BREVE RASSEGNA DI CONTABILITA’ PUBBLICA NELLA GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE DEL 2021

a cura di Alessandro Fricano

Dottorando in diritto costituzionale presso Università degli Studi del Molise, docente a contratto LUMSA

Pubblichiamo le massime di alcune delle principali sentenze emanate dalla Corte costituzionale in materia di bilancio e connessa accountability nel 2021. Questa rassegna è la prima e proseguirà con le altre altre sentenze emanate in materia sanitaria e negli altri ambiti della contabilità pubblica nel corso del 2021

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Sentenza n. 11 del 2021: il conseguimento di un accordo di finanza pubblica medio tempore tra Stato e Regione non determina di per sé cessazione della materia del contendere né costituisce causa d’inammissibilità o d’improcedibilità dell’impugnativa. Tale principio rappresenta una costante nella giurisprudenza costituzionale (ex multis: sentenze n. 31 del 2016, n. 28 del 2016, n. 273 del 2015 e n. 239 del 2015).

Nella medesima pronuncia la Corte ha dichiarato non fondata la questione di legittimità costituzionale dell’art. 8, comma 31, della legge reg. Sardegna n. 48 del 2018, che predisponeva «risorse volte a integrare il trattamento accessorio del personale non dirigente del servizio sanitario regionale, quale incentivo per lo smaltimento delle liste d’attesa. La disposizione impugnata incide sulla spesa sanitaria della Regione autonoma Sardegna, al cui finanziamento lo Stato non concorre e, pertanto, neppure ha titolo per dettare norme di coordinamento finanziario». 

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Sentenza n. 34 del 2021: la Corte costituzionale ha dichiarato costituzionalmente illegittimo il primo periodo del quinto comma dell’art. 243-bis del Testo unico degli enti locali, per violazione degli artt. 1, 3, 81, 97 e 119 della Costituzione. La disposizione censurata dalla Corte dei conti prevedeva che, ove non vi avesse provveduto la precedente amministrazione, quella in carica avrebbe potuto deliberare il piano di riequilibrio finanziario pluriennale, presentando la relativa delibera nei sessanta giorni successivi alla sottoscrizione della relazione di cui all’art. 4-bis, comma 2, del d.lgs. n. 149 del 2011. La norma in esame è risultata dunque «in contrasto con i principi dell’equilibrio di bilancio e della sana gestione finanziaria dell’ente e con il principio della responsabilità di mandato elettorale nella parte in cui commina l’avvio al dissesto per l’amministrazione subentrata alla guida dell’ente, in assenza di un piano e senza la possibilità di predisporlo entro un congruo termine, in tal modo confinando la posizione dei subentranti in una condizione di responsabilità politica oggettiva, con pregiudizio dell’art. 1 Cost» (massima n. 43586).

Grazie al principio di continuità della gestione finanziaria è possibile desumere un collegamento tra la redazione del piano di riequilibrio finanziario pluriennale e la condizione giuridico-economica dell’ente al momento dell’assunzione del mandato «realizzando la doverosa tensione verso un equilibrio strutturale che si conservi nel tempo, in ossequio al principio dell’equilibrio tendenziale». Va altresì rilevato come la norma censurata si sia posta in contrasto rispettivamente con i principi di eguaglianza e ragionevolezza. Si sarebbe in concreto manifestata una disparità di trattamento «tra gli amministratori subentranti nelle more istruttorie del piano di rientro, per i quali è prevista la possibilità di rimodulare il piano stesso entro 60 giorni dalla sottoscrizione della relazione di inizio mandato e quelli, analogamente subentranti, che si trovano ad operare in assenza di tale piano senza la facoltà di deliberare il piano di riequilibrio finanziario pluriennale entro il medesimo termine di sessanta giorni dalla data di sottoscrizione della relazione di inizio mandato». Il controllo di legalità sui piani di riequilibrio degli enti locali effettuato dalla Corte dei conti si compie attraverso pronunce la cui cadenza temporale è allineata con i connessi controlli sui bilanci preventivo e successivo (ex art. 148-bis t.u. enti locali); nell’ambito di tali ulteriori controlli devono essere riscontrati comportamenti esecutivi coerenti con il piano di risanamento

