Armonizzazione.

Tra rivisitazione ordinamentale e indirizzi costituzionali.

1. L’ARMONIZZAZIONE: il quadro della situazione a circa tre anni dall’introduzione.

1.1. Il cammino dell’armonizzazione non poteva immaginarsi esente da difficoltà: la necessità di riformare i sistemi contabili per le note esigenze di consolidamento e di raffronto delle politiche di bilancio e del loro coordinamento e di farlo in maniera da garantire la massima copertura possibile delle regole di dettaglio nella sua applicazione e di ridurre le aree di incertezza, ha dovuto fare i conti con una complessità di “ritorno”.

Volendo sintetizzare in termini immediati l’effetto complessivo che si percepisce nel terzo anno, oramai non lontano dalla sua conclusione, di applicazione a regime della disciplina del d.lgs.118/2011 e sue successive modifiche, l’immagine di un cantiere aperto sembra rendere concretamente l’idea della situazione.

Un cantiere che, per rimanere nella metafora, ha visto concreti “stati di avanzamento” ma è stato necessario un lavoro di rivisitazione e di alleggerimento di taluni criteri applicativi di regole contabili e di una rilevante e molto significativa opera di orientamento ed in qualche caso di “correzione di rotta” da parte della giurisprudenza costituzionale. Su quest’ultima, in particolare, ci soffermeremo nell’intento di far cogliere il senso di un vero e proprio percorso di accompagnamento nel cammino della riforma dei sistemi contabili su taluni suoi aspetti di rilievo.

Diciamo subito che l’ottima scelta del legislatore di demandare alla commissione ARCONET il monitoraggio e l’adeguamento dei principi contabili alle novità normative hanno consentito un razionale, ancorchè molto articolato, lavoro di rivisitazione delle norme e dei principi che regolano la materia cogliendo le sensibilità degli enti chiamati all’applicazione delle norme. Lavoro tuttora in corso.

Volendo descrivere ciò che si “vede” con uno sguardo sull’orizzonte complessivo del rinnovato ordinamento contabile diciamo che dall’entrata in vigore ad oggi i tratti caratteristici del nuovo sistema, pur conservati nella loro identità giuridica, sono stati rimodellati per alcuni rilevanti aspetti nell’ottica di un’esigenza di flessibilità. Dobbiamo notare, infatti, che tra gli “aggiustamenti” della disciplina che danno meglio la misura del senso di sollievo dalle rigidità dell’impostazione originaria della normativa ci sono senz’altro quelli che hanno riguardato la formazione e la gestione del FCDE(fondo crediti di dubbia esigibilità) e del FPV (fondo pluriennale vincolato), ritoccati da modifiche normative e dei principi contabili applicati; l’applicazione delle regole sui vincoli di finanza pubblica, rivisitate dalla giurisprudenza della Corte costituzionale.

Soffermandoci, per il momento, solo sui primi, diciamo subito che si tratta di due istituti che impattano su quello che potremmo considerare uno dei principi ispiratori della riforma che è stato quello di dare credibilità ai documenti di bilancio privilegiando criteri di rappresentazione, in termini contabili, della gestione utile a dare un’informazione attuale e concludente sull’azione amministrativa, limitando moltissimo gli spazi di indeterminatezza tipici della fumosità delle previsioni approssimate. Ce lo ha ricordato la Corte Costituzionale che il bilancio è un “bene pubblico” (sent. n. 247 del 2017) perché in esso si sintetizzano e si rendono conoscibili le scelte attuative delle politiche pubbliche che giustificano il prelievo di risorse delle quali bisogna rendere il conto a chi ha conferito il mandato elettivo. È la sintesi del rapporto fiduciario su cui si regge la democrazia rappresentativa.

Funzionale a questo obiettivo è la garanzia di un elevato grado di attendibilità delle previsioni che è il paradigma essenziale nella costruzione dei documenti contabili e che è al centro del complesso sistema della competenza potenziata.

Naturalmente il “cambio di passo” e cioè il passaggio dalla competenza pura a quella secondo esigibilità non poteva non partire da una sorta di operazione di “bonifica” delle incrostazioni contabili del passato da qui il riaccertamento straordinario dei residui, l’accantonamento a FCDE, la rideterminazione del nuovo risultato di amministrazione, l’ampio periodo di rientro dall’eventuale deficit ed un po’ più avanti la costituzione del FPV.

In questo passaggio, tornando al discorso degli “aggiustamenti” che si sono resi necessari, “i punti di minore resistenza”, per usare metafore mediche, si sono dimostrati le ben note debolezze che minano la fondatezza giuridica della ragione dei crediti iscritti in bilancio e la capacità programmatoria soprattutto nella spesa per gli investimenti.

