CORTE COSTITUZIONALE, 20 luglio 2021, n. 156, Pres. Coraggio, Red. Antonini.
Sono incostituzionali l’art. 5, l. reg. Siciliana 19 luglio 2019, n. 13, e l’art. 2 della l. reg. Siciliana 14 ottobre 2020, n. 23, che autorizzano il ragioniere generale della Regione a effettuare operazioni finanziarie per l’attualizzazione dell’importo massimo di 250 milioni di euro, attribuito alla Regione Siciliana da una disposizione della legge di bilancio 2019 e da trasferire ai liberi Consorzi comunali ed alle Città metropolitane. Essi determinano nuovi oneri necessariamente connessi all’anticipazione temporale della disponibilità delle predette somme, senza indicarne un’esplicita copertura, ma ponendoli a carico dell’importo riconosciuto dallo Stato; è così violato l’art. 81, terzo comma, Cost. per la mancanza di un legittimo fondamento giuridico della copertura, atteso il contrasto tra l’impiego per il pagamento di spese correnti e il vincolo di destinazione impresso dalla norma statale per investimenti degli enti territoriali beneficiari. (1)
È incostituzionale l’art. 6, l. reg. Siciliana 19 luglio 2019, che consente di destinare a spese correnti (quali sono le rate del mutuo a suo tempo contratto per estinguere i debiti sanitari anteriori al 2006) i proventi della dismissione e della valorizzazione del patrimonio disponibile delle aziende sanitarie. Tale previsione viola l’art. 117, terzo comma, Cost. ponendosi in contrasto con il principio fondamentale di coordinamento della finanza pubblica espresso dall’art. 29, comma 1, lett. c), del d.lgs. n. 118 del 2011, in forza del quale la dismissione dei beni immobili degli enti sanitari genera disponibilità che non costituiscono proventi di gestione e che devono essere mantenute nel patrimonio netto. (2)
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(1) I. – La massima si riferisce a due giudizi promossi dal Presidente del Consiglio dei ministri, riuniti per la loro connessione. Con la seconda norma impugnata, infatti, il legislatore siciliano ha operato un innesto nel tessuto normativo del previgente art. 5 della l. reg. Siciliana 19 luglio 2019, n. 13 “rinnovando” al 15 dicembre 2020 il termine ivi previsto (inizialmente fissato al 31 dicembre 2019) per effettuare le operazioni finanziarie di attualizzazione dell’importo del contributo attribuito alla Regione dallo Stato.
La questione trova origine nella norma statale (art. 1, comma 883, della legge 30 dicembre 2018, n. 145) che, in applicazione di uno specifico punto di un accordo finanziario tra il Ministro dell’economia e delle finanze ed il Presidente della Regione siciliana, ha «attribuito alla regione l’importo complessivo di euro 540 milioni da destinare ai liberi consorzi e alle città metropolitane per le spese di manutenzione straordinaria di strade e scuole, da erogare in quote di euro 20 milioni per ciascuno degli anni 2019 e 2020 e di euro 100 milioni per ciascuno degli anni dal 2021 al 2025».
L’art. 5 impugnato, al comma 1, autorizza il ragioniere generale «ad effettuare operazioni finanziarie per l’attualizzazione dell’importo massimo di 250 milioni di euro attribuito alla Regione siciliana» dalla richiamata disposizione statale «entro il 31 dicembre 2019, da trasferire ai liberi Consorzi comunali ed alle Città metropolitane, per le finalità definite dalla medesima legge, entro il 30 settembre 2019». Stabilisce altresì che «[i] liberi Consorzi comunali e le Città metropolitane possono utilizzare fino al 20 per cento delle somme ad essi attribuite per il pagamento di rate di mutui accesi, per opere di manutenzione di strade e scuole». Quantifica, infine, al successivo comma 2, gli oneri derivanti dalle disposizioni del comma 1 «in 50 milioni di euro per ciascuno degli esercizi finanziari dal 2021 al 2025, di cui euro 45.812.754,53 quale rimborso della quota capitale, ed euro 4.187.245,47 per il pagamento della quota interessi nell’esercizio finanziario 2021».
Il ricorrente lamentava essenzialmente il contrasto della previsione regionale «con lo spirito della norma statale» – la quale, invece, sarebbe rivolta a favorire nuovi investimenti – al quale si aggiungeva il profilo dell’«impatto negativo sul debito e sull’indebitamento netto». Di qui la ravvisata violazione dell’art. 81, terzo comma, Cost.
II. – La Corte, dopo avere disatteso la richiesta della Regione di dichiarare la cessazione della materia del contendere sulla prima questione, rilevando che la modifica sopravvenuta non è satisfattiva, ha osservato nel merito che l’obiettivo della disposizione impugnata è di far conseguire alla Regione, «già nell’anno 2019, l’anticipata disponibilità di risorse attribuite dall’art. 1, comma 883, della legge n. 145 del 2018 secondo una precisa e diversa scansione temporale di erogazione, ovvero “in quote di euro 20 milioni per ciascuno degli anni 2019 e 2020 e di euro 100 milioni per ciascuno degli anni dal 2021 al 2025”».