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Sentenza n. 80 del 2021: la Corte costituzionale ha dichiarato costituzionalmente illegittimo l’art. 39-ter, commi 2 e 3, del d.l. n. 162 del 2019, convertito con modifiche nella legge n. 8 del 2020, che consentiva di utilizzare in entrata l’accantonamento obbligatorio al Fondo anticipazioni di liquidità (FAL). Il FAL è una posta contabile accesa a consuntivo per consentire l’invarianza del risultato di amministrazione a fronte dell’indebitamento percepito negli esercizi precedenti, a titolo di “anticipazione”. In questo modo si “neutralizza” la capacità del risultato di amministrazione di costituire copertura negli esercizi successivi per effetto di un indebitamento che finanzia spesa indifferenziata (art. 1196), confluita nel saldo di fine esercizio (sent. n. 181/2015). L’ammontare del FAL è pari alle quote non ancora rimborsate nel corso dell’esercizio 2019. La posta, infatti, consente di lasciare invariato il valore del risultato di amministrazione, nonostante la percezione di un prestito dallo Stato ed il pagamento dei debiti sottostanti, senza che l’ente, al termine dell’operazione, si ritrovi la disponibilità di nuove o maggiori coperture (l’espansione della capacità di spesa) nei bilanci preventivi che seguono. La norma in questione violava gli artt. 811, 971, e 1196 della Costituzione perché “contro neutralizza” a preventivo la funzione del FAL, trasformandolo in autonoma fonte di copertura. Nello specifico, il comma 3 dell’art. 39-ter si pone in contrasto con il principio di solidarietà verso le generazioni future, in quanto consente di ricorrere ad indebitamento per finanziarie spesa corrente (il disavanzo) e riespandere la la capacità di spesa.

Inoltre, il combinato disposto delle norme indubbiate dalla Corte dei conti, sezione regionale di controllo per la Puglia, consentiva di pagare gli oneri di restituzione della quota annuale con l’anticipazione di liquidità, realizza un meccanismo di pagamento del debito con il debito stesso, generando solo un’apparente ottimizzazione dell’andamento amministrativo. Gli effetti di tale meccanismo contabile consistevano, da un lato, nell’esonerare l’ente locale dalle operazioni di rientro dal deficit e, dall’altro, nel liberare ulteriori spazi di spesa (in astratto destinati ad un indebito ampliamento della stessa). Come affermato nella massima n. 43795: «Il riassorbimento dei disavanzi in archi temporali lunghi e differenziati, ben oltre il ciclo di bilancio ordinario, vìola altresì i principi di responsabilità del mandato elettivo e di equità intergenerazionale, poiché da un lato consente di differire l’accertamento dei risultati, ivi compresa l’indicazione di idonee coperture, oltre la data di cessazione del mandato stesso, e dall’altro comporta il trasferimento dell’onere del debito e del disavanzo dalla generazione che ha goduto dei vantaggi della spesa corrente a quelle successive».

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 Sentenza n. 107 del 2021: la Corte costituzionale ha dichiarato costituzionalmente illegittimi, per violazione del primo comma dell’art. 73 dello statuto speciale del Trentino-Alto Adige, i commi 14-quater, 14-quinquies, 14-sexies e 14-septies dell’art. 39 del d.l. n. 162 del 2019, successivamente convertito nella legge n. 8 del 2020. La norma statale è stata dichiarata incostituzionale nella parte in cui si applica alla Provincia autonoma di Trento. Si rammenta che la disposizione riserva all’erario- per gli anni 2020-2022 – il maggior gettito derivante dall’aumento della tassa automobilistica sul possesso di autoveicoli, attribuendo l’intero gettito alle Regioni e alle Province autonome per gli anni 2023-2033, con vincolo di destinazione. Come si evince dalla massima n. 43924 le norme impugnate «violano la competenza statutaria della Provincia autonoma in materia di tributi propri, poiché la tassa automobilistica si connota come tributo proprio “in senso stretto”, con la conseguenza che lo Stato non ha competenza a dettare alcuna disposizione che lo disciplini, nemmeno in senso apparentemente favorevole alla Provincia, né può intervenire sul relativo gettito e sulla sua regolazione, né può apporre alcun vincolo di destinazione sul relativo gettito, essendo tale tassa riservata interamente alla competenza e alla disponibilità esclusiva della Provincia autonoma. I medesimi vizi affliggono la disciplina che riguarda la tassa automobilistica provinciale sul possesso di motocicli». 