Su questi aspetti si sono avuti interventi di flessibilizzazione che, invero, non possono considerarsi una sorpresa. Tra questi i reiterati provvedimenti normativi per gradualizzare l’accantonamento in bilancio del FCDE, (da ultimo la legge di bilancio 2018, art. 1, co. 882, legge 27 dicembre 2017, n. 205 ma anche la versione semplificata della determinazione a rendiconto del medesimo fondo), che hanno corretto i criteri di quantificazione di questa posta (che vale a consuntivo 2016, secondo i dati del referto sull’esercizio, limitato ad un numero parziale di comuni, 3,8 mld) che però deve fare i conti con la finalità della regola originaria che è quella di correggere le previsioni di entrata con lo scopo virtuoso di mettere la parola fine alle criticità di coperture di spese non credibili, non sufficientemente sicure, non arbitrarie secondo i principi di diritto enunciati dalla Corte costituzionale. Questo intervento, tra quelli di flessibilizzazione, non ha sorpreso e ciò per la semplice ragione che nessuno poteva ragionevolmente credere che cambiando la regola di imputare in bilancio le entrate secondo esigibilità potessero cambiare da un punto di vista qualitativo o quantitativo, i connotati strutturali di base del sistema di finanziamento degli enti locali afflitto dalle sue debolezze e dalle sue criticità. Non è questa la sede per sviscerare i problemi che affliggono le amministrazioni sul piano della provvista di risorse: dalla disciplina della riscossione, alla valorizzazione delle basi imponibili e del patrimonio, al pieno esercizio della potestà impositiva, ma non possiamo fare a meno di considerare che sono problemi la cui soluzione costituisce il logico presupposto per migliorare la qualità di costruzione del bilancio sul versante attivo.

Proprio per questo era, ed è, logico pensare ad un tempo di metabolizzazione delle pregresse incrostazioni al trascorrere del quale emergeranno sempre con maggiore evidenza i nuovi tratti di una contabilità più coerente e più vicina alle realtà della gestione; passi avanti già si registrano.

Per quel che riguarda il FPV, che trovava la sua ragione sostanziale nella necessità di creare una regola che consentisse di monitorare il tempo intercorso tra la provvista delle risorse ed il loro utile impiego, in particolare per la spesa per gli investimenti, ha visto, per necessità di cose, moltiplicare le, poche, originarie eccezioni al principio cardine che lo stesso sia costituito una volta impegnate le somme. Eccezioni che sono apparse una sorta di rimedio alle iniziali distorsioni sull’uso del FPV utilizzato soprattutto per evitare l’accantonamento delle risorse nel risultato di amministrazione e ciò in conseguenza della lentezza della spesa per gli investimenti; un problema questo della lenta dinamica degli investimenti sul quale c’è molto da capire, ma c’è anche tanto impegno a farlo.

Intanto, proprio in questa direzione valutativa, va ricordato che sta per essere formalizzato l’ultimo decreto correttivo dei principi contabili applicati dove è stato modificato, tra l’altro, anche il principio contabile applicato 4.2 nella parte relativa alle regole per la registrazione degli impegni in materia di spese per la progettazione, disciplina che incide anche sullo specifico aspetto della possibilità di costituire l’FPV per gestire le risorse per gli investimenti che includono le suddette spese.

Continuando nella descrizione dell’orizzonte del rinnovato quadro ordinamentale possiamo dire che non erano improbabili neppure le invocazioni di semplificazioni che si sono levate con riguardo agli adempimenti relativi alla programmazione soprattutto per i piccoli comuni; ma anche per gli altri enti si è tornati sulle modalità e sui tempi di taluni adempimenti obbligatori. Per quel che riguarda la contabilità economico- patrimoniale e del connesso obbligo di adozione del bilancio consolidato, si sono rese necessarie alcune moratorie generalizzate e, per i piccoli comuni, rinvii di applicazione anche per una nuova riflessione sulla materia. Per gli enti più piccoli l’applicazione delle regole del 118 ha sollecitato anche riflessioni critiche: dalla ritenuta ipertrofia di parte degli adempimenti soprattutto nella utilizzazione degli schemi di bilancio e dei dati contabili analitici, alla reale necessità della contabilità economica, alla ben nota inadeguatezza delle risorse umane e strumentali rispetto allo sforzo organizzativo richiesto dalla necessità di ottemperare ai numerosi e gravosi adempimenti. Riflessioni che formano oggetto di un apposito tavolo tecnico istituito presso il Mef.

