Dissesto e oneri accessori

Il Consiglio di Stato con l’ordinanza 5502/2021 solleva una questione di costituzionalità sull’art. 248 comma 4 TUEL

PREMESSA:

Con la recente ordinanza n. 5502 del 21/07/2021, la Sezione Quinta del Consiglio di Stato ritiene rilevante e non manifestamente infondata la questione di legittimità costituzionale relativa all’art. 248, comma 4, del d.lgs. n. 267/2000 (di seguito, TUEL), con riferimento agli articoli 3, 5, 81, 97, 114 e 118 della Costituzione.

L’art. 248, comma 4, del TUEL prevede, nello specifico, che “Dalla data della deliberazione di dissesto e sino all’approvazione del rendiconto di cui all’articolo 256 i debiti insoluti a tale data e le somme dovute per anticipazioni di cassa già erogate non producono più interessi né sono soggetti a rivalutazione monetaria. Uguale disciplina si applica ai crediti nei confronti dell’ente che rientrano nella competenza dell’organo straordinario di liquidazione a decorrere dal momento della loro liquidità ed esigibilità”.

In sostanza, la questione attiene alla inesigibilità temporanea dei crediti accessori a seguito della dichiarazione di dissesto finanziario di un ente locale e alla possibilità, per i creditori, di agire successivamente per gli stessi nei confronti dell’ente che, nel frattempo, è tornato in bonis.

La normativa in parola, pertanto, si pone nell’ambito di un delicato crinale “all’interno dell’antitesi Stato-mercato”, con un focus, da parte del Consiglio di Stato, sulle differenze che sussistono tra l’istituto del dissesto dell’ente territoriale e quello del fallimento dell’imprenditore privato, alla ricerca di un delicato equilibrio tra la necessità, da un lato, di ripristinare la continuità amministrativa dell’ente locale nell’esercizio delle proprie funzioni istituzionali e nell’erogazione dei servizi indispensabili per la propria comunità e, dall’altro, di tutelare i creditori, anche alla luce della disciplina sui ritardi dei pagamenti, di cui al d.lgs. n. 231/2002.

IL CASO:

La questione posta all’attenzione del Consiglio di Stato nasce dall’ottemperanza, da parte di un ente locale, per l’integrale esecuzione di un lodo arbitrale, avente ad oggetto somme a titolo di risarcimento dei danni, a cui si aggiungono gli oneri accessori. A causa dell’insostenibilità per il bilancio comunale della somma liquidata in sede arbitrale, l’ente ha dichiarato il proprio dissesto, ai sensi degli artt. 244 e ss. del TUEL, e la somma dovuta è stata inserita nella massa passiva e pagata per l’intero importo ammesso in linea capitale, oltre che per gli interessi maturati fino al momento della dichiarazione di dissesto.

Una volta chiusa la procedura liquidatoria, all’ente locale è stato richiesto, dalla società creditrice, il pagamento degli interessi moratori maturati, come previsti in contratto, successivamente alla dichiarazione di dissesto.

Soccombente in primo grado, il comune ha proposto appello, opponendosi alle richieste ricevute, ritenendo che il pagamento, nella procedura di dissesto, dell’intera sorte capitale del credito ne avesse determinato l’estinzione. A fondamento di tale tesi, viene addotta un’interpretazione dell’art. 248, comma 4, del TUEL di tipo logico-sistematico, imperniata sulla finalità della liquidazione delle passività degli enti locali all’interno della procedura di dissesto finanziario, consistente nel sollecito ripristino della loro piena funzionalità. L’insostenibilità per il bilancio dell’ente locale della richiesta avanzata, peraltro, determinerebbe, nel caso di specie, la dichiarazione di un nuovo dissesto.