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Sentenza n. 145 del 2021: la Consulta ha dichiarato non fondata la questione di legittimità costituzionale, promossa dal Governo, in relazione all’art. 928 del d.l. n. 78 del 2010, come conv., dell’art. 48, comma 1, della legge reg. Toscana n. 51 del 2020, nella parte in cui abrogava il terzo ed il quarto comma dell’art. 1 della legge reg. Toscana n. 65 del 2010. L’articolo di legge viene evocato come parametro interposto nell’ambito della competenza concorrente di coordinamento della finanza publica. Segnatamente, il ventottesimo comma art. 9 del d.l. n. 78 del 2010 pone un vincolo di spesa per le amministrazioni statali divenendo altresì un principio fondamentale per le Regioni nel rispetto dell’autonomia degli enti territoriali. Nello specifico, la legge regionale ha abrogato il terzo comma di una precedente legge regionale, che pur recependo il limite di spesa indicato dall’art. 928 del d.l. n. 78 del 2010, non ne dava precipua attuazione. La Corte dà una interpretazione del parametro interposto da cui fa discendere che l’abrogazione non comporta in alcun modo una violazione del principio di contenimento , poiché resta immutata la vincolatività del limite di spesa anche in assenza di una specifica norma regionale di attuazione. Neppure l’abrogazione del quarto comma ha comportato la violazione – lamentata dal ricorrente ­– dei principi di coordinamento della finanza pubblica. Come ricordato dalla massima n. 44014: «Le norme statali sul concorso degli enti territoriali al raggiungimento degli obiettivi di contenimento della spesa possiedono la natura di principi di coordinamento della finanza pubblica, sull’assunto che non è contestabile il potere del legislatore statale di imporre agli enti autonomi vincoli alle politiche di bilancio, anche se questi si traducono, inevitabilmente, in limitazioni indirette all’autonomia di spesa degli enti. […] Lo Stato può agire direttamente sulla spesa delle proprie amministrazioni con norme puntuali e, al contempo, dichiarare che le stesse norme sono efficaci nei confronti delle Regioni, a condizione di permettere l’estrapolazione, dalle singole disposizioni statali, di principi rispettosi di uno spazio aperto all’esercizio dell’autonomia regionale».

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Sentenza n. 167 del 2021: la Consulta ha dichiarato infondata la questione di legittimità costituzionale sollevata dal Governo relativa al primo periodo della legge regionale del Friuli-Venezia Giulia n. 9 del 2020. La norma regionale ha consentito ai Comuni di fronteggiare l’emergenza pandemica nell’anno 2020 attraverso l’autorizzazione dell’uso dell’avanzo disponibile a copertura del decremento di entrata determinata da riduzioni ed esenzioni della tassa sui rifiuti (TARI), della tassa per l’occupazione di spazi e aree pubbliche (TOSAP) o del canone per l’occupazione di spazi e aree pubbliche (COSAP). La norma impugnata – come emerge dalla massima n. 44175 – è quindi «inquadrabile nella materia dell’armonizzazione dei bilanci pubblici, prevede una soluzione alternativa all’erogazione diretta di contributi a fondo perduto, sostanzialmente equivalente ad una contribuzione indiretta e non permanente a favore dei soggetti beneficiati. In questo modo, essa è riconducibile alla medesima ratio espressa dal legislatore statale in tema di impiego dell’avanzo disponibile per finanziare la spesa corrente e lo scostamento rispetto alla disciplina nazionale è solo formale».

Non vi sarebbe dunque alcun contrasto con il secondo comma dell’art. 109 del d.l. n. 18 del 2020 che disciplina l’impiego dell’avanzo disponibile per finanziare le spese correnti connesse all’emergenza da COVID-19 né tantomeno con la disciplina di armonizzazione dei bilanci pubblici. Secondo la giurisprudenza costituzionale «l’avanzo “libero” di amministrazione non può essere inteso come una sorta di utile di esercizio, il cui impiego sarebbe nell’assoluta discrezionalità dell’amministrazione, bensì è soggetto a un impiego tipizzato». 

Nella stessa pronuncia viene dichiarata inammissibile, la questione di legittimità costituzionale promossa dal Governo della legge regionale del Friuli-Venezia Giulia n. 9 del 2020. Tale norma, adottata nell’ambito della risoluzione dell’emergenza pandemica, ha attribuito ai Comuni il potere di deliberare per l’anno 2020 la riduzione del gettito TARI, TOSAP o COSAP impiegando l’avanzo disponibile, anche dopo l’approvazione del bilancio di previsione per l’esercizio 2020.  La questione, infatti, è stata sollevata evocando lo statuto dei diritti del contribuente (primo comma dell’art. 3 dalla legge n. 212 del 2000), il quale è tuttavia privo di rango costituzionale e non può operare, in materia, come parametro interposto. 

