La Sezione Giurisdizionale Liguria solleva questione di costituzionalità sull’azione del PM contabile per il danno all’immagine sul caso G8 di Genova
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NOVITA’: ORDINANZA CORTE COSTITUZIONALE 168/2019
La Sezione Giurisdizionale per la Liguria ritiene di dovere sollevare – nuovamente – innanzi alla Corte costituzionale la questione di legittimità dell’art. 17, comma 30-ter, del Decreto Legge 1 luglio 2009, n. 78, convertito nella Legge 3 agosto 2009, n. 102, modificato dall’art. 1, comma 1, lett. c) n.1 del Decreto Legge 3 agosto 2009, n. 103, convertito dalla Legge 3 ottobre 2009, n. 141, per contrasto con gli artt. 3 e 97 Cost., nella parte in cui esclude l’esercizio dell’azione del P.M. contabile per il risarcimento del danno all’immagine conseguente a reati commessi da pubblici dipendenti nell’esercizio delle loro funzioni, diversi da quelli contro la P.A. di cui al Capo I Titolo II Libro II del codice penale.
La Sezione Giurisdizionale per la Liguria ha dubitato della legittimità costituzionale della citata disposizione dopo aver reiterato la valutazione della rilevanza della questione con specifico riguardo all’allegato 3, art. 4, comma 1, lett. g ed h) del Decreto Legislativo 26 agosto 2016, n. 174, che ha abrogato il primo periodo della norma censurata e l’art. 7 della Legge 27 marzo 2001, n. 97, norma alla quale rinviava quella censurata, nonché con riferimento all’art. 37 del Decreto Legislativo 25 maggio 2016, n. 97, che ha modificato l’art. 46, comma 1, del Decreto Legislativo 14 marzo 2013, n. 33, richiamato dal rimettente a conforto delle censure di irragionevolezza e di violazione del principio di uguaglianza, come richiesto dalla Corte Costituzionale nell’ordinanza n. 145/2017 di restituzione degli atti alla Sezione Giurisdizionale per la Liguria.
Sezione: LIGURIA
Esito: SENTENZA
Numero: 42
Anno: 2018
Materia: RESPONSABILITA’
Data pubblicazione: 21 marzo 2018
REPUBBLICA ITALIANA
LA CORTE DEI CONTI
SEZIONE GIURISDIZIONALE PER LA REGIONE LIGURIA
composta dai Magistrati:
dott. Maria RIOLO Presidente
dott. Paolo COMINELLI Consigliere
dott. Pietro MALTESE Consigliere relatore
ha pronunciato la seguente
ORDINANZA
nel giudizio di responsabilità iscritto al n. 19708 del registro di Segreteria, promosso dalla Procura Regionale presso questa Sezione contro:
– BL, rappresentato e difeso dagli avv.ti Alba Giordano, Gaia Baldassarri e Mario Baldassarri, in forza di mandato allegato alla memoria di costituzione, elettivamente domiciliato nello studio degli stessi in Roma, Via Muzio Clementi n. 58;
– CA, rappresentato e difeso dagli avv.ti Alba Giordano, Gaia Baldassarri e Mario Baldassarri, in forza di mandato allegato alla memoria di costituzione, elettivamente domiciliato nello studio degli stessi in Roma, Via Muzio Clementi n. 58;
– NM, rappresentato e difeso dall’avv. Pasquale Di Rienzo, in forza di mandato a margine della memoria di costituzione, elettivamente domiciliato nello studio di quest’ultimo in Roma, Viale G. Mazzini n. 11;
– VS, rappresentato e difeso dall’avv. Gianluca Bambara, in forza di mandato allegato alla memoria di costituzione, elettivamente domiciliato nello studio di quest’ultimo in Roma, Via Muzio Clementi n. 58;
Esaminati gli atti e i documenti di causa;
Udita la relazione svolta nella pubblica udienza del 21 marzo 2018 dal consigliere Pietro Maltese;
Udito il Pubblico Ministero in persona del vice procuratore generale dott. Gabriele Vinciguerra che ha concluso in via principale per la condanna dei convenuti al risarcimento del danno patrimoniale e del danno all’immagine e in via sussidiaria per la rimessione degli atti alla Corte costituzionale, come da atto di citazione e gli avv.ti omissisis per il convenuto VS che concludono per l’inammissibilità o improcedibilità dell’azione di risarcimento del danno all’immagine avviata dal P.M. e per il rigetto della domanda di risarcimento del danno patrimoniale;
RILEVA
1. La Corte d’appello di Genova con sentenza n. 2175 del 13 luglio 2010, in totale riforma della sentenza di primo grado, riteneva colpevoli del reato continuato di falsità ideologica commessa dal pubblico ufficiale in atti pubblici i convenuti CS, BL, NS e VS, tutti appartenenti alla Polizia di Stato, e li condannava alla pena di anni quattro di reclusione ciascuno, oltre all’interdizione dai pubblici uffici per anni cinque, al risarcimento dei danni in favore delle parti civili da liquidarsi in separato giudizio, al versamento di una provvisionale di € 15.000,00 per ciascuna parte civile, e al pagamento delle spese processuali. Gli altri reati di cui gli imputati erano accusati (calunnia ed abuso di ufficio) venivano dichiarati estinti per prescrizione.
La predetta sentenza accertava che i predetti agenti, durante una manifestazione in occasione del vertice dei capi di Stato e di Governo, denominato G8, tenutosi a Genova nel luglio del 2001, in concorso tra loro e con più azioni esecutive di un medesimo disegno criminoso, in violazione delle norme disciplinanti la facoltà di arresto da parte degli ufficiali ed agenti di polizia giudiziaria, nonché dei doveri del personale di Polizia, privavano della libertà personale i cittadini spagnoli Adolfo Sesma Gonzales e Luis Alberto Lorente Garcia, intenzionalmente operando un arresto al di fuori dei presupposti di legge e abusando dei poteri inerenti le loro funzioni. Gli stessi agenti, inoltre, incolpavano i menzionati cittadini spagnoli, pur sapendoli innocenti, dei reati di resistenza aggravata e possesso ed utilizzo di armi, affermando falsamente nel verbale di arresto e nelle successive relazioni di servizio di avere sorpreso Adolfo Sesma Gonzales mentre effettuava all’indirizzo dei reparti schierati della Polizia il lancio di un ordigno incendiario e Luis Alberto Lorente Garcia mentre si scagliava contro le forze di Polizia, armato di un tubolare di ferro, effettuando resistenza per sottrarsi all’arresto.