La Sezione, nel richiamare precedente giurisprudenza costituzionale (sentenza n. 269/1998) riferibile, però alle disposizioni previgenti di cui al d.lgs. n. 77/1995, art. 81, comma 4 – secondo cui “in coerenza con le caratteristiche di una procedura concorsuale”, la disposizione relativa agli accessori del credito ha la finalità di determinare esattamente la consistenza della massa passiva da ammettere al pagamento nell’ambito del dissesto dell’ente locale, ma essa “non implica la “estinzione” dei crediti non ammessi o residui, i quali conclusa la procedura di liquidazione, potranno essere fatti valere nei confronti dell’ente risanato” – ritiene che il principio sopra richiamato possa essere rivalutato, per una pluralità di ragioni, di seguito brevemente riportate:

– la possibilità di un nuovo dissesto costituisce per l’ordinamento giuridico un’evenienza tale da frustrare le finalità dell’istituto, contro la quale sono previste soluzioni in grado di assicurare lo stabile riequilibrio di bilancio. A tale fine, nell’ordinanza di rimessione si rinvia, inter alia, alle previsioni di cui all’art. 256, comma 12, del TUEL, secondo cui in caso di massa attiva incapiente, tale “da compromettere il risanamento dell’ente”, il Ministro dell’interno “può stabilire misure straordinarie per il pagamento integrale della massa passiva della liquidazione, anche in deroga alle norme vigenti”, tra cui (a valle di una recente modifica del 2016) la possibilità che l’ente locale acceda alla “procedura di riequilibrio finanziario pluriennale prevista dall’articolo 243-bis”, contraddistinta dall’incapacità solo temporanea di fare fronte al servizio del debito e, al pari del dissesto finanziario, dall’intervento di risorse a carico del bilancio dello Stato, ovvero il Fondo di rotazione per assicurare la stabilità finanziaria degli enti locali di cui all’art. 243-ter TUEL;

– con riferimento all’art. 3 Cost. (principio di uguaglianza), i giudici di Palazzo Spada ritengono impropria l’equiparazione del dissesto degli enti locali con il fallimento dell’imprenditore privato, in quanto trattasi di situazioni ontologicamente diverse. L’obiettivo della stabile rimozione degli squilibri di bilancio che hanno determinato il dissesto dell’ente locale, difatti, risulterebbe compromesso per via della persistente soggezione dell’ente tornato in bonis al credito per interessi ex art. 248, comma 4, TUEL, residuati dopo il pagamento da parte dell’organo straordinario di liquidazione, fino al rischio che si renda necessario un nuovo intervento speciale a carico della finanza pubblica. In merito sempre all’art. 3 Cost. (principio di ragionevolezza), pur a fronte di un adempimento satisfattivo del credito per la sua intera consistenza al momento della dichiarazione di dissesto, permane il rischio di dissesti in successione e che, quindi, l’ente locale non sia stabilmente risanato, a causa della perdurante maturazione degli interessi nella pendenza della procedura. In tal modo, l’estensione al dissesto degli enti locali del regime di temporanea inesigibilità degli accessori del credito previsto dalla disposizione censurata attribuisce al creditore una tutela che sembra eccedere i limiti di un equilibrato bilanciamento delle contrapposte esigenze a base dell’istituto. Tale rischio è, peraltro, aggravato dalla generalizzata soggezione dei crediti nei confronti della pubblica amministrazione al regime delle transazioni commerciali, fondato su un “premio” che riflette una valutazione di rischiosità di mercato propria di quella svolta nei confronti dell’imprenditore privato;

– in relazione al principio di equilibrio di bilancio, ex artt. 81 e 97, comma 1, Cost., il contrasto si profila per il rischio in sé insito di dissesti in successione, tale da compromettere il percorso dell’ente locale verso l’obiettivo primario del definitivo ripristino dell’ordinaria attività, una volta rimossi gli squilibri economico-finanziari che ne avevano comportato il dissesto. Si profila, in definitiva, il rischio che l’indebitamento si consolidi in perpetuo e diventi nella sostanza irredimibile, così da rendere irrealizzabile “qualsiasi ragionevole progetto di risanamento, in tal modo entrando in collisione sia con il principio di equità intragenerazionale che intergenerazionale” (Corte cost. n. 18/2019);

– il regime di temporanea inesigibilità degli accessori del credito previsto dalla disposizione censurata appare porsi in contrasto con il principio del buon andamento dell’amministrazione, ex art. 97, comma 2, Cost., per il fatto di ostacolare il ripristino della piena funzionalità dell’ente locale una volta liquidato l’indebitamento in precedenza accumulato. Ne deriva una distorsione dell’impianto complessivo non solo del dissesto finanziario degli enti locali, ma anche della normativa contro i ritardi nel pagamento delle transazioni commerciali, che si fonda sul rischio di insolvenza del debitore privato e sulla conseguente esigenza di mercato di una sua maggiore remunerazione, per cui essa appare ingiustificatamente applicabile in toto anche rispetto all’ente locale in situazione di dissesto e che necessita di essere risanato per il sollecito ritorno alla ordinaria attività amministrativa;