1.2 È stata soffermata l’attenzione su pochi aspetti che hanno connotato il cammino dell’applicazione delle nuove norme sulla disciplina contabile, sia perché è stato scelto il metodo della valutazione dell’ampia prospettiva, quindi sono state solo lambite le tematiche, sia perché, effettivamente si tratta di snodi qualificanti nell’impostazione del nuovo modo di programmare e gestire le politiche di bilancio. Ma va detto che le dimensioni dell’impatto della nuova disciplina si colgono soprattutto attraverso il lavoro del giudice costituzionale che, sia pure attivato, prevalentemente, per le verifiche di costituzionalità di leggi regionali di approvazione dei documenti contabili, ha enunciato principi di diritto di generale applicazione. Il primo elemento di fatto che misura il detto impatto è dato dalla numerosità delle pronunce della Corte ( ex plurimus: sent. n. 70/2012; sent. n. 178/2012; sent. n. 192/2012; sent. n. 309/2012; sent. n. 138/2013; sent. n. 241/2013; sent. n. 250/ 2013; sent. n. 88/2014; sent. n. 188/2015; sent. n. 10/2016; sent. n. 184/2016; sent. n. 279/2016; sent. n. 89/2017; sent. n. 247/2017; sent. n. 252/2017; sent. n. 274/2017; sent. n. 6/2017; sent. n. 101/2018) in un lasso di tempo relativamente contenuto e su un ventaglio di tematiche attinenti la nuova disciplina che ha dato un forte impulso di chiarezza dei contenuti delle nuove disposizioni. In effetti la fase di sperimentazione della nuova disciplina ha consentito di mettere a fuoco molte situazioni necessitanti interventi correttivi, poi attuati attraverso il certosino lavoro di rivisitazione dei principi contabili applicati da parte di Arconet; la Corte costituzionale, dal canto suo, ha ricostruito, nel quadro dei precetti costituzionali, l’autentica portata della novella ordinamentale.

Ripercorrere i punti salienti di quest’opera di delibazione della disciplina relativa all’armonizzazione rende consapevoli di due cose: la prima, dello spessore istituzionale della riforma che punta ad una rifondazione non solo e non tanto delle regole contabili, ma dei principi generali che nel loro complesso integrano la c.d. costituzione finanziaria, la cui osservanza garantisce il presidio di una sana gestione delle risorse pubbliche; la seconda che la tecnicalità contabile va coniugata, per appianarla, con i canoni della buona amministrazione che difficilmente si piegano alle strumentalizzazioni di comodo.

2. Lo sviluppo della giurisprudenza costituzionale sui principali temi dell’armonizzazione contabile

2.1. Sui principali adempimenti preliminari. L’impatto che si è avuto con l’applicazione a regime della contabilità armonizzata si era letto solo in parte in fase di sperimentazione; in questa fase, infatti, la tecnica della sperimentazione che comporta di norma l’assistenza ed il soccorso di chi segue e guida la fase sperimentale, fa emergere le problematiche tecniche ma non ne fa percepire gli effetti su larga scala. Questo è quello che è avvenuto con l’applicazione massiva delle regole del 118. Un’idea dell’impatto con le nuove norme, sia pure limitando l’osservazione ad un solo segmento disciplinare, si può avere dando uno sguardo alla relazione sulla finanza locale in Toscana 2017 (delibera n. 181/2017 della SRC toscana) licenziata dalla Sezione di controllo della Toscana che ha analizzato, tra l’altro, i dati sul riaccertamento straordinario dei residui e sulla rideterminazione del risultato di amministrazione.

Su 291 enti controllati, la Sezione ha deliberato l’adozione di 166 pronunce specifiche per altrettanti enti (circa il 57 per cento del totale) relative alla rilevazione di 430 profili di grave irregolarità contabile; di questi ultimi 71 hanno riguardato il risultato di amministrazione come definito al 31 dicembre 2014 e ben 344 quello al primo gennaio 2015 e quindi il risultato di bilancio come influenzato dall’operazione di riaccertamento straordinario nelle sue differenti componenti.

In conseguenza delle 166 pronunce specifiche, gli enti territoriali toscani hanno adottato ben 180 deliberazioni, di Giunta o di Consiglio, per modificare il risultato di amministrazione o alcune sue componenti. Decisioni impegnative, sia in termini quantitativi che qualitativi, con ingenti spostamenti di risorse pubbliche ed evidenti risparmi. Per dare un ordine di grandezza, la Sezione ha accertato un maggiore disavanzo (nella nuova definizione di legge ai sensi del d.lgs 118/2011) rispetto a quanto deliberato originariamente dagli enti prima della procedura di controllo e a controllo non ancora completato, nell’insieme degli enti controllati (compresi quelli sperimentatori) per 63.921.278 euro. Va da sé che, in assenza di tale controllo, altrettante risorse sarebbero state impiegate per nuova spesa.