La sentenza riteneva gli imputati, odierni convenuti, responsabili in modo inequivocabile dei fatti delittuosi posti in essere, affermando che “La cristallizzazione degli atti compiuti dai pubblici ufficiali negli atti pubblici da loro redatti; la conferma piena degli atti stessi nella relazione di servizio presentata oltre sette mesi dopo, la palmare, solare, visiva falsità degli atti stessi raffrontata non solo con le dichiarazioni dei testi, ma con i filmati, nei quali viene immortalato l’arresto dei due spagnoli in un contesto del tutto diverso da quello esposto dai pubblici ufficiali, e soprattutto, per quel che qui interessa, senza che i due si fossero resi protagonisti degli atti di violenza trasfusi negli atti pubblici [. . . . omissis] getta una luce abbagliante anche in ordine alla sussistenza dell’elemento psicologico, non potendosi addebitare a colpa ciò che invece costituisce la cosciente volontà di “effettuare dei fermi” (come raccomandato due volte dalla centrale operativa), motivandoli con condotte false ed integranti in pieno anche il delitto di calunnia”.
A seguito del rigetto, con sentenza n. 1906/2012, del ricorso per Cassazione proposto dai convenuti, la sentenza passava in giudicato.
2. Per gli stessi fatti i convenuti VS, NM, BL e CA, con atto di citazione depositato in data 17 luglio 2015, venivano chiamati dalla Procura contabile a rispondere del danno patrimoniale indiretto subito dal Ministero della Giustizia, causalmente ricollegabile alla loro condotta illecita. Il danno veniva quantificato in € 10.584,00 a titolo di spese di costituzione in giudizio delle parti civili ammesse al patrocinio a spese dello Stato nei processi di primo e secondo grado relativi ai fatti in questione, nonché nell’ulteriore somma di € 10.000,00 quale danno patrimoniale subito dal Ministero dell’Interno per avere anticipato agli imputati le spese legali, anticipazione non seguita dalla restituzione a seguito della sentenza di condanna passata in giudicato.
Atteso, inoltre, il notevole clamore suscitato dall’intera vicenda, la cui notizia è stata ampiamente riportata e diffusa dagli organi di stampa e dagli altri mezzi di informazione, la Procura contabile chiedeva anche il risarcimento del danno all’immagine della Polizia di Stato, gravemente lesa dal comportamento delittuoso dei condannati, quantificato in € 200.000,00.
3. Essendo quest’ultima azione di risarcimento preclusa dall’art. 17, comma 30 ter, del Decreto Legge 1 luglio 2009 n. 78, convertito con modificazioni nella Legge 3 agosto 2009 n. 102, modificato dall’art. 1 c.1 lett. c) n.1 del D.L. 3 agosto 2009 n. 103 convertito dalla Legge 3 ottobre 2009 n. 141, che per effetto del rinvio all’art. 7 della legge 27 marzo 2001 n. 97 legittimava la proposizione dell’azione risarcitoria per danni all’immagine dell’ente pubblico da parte della procura operante presso il giudice contabile soltanto se detto danno era conseguente a un reato ascrivibile alla categoria dei delitti dei pubblici ufficiali contro la pubblica amministrazione di cui al Capo I, Titolo II, Libro II del c.p., la Procura contabile sollevava questione di legittimità costituzionale della norma de qua, per contrasto con gli artt. 3 e 97 della Costituzione.
4. Questa Sezione, con ordinanza n. 12 depositata in data 19 aprile 2016, dichiarava rilevante e non manifestamente infondata la questione, per contrasto della norma censurata con gli artt. 3 e 97 Cost. nella parte in cui escludeva l’esercizio dell’azione del P.M. contabile per il risarcimento del danno all’immagine conseguente a reati commessi da pubblici dipendenti nell’esercizio delle loro funzioni, diversi da quelli contro la P.A. di cui al Capo I titolo II libro II del codice penale, quindi disponendo la sospensione del procedimento e la trasmissione degli atti alla Corte Costituzionale.
5. La Corte costituzionale, con ordinanza n. 145/2017 in data 24 maggio 2017, sul rilievo che dopo l’ordinanza di rimessione l’art. 17, comma 30-ter, del d.l. 1 luglio 2009, n. 78 era stato modificato dall’allegato 3, art. 4, comma 1, lett. h), del d. lgs. 26 agosto 2016, n. 174 che aveva abrogato il primo periodo della norma censurata; che l’allegato 3, art. 4, comma 1, lett. g), dello stesso d.lgs. n. 174/2016 aveva abrogato l’art. 7 della legge 27 marzo 2001, n. 97, norma alla quale la disposizione censurata rinviava, allo scopo di limitare i casi nei quali poteva essere proposta dal P.M. contabile l’azione di risarcimento per il danno all’immagine; che sempre successivamente all’ordinanza di rimessione, l’art. 37 del d.lgs. 25 maggio 2016, n. 97, aveva modificato l’art. 46, comma 1, del d.lgs. 14 marzo 2013, n. 33 richiamato dal rimettente a conforto delle censure di irragionevolezza e di violazione del principio di uguaglianza; che le sopravvenute modifiche avevano inciso sul citato art. 17, comma 30-ter, e comunque avevano determinato una profonda trasformazione del quadro normativo di riferimento, realizzata con modalità tali da influire sul contenuto e sulla prospettazione delle censure e che, quindi, ne rendevano ineludibile il riesame da parte del remittente ai fini di una nuova valutazione in ordine alla rilevanza e alla non manifesta infondatezza della sollevata questione, disponeva la restituzione degli atti a questo giudice, per nuovo esame della rilevanza.
6.Veniva all’uopo fissata l’odierna udienza di discussione.
I convenuti BL, CS, NS e VS si sono costituiti e hanno depositato memorie. NS e VS hanno eccepito rispettivamente la nullità e l’inesistenza della notifica dell’originario atto di citazione e tutti l’infondatezza della richiesta di risarcimento di € 10.000,00 quale somma anticipata dall’amministrazione per la difesa nel giudizio penale, in quanto gli stessi avrebbero già iniziato a restituire la somma anticipata dal Ministero dell’Interno, attraverso trattenute sulla busta paga a decorrere dal mese di dicembre 2017.
Con riferimento alla domanda di risarcimento del danno d’immagine, gli stessi convenuti hanno eccepito in via preliminare l’inammissibilità e/o l’improcedibilità della richiesta, in quanto esperita sulla base di una sentenza di condanna per un reato (falsità ideologica commessa da pubblico ufficiale in atti pubblici) che non rientra nel novero di quelli individuati al Capo I, Titolo II, Libro II del c.p. deducendo anche l’inapplicabilità, ratione temporis, al caso di specie delle nuove norme modificative della disciplina dell’azione di risarcimento del danno all’immagine, introdotte dal codice della giustizia contabile approvato con D.lgs. n. 174/2016, essendo stato l’atto di citazione depositato in data 17 luglio 2015, anteriore all’entrata in vigore del predetto decreto (7 ottobre 2016).
