SENTENZA SSRR in speciale composizione n. 17/2019
Principi di diritto desumibili dalla pronuncia
- Le condizioni dell’azione e l’oggetto della giurisdizione delle SS.rr. in speciale composizione.
Il contenuto e l’ampiezza delle condizioni dell’azione processuale vanno definite in funzione del bene sostanziale oggetto della tutela, osserva il Collegio che l’art. 11, comma 6, lett. e) c.g.c., radica la giurisdizione piena ed esclusiva di queste Sezioni riunite sulle pronunce emesse dalle Sezioni regionali di controllo, in ragione delle funzioni esercitate ai sensi dell’art. 100, comma 2, Cost. ed in attuazione dell’art. 103, comma 2 Cost.
Ciò comporta che oggetto del controllo di legittimità-regolarità delle Sezioni regionali di controllo e del processo innanzi a queste Sezioni riunite è sempre il bilancio come bene pubblico (cfr. Corte Cost., sentenze n. 184/2016, n. 228/2017 e n. 274/2017, n. 49/2018 e ordinanza n. 7/2019, nonché Consiglio di Stato, sez. IV, sentenze 2200 e 2201/2018) e il diritto che lo disciplina, anche laddove questo riguardi forme esternalizzate di gestione di missioni e/o programmi, attraverso bilanci separati, personificati in soggetti di diritto privato.
Peraltro, l’accertamento compiuto dalla Sezione regionale di controllo, una volta compiuto, per gli effetti di legge che vi sono collegati, può compromettere interessi, non più adespoti, ma che si soggettivano in quelli giuridicamente qualificati di determinati soggetti. Ciò può riguardare l’amministrazione controllata ma anche terzi portatori di interessi che, in relazione alle conseguenze di legge, possono essere pregiudicati dal comportamento conformativo del soggetto controllato.
Ne consegue che la giurisdizione di questo giudice è una giurisdizione essenzialmente di diritto oggettivo, che peraltro si attiva per effetto di parti il cui interesse è intercettato dall’accertamento compiuto dalle Sezioni regionali, anche se rimane, quanto ad oggetto, focalizzato sulla conformità a diritto della concreta gestione del bilancio. Tale giurisdizione può essere attivata quando l’accertamento compiuto è in grado di ledere interessi concreti e soggettivizzati, giuridicamente rilevanti.
2. Il merito.
L’art. 2, lettera m), del Tusp, definisce «società a controllo pubblico» le società in cui una o più amministrazioni pubbliche esercitano poteri di controllo ai sensi della lettera b)” e quest’ultima, a sua volta, definisce come “controllo: la situazione descritta nell’articolo 2359 del codice civile”. Si tratta cioè di un rinvio pieno e tuttavia la stessa norma, nel secondo inciso, precisa che “Il controllo può sussistere anche quando, in applicazione di norme di legge o statutarie o di patti parasociali, per le decisioni finanziarie e gestionali strategiche relative all’attività sociale è richiesto il consenso unanime di tutte le parti che condividono il controllo” (enfasi aggiunta).
Proprio questo secondo inciso costituisce un elemento di specialità rispetto alla disciplina civilistica: la norma consente di ritenere sufficiente a determinare l’influenza dominante un patto parasociale debole tra più amministrazioni. Si tratta di una tipologia di sindacato di voto noto in dottrina come patto di controllo plurimo disgiunto. Questi patti non sono sufficienti, nel diritto comune, ad integrare una situazione di dominio e di influenza dominante sulla società ai sensi degli artt. 2341-bis e 2359 c.c. Infatti, in tale particolare forma, il patto di sindacato non funziona secondo logiche maggioritarie, ma conferisce ad ogni socio la possibilità di interporre un potere di veto alla decisione degli altri.
Il Tusp, dunque, in deroga all’art.2359 c.c., consente di ritenere rilevante e determinante di una influenza dominante anche patti siffatti, non solo privi di rilevanza esterna, come gli altri patti parasociali, ma altresì deboli a livello interno, per una diminuita capacità di conformare il comportamento dei singoli soci.
Per tutti gli altri effetti rimangono ferme le norme di diritto comune.
