regole, trascuratezza non scusabile” dell’agire che sarebbero alla base di una responsabilità per colpa grave, come detto sospesa per via legislativa fino al 2023.

Il punto che qui interessa, tuttavia, è di livello comunitario. Ci si può chiedere, infatti, se sia diminuita la tutela del bilancio della UE e se questo sia compatibile con i regolamenti che disciplinano il trattato Next Generation EU. Infatti, occorre considerare che il Recovery fund risponde a meccanismi propri e solo in parte mutuati dai fondi strutturali. Tuttavia, il principio di protezione del bilancio UE è un principio dei trattati e deve ritenersi sovraordinato.

In primo luogo, ricordiamo che il 53° considerando del Regolamento 241/2021 prevede che gli Stati mettano a punto, nei piani nazionali, sistemi di controllo e repressione delle frodi, corruzioni e conflitti di interesse con riguardo ai fondi del Recovery e che provvedano a recuperare quanto indebitamente versato.

All’art. 22 inoltre è previsto che lo Stato disciplini sistemi di controllo che salvaguardino gli interessi finanziari dell’Unione. Nel far ciò lo Stato deve, tra l’altro:

a) verificare regolarmente che i finanziamenti erogati siano stati utilizzati correttamente, in conformità di tutte le norme applicabili, e che tutte le misure per l’attuazione di riforme e progetti di investimento nell’ambito del piano per la ripresa e la resilienza siano state attuate correttamente, in conformità di tutte le norme applicabili, in particolare per quanto riguarda la prevenzione, l’individuazione e la rettifica delle frodi, dei casi di corruzione e dei conflitti di interessi;

b) adottare misure adeguate per prevenire, individuare e risolvere le frodi, la corruzione e i conflitti di interessi quali definiti all’articolo 61, paragrafi 2 e 3, del regolamento finanziario, che ledono gli interessi finanziari dell’Unione e intraprendere azioni legali per recuperare i fondi che sono stati indebitamente assegnati, anche in relazione a eventuali misure per l’attuazione di riforme e progetti di investimento nell’ambito del piano per la ripresa e la resilienza.

Ovviamente, come noto, la UE è indifferente ai modelli nazionali, ma ne stabilisce la necessità di “equivalenza” tra tutela nazionale e tutela UE. Non inganni da questo punto di vista il riferimento ai “controlli interni”: non si intende affatto il solo controllo proprio dell’Amministrazione. Piuttosto ci si riferisce, appunto, ad una omologazione tra norme di tutela del bilancio nazionale e norme di tutela del bilancio Ue sulla base del principio della reciprocità ed effettività delle tutele.

In questo contesto è richiesto, ad esempio, di effettuare un’adeguata raccolta di dati e di mettere in condivisione notizie, ad esempio, con il sistema dell’OLAF. La Commissione, inoltre, raccomanda l’uso del sistema ARACHNE che è una piattaforma tecnologica per effettuare un efficiente controllo a partire dall’analisi dei dati. Dati affidabili sulla spesa sono la base per la valutazione dell’efficienza della stessa e dell’indagine su possibili irregolarità.

Il “danno erariale” non è specificamente nominato dal regolamento, che però parla di “tutela del bilancio UE” dizione che ricorda molto da vicino la tutela dell’erario nazionale. Del resto, si chiede di “recuperare” le risorse spese a seguito di frode o corruzione, aspetto che, di nuovo, ricorda il recupero del danno erariale.

Non appare, invece, particolarmente rilevante nel regolamento europeo l’elemento soggettivo, cioè la colpa o il dolo. La frode comunitaria ha una caratteristica di intenzionalità e si distingue dalla “irregolarità” che è più tipicamente amministrativa, ma non vi è dubbio che non sia necessario configurare un dolo di tipo penalistico affinchè si possa ritenere realizzata una frode in danno dei fondi comunitari. Nella riforma introdotta con il PNRR, invece, si elimina la colpa grave e si prevede una configurazione del dolo particolarmente stringente.

Viene il sospetto che combattere la “paura della firma” non sia centrale nella normativa comunitaria per la spendita di risorse della UE ma sia invece un problema tutto italiano e forse risolto senza una adeguata ponderazione del principio delle tutele equivalenti.

Alla luce di queste disposizioni ci si chiede se l’intervento dell’art. 21, che ha ridotto, in uno con la tutela del bilancio nazionale anche la tutela del bilancio comunitario, limitando la responsabilità i funzionari se non in caso di dolo configurato, tra l’altro, come volontà di ledere l’erario pubblico, sia compatibile con il Regolamento del Next Generation, oltre che con la generale tutela dell’erario pubblico anche a fini nazionali

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