In via subordinata e nell’ipotesi in cui la nuova normativa fosse, invece, ritenuta applicabile al caso de quo e che, per effetto della abrogazione dell’art. 7 della legge n. 97/2001, ad opera dell’art. 4, comma 1, lett. g) dell’Allegato 3 del D.lgs. n. 174/2016, l’azione di risarcimento del danno all’immagine non incontrasse più i limiti previsti dalla norma abrogata, i convenuti sollevano questione di legittimità costituzionale della norma di abrogazione, per violazione dell’art. 76 della Cost. non sussistendo, nella fattispecie, il potere del legislatore delegato di modificare la disciplina sostanziale della perseguibilità del danno all’immagine, difettando apposita delega in tal senso.
In via ulteriormente subordinata, i convenuti hanno contestato la quantificazione di detto danno da parte della Procura, ritenuta “assolutamente eccessiva e sfornita di prove adeguate”, danno ritenuto, tra l’altro, insussistente, per assenza di risonanza mediatica e comunque non dimostrato dalla Procura contabile (eccezione, quest’ultima, del convenuto NS).
7. Questa sezione, con sentenza parziale assunta all’esito dell’odierno giudizio, ha respinto le eccezioni di nullità ed inesistenza della notifica sollevate dai convenuti NS e VS, condannando tutti i convenuti, in solido tra loro, al risarcimento del danno di € 10.000,00 a favore del Ministero degli Interni e di € 10.584,00 a favore del Ministero della giustizia e riservandosi di provvedere, con separata ordinanza, con riferimento alla domanda di risarcimento del danno all’immagine
OSSERVA
8. A scioglimento della riserva, il Collegio ritiene di dovere – nuovamente – sollevare innanzi alla Corte costituzionale questione di legittimità dell’art. 17, comma 30 ter, del Decreto Legge 1 luglio 2009 n. 78, convertito con modificazioni nella Legge 3 agosto 2009 n. 102, modificato dall’art. 1 c.1 lett. c) n.1 del D.L. 3 agosto 2009 n. 103, convertito dalla Legge 3 ottobre 2009 n. 141, per contrasto con gli artt. 3 e 97 Cost. nella parte in cui esclude l’esercizio dell’azione del P.M. contabile per il risarcimento del danno all’immagine conseguente a reati commessi da pubblici dipendenti nell’esercizio delle loro funzioni, diversi da quelli contro la P.A. di cui al Capo I Titolo II Libro II del codice penale.
9. Il testé indicato sospetto di legittimità costituzionale viene da questo giudice formulato dopo la reiterazione della valutazione della rilevanza della questione, con specifico riguardo all’allegato 3, art. 4, comma 1, lett. g ed h), del d. lgs. 26 agosto 2016, n. 174 che ha abrogato il primo periodo della norma censurata e l’art. 7 della legge 27 marzo 2001, n. 97, norma alla quale rinviava quella censurata, nonché con riguardo all’art. 37 del d.lgs. 25 maggio 2016, n. 97 che ha modificato l’art. 46, comma 1, del d.lgs. 14 marzo 2013, n. 33, richiamato dal rimettente a conforto delle censure di irragionevolezza e di violazione del principio di uguaglianza, come richiesto dalla Corte costituzionale con l’ordinanza n. 145/2017 di restituzione degli atti. Ed a tanto si provvede.
LA RILEVANZA
10. Questo giudice ritiene, infatti, che le modifiche normative introdotte dall’allegato 3, art. 4, comma 1, lett. g ed h), del d. lgs. 26 agosto 2016, n. 174 che ha abrogato il primo periodo della norma censurata e l’art. 7 della legge 27 marzo 2001, n. 97, norma alla quale rinviava quella censurata, nonché le modifiche all’art. 46, comma 1, del d.lgs. 14 marzo 2013, n. 33, operate dall’art. 37 del d.lgs. 25 maggio 2016, n. 97, non abbiano incidenza nel caso di specie e che, pertanto, la norma di cui all’art. 17, comma 30 ter, del Decreto Legge 1 luglio 2009 n. 78, convertito con modificazioni nella Legge 3 agosto 2009 n. 102, modificato dall’art. 1 c.1 lett. c) n.1 del D.L. 3 agosto 2009 n. 103, convertito dalla Legge 3 ottobre 2009 n. 141, debba trovare applicazione ai fini della decisione sulla domanda di risarcimento del danno all’immagine proposta dal P.M. contabile con l’atto di citazione in premessa, la cui proponibilità è contestata dai convenuti.
11. Si premette un breve excursus sul quadro normativo di riferimento, precedente e successivo al D.Lgs. n. 174/2016:
a) L’art. 17 comma 30-ter del d.l. n. 78/2009 (c.d. “Lodo Bernardo”), convertito con modificazioni in legge n. 102/2009, nel testo modificato dall’Art. 1, lett. c), del d.l. n. 103/2009, convertito in legge n. 141/2009, disponeva: Le procure della Corte dei conti possono iniziare l’attività istruttoria ai fini dell’esercizio dell’azione di danno erariale a fronte di specifica e concreta notizia di danno, fatte salve le fattispecie direttamente sanzionate dalla legge. Comma 1). Le procure della Corte dei conti esercitano l’azione per il risarcimento del danno all’immagine nei soli casi e nei modi previsti dall’art. 7 della legge 27 marzo 2001, n. 97. (comma 2). A tale ultimo fine, il decorso del termine di prescrizione di cui al comma 2 dell’articolo 1 della legge 14 gennaio 1994, n. 20, è sospeso fino alla conclusione del procedimento penale (comma 3)”;
b)L’art. 7 legge n. 97/2001, cui l’art. 17 comma 30-ter operava il rinvio, disponeva che “La sentenza irrevocabile di condanna pronunciata nei confronti dei dipendenti indicati nell’art. 3 per i delitti contro la pubblica amministrazione previsti nel capo I del titolo II del libro II del codice penale è comunicata al competente procuratore regionale della Corte dei conti affinché promuova entro trenta giorni l’eventuale procedimento di responsabilità per danno erariale nei confronti del condannato. Resta salvo quanto disposto dall’art. 129 delle norme di attuazione, di coordinamento e transitorie del codice di procedura penale, approvate con decreto legislativo 28 luglio 1989, n. 271”;
c)L’art. 4, comma 1 del D.lgs. n. 174/2016 Allegato 3 – Norme transitorie e abrogazioni – prevede che a decorrere dalla data di entrata in vigore del codice, sono o restano abrogati, in particolare: lett. g) l’articolo 7 della legge 27 marzo 2001, n. 97; lett. h) l’articolo 17, comma 30-ter, primo periodo, del d.l. 1 luglio 2009, n. 78, convertito, con modificazioni, dalla legge 3 agosto 2009, n. 102;
d)Per espressa previsione dello stesso art. 4, ultimo comma, del D.lgs. n. 174/2016 Allegato 3 citato, “Quando disposizioni vigenti richiamano disposizione abrogate dal comma 1, il riferimento agli istituti previsti da queste ultime si intende operato ai corrispondenti istituti disciplinati nel presente codice.”