Detto in altri termini, la verifica del rispetto delle norme del Tusp può portare ad esiti dicotomici, nel senso di rilevare un “controllo pubblico” istituzionalizzato, con le conseguenze di legge, ovvero configurare una situazione rilevante ai fini della verifica dei presupposti di razionalizzazione della partecipazione ai sensi degli artt. 20 e 24 Tusp. In assenza di patti parasociali o di altre forme di coordinamento istituzionalizzato, difficilmente sarà configurabile un interesse al mantenimento di una partecipazione pulviscolare.
Nell’ambito di questa verifica, non si può peraltro affermare che la mera partecipazione pubblica maggioritaria, pulviscolare, possa far presumere ex lege (art. 2728 c.c.) il controllo della società, per il sol fatto che tutti o la maggioranza dei soci appartengono al bacino della pubblica amministrazione, poiché, vista la regola generale del libero convincimento del giudice, le presunzioni legali sono governate dal principio di tassatività e costituiscono quindi un numerus clausus.
Per altro verso, il controllo pubblico di cui alla lettera b) ed m) dell’art. 2 Tusp, è un concetto di relazione, nel senso che si qualifica in connessione alla eventuale assenza o partecipazione ininfluente di soggetti di privati.
Si può pertanto affermare che sebbene la mera partecipazione maggioritaria e proteiforme di soci pubblici disorganizzati non sia indice sufficiente a presumerne legalmente un controllo pubblico, in assenza di soci privati, o di prove della loro influenza dominante, tale partecipazione diffusa, unita ad altri indici di prova, possa integrare una presunzione semplice, ai sensi dell’art. 2729 c.c.
In buona sostanza, la partecipazione pubblica diffusa, frammentata e maggioritaria non costituisce ex se prova o presunzione legale dell’esistenza di coordinamento tra i soci pubblici, che deve invece essere accertato in concreto; può, invece costituire una presunzione semplice, la cui valutazione ex art. 2729 c.c. è rimessa al prudente apprezzamento del giudice, che ammetterà solo quelle gravi, precise e concordanti ed in mancanza di prova contraria diretta.
Ciò è tanto più vero in presenza di partecipazione private, anche ai soli fini del Tusp (art. 1, comma 5).
La situazione di controllo pubblico, in definitiva, non può essere presunta ex lege (né juris tantum, né tantomeno juris et de jure) in presenza di una partecipazione maggioritaria di più amministrazioni pubbliche, né si può automaticamente desumere da un coordinamento di fatto; esso deve risultare esclusivamente da norme di legge, statutarie o da patti parasociali (la cui esistenza può in determinate circostanze desumersi da comportamenti concludenti) che, richiedendo il consenso unanime o maggioritario di alcune delle pubbliche amministrazioni partecipanti, determina la capacità di tali pubbliche amministrazioni di incidere sulle decisioni finanziarie e strategiche della società.
ELEMENTI DELLA SENTENZA
N. 17/2019 leggi qui
RICORSO: ricorso proposto per l’annullamento della deliberazione della Corte dei conti, Sezione regionale di controllo per le Marche, n. 60/2018/VSG del 19 dicembre 2018.
RICORRENTE:
Società (a partecipazione pubblica da parte del Comune di Cagli ed altri comuni) Marche Multiservizi S.p.A.., in persona del Sindaco legale rappresentante pro tempore.
RESISTENTI:
Procura generale della Corte dei conti.
MASSIMA: non sussiste il controllo pubblico presunto sulla base della partecipazione pubblica maggioritaria, non coordinata ex iure tramite un patto parasociale o altre forme di coordinamento rilavanti ai sensi dell’art. 2359 c.c. L’unica specialità del testo unico delle società partecipate attiene alla rilevanza di patti parasociali di controllo plurimo disgiunto, altrimenti non sufficienti per la disciplina di diritto comune
Conformi: cfr. ex multis SS.RR., sent. n. 16/2019/EL leggi il commento di Vanessa Pinto qui; 8/2019/EL; Cons. St., sent. n. 578/2019.
Difforme: Sezione riunite di coordinamento n. 11/2019/CONTR commentata qui