Non a caso la Corte costituzionale nella sentenza 6/2017 nel porre in evidenza che il filo conduttore della riforma è quello di dare evidenza contabile e rilevanza giuridica alle diacronie intercorrenti tra realizzazione delle entrate ed erogazione della spesa attraverso, fra l’altro, il preliminare riaccertamento straordinario, (oltre che il principio della competenza “a scadenza”, l’istituzione del fpv ed il correttivo del previsionale attraverso l’ FCDE) non ha mancato di sottolineare che “le minacce più sensibili all’equilibrio dei bilanci pubblici ed in particolare a quello dei bilanci degli enti territoriali, vengono dalle problematiche giuridiche, estimatorie ed organizzative afferenti ai crediti ed ai debiti, nonché alla sovrastima – in sede previsionale- dei flussi finanziari di entrata; l’effetto combinato della sovrastima dell’attivo e della difficoltà di riscossione sbilancia i flussi finanziari rendendo necessario il ricorso alle anticipazioni e nella prospettiva genera la produzione di disavanzi”. Al riguardo ci sentiremmo di sostenere anche che un’ indiretta conferma di questa criticità estimatoria sembra si possa cogliere nella non isolata scelta di formulare previsioni autorizzatorie dei bilanci di cassa generose soprattutto per la spesa, così da consentire anche il più ampio ricorso alle anticipazioni di tesoreria e tenuto conto anche degli effetti connessi alla prescrizione normativa (art. 162 comma 6 TUEL) di chiudere l’esercizio non con il pareggio di cassa bensì con un fondo cassa non negativo.

Ed è proprio l’esigenza che fosse finalmente posta adeguata cura al valore ed alle conseguenze di una previsione attendibile della programmazione finanziaria che sul punto della cosiddetta “operazione verità” si è spesa molto la Corte dei conti che in più occasioni ha auspicato che la stessa fosse condotta secondo il principio di prudenza ed effettività; e proprio con riferimento al riaccertamento straordinario si avvertiva sin dai primi risultati della sperimentazione che una cancellazione fatta a cuor leggero poteva ampliare l’area del disavanzo così come una poco scrupolosa verifica della persistenza delle ragioni di credito poteva perpetuare la stagione dei “disavanzi occulti” (delibera n. 4/SEZAUT/2015/INPR). Va anche detto, però, che non basta ricordare il principio di diritto o la regola scritta ma è necessario l’impegno e la responsabilità congiunta di tutti gli attori dell’amministrazione comunale o comunque dell’ente.

La tendenza a considerare meramente ragionieristico tutto ciò che attiene alla disciplina dei conti non appare condivisibile perché l’evidenza contabile rappresenta la fase finale di un processo di lavoro che parte dalla determinazione amministrativa e ne segue gli sviluppi.

Peraltro bisogna stare attenti a considerare l’operazione di riaccertamento come storia passata perché siamo a poco più tre anni (giugno 2015) dall’avvenuta scadenza del termine per l’adempimento generalizzato e non sembra si sia verificato quell’effetto che tutti si attendevano di una riduzione diffusa dei residui in base alla competenza a scadenza che avrebbe dovuto lasciare nelle scritture solo veri debiti e veri crediti che solo per un accidente non si fossero realizzati (“Andamenti della gestione finanziaria degli Enti Locali nel primo anno di applicazione della contabilità armonizzata” deliberazione n. 4/SEZAUT/2018/FRG). In sostanza la formazione dei residui non sembra abbia assunto un andamento diverso. Se poi consideriamo che nella legge di bilancio 2018 all’art. 1, co. 848 si ipotizza l’esistenza di enti che ancora non hanno fatto il riaccertamento straordinario oppure che in parte non è stato correttamente eseguito, si può pensare che il cammino da fare per arrivare a bilanci universalmente veritieri ed attendibili non è ancora concluso.

2.2. Sulla priorità del rispetto degli equilibri. In proposito appare calzante richiamare il principio enunciato dalla Corte costituzionale nella sentenza 279 del 2016 e cioè che “gli scostamenti dai principi del d.lgs. 118 del 2011 (…) non costituiscono solamente un vizio formale dell’esposizione contabile, ma possono risultare strumentali ad una manovra elusiva della salvaguardia degli equilibri (…)”.

La consistenza di questa ipotetica manovra elusiva può avere diverse sfaccettature ma quello che non manca è lo scopo di potersi giovare di apparenti spazi per programmare una spesa superiore a quella consentita dalle risorse disponibili. Un monito che ben si coniuga con il ripetuto e rinnovato, negli aspetti motivazionali, richiamo al rispetto dell’obbligo di garantire la copertura delle spese, principio sancito dall’art. 81 Cost. che la Corte ha definito clausola generale in grado di colpire ogni enunciato normativo di carattere finanziario con essa collidente. Principio rafforzato nella sentenza 274/2017 affermando che obbligo di copertura ed equilibri del bilancio sono «due facce della stessa medaglia, dal momento che l’equilibrio presuppone che ogni intervento programmato sia sorretto dalla previa individuazione delle pertinenti risorse». Principio di diritto, questo, risalente nella giurisprudenza costituzionale (sentenza n.1/1966) ma che si è reso necessario molte altre volte ribadire nelle pronunce della Consulta che ne ha scolpito le qualità essenziali affermando che la copertura deve essere credibile, sufficientemente sicura, non arbitraria o irrazionale, ed in equilibrato rapporto con la spesa che si intende effettuare in esercizi futuri (sent. n. 192/2012).