– in riferimento al principio del “pluralismo autonomistico” di cui all’art. 5 Cost., il Consiglio di Stato pone l’attenzione sulla necessità di non vanificare l’obiettivo del dissesto finanziario degli enti locali, che è quello di raggiungere lo stabile riequilibrio dei loro bilanci, affinché gli stessi siano posti in via definitiva in condizione di esercitare le funzioni e i servizi pubblici ad esso attribuiti;

– in relazione alle funzioni amministrative attribuite ai Comuni, ai sensi degli artt. 114 e 118 Cost., il possibile succedersi di dissesti finanziari dell’ente comunale insito nella soggezione alla disciplina dei crediti commerciali fa emergere un possibile contrasto del regime di inesigibilità solo temporanea desunto dall’art. 248, comma 4, del TUEL con il ruolo costituzionale del medesimo ente, di livello di governo esponenziale delle comunità locali, radicato nell’esperienza storico-istituzionale di queste ultime, e pertanto preposto all’esercizio delle funzioni amministrative e dei servizi rispondenti ai bisogni primari della persona. In particolare, il riespandersi degli accessori del credito, divenuti temporaneamente inesigibili per tutta la durata della procedura di dissesto, finisce per avvantaggiare il singolo creditore commerciale, benché già remunerato a tassi di mercato, e a ciò si contrappone l’ingiustificato sacrificio della collettività di cui il comune è ente esponenziale.

COMMENTO:

Quello del dissesto finanziario degli enti locali è un istituto piuttosto complesso e più volte modificato dal Legislatore nel corso del tempo (introdotto dall’art. 25 del D.L. n. 66/1989 e, da ultimo, disciplinato dagli artt. 244 e ss. del TUEL), che ha la finalità di ripristinare gli equilibri di bilancio di un ente che non è più in grado di garantire l’assolvimento delle funzioni e dei servizi indispensabili ovvero di ottemperare all’estinzione di crediti liquidi ed esigibili nei confronti di terzi attraverso le modalità “ordinarie” previste dall’ordinamento, secondo quanto previsto dagli artt. 193 (salvaguardia degli equilibri di bilancio) e 194 (riconoscimento dei debiti fuori bilancio) del TUEL.

Soggetti della procedura di risanamento sono: l’organo straordinario di liquidazione (OSL) e gli organi istituzionali dell’ente. L’OSL provvede al ripiano dell’indebitamento pregresso, mentre gli organi istituzionali dell’ente assicurano condizioni stabili di equilibrio della gestione finanziaria rimuovendo le cause strutturali che hanno determinato il dissesto.

Ai fini che in questa sede rilevano, tra i principali effetti della dichiarazione di dissesto (e fino all’approvazione del rendiconto di cui all’art. 256 del TUEL) si annoverano: l’impossibilità di intraprendere o proseguire azioni esecutive nei confronti dell’ente per i debiti che rientrano nella competenza dell’OSL; la non debenza di interessi e di rivalutazione monetaria sulle somme dovute per anticipazione di cassa e sui debiti insoluti; il mancato vincolo per l’ente e il tesoriere dei pignoramenti eventualmente eseguiti.

I numerosi profili problematici legati alla separazione di competenze (e di debiti) tra organi istituzionali dell’ente e OSL sono stati oggetto di particolare attenzione da parte sia della magistratura contabile sia di quella amministrativa, tenuto conto della paralisi prevista per le azioni esecutive da parte dei creditori dell’ente, nonché delle previsioni di cui all’art. 252, comma 4, del TUEL – secondo cui “L’organo straordinario di liquidazione ha competenza relativamente a fatti ed atti di gestione verificatisi entro il 31 dicembre dell’anno precedente a quello dell’ipotesi di bilancio riequilibrato e provvede alla: a) rilevazione della massa passiva; b) acquisizione e gestione dei mezzi finanziari disponibili ai fini del risanamento anche mediante alienazione dei beni patrimoniali; c) liquidazione e pagamento della massa passiva” – e della relativa interpretazione autentica fornita dall’art. 5, comma 2, del D.L. n. 80/2004, per cui “si intendono compresi nelle fattispecie ivi previste tutti i debiti correlati ad atti e fatti di gestione verificatisi entro il 31 dicembre dell’anno precedente a quello dell’ipotesi di bilancio riequilibrato, pur se accertati, anche con provvedimento giurisdizionale, successivamente a tale data ma, comunque, non oltre quella di approvazione del rendiconto della gestione di cui all’articolo 256, comma 11”.