Se questo è lo scopo dell’autorizzazione al ragioniere generale a effettuare operazioni finanziarie per l’attualizzazione di un determinato importo, la norma regionale, però, non esplicita una espressa copertura finanziaria degli oneri che, necessariamente, vanno riconosciuti all’operatore finanziario che anticipa la disponibilità di una somma.
Il comma 2 dell’impugnato art. 5, infatti, si limita a quantificare, per il primo esercizio della prevista restituzione, sia una quota per il rimborso del capitale sia una quota a titolo di interessi. L’incertezza sulla copertura di questa seconda voce (già di per sé significativa) è tuttavia superata dalla dichiarazione dello stesso ragioniere generale durante l’esame del disegno di legge regionale, la quale ha chiarito che gli oneri dell’operazione finanziaria autorizzata «sono a carico dei liberi Consorzi, ed in particolare sulle somme riconosciute dallo Stato».
Rilevando che la norma statale attribuisce alla Regione il contributo, ma affinché sia destinato ai suoi enti territoriali per investimenti da questi eseguiti, la Corte ha pertanto concluso che «in assenza di una diversa copertura fornita dalla legge regionale agli oneri finanziari necessari a ottenere in via anticipata l’importo di 250 milioni di euro, per un verso, gli enti beneficiari si vedrebbero attribuire un importo nominale inferiore rispetto a quello assicurato dalla norma statale; per altro verso, e più significativo, la differenza mancante verrebbe impiegata non per investimenti ma per spese correnti».
Il contrasto con l’art. 81, terzo comma, Cost. è dunque integrato dalla modifica unilaterale «della destinazione soggettiva e, soprattutto, qualitativa delle risorse attribuite dallo Stato».
Nello scrutinio della questione avente a oggetto l’art. 2 della l. reg. Siciliana 14 ottobre 2020, n. 23, la Corte ha poi recepito anche lo specifico profilo – esplicitato dal ricorrente nella seconda impugnativa –del contrasto con il principio per cui «resta esclusa la copertura di nuovi o maggiori oneri di parte corrente attraverso l’utilizzo dei proventi derivanti da entrate in conto capitale», stabilito dall’art. 17, comma 1, lettera c), della legge n. 196 del 2009, che è attuativo dell’art. 81, terzo comma, Cost. e che risulta applicabile anche alle Regioni in forza del successivo art. 19.
III. – L’impugnativa avverso la l. reg. Siciliana n. 13 del 2019 si segnala anche perché per la prima volta in un giudizio in via principale è stata utilizzata la posta elettronica certificata per la notifica dell’atto introduttivo. Ciò ha determinato la Regione resistente a costituirsi al solo fine di eccepire la inammissibilità del ricorso, per inesistenza della notifica e conseguente decadenza dal termine per l’impugnativa.
La Corte, con l’ordinanza n. 243 del 2020 (e con quella gemella n. 242, pronunciata nel separato giudizio avente a oggetto altre disposizioni impugnate con il medesimo ricorso), ha valutato, rigettandola, la sola eccezione di inammissibilità del ricorso formulata dalla Regione Siciliana, affermando che la notifica dei ricorsi introduttivi dei giudizi di legittimità costituzionale in via principale può essere validamente effettuata mediante PEC. Con la medesima ordinanza, la causa è stata rinviata a nuovo ruolo al fine di consentire alle parti di depositare eventuali memorie illustrative e di discutere il merito del ricorso in una successiva udienza pubblica, poi fissata per l’8 giugno 2021.
(2) I. – Con riguardo alla seconda massima, è opportuno precisare che la norma regionale impugnata ha il dichiarato fine (espresso al comma 1) «di ridurre l’impatto finanziario sul sistema sanitario regionale delle disposizioni di cui all’articolo 6 della legge regionale 17 marzo 2016, n. 3, che ha posto a carico del Fondo sanitario gli oneri del mutuo sottoscritto ai sensi dell’articolo 2, comma 46, della legge 24 dicembre 2007, n. 244 tra il Ministero dell’Economia e la Regione siciliana» e destinato a estinguere i debiti del settore sanitario regionale anteriori al 2006.
La norma regionale del 2016 (a suo tempo non impugnata dal Governo) aveva infatti autorizzato, a decorrere da quell’esercizio finanziario, l’utilizzo di una quota del Fondo sanitario regionale per il finanziamento delle quote residue di capitale e interessi del suddetto prestito. Ciò aveva determinato criticità evidenti con i contenuti del piano di rientro dal disavanzo sanitario sottoscritto nel 2007, puntualmente segnalate dai Tavoli tecnici di verifica degli adempimenti regionali; questi, al fine di non compromettere la corretta erogazione dei LEA, avevano chiesto l’abrogazione del citato art. 6 della l. reg. Siciliana n. 3 del 2016, e comunque ne avevano sollecitato la “sterilizzazione”, in effetti avvenuta nel periodo 2016-2018 mediante il conferimento ex ante di una provvista finanziaria corrente di pari importo a valere sulla leva fiscale regionale.