e) L’art. 51 del d.lgs. n. 174/2016, al comma 7, dispone che “La sentenza irrevocabile di condanna pronunciata nei confronti dei dipendenti delle pubbliche amministrazioni di cui all’art. 1, comma 2, del decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165, nonché degli organismi e degli enti da esse controllati, per i delitti commessi a danno delle stesse, è comunicata al competente procuratore regionale della Corte dei conti affinché promuova l’eventuale procedimento di responsabilità per danno erariale nei confronti del condannato. Resta salvo quanto disposto dall’art. 129 delle norme di attuazione, di coordinamento e transitorie del codice di procedura penale, approvate con decreto legislativo 28 luglio 1989, n. 271” (riproponendo con alcune modifiche il vecchio testo dell’art. 7 della legge n. 97/2001).
12. Dal quadro normativo testé riportato, si rileva che l’abrogazione del primo periodo dell’art. 17, comma 30-ter, del d.l. 1 luglio 2009 n. 78 non è rilevante ai fini della questione di costituzionalità sollevata, sia perché quest’ultima attiene specificamente al comma 2 dell’art. 17, sia perché la norma abrogata è stata reintrodotta, tel quel, all’art. 51, comma 1, del codice della giustizia contabile (CGC).
13. Più significativa appare, invece, l’abrogazione, per effetto dell’art. 4, comma 1, lett. g) del d.lgs. n. 174/2016 Allegato 3, dell’art. 7 della legge 27 marzo 2001 n. 97, cui l’art. 17 comma 30-ter rinviava al fine di limitare i casi nei quali poteva essere proposta dal P.M. contabile l’azione di risarcimento del danno all’immagine. La norma abrogata è stata trasfusa, con alcune modifiche, nel testo dell’art. 51 del d.lgs. n. 174/2016 e, conseguentemente, per effetto del disposto di cui all’art. 4, comma 2, delle norme transitorie ed abrogazioni – Allegato 3 – il riferimento ai “soli casi e nei modi previsti dall’art. 7 della legge 27 marzo 2001, n. 97” di cui all’art. 17 comma 30-ter, per detta parte ancora in vigore, deve ora ritenersi fatto alle disposizioni contenute nell’art. 51, comma 7, del CGC che ripropone, con alcune varianti, la norma abrogata.
La prima variante è il riferimento alla sentenza di condanna nei confronti dei dipendenti delle PP.AA., ora esteso anche ai “dipendenti degli organismi e degli enti da esse controllati”; la seconda variante, molto più significativa ai fini che qui interessano, attiene alle tipologie di reato oggetto della sentenza di condanna da comunicare al procuratore regionale della Corte dei conti, ai fini dell’eventuale esercizio dell’azione di responsabilità per danno erariale, ora non più limitate ai “delitti contro la pubblica amministrazione previsti nel capo I del titolo II del libro secondo del codice penale”, ma estese a tutti “i delitti commessi a danno delle stesse” (pubbliche amministrazioni ed organismi ed enti controllati).
14. L’ampliamento delle possibilità di azione del P.M. contabile non appare, però, a giudizio del remittente, rilevante ai fini della questione di legittimità costituzionale sollevata, stante che, qualunque sia l’interpretazione da dare alla locuzione “delitti commessi a danno”, cui l’art. 51 comma 7 del CGC subordina la possibilità del P.M. contabile di esperire l’azione di risarcimento per danno all’immagine, se cioè la relativa domanda possa essere formulata soltanto nel caso di delitti in cui la P.A. sia essa stessa soggetto offeso dal reato, o possa essere proposta anche nel caso in cui la P.A. sia soggetto danneggiato civilmente da un delitto commesso dal pubblico dipendente nello svolgimento e con abuso delle proprie funzioni, la norma di cui all’art. 51, comma 7, del C.G.C. non è applicabile alla fattispecie in esame, nella quale il deposito dell’atto di citazione, momento nel quale deve porsi la questione della proponibilità dell’azione alla luce della normativa ratione temporis in vigore per accertarne la legittimità, è avvenuto sotto l’impero dell’art. 17, comma 30-ter, nella formulazione antecedente alla modifica operata dalle disposizioni del nuovo Codice della giustizia contabile, disposizione della cui legittimità costituzionale si continua a dubitare.
Lo stesso C.G.C. all’art. 2 delle Norme transitorie e abrogazioni – Allegato 3 – in ossequio al principio del tempus regit actum, stabilisce che “Le disposizioni di cui alla Parte II, Titolo I, Capi I (cui appartiene il citato art. 51),II e III del codice, che disciplinano l’istruttoria del pubblico ministero, si applicano alle istruttorie in corso alla data di entrata in vigore del codice, (e nel caso di specie l’istruttoria non era in quel momento più in corso, essendo stato già emesso l’atto di citazione in giudizio),fatti salvi gli atti già compiuti secondo il regime previgente.”
Anche a seguito delle norme modificative del quadro normativo, indicate dalla Corte costituzionale nell’ordinanza di restituzione degli atti n. 145/2017, continua, pertanto, a sussistere la rilevanza della questione proposta, nel caso concreto, in cui il danno all’immagine, ritenuto sussistente, non può essere oggetto di azione di risarcimento, impedita dalla formulazione della norma censurata.
RIPROPOSIZIONE DELLA QUESTIONE
15. Vanno, dunque, pienamente confermate, anche alla luce dello ius superveniens segnalato, le considerazioni in termini di rilevanza e non manifesta infondatezza, già formulate nella precedente ordinanza di rimessione n. 12 del 2016 di questo Giudice, che vengono in questa sede integralmente richiamate e riproposte.
15.1. La questione di legittimità costituzionale dell’art. 17 comma 30-ter del Decreto Legge 1 luglio 2009 n. 78, convertito con modificazioni nella Legge 3 agosto 2009 n. 102, modificato dall’art. 1 c.1 lett. c) n.1 del D.L. 3 agosto 2009 n. 103 convertito dalla Legge 3 ottobre 2009 n. 141, sollevata dalla Procura contabile appare rilevante e non manifestamente infondata.