Vengono altresì dichiarate infondate le questioni di legittimità costituzionale promosse dal Governo del secondo periodo del primo comma dell’art. 3 della legge regionale del Friuli-Venezia Giulia n. 9 del 2020. Come le norme precedentemente richiamate anche questa si colloca nell’ambito dell’emergenza COVID-19, attribuendo ai Comuni il potere di deliberare per l’anno 2020 la riduzione del gettito TARI, TOSAP o COSAP dopo l’approvazione del bilancio di previsione per l’esercizio 2020 anche impiegando l’avanzo disponibile. I parametri costituzionali ritenuti violati sarebbero gli artt. 23 e 117, secondo comma, lett. e) della Costituzione. La norma impugnata non può dirsi in contrasto con le norme interposte evocate (segnatamente il comma 169 dell’art. 1 della legge n. 296 del 2006 e il comma 16 dell’art. 53 della legge n. 388 del 2000) che nella data fissata per la deliberazione del bilancio determinano il termine finale per incidere sulle entrate locali riferendosi all’ipotesi in cui tale approvazione sia già intervenuta. La Corte perimetrale la differenza tra la riserva di cui all’art. 23 Cost e quella all’art. 81 comma 6 Cost (connessa alla sola legge statale, ex art. 117, comm2, lett. e) Cost). «La riserva relativa di legge in materia di prestazioni patrimoniali imposte è soddisfatta tanto dalla legge statale quanto da quella regionale. Secondo la giurisprudenza costituzionale, la competenza in materia di armonizzazione dei bilanci pubblici è finalizzata a realizzare l’omogeneità dei sistemi contabili per rendere i bilanci delle amministrazioni aggregabili e confrontabili, in modo da soddisfare le esigenze informative connesse a vari obiettivi quali la programmazione economico-finanziaria, e ad essa va ricondotta la scansione temporale degli adempimenti del ciclo di bilancio, dettati dalla normativa statale, che si impone anche alle Regioni a statuto speciale, in quanto parti della “finanza pubblica allargata”» (massima n. 44177).

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Sentenza n. 215 del 2021: la Consulta ha ribadito la legittimazione della Corte dei conti, in sede di giudizio di parificazione del bilancio, a sollevare questione di legittimità costituzionale avverso le disposizioni di legge che determinano nella gestione del bilancio effetti non contemplati dai principi di equilibrio economico e dagli altri precetti costituzionali posti a tutela della sana gestione finanziaria. Nella parifica del rendiconto regionale si ravvisano infatti tutti gli elementi idonei ad ammettere la possibilità di sollevare questione di legittimità costituzionale in via incidentale, come avviane in analoghe situazioni per qualsiasi giudice ordinario o speciale. La legittimazione è riconosciuta alla Corte dei conti anche su norme diverse da quelle strettamente contabili (art. 39 T.U. 1214/1934) e per parametri diversi dagli artt. 81 e 97 della Costituzione (in particolare quelli competenziali ex art. 117) quando il mancato rispetto dei delle competenze legislative “ridonda” in un incremento delle poste passive del bilancio, altrimenti consentito (nel caso, costo del personale) . Del resto «la competenza dello Stato a fissare i principi fondamentali in materia di coordinamento della finanza pubblica, di cui all’art. 117, terzo comma, Cost., rappresenta uno strumento necessario per assicurare l’unità economica e finanziaria della Repubblica, nonché il rispetto degli impegni assunti anche a livello sovranazionale, a tutela della sostenibilità attuale e prospettica degli equilibri di bilancio. Nei bilanci pubblici le espressioni numeriche devono essere corredate da una stima attendibile, assicurata dalla coerenza con i presupposti economici e giuridici della loro quantificazione, poiché, diversamente opinando, sarebbe sufficiente inserire qualsiasi numero [nel bilancio] per realizzare nuove e maggiori spese» (massima n. 44283). La Corte costituzionale ha quindi dichiarato costituzionalmente illegittimo il quinto comma l’art. 40 della legge della Regione Abruzzo n. 40 del 2010, come sostituito dal primo comma dell’art. 32 della legge della Regione Abruzzo n. 42 del 2013, derogando il limite di spesa per effetto della novella normativa. La disposizione indubbiata dalla Corte dei conti, Sez. reg. di controllo per l’Abruzzo  consentiva infatti un’indebita espansione della spesa in violazione dei parametri costituzionali evocati e dei vincoli finanziari collocati a presidio dell’equilibrio di bilancio. Nel fare salvo il criterio strettamente fiduciario che regola l’individuazione del personale a tempo determinato degli uffici di diretta collaborazione degli organi politici in deroga al principio del pubblico concorso, la Corte afferma che non è possibile violare i principi fondamentali dettati dal legislatore statale in materia di coordinamento della finanza pubblica. 