In proposito, la Sezione delle Autonomie della Corte dei conti si è recentemente pronunciata con le deliberazioni n. 12/SEZAUT/2020/QMIG e n. 21/SEZAUT/2020/QMIG, enunciando, rispettivamente, i seguenti principio di diritto:

– “Per i debiti fuori bilancio rinvenienti da atti e fatti di gestione verificatisi entro il 31 dicembre precedente a quello dell’ipotesi di bilancio stabilmente riequilibrato, non assume carattere indefettibile la previa adozione della deliberazione consiliare di riconoscimento, spettando all’organo straordinario di liquidazione ogni valutazione sull’ammissibilità del debito alla massa passiva.”

– “Rientrano nella competenza dell’Organo Straordinario di Liquidazione i debiti correlati a prestazioni di servizio professionali contrattualizzate entro il 31 dicembre dell’esercizio precedente a quello dell’ipotesi di bilancio riequilibrato, salvi i casi in cui, per la particolare struttura del contratto o per il carattere continuativo o periodico delle prestazioni, la manifestazione degli effetti economici connessi all’esecuzione si realizzi successivamente.”

Ancora, solo per citare i più recenti arresti della giurisprudenza amministrativa, si rinvia alla pronuncia dell’Adunanza Plenaria del Consiglio di Stato n. 15/2020 (del 05/08/2020) che, in tema di procedure espropriative, ha espresso il seguente principio di diritto: “l’atto di acquisizione sanante, generatore del debito, è attratto nella competenza dell’OSL, e non rientra quindi nella gestione ordinaria, sia sotto il profilo contabile che sotto il profilo della competenza ammnistrativa, se detto provvedimento ex art. 42-bis è pronunciato entro il termine di approvazione del rendiconto della Gestione Liquidatoria e si riferisce a fatti di occupazione illegittima anteriori al 31 dicembre dell’anno precedente a quello dell’ipotesi di bilancio riequilibrato”. Ad avviso dell’Adunanza Plenaria, in buona sostanza, la disciplina normativa sul dissesto, basata sulla creazione di una massa separata affidata alla gestione di un organo straordinario, distinto dagli organi istituzionali dell’ente locale, può produrre effetti positivi soltanto se tutte le poste passive riferibili a fatti antecedenti al riequilibrio del bilancio dell’ente possono essere attratte alla predetta gestione, benché il relativo accertamento (giurisdizionale o, come nel caso di specie, amministrativo) sia successivo. L’unico limite è rappresentato dall’approvazione del rendiconto della gestione che segna la chiusura della gestione liquidatoria; dopo tale data, difatti, è evidente che non sarà più possibile imputare alcunché a tale organo, in quanto, dal punto di vista giuridico, esso ha cessato la sua esistenza.

Ancora più di recente, con ordinanza n. 3211/2021 (del 21/04/2021), la Sezione Quinta del Consiglio di Stato ha rimesso all’Adunanza Plenaria una nuova questione di diritto, attinente ai profili connessi alla disciplina di cui all’art. 248 del TUEL in merito alla paralisi delle azioni esecutive dei creditori, in un’ottica di rivisitazione dei principi espressi dalla stessa Adunanza Plenaria con la pronuncia n. 15/2020, alla luce della giurisprudenza della Corte EDU, in tema di tutela del “diritto ad un tribunale” e di tutela dei crediti quali “beni” ai sensi dell’articolo 1 del Protocollo n. 1 della CEDU (la giurisprudenza della CEDU citata dal Consiglio di Stato si era occupata di un caso avente ad oggetto un credito certo, liquido ed esigibile accertato successivamente alla dichiarazione di dissesto, rispetto a cui il ricorrente si era trovato nell’impossibilità di intraprendere un’azione esecutiva nei confronti del comune).