15.2. La norma censurata dispone che le procure della Corte dei conti esercitano l’azione per il risarcimento del danno all’immagine nei soli casi e nei modi previsti dall’ art. 7 della legge 27 marzo 2001 n. 97.Il predetto art. 7 stabilisce che la sentenza irrevocabile di condanna pronunciata nei confronti dei dipendenti indicati nell’articolo 3 per i delitti contro la pubblica amministrazione previsti nel capo I del titolo II del libro secondo del codice penale è comunicata al competente procuratore regionale della Corte dei conti affinché promuova entro trenta giorni l’eventuale procedimento di responsabilità per danno erariale nei confronti del condannato.15.3. Secondo il diritto vivente, ricavabile dall’interpretazione della normativa in questione ad opera della prevalente giurisprudenza della Corte di Cassazione (sentenza n. 14605 del 2014) e della Corte dei conti (SS.RR. sentenza n. 8/QM del 2015), nonché della stessa Corte costituzionale, il riferimento “ai casi e ai modi” previsti nell’art. 7 della citata legge n. 97 del 2001, comporta la possibilità della Procura contabile di esperire l’azione di risarcimento solo nel caso di danno all’immagine conseguente ad uno dei reati di cui al capo I, titolo II, libro II del codice penale, vale a dire nelle sole ipotesi di delitti contro la pubblica amministrazione, tra i quali non è compreso il reato di falsità ideologica per il quale i convenuti sono stati condannati.
La stessa Corte costituzionale, nel dichiarare inammissibili e/o infondate le questioni di legittimità costituzionale dell’art. 17, comma 30-ter, prospettate da varie Sezioni giurisdizionali della Corte dei conti, ha ritenuto (sentenza n. 355 del 2010 e ordinanze nn. 219, 220 e 221 del 2011) che “Il legislatore ha ammesso la proposizione dell’azione risarcitoria per danni all’immagine dell’ente pubblico da parte della procura operante presso il giudice contabile soltanto in presenza di un fatto di reato ascrivibile alla categoria dei «delitti dei pubblici ufficiali contro la pubblica amministrazione» e che “La norma deve essere univocamente interpretata, [. . . ] nel senso che al di fuori delle ipotesi tassativamente previste di responsabilità per danni all’immagine dell’ente pubblico di appartenenza, non è configurabile siffatto tipo di tutela risarcitoria.”(sentenza n. 355 del 2010).
15.4. Escluse, pertanto, interpretazioni dell’art. 17, comma 30-ter, che possano far ritenere esperibile l’azione della Procura contabile anche nei casi di danni all’immagine dell’amministrazione conseguenti a reati diversi da quelli contemplati dalla norma stessa, la questione proposta è da ritenersi rilevante nel presente giudizio, in quanto l’applicazione della disposizione censurata determinerebbe l’improponibilità della domanda di risarcimento del danno all’immagine, precludendone l’esame.
NON MANIFESTA INFONDATEZZA
16. Il remittente ritiene che la questione sollevata dalla Procura attrice, oltre che rilevante, sia anche non manifestamente infondata.
16.1. Il Collegio non ignora che la Corte ha già scrutinato, sotto alcuni profili, la questione di legittimità relativa alla norma censurata. Ritiene, tuttavia, che alla luce dei principi che presiedono alla verifica della ragionevolezza degli interventi del legislatore, elaborati dalla stessa giurisprudenza costituzionale, il denunciato contrasto della norma censurata con gli artt. 3 e 97 della Cost. non sia manifestamente infondato, con riferimento ai profili di seguito illustrati.
16.2. Come è noto, la giurisprudenza costituzionale ha desunto dall’art. 3 Cost. “un canone di “razionalità” della legge svincolato da una normativa di raffronto, rintracciato nell’esigenza di conformità dell’ordinamento a valori di giustizia e di equità [. . .] ed a criteri di coerenza logica, teleologica e storico-cronologica, che costituisce un presidio contro l’eventuale manifesta irrazionalità o iniquità delle conseguenze della stessa” (sent. N. 87/2012).
Alla luce del suddetto canone di razionalità, utilizzato dalla Corte per l’esercizio del sindacato di legittimità, il Collegio remittente, ritiene, non manifestamente infondata la questione di legittimità costituzionale dell’art. 17, comma 30 ter del D.L. 1 luglio 2009 n. 78, (c.d. “Lodo Bernardo”), per contrasto con l’art.3 della Costituzione, sotto il profilo della “intrinseca irragionevolezza” della disciplina regolatrice dell’azione risarcitoria per danno all’immagine, ritenuta non conforme a valori di giustizia ed equità ed a criteri di coerenza logica, nonché per violazione del principio di uguaglianza, anche alla luce delle successive disposizioni introdotte dal legislatore successivamente alla norma censurata, di cui agli all’art. 55 – quinquies, comma 2, del D.Lgs. 30 marzo 2001 n. 165 (aggiunto dall’art. 69, comma 1, del D.Lgs. 27 ottobre 2009, n. 150), all’art. 1, comma 12, della legge 6 novembre 2012, n. 190 e all’art. 46, comma 1, del D.lgs. 14 marzo 2013, n. 33, successivamente modificato con l’art. 37 del D.lgs. 25 maggio 2016 n. 97.
Secondo l’art. 17 comma 30-ter, nel testo vigente al momento della proposizione dell’atto di citazione, applicabile nel caso di specie, verrebbero, infatti, irragionevolmente escluse dall’azione risarcitoria fattispecie di danno all’immagine conseguente a fatti di reato altrettanto gravi e anche più gravi di quelli che integrano gli estremi dei reati contro la P.A. e, soprattutto, certamente più gravi dei fatti non costituenti reato descritti dalle nuove figure di violazioni di doveri del pubblico dipendente, cui si è innanzi fatto cenno, creando sperequazioni manifestamente irragionevoli tra fatti che producono i medesimi effetti dannosi e dando luogo a situazioni paradossali.
A titolo esemplificativo, risulta inspiegabilmente escluso il risarcimento del danno all’immagine della P.A. nelle ipotesi di reati contro l’amministrazione della giustizia, non compresi nel capo I, titolo II, libro II del codice penale; sussiste danno all’immagine risarcibile per la violazione del segreto d’ufficio (326 c.p.)punita con la reclusione da sei mesi a tre anni, ma non per la più grave rivelazione di segreto di Stato (261 c.p.) commessa da pubblico ufficiale, punita con la reclusione non inferiore a cinque anni, o per tutti i delitti commessi dal pubblico ufficiale contro lo Stato che offendono l’interesse alla sicurezza nazionale; sussiste danno all’immagine per l’indebita percezione di erogazioni a danno dello Stato di cui all’art. 316 ter del c.p. ma non per la truffa aggravata per il conseguimento delle medesime erogazioni pubbliche di cui all’art. 640 bis del c.p. e cioè per lo stesso fatto di reato commesso con artifici e raggiri; è ammesso il risarcimento del danno all’immagine nel caso di abuso d’ufficio di cui all’art. 323 c.p. ma non nei casi in cui detto reato viene assorbito in uno più grave ma non compreso nel capo I, libro II titolo II del codice penale, nonostante permanga la lesione del bene protetto dalla norma incriminatrice del reato assorbito (il buon andamento della P.A.); risponde di danno all’immagine la guardia carceraria che in cambio di favori sessuali dispensa benefici in violazione dei propri doveri a soggetti sottoposti a custodia, mentre non ne risponde se commette violenza sessuale a danno degli stessi soggetti cui poi dispensa i medesimi benefici per evitare di essere denunciata.