Il nesso tra le due categorie è stato ripreso nella sent. n. 184/2016, che qualifica il solo principio della copertura finanziaria «clausola generale in grado di operare pure in assenza di norme interposte quando l’antinomia coinvolga direttamente il precetto costituzionale».

Una linea di chiarezza di principi di diritto quelli affermati dalla Corte costituzionale rivelatosi essenziale al radicamento di corrette prassi applicative e di recupero di legalità e regolarità che ha attraversato l’ambito operativo dell’armonizzazione fin dalle sue fasi di avvio e con riferimento ad aspetti di rilievo. Non solo. In talune pronunce rese dalla Corte costituzionale l’esame delle norme oggetto di delibazione ha favorito approfondimenti concernenti i profili sostanziali dell’ambito e della portata applicativa di alcuni istituti contabili che costituiscono vere e proprie indicazioni operative. Al riguardo è il caso di ricordare le puntualizzazioni rese sulla natura e la disciplina del disavanzo tecnico con la sentenza 6 del 2017, dove è stato precisato che il disavanzo tecnico, per il periodo intercorrente tra l’esercizio di applicazione in bilancio e quello di copertura è un vero e proprio disavanzo e senza una corretta, nominativa ed analitica individuazione dei creditori e dei debitori coinvolti nel calcolo delle operazioni finalizzate all’ammissibilità del disavanzo stesso e senza un’appropriata determinazione del fpv, risulta non conforme a costituzione perché mina l’equilibrio del bilancio sia in prospettiva annuale sia pluriennale. In termini di principio di diritto la corte ha puntualizzato che in quanto derogatoria della regola generale, la disciplina del disavanzo tecnico è comunque di stretta interpretazione e deve essere circoscritta alla irripetibile ipotesi del riaccertamento straordinario.

Nella stessa direzione si inquadra la dibattuta questione concernente la possibilità di applicare le quote vincolate al nuovo bilancio quando il precedente esercizio presenta un risultato che non copre gli accantonamenti che ora, per effetto dell’art. 187, co3 TUEL, integrano un vero e proprio disavanzo.

Anche qui la giurisprudenza costituzionale (sent. 70/2012), a tutela della regola degli equilibri, ha innanzitutto ribadito che è indispensabile il previo accertamento del risultato di amministrazione complessivo prima dell’applicazione delle quote al bilancio; nello stesso tempo ha reso coerente con questa regola l’altra regola della necessaria finalizzazione delle risorse vincolate, ponendo un’eccezione al precedente principio secondo cui nessuna spesa può essere accesa in poste di bilancio correlate ad un avanzo presunto se non quella correlata ai fondi vincolati accertati nei modi di legge.

Così la più recente sentenza 89/2017 Cost. afferma che anche in caso di risultato negativo le amministrazioni devono realizzare gli obiettivi e le finalità specifiche per le quali sono state destinate risorse vincolate; in particolare che i vincoli di destinazione delle risorse confluenti a fine esercizio nel risultato di amministrazione permangono anche se quest’ultimo non è capiente a sufficienza o è negativo. In questi casi l’ente deve ottemperare a tali vincoli attraverso il reperimento delle risorse necessarie per finanziare gli obiettivi, cui sono dirette le entrate vincolate rifluite nel risultato di amministrazione negativo o incapiente.

Il presidio alla tutela degli equilibri nella disciplina armonizzata è andato oltre il formale, ma spesso sterile, richiamo, contenuto nelle precedenti norme, all’obbligo degli adempimenti verificativi in corso di esercizio, anticipando al momento di costruzione del bilancio le fondamenta su cui far reggere l’impalcatura della programmazione. In tale direzione muovono i due istituti che caratterizzano la nuova normativa e cioè l’accantonamento in bilancio del FCDE e dei riflessi su quello nel risultato di amministrazione ed il FPV. Ed anche qui non è mancato, da un lato, il lavoro di indagine sui primi approcci alle novità degli enti da parte delle Sezioni regionali della Corte dei Conti nel contesto delle verifiche sulla corretta determinazione del risultato di amministrazioni, dall’altro le “letture” della Corte costituzionale.