In definitiva, il Consiglio di Stato evidenzia come “l’attuale controversia si è sviluppata tutta su un piano giurisdizionale con una interdizione all’esecuzione di un provvedimento appartenente a tale genere, mentre la fattispecie regolata dall’Adunanza plenaria si fonda essenzialmente sull’inerzia inerente alla conclusione di un procedimento amministrativo, per la precisione di un’acquisizione espropriativa, senza l’emissione di pronunce giurisdizionali di tipo cognitorio. Il Collegio ritiene di rimettere l’affare all’Adunanza plenaria per una rimeditazione della questione alla luce dei principi non affrontati nella pronuncia n. 15/2020, al fine di dirimere contrasti potenziali in proposito, successivi a detta pronuncia, che vadano ad investire i temi ora rassegnati, in specie per la parte in cui l’Adunanza ha affermato che “la disciplina normativa sul dissesto, basata sulla creazione di una massa separata affidata alla gestione di un organo straordinario, distinto dagli organi istituzionali dell’ente locale, può produrre effetti positivi soltanto se tutte le poste passive riferibili a fatti antecedenti al riequilibrio del bilancio dell’ente possono essere attratte alla predetta gestione, benché il relativo accertamento (giurisdizionale o, come nel caso di specie, amministrativo) sia successivo”.

Emerge, pertanto, la necessità di contemperare due interessi, meritevoli di tutela da parte dell’ordinamento giuridico, che si inverano “all’interno dell’antitesi Stato-mercato”: da un lato, l’interesse pubblico al riequilibrio finanziario dell’ente e, dall’altro, l’interesse dei creditori a soddisfare integralmente, anche in via giudiziale, i diritti connessi ai loro crediti.

La tensione tra tali valori è emersa in maniera ancora più evidente per effetto della recente normativa emergenziale: si veda, in questa prospettiva, l’ordinanza della Sezione regionale di controllo Campania della Corte dei conti n. 37/2021/PRSP che ha chiesto alla Corte di giustizia dell’Unione europea di pronunciarsi, tra l’altro, ai sensi dell’art. 267 del TFUE, sulla seguente questione pregiudiziale: “se gli articoli art. 3, paragrafo 3, del TUE, 3, paragrafo 1, lett. b), 119, paragrafi 1 e 2, e 120 del TFUE, 1 e 4 della direttiva 2011/7/UE, nonché il Protocollo (n. 27) sul mercato interno e sulla concorrenza – ostino alla interpretazione ed applicazione di una normativa nazionale emergenziale, come quella dettata dall’art. 53, comma 9, del decreto – legge 14 agosto 2020, n. 104, convertito con modificazioni dalla legge 13 ottobre 2020, n. 126, nel senso che essa consente una nuova ipotesi di sospensione, dal 15 agosto 2020 al 30 giugno 2021, delle procedure esecutive dei creditori degli enti che hanno ottenuto l’approvazione del piano di riequilibrio, motivata esclusivamente con riferimento all’emergenza sanitaria, ulteriore rispetto a quella già di cui tali enti hanno già beneficiato ai sensi del combinato disposto degli artt. 243-bis, comma 4, e 243-quater, comma 5, del Tuel, senza che a tale sospensione consegua l’instaurazione di una procedura concorsuale che offra una modalità alternativa di soddisfazione del credito, con le conseguenze che tale ulteriore e lunga sospensione delle procedure esecutive comporta in termini di ulteriore aggravamento dei ritardi nei pagamenti delle pubbliche amministrazioni e quindi di tutela della concorrenza e di competitività delle imprese creditrici”.

Su tale complesso bilanciamento di interessi, ma in una prospettiva parzialmente differente, si pone l’ordinanza in commento, con cui il Consiglio di Stato ha sottoposto all’attenzione della Consulta la legittimità costituzionale dell’art. 248, comma 4, del TUEL, relativamente alla inesigibilità solo temporanea dei crediti accessori a seguito della dichiarazione di dissesto finanziario di un ente locale e alla possibilità, per i creditori, di agire successivamente per gli stessi nei confronti dell’ente che, nel frattempo, è tornato in bonis.