Nella fattispecie di cui è causa, tra l’altro, l’irrazionalità della disposizione censurata e la violazione del principio di uguaglianza traspaiono in tutta evidenza, ove si consideri che la norma non consente di esercitare l’azione di risarcimento del danno all’immagine, nonostante il danno derivi dal reato di falsità ideologica commessa da pubblico ufficiale in atti pubblici previsto dall’art. 479 del c.p., che è reato contro la P.A., sebbene non compreso nel capo I del titolo II del libro II del codice penale, avendo quale persona offesa la P.A. e come bene meritevole di tutela penale l’interesse pubblico alla fedeltà degli atti (Cass. SS.UU. n. 46982/2017).
16.3. La scelta, operata dal legislatore con la disposizione censurata, di non estendere l’azione risarcitoria anche a condotte integranti un reato diverso da quelli contro la P.A. da cui purtuttavia consegua una lesione all’immagine dell’amministrazione, scelta ritenuta legittima dalla Corte con la sentenza n. 355 del 2010 non è rimasta, tra l’altro, ferma nel tempo, ma risulta superata dallo stesso legislatore che in momenti successivi all’entrata in vigore dell’art. 17 comma 30 ter, ha introdotto ulteriori fattispecie di danno all’immagine dell’amministrazione, come conseguenza di reati non compresi tra quelli disciplinati dal capo I titolo II libro II del c.p. e anche quale esito di fatti non costituenti reato, con conseguente irrazionalità (quantomeno sopravvenuta) della disciplina dettata dal predetto art. 17, comma 30-ter.
La prima nuova fattispecie di danno all’immagine successiva all’entrata in vigore dell’art. 17, comma 30-ter è prevista dall’art. 55 – quinquies, comma 2, del D.Lgs. 30 marzo 2001 n. 165 (aggiunto dall’art. 69, comma 1, del D.Lgs. 27 ottobre 2009, n. 150), secondo cui risponde di danno all’immagine alla P.A. il lavoratore dipendente che attesta falsamente la propria presenza in servizio, mediante l’alterazione dei sistemi di rilevamento della presenza o con altre modalità fraudolente, ovvero giustifica l’assenza dal servizio mediante una certificazione falsa o falsamente attestante uno stato di malattia.
Successivamente, con l’art. 1, comma 12, della legge 6 novembre 2012, n. 190 è stato stabilito che “In caso di commissione, all’interno dell’amministrazione, di un reato di corruzione accertato con sentenza passata in giudicato, il responsabile individuato ai sensi del comma 7 del presente articolo risponde ai sensi dell’articolo 21 del decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165, e successive modificazioni, nonché sul piano disciplinare, oltre che per il danno erariale e all’immagine della pubblica amministrazione, salvo che provi tutte le seguenti circostanze: a) di avere predisposto, prima della commissione del fatto, il piano di cui al comma 5 e di aver osservato le prescrizioni di cui ai commi 9 e 10 del presente articolo; b) di aver vigilato sul funzionamento e sull’osservanza del piano.”
Infine, con l’art. 46, comma 1, del D.lgs. 14 marzo 2013, n. 33, modificato dall’art.37 del D.lgs. 25 maggio 2016 n. 97 («Responsabilità derivante dalla violazione delle disposizioni in materia di obblighi di pubblicazione e di accesso civico»),
è stata introdotta una ulteriore fattispecie di danno all’immagine risarcibile, prevedendosi che “L’inadempimento degli obblighi di pubblicazione previsti dalla normativa vigente e il rifiuto, il differimento e la limitazione dell’accesso civico, al di fuori delle ipotesi previste dall’articolo 5-bis, costituiscono elemento di valutazione della responsabilità dirigenziale, eventuale causa di responsabilità per danno all’immagine dell’amministrazione e sono comunque valutati ai fini della corresponsione della retribuzione di risultato e del trattamento accessorio collegato alla performance individuale dei responsabili.”
16.4. La prima delle tre fattispecie evidenziate, già inserita nell’ordinamento al tempo in cui la Corte Costituzionale si è pronunciata sulla questione relativa all’art. 17, comma 30 ter, (sentenza n. 355 del 2010), è stata ritenuta elemento insufficiente ad intaccare il criterio limitativo del risarcimento del danno all’immagine ai soli casi dei delitti contro la P.A., attesa la sua “specialità” e “la ratio che ne ha giustificato l’introduzione nel sistema” (sentenza n. 355 del 2010).
La successiva previsione legislativa delle altre due ipotesi di danno all’immagine risarcibile, relative a fatti che non costituiscono reato, non essendo più giustificabile con il criterio di specialità, ha, però, incrinato la coerenza interna della scelta del legislatore tradotta nell’art. 17, comma 30-ter, rendendo irragionevole e, quindi, costituzionalmente illegittima, per violazione dell’art. 3 della Costituzione, sotto il profilo della intrinseca irrazionalità della disciplina e della disparità di trattamento risultante, l’esclusione dell’azione risarcitoria nelle ipotesi di danno all’immagine causato dalla commissione di reati diversi da quelli espressamente contemplati dal predetto art. 17, comma 30-ter.
L’azione risarcitoria per il danno all’immagine dell’amministrazione risulta, infatti, prevista per fatti dannosi di minore gravità, (tenuto conto del tipo di sanzione prevista dal legislatore in caso di violazione) quali quelli relativi alle due ultime fattispecie citate, che non costituiscono neppure reato (art. 1, comma 12, della legge 6 novembre 2012, n. 190 e art. 46, comma 1, del D.lgs. 14 marzo 2013, n. 33), mentre risulta esclusa per danni all’immagine causati dai più gravi fatti di reato, produttivi della stessa tipologia di danno.
17. Il predetto art. 17, comma 30-ter, del Decreto Legge n. 78/2009 appare, inoltre, contrastante con l’art. 3 Cost. per violazione dello stesso canone della “intrinseca ragionevolezza”, sotto un ulteriore profilo, nonché con l’art. 97 Cost.