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Sentenza n. 235 del 2021: la Consulta ha dichiarato inammissibili per difetto di motivazione sulla rilevanza le questioni di legittimità costituzionale sollevate dalla Corte dei conti, sez. regionale di controllo per l’Abruzzo, sulla legge statale che ha previsto un cospicuo allungamento dei tempi di rientro dal disavanzo, invocando come parametri costituzionali gli artt. 1, 2, 3, 41, 81, 97 e 117 Cost.

Viene però dichiarata costituzionalmente illegittima, per violazione degli artt. 81 e 97 Cost., la lettera a del primo comma dell’art. 8 della legge reg. Abruzzo n. 7 del 2018 e le lettere c del primo comma dell’art. 8 della legge reg. Abruzzo n. 2 del 2019, per violazione del principio di effettività della copertura e, quindi, dell’equità intergenerazionale.

Rispetto al primo precetto, la Corte afferma : «Il cosiddetto disavanzo tecnico è un vero e proprio disavanzo e senza un’appropriata copertura mina l’equilibrio del bilancio, sia in prospettiva annuale che pluriennale; pertanto, il suo ripianamento “fittizio” viola l’obbligo di provvedere alla copertura della spesa previsto dall’art. 81, terzo comma, Cost., poiché non si possono costruire e rendicontare programmi basandosi su risorse meramente figurative, le quali non assicurano la copertura delle spese iscritte in bilancio e – proprio in virtù della loro dubbia esigibilità – amplificano il rischio di ulteriori squilibri strutturali del bilancio stesso nel prosieguo della gestione». Credibilità, sostenibilità e progressività del rientro dal deficit sono dunque funzionali alla realizzazione di una sana gestione finanziaria. 

Rispetto al principio della equità intergenerazionale, la Corte precisa che, in materia finanziaria, esso «comporta la necessità di non gravare in modo sproporzionato sulle opportunità di crescita delle generazioni future, garantendo loro risorse sufficienti per un equilibrato sviluppo. Di fronte alle difficoltà di risanare strutturalmente l’ente in disavanzo, il recupero del deficit non può essere procrastinato in modo irragionevole, dovendosi necessariamente porre una cesura con il passato così da consentire ai nuovi amministratori di svolgere il loro mandato senza gravose “eredità”».

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Sentenza n. 247 del 2021: in continuità con la recente sentenza n. 215/2021 (cfr. supra), la Corte costituzionale ha dichiarato costituzionalmente illegittimo, per violazione del primo comma degli artt. 81, 97 e del terzo comma dell’art. 117 Cost., il secondo comma dell’art. 5 della legge reg. Basilicata n. 39 del 2017. La parte censurata riguardava la previsione di una quota aggiuntiva di spesa connessa alla mobilità in entrata del personale a tempo indeterminato del soppresso ruolo speciale ad esaurimento. La disposizione (indubbiata dalla Corte dei conti, sez. controllo Basilicata, in sede di giudizio di parifica) presuppone l’assorbimento del personale delle soppresse Comunità montane nel comparto regionale provocando «una duplice espansione della spesa, sia in termini di aggravio di oneri, sia in termini di erosione di risorse, in entrambi i casi, in assenza di legittima copertura». La pronuncia sottolinea come la competenza dello Stato nel determinare i principi fondamentali in materia di coordinamento della finanza pubblica (prevista dal terzo comma dell’articolo 117 Cost.) costituisca un mezzo funzionale a garantire «l’unità economica e finanziaria della Repubblica, nonché il rispetto degli impegni assunti anche a livello sovranazionale, a tutela della sostenibilità attuale e prospettica degli equilibri di bilancio».

In quest’ambito, i limiti di spesa per il personale sono strategici per il raggiungimento degli equilibri sostanziali di bilancio pubblico consolidato e pertanto inderogabili salvo rimodulazioni a livello nazionale. I vincoli di spesa, che costituiscono i limiti stessi all’assunzione di personale degli enti territoriali, sono disciplinati all’art. 1, commi 557, 557-bis e 557-quater della legge n. 296 del 2006. Tali norme «ispirate alla finalità del contenimento della spesa pubblica, si qualificano come principi generali di coordinamento della finanza pubblica che tutti gli enti devono osservare, in quanto diretti ad assicurare il rispetto dei limiti di spesa mediante la previsione di sanzioni nel caso di inosservanza delle prescrizioni di contenimento» (massima n. 44379).

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