In proposito, il rischio di una serie di successivi dissesti, dovuto alla necessità di far fronte al pagamento degli interessi che continuano a decorrere per tutta la durata della procedura di dissesto, costituirebbe un vulnus alle prerogative tipizzanti il risanamento definitivo degli equilibri finanziari dell’ente in dissesto. In tal modo, difatti, si ostacolerebbe il ripristino della piena funzionalità dell’ente locale, una volta liquidato l’indebitamento in precedenza accumulato. Il regime degli accessori previsto dall’art. 248, comma 4, del TUEL, pertanto, ad avviso del Consiglio di Stato, dovrebbe essere inteso non come mera inesigibilità degli stessi, ma come “arresto definitivo in funzione del carattere estintivo del pagamento di competenza dell’organo straordinario di liquidazione”.

I profili messi in evidenza dal Consiglio di Stato risultano di sicuro interesse, ai fini della definizione della questione da parte della Consulta, che dovrà valutare i poliedrici aspetti del dissesto finanziario degli enti locali, alla luce della Carta costituzionale, a valle della riforma del titolo V e del ruolo che, in tale contesto, hanno assunto gli enti locali.

Sul punto, andranno valutati anche i parametri riguardanti la tutela dell’iniziativa economica e, più in generale, la disciplina dell’adempimento delle obbligazioni pecuniarie dei soggetti pubblici, che ha una notevole incidenza sul sistema economico, in considerazione del ruolo di acquirenti di beni, servizi e prestazioni rivestito dalle amministrazioni pubbliche e dell’ingente quantità di risorse a tal fine impiegate.

L’importanza di tale fenomeno è stata evidenziata dalla stessa Corte costituzionale (sentenza n. 78/2020) “sia rimarcando la necessità di «un passaggio deciso verso una cultura dei pagamenti rapidi» (considerando n. 12), sia evidenziando che i «ritardi di pagamento influiscono negativamente sulla liquidità e complicano la gestione finanziaria delle imprese. Essi compromettono anche la loro competitività e redditività quando il creditore deve ricorrere ad un finanziamento esterno a causa di ritardi nei pagamenti. Il rischio di tali effetti negativi aumenta considerevolmente nei periodi di recessione economica, quando l’accesso al finanziamento diventa più difficile» (considerando n. 3)”.

In proposito, pronunciandosi sulla legittimità costituzionale dell’art. 1, commi 859 e ss. della legge n. 145/2018 (con cui vengono introdotte, a partire dal 2021, misure più severe a garanzia dell’effettività dei pagamenti e, in particolare, viene imposta la creazione di uno specifico Fondo di garanzia dei debiti commerciali), la Consulta ha rammentato, altresì, che “…la stessa giurisprudenza di questa Corte, già a ridosso del recepimento della direttiva 2011/7/UE, ha sottolineato la gravità del problema, evidenziando che «il pagamento dei debiti scaduti della pubblica amministrazione è obiettivo prioritario […] non solo per la critica situazione economica che il ritardo ingenera nei soggetti creditori, ma anche per la stretta connessione con l’equilibrio finanziario dei bilanci pubblici, il quale viene intrinsecamente minato dalla presenza di situazioni debitorie non onorate tempestivamente» (sentenza n. 250 del 2013). Va infatti considerato anche il rilevante tema dell’esposizione debitoria per interessi passivi per ritardati pagamenti che, in considerazione anche del loro specifico e oneroso criterio di calcolo, riduce le effettive risorse da destinare alle finalità istituzionali”.

In definitiva, le valutazioni della Corte costituzionale sulla portata applicativa e interpretativa dell’art. 248, comma 4, del TUEL dovranno tenere conto di una pluralità di profili e di interessi contrapposti rispetto a cui andrà ponderato il necessario bilanciamento, alla luce sia della specialità e delle finalità proprie della disciplina del dissesto degli enti locali sia della necessità di assicurare chiarezza e trasparenza a monte delle regole che presidiano i rapporti economici e contrattuali tra privati e pubblica amministrazione, soprattutto considerando le ingenti risorse economiche del PNRR che nel prossimo futuro verranno investite.

La sentenza per esteso qui

Sentenza 5502/2021 del 21 luglio 2021 relatore Fabio Franconiero

 

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