Infatti le sezioni regionali in più occasioni hanno rilevato criticità nell’errata costituzione del FCDE ma anche l’impropria inclusione di questo fondo, in termini di valore assoluto, nel disavanzo da ripianare in trent’anni difformemente dalle specifiche prescrizioni sul ripiano del maggior disavanzo contenuta nell’art. 3 comma 16 del 118/2011. La Consulta ha ribadito che tale accantonamento viene fatto proprio per evitare un risultato di amministrazione negativo a seguito delle minusvalenze derivanti dalla riscossione solo parziale dei crediti e per tale ragione assume particolare importanza la congruità della sua costituzione.

Per il FPV invece è stata constatata la costituzione in sede di riaccertamento straordinario anche se la differenza tra le reimputazioni era stata negativa ciò che contrasta con quanto dispone l’art. 3, comma 7 lett. b del d.lgs. 118/2011 e che, di conseguenza, aveva comportato una rappresentazione non veritiera del risultato di amministrazione; ed anche in questi casi l’aggancio alla giurisprudenza costituzionale è esplicito con riferimento alla sentenza 6/2017 per quel che riguarda il corretto uso dell’ FPV che, secondo il Giudice delle leggi, oltre ad assolvere la funzione di neutralizzare gli effetti negativi delle diacronie intercorrenti tra acquisizione delle risorse e loro impiego è anche mezzo di tutela degli equilibri del bilancio nello sviluppo della gestione in tale arco di tempo.

In quest’ottica sembra pertinente il richiamo al concetto di bilancio come “bene pubblico” fatto nella sentenza n. 184 del 2016 della Corte costituzionale – concetto fondativo del generale obbligo di trasparenza in particolare nella programmazione e nella rendicontazione delle risorse pubbliche, presente nei passaggi motivazionali delle decisioni del giudice delle leggi – la cui “utilità” consiste nel sintetizzare e rendere certe le scelte dell’ente territoriale, sia sul fronte dell’acquisizione delle entrate che su quello dell’allocazione delle spese. Rappresentazione di fatti, questa, funzionale a creare consapevolezza in chi ha contribuito a finanziare le spese ed ha accordato fiducia a chi deve amministrare le risorse e che deve poter conoscere il rispetto o meno del principio fondativo della democrazia rappresentativa e cioè la fedeltà al mandato elettorale. Sotto tale profilo assumono rilievo i principi della chiarezza, della significatività e della specificazione degli interventi attuativi delle politiche pubbliche che rendono effettivo l’affermato principio contabile generale n. 5 della veridicità, attendibilità, correttezza e comprensibilità (All. 1, D.Lgs 118/2011).

2.3. Sul rispetto dei vincoli di finanza pubblica. Nella stessa direzione di chiarificazione della portata dispositiva della novellata disciplina contabile si muovono le decisioni risolutive delle questioni di legittimità costituzionale che hanno visto impegnata la Corte costituzionale nella verifica, invocata da alcune regioni, della compatibilità di alcune norme che disciplinano i vincoli di finanza pubblica in particolare il pareggio di bilancio con le prerogative dell’autonomia finanziaria degli enti territoriali. La Corte costituzionale (sent. nn. 247/2017 e 101/2018) ha enunciato principi di diritto che rendono compatibile l’obbligo per gli enti locali, così come per le Regioni, di rispettare ogni anno il pareggio di bilancio ma allo stesso tempo di consentire l’utilizzo dei risparmi accumulati negli esercizi precedenti che servono a finanziare investimenti. La questione riguarda le regole a regime sull’equilibrio dal 2020 e cioè la norma di cui al comma 466 dell’art. 1 della manovra 2017, ma bisogna tenere conto che il 2020 è già presente nei bilanci preventivi approvati quest’anno.

Sulla specifica materia dei vincoli non può non osservarsi che alla base delle questioni di costituzionalità aventi ad oggetto disposizioni contenute nella l. 164/2016 affiorano evidenti i caratteri di un certo disallineamento tra le regole europee di governo dei conti pubblici, incentrate sulla contabilità economica e su parametri statistici e quelle della contabilità pubblica del nostro ordinamento basate sulla competenza giuridica, anche nella fase successiva all’introduzione del richiamato criterio della “competenza finanziaria potenziata”, nelle quali prevale la funzione autorizzatoria e di rendicontazione dei risultati della gestione finanziaria.

Alla luce delle regole europee, la gestione finanziaria dell’ente territoriale si traduce in un aggregato statistico ai fini del calcolo dell’indebitamento netto del settore amministrazioni locali, che porta ad escludere, diversamente dal sistema ordinamentale interno, il risultato di amministrazione dal calcolo dell’equilibrio in quanto integra un attivo che viene dal differimento di una transazione finanziaria rispetto ad un fatto economico preesistente che, per definizione, non attiene all’esercizio finanziario di riferimento, bensì a quelli precedenti.