17.1. Il Giudice delle leggi, pur riconoscendo l’esistenza di diritti “propri” degli enti pubblici e conseguentemente la possibilità di forme peculiari di risarcimento del danno non patrimoniale nel caso in cui i suddetti diritti vengano violati, ha identificato il danno derivante dalla lesione del diritto all’immagine della P.A. nel pregiudizio recato alla rappresentazione che essa ha di sé in conformità al modello delineato dall’art. 97 Cost., individuando, pertanto, sostanzialmente in questa norma costituzionale il fondamento della rilevanza di tale diritto (sentenza n. 355 del 2010).
La Corte ha anche precisato che il riconoscimento dell’esistenza di diritti “propri” degli enti pubblici tra cui il diritto all’immagine “deve necessariamente tenere conto della peculiarità del soggetto tutelato e della conseguente diversità dell’oggetto di tutela, rappresentato dall’esigenza di assicurare il prestigio, la credibilità e il corretto funzionamento degli uffici della pubblica amministrazione (sentenza n. 172 del 2005), ritenendo in questa prospettiva, non manifestamente irragionevole “ipotizzare differenziazioni di tutele, che si possono attuare a livello legislativo, anche mediante forme di protezione dell’immagine dell’amministrazione pubblica a fronte di condotte dei dipendenti, specificamente tipizzate, meno pregnanti rispetto a quelle assicurate alla persona fisica.” (sentenza n. 355 del 2010).
Anche in ambiti connotati da un’ampia discrezionalità legislativa, lo scrutinio di ragionevolezza impone però “di verificare che il bilanciamento degli interessi costituzionalmente rilevanti non sia stato realizzato con modalità tali da determinare il sacrificio o la compressione di uno di essi in misura eccessiva e pertanto incompatibile con il dettato costituzionale. Tale giudizio deve svolgersi “attraverso ponderazioni relative alla proporzionalità dei mezzi prescelti dal legislatore nella sua insindacabile discrezionalità rispetto alle esigenze obiettive da soddisfare o alle finalità che intende perseguire” (Corte cost. sent. N. 1130 del 1988) ed ha lo scopo di “valutare se la norma oggetto di scrutinio, con la misura e le modalità di applicazione stabilite, sia necessaria e idonea al conseguimento di obiettivi legittimamente perseguiti, in quanto tra più misure appropriate, prescriva quella meno restrittiva dei diritti a confronto e stabilisca oNS non sproporzionati rispetto al perseguimento di detti obiettivi (sent. N. 1 del 2014).
Detto sindacato “di giustizia” o di “intrinseca irragionevolezza” della legge prescinde, come è noto, dal carattere ternario e dalla comparazione tra norme, per assumere la forma del controllo della adeguatezza della legge rispetto al caso regolato. Significativa è, al riguardo, la sentenza 185 del 2003, che ha giudicato “irragionevole” la compressione di un diritto (si trattava del diritto di proprietà) in nome di un valore costituzionalmente tutelato (la tutela dei beni culturali), in quanto la misura limitativa è stata ritenuta eccessiva ed esuberante rispetto alla finalità perseguita, che già poteva ritenersi soddisfatta da altre previsioni contenute nell’ordinamento.
17.2. Alla luce dei predetti canoni ermeneutici, il Collegio remittente, ritiene, non manifestamente infondata la questione di legittimità costituzionale dell’art. 17, comma 30 ter del D.L. 1 luglio 2009 n. 78, per contrasto con l’art.3 della Costituzione, sotto il profilo della “intrinseca irragionevolezza” della norma, e con l’art. 97, sotto il profilo della violazione del diritto all’immagine della P.A. che nella citata disposizione trova ancoraggio di rilievo costituzionale, per i seguenti ulteriori motivi.
17.3. La ratio della disposizione censurata individuata dalla Corte costituzionale nell’intento di “limitare ulteriormente l’area della gravità della colpa del dipendente incorso in responsabilità, proprio all’evidente scopo di consentire un esercizio dell’attività di amministrazione della cosa pubblica, oltre che più efficace ed efficiente, il più possibile scevro da appesantimenti, ritenuti dal legislatore eccessivamente onerosi, per chi è chiamato, appunto, a porla in essere.” (Corte cost. sent. N. 355 del 2010). La norma, infatti, intende“circoscrivere oggettivamente i casi in cui è possibile, sul piano sostanziale e processuale, chiedere il risarcimento del danno in presenza della lesione dell’immagine dell’amministrazione imputabile a un dipendente di questa”, “sulla base della considerazione secondo cui l’ampliamento dei casi di responsabilità di tali soggetti, se non ragionevolmente limitata in senso oggettivo, è suscettibile di determinare un rallentamento nell’efficacia e tempestività dell’azione amministrativa dei pubblici poteri, per effetto dello stato diffuso di preoccupazione che potrebbe ingenerare in coloro ai quali, in definitiva, è demandato l’esercizio dell’attività amministrativa.” (Corte cost. sent. N. 355 del 2010)
17.4. Essendo questi indubitabilmente gli obiettivi dell’intervento normativo oggetto della questione di legittimità, il profilo di censura che viene in rilievo con riferimento alla “ragionevolezza intrinseca” della disposizione, attiene alla idoneità, alla proporzionalità ed alla necessità del mezzo scelto per l’attuazione dell’intento legislativo, mezzo che al remittente appare non solo “sproporzionato ed eccessivo rispetto allo scopo”, ma anche non necessario e inidoneo al conseguimento degli obiettivi legittimamente perseguiti. Se la finalità perseguita è quella di “consentire un esercizio dell’attività di amministrazione della cosa pubblica, oltre che più efficace ed efficiente, il più possibile scevro da appesantimenti” al fine di valutare la ragionevolezza dell’intervento, non può non tenersi conto del fatto che il legislatore, allo scopo di limitare la responsabilità dei pubblici dipendenti, è già più volte intervenuto, con provvedimenti normativi riconosciuti legittimi dalla stessa Corte costituzionale (sentenza n. 371 del 1998; sentenza n. 453 del 1998), finalizzati a restringere la sfera di detta responsabilità, (legge 14 gennaio 1994 n. 20; D.L. 23 ottobre 1996 n. 543), limitando il risarcimento alle sole condotte dannose connotate da dolo o colpa grave e la trasmissibilità del debito agli eredi solo nel caso di illecito arricchimento del dante causa e di conseguente illecito arricchimento degli eredi stessi, prevedendo l’insindacabilità delle scelte discrezionali e l’obbligo di tenere conto dei vantaggi comunque conseguiti dall’amministrazione o dalla comunità amministrata, fissando la regola generale della parziarietà dell’obbligazione di risarcimento, limitando al quinquennio il termine prescrizionale (art. 1 commi 1 – 4 della L. 14 gennaio 1994 n. 20) e sancendo l’obbligo di rimborsare in ogni caso al dipendente prosciolto nel processo per danno erariale le spese legali sostenute(art.3, c. 2 bis del D.L. n. 543/1996, art. 18, c.1 del D.L. n. 67/1997 e art. 10 bis, c.10 del D.L. n. 203/2005). Risultando la finalità perseguita dal legislatore già abbondantemente soddisfatta da strumenti più consoni e sicuramente più efficaci, quali quelli appena indicati, la scelta di restringere ulteriormente i confini della responsabilità per i danni causati alla P.A. limitando il risarcimento dei danni all’immagine solo nelle ipotesi in cui gli stessi siano conseguenti ad uno dei reati contro la P.A., e restringendo, quindi, di converso, i confini della tutela del diritto dell’amministrazione all’onore e alla reputazione, appare misura eccessiva ed esuberante rispetto allo scopo e, pertanto, secondo il parametro costituzionale dell’art.3, intrinsecamente irrazionale.