Questi aspetti, che precedono l’adozione della norma scrutinata dalla Consulta, sono descritti e analizzati anche dalle sezioni riunite per la Regione Siciliana della Corte dei conti nella relazione sul rendiconto regionale 2018 (deliberazione n. 6/2019/SS.RR./PARI, pag. 370 e ss. attivare il link?).
Ciò premesso, il ricorso dello Stato, pur segnalando che lo scopo della norma è di ridurre il suddetto onere del mutuo posto a carico del risultato di gestione del settore sanitario, rileva che la modalità individuata contrasterebbe con l’art. 29, comma 1, lett. c), del d.lgs. n. 118 del 2011 che detterebbe modalità di contabilizzazione preclusive della possibilità di portare a copertura di disavanzi di gestione i proventi delle vendite del patrimonio immobiliare delle aziende del SSR.
La prospettazione del ricorrente è accolta dalla Corte, la quale sottolinea che le modalità di rappresentazione contabile dettate dalla lettera c) del richiamato art. 29 per i contributi in conto capitale riconosciuti dalla Regione o dallo Stato, sono dalla stessa norma estese anche «a lasciti e donazioni vincolati all’acquisto di immobilizzazioni, nonché a conferimenti, lasciti e donazioni di immobilizzazioni da parte dello Stato, della regione, di altri soggetti pubblici o privati».
In sostanza, in forza del citato art. 29 «la dismissione dei beni immobili degli enti sanitari genera disponibilità che non costituiscono proventi di gestione e che devono essere mantenute nel patrimonio netto».
Questa affermazione trova un importante antecedente nella ricostruzione che la stessa Corte ha dato allo stesso art. 29, comma 1, lett. c), nella recente sentenza n. 157 del 2020 (link al commento?), della quale quella annotata richiama l’affermazione che la disciplina in questione è volta a «riservare – per preservare gli equilibri di parte corrente – l’utilizzazione del fondo sanitario alle spese per i LEA e per gli altri servizi sanitari, ove risulti ulteriore disponibilità, e, al contrario, [ad] attribuire alla programmazione nazionale e regionale la determinazione e l’impiego dei finanziamenti a fondo perduto per investimenti e acquisizioni di beni durevoli» (sentenza n. 157 del 2020).
Infatti, i contributi in conto capitale «sono iscritti in un’apposita voce di patrimonio netto, con contestuale rilevazione di un credito verso regione. Laddove i predetti contributi siano impiegati per l’acquisizione di cespiti ammortizzabili, essi vengono successivamente stornati a proventi con un criterio sistematico, commisurato all’ammortamento dei cespiti cui si riferiscono, producendo la sterilizzazione dell’ammortamento stesso». In coerenza con tale modalità di contabilizzazione, anche le permutazioni di beni durevoli devono seguire la stessa disciplina, fino al completo ammortamento.
La specialità, rispetto ai principi civilistici, della normativa dettata per gli enti del Servizio sanitario nazionale si spiega per il loro carattere di erogatori di servizi pubblici e, perciò, «nella diversa finalità del servizio pubblico rispetto a quella dell’attività commerciale» (sentenza n. 157 del 2020). A differenza di quest’ultima, per la quale le tecniche di redazione dei bilanci riflettono lo scopo di lucro e la scelta del regime fiscale più appropriato per gli imprenditori, la finalità prevalente del SSN «è quella di assicurare le prestazioni indefettibili e le ulteriori prestazioni (nei limiti della sostenibilità) alle migliori condizioni qualitative e quantitative» (sent. cit.).
Se nel richiamato precedente la norma di cui all’art. 29, comma 1, lett. c), del d.lgs. n. 118 del 2011 era l’oggetto della questione di legittimità sottoposta alla Corte, nell’odierno giudizio la stessa norma è qualificata come principio di coordinamento, espressione dell’esigenza di mantenere i proventi dell’alienazione di un bene durevole «nel circuito del finanziamento degli investimenti sanitari».
In questo senso, la sentenza in esame ha rilevato che il legislatore statale ha utilizzato chiare espressioni derogatorie quando, in specifiche circostanze legate all’avvio dell’armonizzazione dei bilanci introdotta dal d.lgs. n. 118 del 2011, ha consentito di destinare all’ordinario equilibrio di gestione i suddetti priventi.
Infine, va segnalato che laddove i legislatori regionali hanno disciplinato questa materia, il suddetto principio è stato sostanzialmente recepito (si vedano, ad esempio, l’art. 1, comma 1, lettera q), della legge reg. Campania n. 23 del 2012; l’art. 4, comma 3, della legge reg. Lombardia n. 22 del 2016; l’art. 39, comma 4, della legge reg. Veneto n. 30 del 2016 e l’art. 85 della legge reg. Umbria n. 11 del 2015).