Appare solido il principio di diritto affermato nella decisione sopra richiamata per il quale il pareggio, per quanto discenda dal diritto dell’unione europea, non consente di utilizzare le norme di contabilità per imporre limiti all’utilizzo degli elementi patrimoniali dell’ente territoriale, anche quando questi ultimi sono previsti dalla legge rinforzata.

Un criterio che si coglie nei profili sostanziali evidenziati dalle Regioni a statuto speciale che hanno interposto ricorso contro la legge soprarichiamata; in particolare le censure rivolte contro l’art. 1 comma 1 lettera b) della legge 164/2016 si fondano sulle incertezze che ricadono sulla fluidità dell’azione amministrativa in dipendenza del fatto che ai fini del saldo non può essere considerata la parte del FPV alimentata da debito. Tale norma espone al rischio di scopertura quegli enti che avessero già programmato investimenti pluriennali utilizzando debito. Così come l’esclusione dell’avanzo tra le entrate finali ed il meccanismo delle intese regionali per l’utilizzo degli avanzi esproprierebbe l’avanzo stesso per acquisirlo ad obiettivi di finanza pubblica sottraendoli alla diretta utilizzazione. La Corte risolve la pronuncia di infondatezza attraverso una lettura costituzionalmente orientata delle norme. In particolare, per quello che riguarda l’avanzo, definito coefficiente necessario della qualificazione del concetto di equilibrio dei bilanci, una lettura orientata non può che portare alla conclusione che l’avanzo una volta accertato è nella disponibilità dell’ente che lo realizza. Nella lettura dell’art. 97 c., argomenta la Corte costituzionale, bisogna tenere distinta quella parte, la prima, che fonda il principio per cui l’equilibrio di bilancio è una condizione prodromica al buon andamento dell’amministrazione, da quella parte, la seconda, che attiene invece alla sostenibilità del debito pubblico. La disposizione che esclude dal saldo l’avanzo certamente non può riferirsi alla seconda parte ma alla prima ciò perché letta teleologicamente la norma induce a considerare che assicurare l’equilibrio del bilancio è opera che si declina nella continua ricerca dell’equilibrio tra entrata e spesa, ma il buon andamento vuole che al positivo risultato finanziario faccia riscontro anche una corretta ed ottimale erogazione dei servizi. In sostanza il miglior rapporto tra equilibrio e buon andamento risiede in un armonico perseguimento delle finalità pubbliche attraverso il miglior impiego delle risorse; ne consegue che l’avanzo una volta accertato è nella disponibilità dell’ente che lo realizza.

Per quel che riguarda il fpv la corte osserva che la norma che ne esclude in parte l’utilizzo ai fini del saldo non altera la finalità del fondo che è strumento per garantire gli equilibri nelle more dell’utilizzazione delle risorse accertate. Non esiste a giudizio della corte un’eterogenesi funzionale e semantica che possa alterare la suddetta finalità che è quella di garantire copertura alle spese pluriennali di investimento. Immaginare che una norma possa anche indirettamente comportare una scopertura di spesa si avrebbe una palese violazione dell’art. 81 c.. In sostanza, dice la Corte, non può ritenersi che la disciplina degli equilibri non tenga conto delle regole inerenti la gestione delle parti attive e passive e, di conseguenza, del risultato di amministrazione. Ciò significa che l’iscrizione o meno del fpv nei titoli di entrate e spese finali deve essere inteso nel senso meramente tecnico contabile quale criterio armonizzato per il consolidamento dei conti nazionali. Quindi occorre riportare la lettura di tali disposizioni alla sola finalità di aggregazione macroeconomica che non altera la struttura e la finalità del fondo. In effetti sono le disposizioni con finalità macroeconomiche che si inverano, a seconda dell’ambito di riferimento, in prescrizioni che non tolgono significato e finalità alla sostanza dispositiva delle stesse.

Peraltro non va trascurato di considerare il fatto che tali opzioni interpretative “fanno giustizia” di linee di politica legislativa sulle modalità di concorso agli obiettivi di finanza pubblica difficilmente coordinabili sotto il profilo della coerenza. Infatti, prima della determinazione dell’equilibrio di bilancio, gli obiettivi di patto di stabilità interno hanno determinato una contrazione della spesa soprattutto di quella per gli investimenti che hanno concorso alla formazione di avanzi amministrazione; le norme sopravvenute sulla determinazione dell’equilibrio ne limitano fortemente l’utilizzo, da qui l’osservazione conseguenziale che la sommatoria degli effetti di queste prescrizioni di coordinamento della finanza pubblica hanno generato un’oggettiva distorsione nel sistema ordinamentale cui le richiamate sentenze pongono le basi giuridiche per il superamento della stessa.