17.5. La misura non appare, tra l’altro, neppure idonea al raggiungimento degli obiettivi che il legislatore si proponeva di raggiungere con la disciplina in esame. Pur tenendo conto che nella materia de qua il legislatore dispone di un ambito di discrezionalità abbastanza ampio è, infatti, pur sempre necessario che i mezzi scelti per il raggiungimento dei fini proposti abbiano i requisiti della razionalità e della idoneità allo scopo, requisiti parimenti oggetto di sindacato da parte del Giudice delle leggi.
Eliminare l’obbligo del pubblico dipendente di risarcire il danno all’immagine dell’amministrazione causato, come nel caso di specie, da agenti appartenenti alla Polizia di Stato condannati con sentenza passata in giudicato per avere, nell’esercizio delle loro funzioni di ordine pubblico, arrestato illegalmente persone che sapevano innocenti, accusandoli falsamente in atti ufficiali da loro stessi redatti della commissione di gravi delitti, non sembra misura idonea ad agevolare il raggiungimento dell’obiettivo del buon andamento dell’amministrazione o strumento in qualche modo funzionale all’attuazione dei principi di legalità, di imparzialità, di economicità e di trasparenza che costituiscono il modello fondante dell’azione amministrativa previsto dall’art. 97 Cost.
Appare, anzi, ragionevole ritenere che l’obiettivo di una amministrazione efficiente ed imparziale avrebbe maggiori probabilità di essere raggiunto ampliando, a scopo quanto meno dissuasivo, e non certamente restringendo, la sfera di responsabilità del pubblico dipendente che approfitta delle funzioni svolte per delinquere (e, in tal senso, del resto, sembra muoversi lo stesso legislatore, come si evince dalle scelte successive, all’emanazione della norma censurata, ampliative delle ipotesi di danno all’immagine della P.A, con approdo ultimo nell’art. 51 comma 7 del C.G.C. che legittima l’azione di risarcimento per qualunque delitto commesso a danno dell’amministrazione).
Ne consegue che l’eccessivo e sproporzionato sacrificio del diritto all’onore ed alla reputazione della P.A. imposto dalla disposizione normativa censurata, non trovando giustificazione nella necessità di un bilanciamento al fine di tutelare un altro diritto costituzionalmente protetto e potenzialmente con esso confliggente, solleva nel remittente dubbi di conformità alla Carta costituzionale.
Non è, pertanto, manifestamente infondato il dubbio che l’art. 17, comma 30-ter, del Decreto Legge 1 luglio 2009 n. 78, convertito con modificazioni nella Legge 3 agosto 2009 n. 102, e s.m. nella parte in cui prevede il trattamento differenziato dei danni all’immagine derivanti da reati diversi da quelli contro la P.A. sia in contrasto con gli artt. 3 e 97 della Costituzione, per “intrinseca irragionevolezza” sotto gli anzidetti profili.
18. Se a quanto esposto si aggiungono le disparità di trattamento, ingiustificate sul piano giuridico, che la norma censurata determina, in premessa indicate a titolo esemplificativo, non può non dubitarsi della legittimità costituzionale della disposizione censurata, per violazione del principio di uguaglianza sancito dall’art. 3 Cost. che impone parità di trattamento di situazioni analoghe e per violazione del canone di ragionevolezza intrinseca, desunto dallo stesso art. 3, che esige conformità dell’ordinamento a valori di giustizia e di equità dallo stesso tutelati ed a criteri di coerenza logica, teleologica e storico-cronologica, e che costituisce un presidio contro l’eventuale manifesta irrazionalità o iniquità delle conseguenze della norma (sentenze n. 46 del 1993 e n. 81 del 1992), principio che risulta violato nel momento in cui la tutela dell’immagine dell’amministrazione non viene accordata o negata a seconda della sussistenza o meno del danno di che trattasi, ma sulla base del fatto generatore dello stesso, la cui individuazione, peraltro, non appare governata da criteri di logica e razionalità, ma affidata all’arbitrium merum del legislatore.
19. Per le ragioni che precedono, in applicazione dell’art. 23 della legge costituzionale n. 87/1953, riservata ogni altra decisione sul merito all’esito del giudizio innanzi alla Corte Costituzionale, la Sezione ritiene rilevante e non manifestamente infondata la questione di legittimità costituzionale dell’art. 17, comma 30-ter, del Decreto Legge 1 luglio 2009 n. 78, convertito con modificazioni nella Legge 3 agosto 2009 n. 102, con riferimento agli artt. 3 e 97 Cost. e dispone la rimessione degli atti alla Corte Costituzionale per la relativa decisione.
P.Q.M.
Visti gli artt. 134 e segg. della Costituzione e 23 della legge 11 marzo 1953 n. 87, solleva in quanto rilevante per la decisione del ricorso e non manifestamente infondata la questione di legittimità costituzionale dell’art. 17, comma 30 ter, del Decreto Legge 1 luglio 2009 n. 78, convertito con modificazioni nella Legge 3 agosto 2009 n. 102, modificato dall’art. 1 c.1 lett. c) n.1 del D.L. 3 agosto 2009 n. 103, convertito dalla Legge 3 ottobre 2009 n. 141, per contrasto con gli artt. 3 e 97 Cost. nella parte in cui esclude l’esercizio dell’azione del P.M. contabile per il risarcimento del danno all’immagine conseguente a reati commessi da pubblici dipendenti, diversi da quelli contro la P.A. di cui al Capo I titolo II libro II del codice penale, conseguentemente disponendo la sospensione del presente giudizio e la trasmissione degli atti alla Corte Costituzionale.
Ordina
che la presente ordinanza di rimessione sia notificata, a cura della Segreteria della Sezione, a tutte le parti in causa ed al Presidente del Consiglio dei Ministri, nonché comunicata al Presidente del Senato della Repubblica ed al Presidente della Camera dei Deputati.
Così provveduto in Genova nella camera di consiglio del 21 marzo 2018.
L’estensore Il Presidente
Pietro Maltese Maria Riolo