E’ con la sentenza 101/2018, infatti, che si concretizza il cammino di rivisitazione dei principi di diritto sul pareggio. Con detta decisione viene dichiarato incostituzionale l’art 1, co. 466 della legge 232/2016 “nella parte in cui stabilisce che, a partire dal 2020, ai fini della determinazione dell’equilibrio del bilancio degli enti territoriali, le spese vincolate provenienti dai precedenti esercizi debbano trovare finanziamento nelle sole entrate di competenza”. La stessa disposizione è stata dichiarata incostituzionale anche là dove non prevede che l’inserimento dell’avanzo di amministrazione e del FPV nei bilanci dei medesimi enti territoriali abbia effetti neutrali rispetto alla determinazione dell’equilibrio dell’esercizio di competenza.

Enunciato di diritto che si fonda anche sulla constatazione che nessun pregiudizio viene arrecato dagli effetti della pronuncia agli equilibri della finanza pubblica allargata poiché i cespiti inerenti al FPV e all’avanzo di amministrazione, se legittimamente accertati, costituiscono fonti sicure di copertura di spese già programmate e avviate. Al contrario, la preclusione a utilizzare le quote di avanzo di amministrazione disponibili e i fondi già destinati a spese pluriennali muterebbe la “sostanza costituzionale” del cosiddetto pareggio, configurandolo come “attivo strutturale inertizzato”, cioè inutilizzabile per le destinazioni già programmate e, in quanto tale, costituzionalmente non conforme agli articoli 81 e 97 della Costituzione.

Rimane comunque necessaria una vigilanza sul corretto accertamento degli avanzi e della destinazione del fondo pluriennale vincolato. In particolare, tali risorse non possono essere confuse con le disponibilità di cassa momentanee. “I saldi attivi di cassa, infatti, non sono di per sé sintomatici di sana e virtuosa amministrazione, in quanto legati a una serie di variabili negative — tra le quali spicca la possibile esistenza di debiti sommersi — in grado di dissimulare la reale situazione economico-finanziaria dell’ente”.

La parola passa al legislatore che dovrà ristabilire un quadro di coerenza all’interno del sistema disciplinare complessivo relativo ai sistemi contabili e alle regole di bilancio che tenga in giusto equilibrio le esigenze del concorso degli enti territoriali agli obiettivi di finanza pubblica con quella, altrettanto essenziale al sistema economico per quanto influenzato dalle politiche pubbliche, di garantire effettiva autonomia finanziaria e di entrata e spesa nelle gestioni amministrative.

CONCLUSIONI.

Le considerazioni di sintesi che si possono trarre da quanto fin qui esposto sono riassumibili in una constatazione ed in una valutazione in prospettiva.

La constatazione coglie l’evidenza dei fatti e cioè che l’avvio del cammino sul terreno dell’armonizzazione è stato molto difficoltoso e non poteva essere diversamente vista l’importanza della riforma contabile, ma l’impatto è stato ben governato dalla commissione Arconet. Si può dire che la “curva” dell’ideale diagramma dell’efficacia attuativa della nuova disciplina descrive un crescente livello di compliance..

Non è peregrino sostenere che le buone prassi stanno emergendo ora perché sono state superate le cosiddette criticità d’impatto causate, soprattutto, dal fatto che la riforma dei sistemi contabili è intervenuta in un momento di diffusa condizione di degrado dei conti pubblici per non pochi enti. Le regole dell’armonizzazione ed in particolare di alcuni istituti (vedi FCDE al rendiconto, reimputazione dei crediti e debiti) “geneticamente” connessi ad aspetti gestionali di esercizi passati, si sono scontrate con quelle realtà ciò che ha imposto opportuni aggiustamenti dei principi contabili applicati per renderli coerenti con le concrete possibilità applicative da parte degli enti.

Ma la volontà di raggiungere l’obiettivo non manca: significativo è il crescente numero di richieste di piani di riequilibrio che denotano, sì, la difficoltà in cui gli enti versano ma anche lo sforzo di risanamento, cui va incontro, qualche volta in maniera non proprio “ortodossa” da un punto di vista della scienza contabile, il legislatore soprattutto con la previsione delle ipotesi di rimodulazione dei piani stessi. Aspetto questo che ha fatto registrare, purtroppo, eccessi di asistematicità con la complessiva normativa contabile che ha dato spunto anche per la proposizione di questioni di legittimità costituzionali pendenti.

Nella valutazione dei risultati raggiunti nei primi anni di applicazione della armonizzazione non può certo prescindersi dalle considerazioni di cui sopra ma anzi, con consapevolezza e coscienza del grado di stabilità del terreno su cui si sta costruendo, si potrà contribuire ad edificare una struttura finanziaria più solida che consenta di raggiungere gli obiettivi prefissati dalla comune volontà di tutti gli attori del sistema contabile.

Rinieri FERONE Sara Salustri.

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